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Autore: Ai_chan4869    08/10/2012    4 recensioni
Ambientata dalla fine dell'espisodio 3x17...
" Entrò senza pensare, doveva trovarla. Il corridoio era lungo, buio e puzzava di muffa. I suoi passi rimbombavano cupi tra le mura dello scantinato, ma di lei, nessuna traccia. Nessun segno. Doveva essere li. Ne era certo, perché se si sbagliava Kate Beckett sarebbe stata un'altra vittima di 3XK, e questo, lui, non lo avrebbe mai permesso. Lo aveva fatto scappare una volta, non avrebbe commesso lo stesso errore una seconda."
Genere: Commedia, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Eccoci di nuovo qui! Vediamo Che fine ha fatto Kate…
Buona lettura!

 
 

 
 
 
 
«Oscurià»
 

 
 
 
 
Si svegliò quando sentì qualcosa caderle sulla guancia.
Una goccia. Fredda. Umida, come l’aria che le stava intorno.
Era avvolta dall’oscurità.
Ci mise qualche secondo per svegliarsi del tutto. Cercò di mettere insieme gli ultimi avvenimenti, ma non si ricordava molto. Qualcuno l’aveva spinta a terra e poi… il vuoto.
Si sedette su quello che, a contatto con il suo corpo, sembrava un materasso. Il ferro della rete cigolò sotto il suo peso mentre cercava di alzarsi in piedi. Aveva un leggero mal di testa, provocato probabilmente, dalla sostanza che le avevano fatto inalare.
Si toccò l’avambraccio, era fasciato e le dava fastidio. Tastò l’aria con le mani davanti a se e, posando i piedi sul terreno, si alzò con cautela. Una leggera fitta al fianco la fece piegare in avanti: si sentiva spossata e indolenzita.
Portò la mano nel punto dolorante e sentì un rigonfiamento strano. Alzò la maglietta, era leggermente bagnata sotto i suoi polpastrelli e secca al tatto in altri punti. Toccò qualcosa, era ruvida e formata da piccoli quadrettini, riconobbe il tessuto grezzo, era una garza e al di sotto c’era quello che poteva essere un cerotto medico.
Con la mente cercò di tornare indietro alla sera precedente, ma i suoi ricordi erano avvolti da una fitta nebbia.
Si strofinò il viso massaggiandosi le tempie. Non era il momento di farsi prendere dal panico, fece un respiro profondo; era viva, e quella, per il momento, era la cosa più importante.
Per cercare di capire in che luogo fosse finita doveva provare a muoversi. Stese le braccia davanti a se con i palmi alzati e iniziò a camminare. Il terreno sotto i suoi piedi era ruvido e pianeggiante, come il pavimento dei parcheggi sotterranei; si muoveva in linea retta, lentamente. Al quinto passo trovò la parete. Era ruvida e spigolosa. Sembrava essere calcestruzzo. Seguì il muro finché non trovò quella che sembrava essere una porta di ferro; cercò invano di aprirla, ma purtroppo era chiusa a chiave. Sbatté le mani contro il ferro freddo mentre il panico le si insinuava sotto la pelle.
«C’è nessuno!!?» Sbatté più forte finché il dolore all’avambraccio non si fece troppo intenso.
Chiuse gli occhi, stringendo i pugni e con un respiro profondo riprese lucidità scacciando rabbia e terrore.
Oltrepassò la porta andando sempre nella stessa direzione finché non si ritrovò con la spalla contro un’altra parete.
La seguì, ripetendo gli stessi movimenti, ma tenne un braccio alzato in modo tale da poter sentire se ci fosse una finestra o un piccolo lucernaio, da cui poter capire dove la tenevano prigioniera e se, nel caso, sarebbe potuta scappare.
Non trovò nulla, ma doveva ancora provare ad andare dall’altra parte.
Toccò qualcosa con le cosce, lo tastò con le mani: era arrivata al letto. Sospirò, riprendendo la sua strada.
La testa le girava lievemente, era la stessa sensazione che aveva dopo essersi sbronzata. Quel pensiero le fece ricordare la sua infanzia, quando andava alle feste e tornava a notte fonda, senza far rumore, nella sua stanza. Quando ancora si divertiva. Quando non cercava di tenere a distanza tutti per paura di soffrire.
Si fermò. Posando la fronte al muro.
Sospirò di nuovo perché le era venuto in mente lui. Il suo scrittore.
Le si strinse il cuore. Le mancava. Le mancavano le sue battute, il caffè la mattina, ma più di tutto, le mancava il modo in cui la sosteneva. In quel momento ne avrebbe avuto bisogno. Si sentiva fisicamente e psicologicamente male.
All’improvviso, sentì la serratura scattare, si voltò e la luce fuori dalla porta la rese momentaneamente cieca.
Si coprì gli occhi con una mano, mentre una figura scura le si avvicinava.
«Noto con piacere che si è svegliata, detective»
Non rispose, ma doveva scappare.
Il suo corpo era in guardia. Si guardò velocemente intorno senza muovere la testa, non c’erano posti in cui nascondersi.
Non poteva sorprenderlo. Avrebbe lottato contro di lui in un corpo a corpo? Ce l’avrebbe fatta nello stato in cui era?
Rimase in silenzio, studiando la figura di fronte a sé. La luce iniziava a diventare meno intensa e lei iniziò a vedere il suo sequestratore negli occhi.
Quegli occhi…
Il flash di una lotta violenta le si materializzò nella testa. Aveva preso il coltello di quell’uomo puntato nel suo stomaco, ma nel disarmarlo si era tagliata il braccio. Ricordava il sangue che aveva iniziato a colargli fino al gomito.
Si mise una mano sulla fronte mentre una fitta le partiva dalla tempia fino all’occhio.
«Cosa mi hai dato?»
Vide le sue labbra formare un sorriso «Cloroformio… e morfina»
Fu come essere travolta da un fulmine, in quel momento capì cosa poteva fare per fuggire.
Cadde in ginocchio come in prenda ad un violento giramento di testa.
L’uomo le si avvicinò «così sarai più docile detective…» Sentì una mano alzarla da sotto l’ascella e trascinarla verso il lettino, che ora, poteva vedere. Era un letto vecchio, con le sbarre di ferro arrugginite in alcuni punti, comequelli che si vedono negli ospedali psichiatrici o nei film horror.
Si aggrappò alla manica della giacca del suo sequestratore e spingendola verso il basso, lo fece barcollare, dandole l’opportunità di farlo cadere sferrando un calcio roteante a filo del pavimento contro la sua caviglia.
Si alzò con il cuore che le batteva in gola e iniziò a correre verso la porta.
La testa continuava a girarle, quella di prima era stata più scena che altro, ma dopo il calcio, doveva essersi riaperta una delle ferite, le bruciavano entrambe, ma quella sul fianco le dava molto più fastidio dell’altra.
Controllò il punto che le faceva male. La camicia era insanguinata, alzò un lembo e vide il cerotto che le copriva metà fianco carminio. Doveva aver perso ancora molto sangue per sentirsi così spossata.
Le luci dei neon sopra la sua testa erano ancora troppo forti per i suoi occhi, ma cercò velocemente di guardarsi intorno in cerca di una via d’uscita dalla stanza in cui era appena entrata.
Il bianco delle pareti rendeva l’ambiente ancora più luminoso di quanto fosse realmente. Non c’era nulla. Era completamente vuoto. Niente finestre, niente porte. Sembrava un bunker.
Impossibile.
Scacciò l’idea di essere intrappolata lì dentro, poi, qualcosa attirò la sua attenzione.
Una luce verde. Fece un passo e la vide.
La scritta EXIT torreggiava in cima ad una porta d’emergenza nascosta dietro l’angolo di un muro.
Si guardò alle spalle, l’uomo che prima era steso a terra era sparito.
Fece per voltarsi, ma sentì qualcosa prenderla alle spalle. Un braccio le avvolgeva il collo e cercava di soffocarla.
Fece resistenza con le mani, ma servì a poco. Era forte pur non essendo corpulento.
«Non si fa così detective» le sussurrò all’orecchio.
Qualcosa di appuntito le pizzicò il collo mentre sentiva le forze venirle meno.
«Cosa vuoi da me?» la trascinò di nuovo nella stanza buia e la fece sedere sul letto.
Aveva le gambe molli e faceva fatica a stare seduta dritta. Pensò alla puntura sul collo. Doveva essere stata narcotizzata di nuovo, i sintomi c’erano tutti: narcosi, analgesia e rilasciamento muscolare con la conseguente scomparsa dei riflessi.
Piegò la testa verso il basso, stanca e assonnata, ma lui le prese il mento con l’indice e il pollice avvicinandola al suo viso, lasciando solo qualche centimetro tra le loro labbra. Guardandola negli occhi quasi assenti.
«Tu…» disse fremente «sarai la mia vendetta» E le stampò un bacio sulla bocca.
 
L’ultima cosa che sentì fu la porta di ferro sbattere, poi, calò di nuovo in un sonno profondo pieno d‘incubi.
 
 
 
 
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Finito anche questo capitolo!!
 Ok… si sta facendo un po’ drammatica la situazione… tra Castle nel capitolo prima e Kate in questo. All’inizio non avrei mai immaginato che le cose sarebbero andata avanti in questo modo. Comunque ste tranquilli…
Spero comunque che vi sia piaciuto. ^^
Le recensioni sono sempre ben accette ovviamente! =)
 
Un bacione
Ai chan
 
  
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