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Autore: Kimmy_90    19/04/2007    5 recensioni
Philosophi, Custodes: guerrieri e sapienti, condottieri cresciuti ed istruiti, usati, stressati, tirati oltre ogni limite. Bambini sottratti ai genitori per divenire macchine da guerra: Utopia o Distopia?
E se il tutto, che a stento si regge in piedi, crollasse a dispetto dell'uno?
E se l'uno fosse dalla parte del tutto?
Dove trovi la ragione, dal sempre fu o dal nuovo che porta terrore come solo questo sa fare?
E se la routine della guerra divenisse l'isto di una catastrofe?
Siamo in un altro mondo, signori, e qui non v'è magia alcuna: soltanto geni...
Geni e Demoni.
[Storia in revisione] [Revisionata sino al capitolo 10]
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'Cristallo di sale' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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[Prima pubblicazione: 19 04 2007]

[Ultima revisione: 10 10 2010]

- 5 -

E se volessimo essere diversi?

E se non lo volessimo?

Quando capiremo che, nonostante i nostri desideri, decideranno gli altri?

- Bambini. -

Quando facevi attività fisica la facevi in calzoncini e maglietta nera.

Sia d'estate che d'inverno.

Quando facevi attività fisica la facevi a piedi nudi.

Sia d'estate che d'inverno.

E la facevi con i pesi.

Ai polsi e alle caviglie. Bracciali di metallo che si chiudevano intorno ai muscoli, stretti, i quali ogni qual volta li toglievi lasciavano il segno.

Naruto, in fila indiana, stava finendo il sesto giro intorno alla Sphaera, preceduto da molti e seguito da moltissimi come lui. Ma da quella mattina c'era un nuovo peso a fargli compagnia: al fianco destro gli gravava tutta la potenza della calibro 45.

Era parecchio tempo che correvano intorno, ed i tre giri di riscaldamento che venivano abitualmente fatti, per un totale di quasi diciannove chilometri, erano stati più che doppiati. I ragazzini iniziavano a sentirsi veramente stanchi, ora che toccavano distanze da maratoneti, e continuavano a correre senza sapere quando avrebbero smesso: in testa Kakashi, seguito da altri due Rectores.

Quell'uomo aveva un che di sadico, pensava Sasuke, continuando a correre infastidito dal peso della pistola.

Il sole era alla sua massima altezza quando Kakashi virò bruscamente. Naruto poteva vedere la serpentina che prendeva una direzione diversa, mai conosciuta e mai esplorata prima, mentre i ragazzini, lentamente, si inoltravano nel bosco.

Corsero, uscendo dalla zona cementificata, fra alberi ed arbusti, calcando le piante dei piedi su terriccio umido, procurandosi ogni tanto qualche graffio.

Il sole stava iniziando lentamente a calare, oltrepassando il mezzogiorno, quando, con una corsa che era ormai divenuta marcia poiché insostenibile, i ragazzini poterono intravedere uno spiazzo davanti a loro.

E lì, lentamente, vedere quelli che li precedevano fermarsi, e ,dopo qualche istante in dubbio, lasciarsi crollare in terra, esausti.

«Questo è il poligono di tiro.»

Naruto sedeva per terra, immerso nella polvere: tallone contro tallone, avampiede contro avampiede, le mani poggiate sulle caviglie. Ascoltava Kakashi, mentre controllava il luogo facendo scorrere le pupille tutto intorno. L'area era immensa, fatta di terreno secco e polveroso, con bersagli, dune, muri e trincee.

Sentiva i granelli di sabbia attaccarsi al sudore, ad impastargli le gambe, la nuca e i capelli.

«Ogni giorno dovrete presentarvi qui alla prima ora del mattino.»

Lo sguardo del ragazzino tornò immediatamente sul Rector, guardandolo, se non stupefatto, almeno impercettibilmente contrariato.

Chi poteva togliere il sonno a Naruto? Nessuno.

Naruto amava dormire.

Non perché fosse pigro, ma perché ogni volta in cui si stendeva nel proprio letto era stanco, stanco morto, e precipitava in pochi secondi nella dormiveglia che culla, che guarisce, che ripara, che catapulta in un luogo dove ogni impulso esterno diviene sogno, assurdo, e rapidamente dimenticato. Era un nulla, un amabile nulla.

Naruto non dormiva, se non c'era da dormire.

Ma nessuno poteva togliergli il suo sonno.

«Non potete fare, per alcun motivo, parola a nessuno di anno inferiore al vostro di questo luogo. La pena è la morte.»

I ragazzini erano più scandalizzati dal fatto che bisognasse essere lì assai presto che dalla nuova pena annunciata. Naruto stesso, che per principio contravveniva agli ordini, non si curava troppo della 'nuova punizione', quanto piuttosto dell'iniziare ad elaborare un metodo per non doversi perdere quel poco sonno che gli era concesso.

«In piedi!»

Il biondino si alzò. Facendo due conti, erano un cinque-sei chilometri per giungere fin là – impossibile trovare scorciatoie perché avevano fatto un tragitto radiale dalla piazza che circondava la Sphaera.

Quindi quella era la via più breve.

La seconda ora era in genere l'inizio delle lezioni, la prima era l'ora della sveglia, che corrispondeva all'alba estiva. Era dannatamente presto.

«Ricordatevi che anche delle vostre armi nessuno di anno inferiore al vostro può, e deve, venire a conoscenza. Stessa pena.»

Come avrebbe fatto?

Doveva svegliarsi due ore e mezza prima del solito.

«Bene. Iniziamo!»

Kakashi portò il pugno al petto, tamburellò una volta e poi battè con forza.

«Ignis Regionibus!»

Pugni allo sterno, un forte colpo di palmo.

«Patriae Frates! Fati Frates!»

Pistole in mano, l'addestramento iniziò.

No.

Naruto non poteva perdere quelle lezioni, per nulla al mondo.

Ad ogni colpo che sparava si sentiva sempre più estasiato.

Si esaltava.

Si esaltava totalmente.

E in un certo senso godeva del fare ritmicamente fuoco, sentendo il potere più che letale della pistola in mano.

***

C'era un giorno, durante il primo anno, in cui accadeva una cosa.

Quel giorno era il motore portante di tutto il Ludus.

Prima di imparare il saluto, prima di essere veri studenti, c'era quel giorno.

E senza quel giorno, lo sapevano bene, erano pochi i bambini che sarebbero riusciti ad andare avanti.

Era il giorno della sicurezza.

«Naruto!»

Il bimbetto si levò in piedi. Aveva passato il tempo ad osservare i suoi coetanei entrare in uno stanzino, man mano che venivano chiamati, per poi non uscirvi più: cos'era? Un macello? La casa di un mostro? Una stanza con un pozzo infinito?

Dove andavano gli altri bambini? E lui?

Era una prova da affrontare?

Il piccolo si lasciava annegare fra le fantasie, tanto da non sentire il proprio nome.

«NARUTO

Il biondino trasalii. Scattò tremolante ed insicuro in piedi, levando la manina in aria e guardando il Magister con gli occhietti di un gatto cui è stata tirata la coda.

L'uomo si avvicinò al piccolo, gli mise una mano dietro la spalla e spingendolo leggermente lo diresse verso la stanza, esattamente come aveva fatto con gli altri: la porta si avvicinava inesorabilmente al bambino, che moriva dalla curiosità, eppure aveva tanta voglia di tornare indietro.

Il Magister la aprì.

La stanza era piccola, con tre sedie, due da un lato e la terza di fronte: Naruto si incantò a guardare quegli oggetti, mentre il Magister si guardava attorno, quasi sorpreso.

Non c'era nessuno.

Rimasero lì per una ventina di secondi, in silenzio, finché il piccolino, che non ce la faceva più, volse il capo verso l'uomo e lo guardò, incollandogli addosso i suoi due enormi occhioni azzurri colmi di curiosità ed incomprensione.

«Bhe?»

Domandò infine.

«Bhe cosa?»

«Cosa... facciamo?»

Il Magister osservò lo strano soggetto. Senza degnarlo di risposta, andò a scartabellare fra i fogli del registro che teneva in mano, mentre il bambino insisteva nel guardarlo.

«Allora?»

«Naruto non mollava»

«Allora cosa?» rispose quasi seccato il Magister

«Cosa facciamo?»

«Niente.»

«Come niente

«Niente.»

«Ma come niente

L'uomo sbuffò, andando a prenderlo per il colletto, iniziandolo a tirare: ma quello sembrava essersi incollato lì.

«Ehi! Perché mi porti indietro?»

«Perché non c'è niente da fare, qui.»

«Ma come niente?!»

Il Magister, seccato, fece per spingerlo per le spalle a forza, verso la porta dalla quale era entrato.

«Ma! Ma!»

«Non fare storie, o inizi a prenderle.»

«Ma insomma! Ma! Uffa!»

L'uomo fece scivolare la mano sul capo del piccolino e lo accalappiò per la testa, obbligandolo a muoversi.

«Eeehi!»

Naruto venne ricondotto fuori dalla porta. Gli altri bambini lo guardarono stupefatti: nessuno era mai uscito da quella porta. E siccome questo usciva sbraitando e spinto da un adulto, non doveva essere bene.

«Solo una cosa. Vuoi rimanere al Ludus?»

E dove altro avrebbe potuto andare, si domandò il Magister. Sapeva già la risposta di quel bambino. Gliela leggeva negli occhi, e non bisognava essere Kakashi per saperlo fare.

«Perché non dovrei?»

«Limitati a rispondere: vuoi rimanere al Ludus? Sì o No?»

«Sì! Ma perché me lo chiedi?»

«Vai di là.»

Il Magister gli indicò un corridoio, per poi tornare rapido a guardare il registro che teneva in mano. Tirò una linea e fece un altro nome.

Naruto lo guardava imbronciato.

Quando finalmente capì che questo, ormai, non lo degnava più di attenzione, batté scocciato un piede in terra e si avviò, a grandi passi, le braccia incrociate e tutto ingrugnito nella direzione verso cui gli avevano detto di andare.

«Sasuke!»

Lui si levò in piedi: i grandi occhioni neri e profondi, sotto i capelli corvini un po' arruffati, ne facevano l'esemplare perfetto di bambino dolce e timido. Osservava l'uomo quasi smarrito, mentre avanzava lentamente in direzione della porta, intimorito, ma palesando la sua autosufficienza: il Magister si limitò ad aprire la porta della stanza dove tutti entravano e nessuno usciva.

Davanti a lui tre sedie, due da un lato e una dall'altro, inequivocabilmente vuote. Sasuke si fermò, mogio, vari minuti a contemplare gli oggetti, quasi passivamente, incantato mentre assaporava il torpore del luogo.

L'uomo che lo aveva accompagnato si guardò attorno quasi contrariato: eccone un altro.

Detestava quando succedeva così.

Dalla sua esperienza sapeva che una situazione del genere implicava fallimento quasi assicurato. Andò a scartabellare fra i fogli del registro mentre il bambino si avvicinava con moltissima cautela alla sedia solinga: la toccò un attimo, si appoggiò un pochino, e poi voltandosi lentamente verso l'adulto domandò con un filino di voce:

«Scusa... ... posso?»

Il Magister lo guardò un momento, risistemando di colpo i fogli e facendo schioccare la lingua sul palato, lo sguardo ora al pavimento, poi nuovamente su Sasuke.

No, non era una delle solite cose.

C'era una busta nera.

«Sì, certo. Siediti.»

Il bambino si sedette con un saltello, rimanendo con le manine congiunte in grembo a fissare il nulla mentre attendeva. Il Magister tornò un attimo ad estrarre un foglio dal registro, e dopo averlo osservato per bene si avviò verso la porta da cui erano entrati.

«Resta fermo là»

Sasuke rimase fermo.

L'uomo aprì la porta, ed, affacciandosi con grande sorpresa degli altri bambini lì presenti, fece schioccar le dita a voler richiamare l'attenzione di un altro Magister di sorveglianza.

Sasuke si sporse un poco per tentare di capire cosa stessero facendo, ma rinunciò molto presto: parlavano a voce bassa, quasi sussurrata.

Dopo qualche minuto la porta si chiuse, e Sasuke rimase solo.

Non c'era più nessuno a controllarlo.

Si guardò le manine, tornò a fissare la porta. Attendendo che si aprisse. Immobile.

Dopo mezz'ora la porta si aprì.

«Ho capito.»

Fece la voce del Magister di prima, rivolta a qualcun altro. Ora erano in tre: ai due si era aggiunta una donna.

Sasuke continuava a osservare gli adulti senza batter ciglio, lasciando che loro venissero come risucchiati di suoi grandi occhioni scuri.

«Seguiamo gli ordini.»

«Chiaro. Ma parlaci tu, sei più brava con quelli del primo anno. Con questo, poi...»

Il bambino non capiva il vero significato di quelle parole, e forse non voleva nemmeno capirle. Attendeva solo che gli venisse detto di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Al che, la donna si inginocchiò davanti a lui, andando a piantare due iridi chiare sulle sue, nere.

«Ciao.»

Fece la donna, che sembrava nascondere un sorriso lontano sul volto perlaceo.

«Ciao.»

Rispose Sasuke, rimanendo con le mani in grembo e le gambe a ciondoloni, fermo e buono.

«Ti chiami Sasuke, non è vero?»

«Sì. Sasuke.»

«Bene, Sasuke. Dimmi, vuoi rimanere al Ludus?»

Sasuke chinò la testolina.

«... bhe... sì.»

«Lo sai che sarà difficile, vero?»

«Sì.»

«Bene. Senti, Sasuke, c'è una cosa che ti dobbiamo dire, e forse ti dispiacerà. Però ti devi ricordare di tutto quello che ti hanno detto fin'ora.»

«Sì. Me lo ricordo.»

La donna sorrise, prendendo le manine del bambino, che non capiva, e si limitava ad osservare gli occhi della donna attendendo il seguito.

«Vedi, Sasuke, quello che è successo è fuori dal normale. Non succederà mai più. Purtroppo è successo a te.»

Sasuke guardava. Lasciava traspirare una vaga curiosità, ma senza spendersi. I suoi occhi erano profondi. Profondi e Neri.

«Sasuke, oggi sarebbero dovuti venire i tuoi genitori per salutarti. Però non sono venuti.»

Sasuke sbatteva ogni tanto le palpebre senza mutare espressione. Per un momento, la donna si chiese se quel bambino non fosse apatico.

«Questo perché sono morti.»

«Morti?»

Sasuke si stupì. Per un momento volle piangere, ma rapido si ricordò di quello che gli avevano detto.

La morte è un premio. Morite con onore, questo è il fine della vostra vita. Morite per la vostra Regio. Non temete la morte, ne' la vostra, ne' quella degli altri: è solo il momento di massima celebrazione della vita di un uomo.

«Hai un fratello di sangue cattivo, Sasuke. Molto cattivo, che ha ucciso i tuoi genitori – e adesso non sono qui per salutarti.»

Sasuke guardò la donna. Guardò la donna, e poi un Magister. E poi l'altro. Si sentiva oppresso da quelle persone, però sapeva che secondo il Ludus la Morte era buona. Allora andava bene. Anche se il fratello di sangue era cattivo.

Molto cattivo.

Si tranquillizzò. O almeno ci provò: andava tutto bene – continuò a pensare. La morte era bene. Lo aveva detto l'Ignis Umbra.

Doveva essere così.

C'era solo una cosa, che non gli tornava.

Il tono era ingenuo e puro.

«Ma io non ho un fratello di sangue.»

La donna sorrise.

«Tu non ricordi di averlo. E fai bene: dimentica.»

***

Naruto camminava per l'immensa piazza del Ludus, diretto verso il proprio alloggio: dopo l'addestramento mattutino erano tornati alla Sphaera per le lezioni, ed ora, il sole tramontato da qualche ora, sciamavano lenti, tutti insieme con i copriveste neri indosso, quasi a sembrare una macchia d'olio che si estendeva.

Il ragazzino osservava il cemento immerso in pensieri inconsistenti, accompagnato dal suono del suo campanello: ogni tanto riportava l'attenzione al fianco ed all'arma che lo ingombrava occultata dal copriveste.

Campanello o no, ora aveva la sua calibro 45.

E questo bastava.

La sua andatura era surrealmente lenta, tanto da lasciarsi distanziare entro breve dalla maggior parte dei compagni, rimanendo quasi solo, avvolto dalla notte ormai scesa.

Lo sguardo vagava.

Mezzo cotto, annusava il vento, lasciandosi trasportare dalle gambe che avevano automatizzato la camminata.

Ciondolava.

«Avanti! Che uomo, sei, eh? Che uomo sei?»

«Già, dillo, su! Dillo, chi sei! E muoviti!»

«Rispondi, Agricola!»

Le orecchie di Naruto vennero rapite da urla infantili: si voltò in quella direzione, chinando lievemente a destra il capo, incuriosito. C'era un gruppetto di bambini che pareva starsele dando di santa ragione. Quatto quatto, con andatura indifferente ma sguardo incuriosito, si avvicinò a loro.

«Ehi!»

Non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Era completamente suo diritto interromperli, se stavano violando qualche regola. Diritto e Dovere.

Ormai a qualche metro da loro, riuscì a distinguere tre bambini intenti a picchiarne un quarto: nulla di nuovo, pensò Naruto.

Loro caricavano potenti pugni colmi dell'odio del Ludus, esibendo la striscia verde, nove anni. L'altro si riparava alla meno peggio, proteggendosi il volto.

«Ehi, strisce verdi! Cosa state facendo?»

Uno di loro, che teneva saldo il malmenato per il colletto, si fermò a guardare Naruto. Per lungo tempo si soffermò sul campanello al lato del collo del ragazzino.

«Si vanta della sua Gens, striscia arancione.»

Rispose infine, interdetto.

Gli altri due si erano fermati, mentre il terzo rispondeva, come in sospeso. Naruto portò lo sguardo perplesso sulla vittima: il bambino, ancora nascosto dietro le maniche del corpiveste, fece lentamente capolino facendo vedere lo scorcio di un volto conosciuto.

«Ah, sì?»

Domandò mezzo retorico Naruto a Konohamaru, che tremolante gioiva di quel momento di stasi senza legnate, sebbene non lo desse a vedere. Guardò il dodicenne dal basso, acquattato com'era, e tacque, speranzoso.

Ma poiché tacque, i tre ripresero.

Naruto si sedette a gambe incrociate per terra, osservando la scena, mentre urla dall'una e dall'altra parte provenivano in continuazione, alle volte smorzate.

Dopo un po', i tre, sentendosi osservati, si fermarono e guardarono il dodicenne, che pareva star assistendo a una commedia.

«Macchevvuoi?»

Domandò uno in tono quasi scortese, continuando a fissare non il ragazzino negli occhi, ma il suo campanello. Naruto fece correre, almeno per ora.

«Nulla, nulla. Andate pure avanti.»

I tre rimasero immobili a guardarlo contrariati. Gli dava abbastanza fastidio, la sua presenza, e non si erano nemmeno resi conto della gaffe commessa e della clemenza di Naruto.

Approfittando di questa seconda pausa, Konohamaru radunò tutte le sue forze e si fece avanti.

«Striscia arancione!»

La vocina era mezza piagnucolante.

«E non chiedere aiuto, Agricola!»

Uno dei tre gli mollò un altro pugno.

«Ma io questa volta non ho fatto niente! Niente, vi dico!»

«Taci, Agricola!»

I tre ripresero.

Naruto rimase ad osservarli qualche momento, per poi tornare a parlare pacato.

«Ehi, ehi, fermi un po'! Voglio sentire che ha da dire.»

Ne' i tre ne' Konohamaru gradivano il comportamento del dodicenne, che, a dire il vero, voleva aiutare la striscia blu.

Anche se non avrebbe potuto farlo.

«Ma a te che te ne importa!?»

Domandò scocciato uno dei tre. Naruto si impettì all'affronto.

«Ehi, striscia verde, vuoi vedere com'è bello cambiar ruolo? Vuoi? E' la seconda volta che potrei averti steso di mazzate, sai?»

Il bambino sbuffò.

Naruto lanciava piccole e taglienti provocazioni, impercettibili, e soprattutto regolamentari, per destreggiarsi fra le gerarchie del Ludus e le sue leggi, con l'intento di trovare un motivo per poter alzare le mani sui bambini. Che non parevano nemmeno cime, in fatto d'intelligenza, ed accoglievano le offerte al volo. Naruto avrebbe già potuto malmenarli due volte.

«Allora? Cos'hai da dire, tu?»

Konohamaru rimaneva mezzo nascosto, indolenzito, il labbro sanguinante.

«Non ho fatto nulla, questa volta! Non parlo della mia Gens da giorni! Non avete motivo per darmele! Lasciatemi in pace!»

Uno dei tre, stizzito, gli assestò un calcio.

Il biondo si rimise in piedi, levandosi lentamente e quasi con indifferenza: ridacchiava mentalmente. Subito dopo si volse all'ultimo che le aveva date a Konohamaru.

«Maddài, tutto qui? Puoi far di meglio, no?»

Konohamaru odiò Naruto.

Alla provocazione, il bambino sorrise, e si apprestò a dare un altro calcio alla striscia blu, più potente di prima. Tornò poi a guardare soddisfatto il superiore, che però pareva perplesso.

«Mah.»

«Machevvuoi, bocciato? Che te le diamo a te?»

Intervenne un altro. Naruto corrugò la fronte spazientito.

«Piuttosto pare che tu le voglia prendere, nano. Io mi offro di aiutarvi a migliorare e così mi trattate, dunque? Ma quanti ne trovate, come me?»

Konohamaru voleva morire. Aveva realizzato in fretta che quella che secondo lui era la salvezza si era trasformata in un'altra minaccia, assai più temibile delle tre strisce verdi.

D'altro canto, ogni tanto capitava che i ragazzi più grandi aiutassero i più piccoli, nella tecnica. Ovviamente salvare qualcuno da un pestaggio era fuori discussione.

E capitava spesso che i più grandi cercassero vari motivi per darle ai più piccoli, arrampicandosi sugli specchi. Un po' come stava facendo Naruto - che era molto avvantaggiato, poiché i bambini si erano rivelati una preda facile. Soprattutto, lui, era armato di buone intenzioni.

Parola nuova.

«Ma sai che me ne importa!»

Naruto ritrasse il capo contrariato.

«Hai detto?»

Colpito e affondato. Sebbene Konohamaru non avesse capito nemmeno lontanamente quello che il biondo stava facendo, questi era più che riuscito nel suo intento. Smontati al volo i bulletti, che questa volta parevano proprio tali, Konohamaru innocente, attendeva solo di poter gonfiare la faccenda, mentre caricava i muscoli, quasi divertito dalla situazione.

Alle buone intenzioni si accantonò la sete di far valere la propria anzianità di cui, finalmente, godeva.

«Ma va' via!»

«Così ti rivolgi a uno del sesto anno? Mi par bene!»

Sete che avanzava e si ingrandiva. E lo riempiva.

Ma prima le buone intenzioni.

Lo sguardo andò su Konohamaru. Doveva essere imparziale, e riuscire nel suo primario intento.

«E tu che fai, tremi e piangi?» domandò, retorico, verso Konohamaru. «Vai, vai, a far l'Agricola!»

Konohamaru si prese, disperato, e corse via.

«Ecco!»

Ora anche gli altri due si erano stizziti, avendo perso il proprio giocattolo.

«Ecco cosa?»

Rispose Naruto autoritario, bello gasato e pronto.

I tre lo guardarono il superiore ingrugniti. Si chiedevano cosa l'avesse trattenuto dal dargliele, in fin dei conti. C'era chi, già alla prima parola scortese che gli rivolgevano, indipendentemente dalla situazione, alzava le mani.

Naruto, però, aveva aspettato ben tre battute colme di irriverenza ed astio.

Aveva sì aspettato, ma ora voleva divertirsi pure.

«Cosa viene un bocciato a dar fastidio, eh?»

Naruto sorrise.

Bocciato? Sì. Ma sempre tre volte loro. E di tre anni superiore.

Il nonnismo la vinceva.

«Agricola!»

Fece uno.

Alla fine commisero l'errore: piccoli, e tutti ben montati.

Naruto aveva fatto bene i conti, e a primissima occhiata aveva realizzato che si sarebbero ritirati presto, dal Ludus. Gente così non andava avanti: persino lui aveva imparato a non mancare di rispetto ai superiori.

Naruto poteva partire.

Agricola, eh.

Mai come quel giorno amò quell'insulto.

Naruto camminava soddisfatto.

***

C'era una grande stanza.

Una grande stanza e molta gente.

Lui si guardava attorno, seduto su un lettino, perso.

Storceva la bocca, attendendo quello che nel suo immaginario era l'ennesimo esame.

Eppure c'era molta gente.

Strano.

Un uomo in camice si avvicinò a lui, invitandolo a distendersi: lui sbuffò ed eseguì.

Trovandosi così a contemplare le fortissime luci di un tavolo operatorio, che lo accecavano.

Lo stesso uomo iniziò ad armeggiare con una siringa: gli iniettò un liquido verdognolo. Lui osservava incuriosito il procedimento, controllando ogni movimento, osservando la sostanza che calava nella siringa, man mano che gli entrava in corpo.

Iniziò a sentirsi strano.

Un altro ago gli venne conficcato in un braccio, collegato ad un tubicino, ed un altro ancora sul collo.

Da allora doveva stare immobile, gli dissero. Ma, ad esser sinceri, non è che lui riuscisse a muoversi granché.

Gli misero qualcosa di freddo e tondo alle tempie. Poi ai fianchi, poi in mezzo agli occhi, poi ai polsi e alle caviglie, e al petto.

Si sentiva strano.

Apri la bocca, gli dissero. E lui la aprì. Perché non avrebbe dovuto?

Si pentì di quel gesto quando sentì un tubicino discendere la trachea: fu tanto sconvolto dalla cosa che fece per urlare, facendosi così ancora più male.

Tenetelo fermo, dissero.

E lo tennero fermo.

Una donna osservava l'orologio, contando i secondi.

Ci siamo quasi, dissero.

Gli attaccarono qualcos'altro. Svariate cose. Ormai aveva perso il conto. E anche al facoltà di contare.

Resta sveglio, gli dissero.

Lui ci provava.

Li guardava, senza più sapere se essere spaventato o meno. Perché sapeva che doveva essere spaventato, ma chissà perché non ci riusciva.

Sentì una puntura alla pancia.

Una puntura profonda.

Un taglio?

Un flusso.

Una scossa.

Poi il dolore fu talmente grande che il suo corpo non resistette, nonostante il siero apposito che gli avevano iniettato.

Non vide nulla per un po'.

«Naruto.»

Poi vide rosso.

«Naruto!»

Due occhi, due occhi grandi e malvagi.

Due occhi, le pupille sottili e lunghe.

Lo guardavano.

Lo osservavano.

Lo studiavano.

Lo odiavano.

«NARUTO

Naruto spalancò di scatto gli occhi e cadde miseramente dal ramo.

Ogni giorno il sole sale.

Ed io sono tranquillo.

Ogni giorno il sole cala.

Ed io sono tranquillo.

Un'eclissi.

E' magnifica.

E' stupenda.

E mi terrorizza.

   
 
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