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Autore: Callie_Stephanides    06/10/2012    6 recensioni
Quando si incontrano per la prima volta, in occasione della finale della Coppa del Mondo di Quidditch, Draco Malfoy e Hermione Granger devono ancora compiere quindici anni.
E' un rapido sguardo, il loro; la curiosità di un momento.
Qualche settimana più tardi, tuttavia, quando l'unico figlio di Lucius Malfoy arriva a Hogwarts con la legazione di Durmstrang per il Torneo Tremaghi, il Destino stringe il nodo di cui saranno gli estremi.
Puoi innamorarti della ragazza che ha rubato il cuore dello Czar di Durmstrang?
Se è tanto forte da sciogliere la prigione di ghiaccio in cui ti sei nascosto, forse sì.
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton, Sirius Black, Viktor Krum | Coppie: Draco/Hermione, Vicktor/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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- Questa storia fa parte della serie 'Dum spiro, spero'
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Quando la fine del mondo arrivò, Hermione Granger scoprì che respirava ancora.
A dispetto della polvere, della paura, della delusione; malgrado quel teschio nero su pelle di luna e nembi rosso sangue, capì che era viva: finché un alito d’aria fosse passato, dunque, finché il cuore le avesse galoppato nel petto, non avrebbe chiuso gli occhi.
Non avrebbe reso le armi.
Non avrebbe abbandonato Draco Malfoy.

***

È un’alba umida, intrisa dell’odore grasso della terra smossa, dell’erba tagliata, del cielo alto dell’estate.
Anche le stelle hanno un profumo, come ce l’ha il sole quando bacia la pelle. È un aroma che non puoi descrivere, solo vivere: da cane o da uomo, poco importa.
Sirius si domanda se anche Mocciosus possieda la consapevolezza della bellezza, o non l’abbia ceduta a Voldemort qualche secolo fa; si chiede se il carcere in cui languono entrambi da troppo tempo si aprirà mai, fosse solo un ridicolo pertugio di speranza.
Piton lo precede di qualche metro, con quella sua andatura rigida da spaventapasseri, la schiena troppo dritta e lo sguardo altrove. Sirius, tuttavia, non gli chiederà mai cosa frughino i suoi occhi, perché lo sa: quelli come loro non hanno un domani da sognare, ma fanno l’amore con i mille se di un privatissimo cimitero.

Se Harry morisse…

Deglutisce a fatica, Black, e sputa fuori l’ennesimo.
Piton si arresta e si volta. Dal fremito che intercetta sulla sua bocca, sta per parlare, forse vorrebbe persino rassicurarlo, ma inghiotte quel desiderio come una tentazione molesta.
Non importa: a volte basta anche solo il pensiero.
“Arrivo,” borbotta, e copre rapido la distanza che li separa. “Silente ci aspetta.”
Piton annuisce e lo guida attraverso un vestibolo lugubre, illuminato a stento dal debole lucore delle loro bacchette. Se ha già percorso quest’ennesima, clandestina vena di Hogwarts, Sirius non ricorda, né gli pare di aver mai avvertito con altrettanta forza il peso di un’oscurità che li accerchia e urla nel silenzio di un’alba decisiva.
È la resa dei conti: prima che la battaglia abbia inizio, i soldati salutano il generale e ne cercano la benedizione.

Silente li attende al buio. Indecifrabili, i suoi occhi assorbono le prime bave di sole, ma non hanno calore. “Benvenuti,” mormora asciutto, e fissa il rapido scolorare del cielo.
Severus non muove un muscolo. Sirius freme. Smettere d’abbaiare non ti libera del cane, pensa con mesta ironia.
“Non sappiamo dove, né il momento preciso in cui accadrà, però…”
Piton scopre l’avambraccio. Sulla pelle nuda, il teschio ruggisce e si contorce, quasi possieda una seconda anima.
“Sì, è già qui. Sono già qui.”
Silente china il capo, ma la luce che lo anima non è spenta, né doma. Non vuole perdere e tanto vale anche per le vite che devono proteggere.
“Il sicario che vi è stato destinato è il figlio di Lucius Malfoy. Immagino che lo sappiate, Preside.”
La voce di Piton suona priva di consistenza.

Forse non ho mai capito nulla di lui, come Mocciosus non sa niente di me.
Forse è vero: la vita è una cicatrice che ti s’ispessisce addosso, e prude, prude, né perdona mai.
Forse devi aspettare l’ultimo giorno, per capire che siamo strati e strati di silenzio e pelle morta e maschere.

“Se arriverà sino a me, saprò come accoglierlo.”

Sirius schiude le labbra, ma, se da dire non c’è nulla, la bocca ti s’impastoia di silenzio.

“Voi siate vigili.”

È un commiato? Assediato da un sudario di nembi, il sole è una debole palla rosata.
Quante volte l’ha aspettato da ragazzo? Quante albe erano trasgressione e scommessa?
Eppure non l’ha mai visto così bene, come non immaginava che l’estate sapesse tanto di buono nelle mattine in cui devi scegliere se vivere o morire.

“Faremo il possibile per non deluderla, Preside.”

Severus lo anticipa e s’inchina. Lo imita, ma senza sentimento: la testa vuota, le palpebre strette, i pugni serrati attorno alle ultime briciole di speranza.

***

Più che dormire, ha perso conoscenza: si è spento per esaurimento, vinto da un terrore troppo acuto per i suoi nervi sfibrati.
Draco si cerca nello specchio molato della latrina dell’arca. Ha compiuto quindici anni da un paio di settimane e ha gli occhi di un centenario: lo sguardo velato e lattiginoso di chi non ha diritto al domani.
Immerge il capo nel catino d’acqua gelata. Tutt’intorno è silenzio.
Florian manca da troppe clessidre; se Barty se n’è accorto, non ha creduto di dover indagare. Draco non sa se provare sollievo o terrore, perché la certezza del castigo gli morde la pelle come una tenaglia arroventata.
L’orrore del baratro l’ha travolto come ha visto all’opera un autentico Mangiamorte: il buio nello sguardo e un’asola schiumosa di bava in luogo delle labbra; il rictus isterico dell’omicida e l’orgasmo dell’esecuzione.
Uccidere il padre: Draco sa che non ne sarebbe mai capace, ma al sollievo della scoperta si accompagna la disperazione del corollario.

È tardi.

Voleva essere migliore di Lucius, ma non ha pensato che per farlo avrebbe dovuto chiamarsi ‘uomo’. Morirà prima, invece. Morirà bambino, forse ragazzo, ma uomo no.
Si cerca oltre l’argento slavato dell’iride e conta macerie.
Una vista insopportabile.
L’avambraccio sinistro brucia da impazzire. Voldemort è tanto vicino che gli alita all’orecchio.

Mio. Mio. Mio.

Narcissa e Lucius saranno sugli spalti, ma non avrà né tempo, né modo d’abbracciarli.
Eppure sa di non aver mai avuto tanto bisogno della mamma come in quest’ora.
Lo sa e non se ne vergogna.

“Sei sveglio?”

La voce di Florian lo sorprende all’improvviso. Immobile sulla porta, Von Kessel è una macchia nera. Solo gli occhi da fiera scintillano – e la pupilla, sottile come un’unghia, non ha niente d’umano.

“Tu che ne dici?”

Si odia, ma non c’è rimedio: nessuno gli ha insegnato a chiedere scusa, a guardarsi alle spalle, a risalire il gran fiume delle idee, se alla foce ti aspettano le rapide dell’irrimediabile. Tutto quel che vede, quando guarda Florian, è il riflesso di un perdente.
Il suo.
Von Kessel gli porge una boccetta colma sino all’orlo di un denso liquido ambrato.
“È il veleno che mi hai promesso?”
“È quel veleno.”

Non c’è esitazione nella sua voce: forse è vero che la partita gli interessa ancora.

“Seguirò la terza prova,” aggiunge, “ma resterò nei pressi della Foresta, nel caso…”
Draco lo guarda. “Non ho intenzione di scappare. Ho una missione da compiere.”
Florian si morde le labbra. Una piccola bolla rossastra erutta nel mezzo. Una lacrima feroce.
“Ci sarà anche tuo padre, vero? Forse…”
“E il tuo, Florian? Quante volte ti ha difeso?”

È un colpo basso, eppure voluto.
Che legami potrà mai permettersi di salvare?
Si muore soli e, se vincesse il Signore Oscuro, anche la vita si trasformerebbe in un affare assai solitario.

***

“Il tempo sta peggiorando.”
Ron guarda il cielo e le indica la nuvolaglia densa e plumbea che lo invade. È anche il colore delle mie emozioni, pensa Hermione, ma non ha il coraggio di confessarlo ad alta voce: non al ragazzo che ha sognato e poi dimenticato con l’infedeltà incolpevole dell’adolescenza.
Davvero si aspettava che sarebbe stato per sempre? Un primo amore per tutta la vita?
È un’illusa.
Harry li precede accanto agli altri campioni. Salvo che la sorte non confonda il banco, non sarà una finale quanto un duello: Potter contro Krum.
Hogwarts contro Durmstrang.
Hermione direbbe che c’è persino qualcosa d’ideologico in quell’opporsi di poli, ma è sensibile e onesta: Viktor ha il cuore puro.

Rispetto al mio, senz’altro.

“Sei preoccupata per Harry o non sai per chi tifare?” le chiede Lavanda, con una malizia che le pare, a un tempo, crudele e sacrosanta. Al suo posto, forse farebbe altrettanto.

Invece no, non lo pensare, perché tu non sei così meschina.

Hermione stira le labbra in una smorfia spastica. “No, non ho questo problema. So molto bene chi vincerà e ne sarò orgogliosa.”
La Brown tenta una replica, ma Ron la interrompe. “È evidente che siamo qui tutti per Harry. Solo un idiota potrebbe credere il contrario.”
Lavanda arrossisce sino alle orecchie e finge di trovare interessante una grossa nuvola gonfia di pioggia. Lo sguardo di Hermione la accarezza con simpatia non simulata: non è peggiore di lei, eterna indecisa tra troppe bandiere.

“Grazie.”

Ron la guarda. Il blu di quegli occhi ha il calore e la profondità che un Malfoy non potrebbe mai darle, eppure sostituirlo è stato facile, perché persino il più mite degli agnelli subisce il fascino del lupo.
Anche le signorine-so-tutto nascondono voglie che sono buchi neri.

“Non l’ho detto per te… È che ci spero.”
Hermione china il capo e inghiotte un dispiacere grosso come un pugno.
L’ha deluso e lo sa – li ha delusi tutti. Quel che è ancora peggio, tuttavia, è che ha mortificato se stessa, vestendo una parte ridicola e seminando amore nel deserto di un cuore che non le appartiene.

“Sbrighiamoci, o non troveremo un posto decente nemmeno a promettere galeoni.”

***

“Dunque questa è Hogwarts…”
Axel Von Kessel socchiude le palpebre e fissa guglie acuminate e nobili torrette. Ammira l’austerità della pietra, la maestà con cui s’incunea nel paesaggio e quasi lo modella.

Hogwarts la giusta, la nobile, la saggia.
Hogwarts madre benevola e temperata, bacchetta e non verga.

Ha voluto che il freddo forgiasse i suoi bambini, come ha scolpito lui, principe dei Thestral, nobile tra i più puri.
Non ha pensato nemmeno per un istante a quanto facile sia spezzare una spada, se la colpisci nel punto opportuno; a come confonda il grigio, se non si è avvezzi a leggerlo.
È quel che è toccato a Kaspar. È quanto non deve capitare a Florian.
Ha un pessimo presentimento, tuttavia: ce l’ha da quando sono partiti, loro tre, per un viaggio come a stento ricordano.
Solo un padre e due figli.
Un padre e un eterno rimorso.
Kaspar cammina ancora a fatica. Tiene la testa bassa, ma i sensi troppo vigili dicono dei suoi incubi più di mille cicatrici. Non ha chiesto il suo aiuto ed è triste sapere perché: non gliel’ha mai concesso.
Axel non ricorda i gemelli bambini, se non nell’ombra fragile del sorriso di Leanor. Quando lei se n’è andata, tuttavia, quel che gli ha lasciato era un brutto gatto urlante, zuppo del sangue sbagliato. Kaspar e Klaus avevano appena sei anni, ma il cucciolo era Florian. Non aveva abbastanza pazienza (amore?) per tutti: li ha lasciati soli.
Erano nani, ora sono due uomini, eppure non gli sono mai parsi tanto giovani e spaventati. Troppo giovani per la guerra che sta per esplodere.

Ho sbagliato tutto, ma Florian ha appena cominciato a vivere. Posso rimediare. C’è ancora tempo…

Vassil Krum e la moglie Eléna, seduti nella tribuna destinata ai familiari dei campioni, li invitano con un amichevole cenno. Klaus tende il braccio al fratello per aiutarlo nell’ascesa, ma l’esitazione dell’erede dei Von Kessel non nasce dalla difficile convalescenza: bassa, all’orizzonte, si profila una nube rossastra. Axel la fissa con malcelato disgusto; pulsa come un cuore – o come un tumore – e una nausea violenta lo stringe alla gola.
Non vede Florian da nessuna parte. Negli occhi di Lucius Malfoy, soprattutto, intercetta la stessa inquietudine.

***

“Non devo avere paura: ho il veleno, dunque non ho deluso nessuno.”

Parla da solo, Draco, mentre una coltre di nembi oscura il sole e le prime gocce, tiepide come solo d’estate, lo raggiungono attraverso la verde cupola della foresta.
Barty gli ha raccomandato d’essere circospetto e puntuale. Ha inciso, anzi, quel ‘mi raccomando’ quasi volesse punzonarglielo nella carne.
Il problema è che lo farebbe davvero, né proverebbe orrore o rimorso.

Ho il veleno. Non ho nulla da temere.

Mente anche a se stesso: non sa come attirare Silente e fargli inghiottire il siero, né come sottrarsi alle inevitabili conseguenze di una missione scellerata.
Gli manca Florian, eppure è contento di ritrovarsi solo: solo con i propri incubi, che sono poi i sogni di un altro – di un mostro chiamato Voldemort.

Crouch e Karkaroff lo aspettano dove stabilito: una radura paludosa, circondata da grosse pietre. Draco ne conta almeno sei; due o tre, probabilmente, sono le passaporte che occorrono loro per completare il Piano, poiché a Hogwarts non ci si smaterializza e non tutti gli incantesimi vanno a buon fine.
“Sono arrivato,” mormora – e non sa da dove giunga la voce.
“Questo lo vediamo,” latra Crouch. Non indossa più gli abiti di Malocchio. È finito il tempo delle maschere e dell’ombra, perché il buio sta per colare sul mondo intero.
“E sono pronto.”
Una risata sarcastica. “Davvero?”
“Ho il veleno.”
Estrae la boccetta e la mostra ai burattinai-carnefici cui si è dato per inesperienza, stupidità, paura – ma non può percorrere a ritroso il tempo e chiedere perdono. A chi, poi? Per cosa?
“Bevilo,” dice Barty.
Draco lo fissa senza capire. “Come?”
“Ti aspetta un compito importante, dunque dobbiamo sapere se possiamo fidarci di te.”
“Ma se lo bevo…”
Crouch scopre i denti – zanne giallastre e lustre. Umetta le labbra, come una fiera che pregusti già il pasto. “Non vuoi che ricorra alle cattive, vero?”
Draco fissa il veleno e, all’improvviso, gli pare una via più comoda del futuro che lo attende; senz’altro una fine più dolce della vendetta di Barty. Di un Crucio in punta di lingua.
“Bevi, Malfoy.”
Draco chiude gli occhi e manda giù. È un liquido caldo e dolcissimo, che sa di miele e di sole: se il buio verrà, probabilmente ricorderà una carezza.
La notte, tuttavia, non lo ingoia. Non accade proprio niente.
Forse.



“Come… Come l’avete capito?”

Al limite della radura, Florian è un fuscello frustato da un fortunale.

“Credevi sul serio d’essere il più furbo di tutti? Più furbo di noi, ragazzino?”

E su pelle di carta, Karkaroff firma il capitolato di condanna.
Rosso, com’era rosso il sangue il giorno in cui si sono incatenati.




* Versager, in tedesco, vuol dire sia ‘fallito’, ‘perdente’ che ‘fallimento’, ‘sconfitta’.

   
 
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