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Autore: Vitani    24/04/2007    2 recensioni
Questa è una storia d'amore, di odio, di una carriera musicale ed artistica, di una maturazione, di come gli incontri detti "del destino" possono cambiare la vita. È la storia di due ragazzi in particolare: Mana, un chitarrista, e Gackt, un cantante. Entrambi passionali, entrambi sognatori.
"Simile ad una fiaba è questa storia, dove una dama e un cavalier rincorrono l’amore con solerzia, pronti in nome di esso a dare tutto. Si leggeranno lacrime, amore, risate e fremiti di gelosia, d’angoscia e di paura. Saranno tormentosi i nostri canti, piene di gioia le risate, e se malinconia occuperà il cuore, ci basterà cantare una canzone."
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Gackt, Mana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Mad Tea Party -

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ATTO PRIMO, SCENA QUARTA

-

Il Nuovo Contatto del Giglio e della Rosa

 

 

Satoru Okabe, ormai universalmente conosciuto – nella sua cerchia di amici beninteso –  come Gackt Camui, abbassò la cornetta e chiuse sistematicamente gli occhi quasi si fosse trattato di un gesto in lui connaturato.

Si trattava di poco più che una melodrammatica caricatura del viso magnificamente teatrale col quale aveva impietosamente scaricato molte delle sue ex ragazze, avrebbe detto anche “molti dei suoi ex ragazzi”, non fosse stato per il fatto che con gli uomini le smorfie del suo bel volto ben di rado funzionavano.

Chiuse il telefono e perse qualche istante a rendersi pienamente conto delle implicazioni della telefonata che aveva appena ricevuto.

Tra le righe gli era in sostanza stato offerto un lavoro a Tokyo, la capitale dei sogni.

Immediatamente – cioè non appena fu in grado di elaborare tutte le prospettive delle miriadi di possibilità che gli si stavano aprendo davanti – un sorriso che andava dall’uno all’altro orecchio stirò all’inverosimile quelle sue labbra carnose.

Ma… e se si fosse trattato di uno scherzo? Se quel Mana non fosse stato davvero chi diceva di essere? No, non era possibile. Conosceva Takeshi, e poi gli era parso un concentrato incredibilmente pauroso di ritrosia e determinazione come nessuno dei suoi amici era.

Gli era piaciuto da matti il tono con cui aveva affermato di “non volersi fermare”.

Guardò il biglietto su cui aveva appuntato il numero di telefono che quel tipo gli aveva lasciato, e fu quasi tentato di richiamarlo subito giusto per vedere se avrebbe risposto davvero lui. Chissà perché, sospettava che gli avrebbe fatto prendere un accidente se l’avesse richiamato sul serio, quindi desistette quasi immediatamente.

Cominciavano a dolergli le mandibole, ma proprio non riusciva a togliersi quel sorriso disastrosamente ebete dalla bocca quindi decise di tenerselo, tanto male non gli faceva.

Si sedette di schianto sul letto, prima a gambe incrociate, poi ne allungò una e se la portò dritta sopra la testa giusto per fare un po’ di stretching (pure quello poi male non faceva, non a lui almeno). Tra le altre cose suo padre gestiva una palestra di arti marziali, quindi lui era particolarmente ferrato in almeno una decina di stili di combattimento differenti, mosse mortali comprese, ovviamente. Sì, era elastico, sciolto, forte come un cavallo selvaggio, lui! Non aveva proprio niente da invidiare a nessuno, a nessuno!

Rise ad alta voce come un bambino. Cos’è, non aveva forse il diritto di sentirsi lusingato per quella inaspettata proposta che aveva ricevuto?

Se poi l’avrebbe accettata, be’ quello era tutto un altro paio di maniche. Tanto per iniziare aveva già la sua band e tanto per finire non sapeva nulla né di quel Mana né del suo gruppo e non aveva tempo né voglia di lasciare il suo lavoro sicuro a Kyoto e muoversi verso un’incognita che non sapeva neppure se avrebbe mai funzionato.

Ah, decise che si sarebbe preso tutto il tempo che gli era necessario per riflettere, fossero anche state ere geologiche intere. Per prima cosa avrebbe ascoltato il loro album, anche se quell’idiota patentato di Takeshi s’era dimenticato di lasciargliene una copia. L’unica era telefonargli e chiedergli il titolo, visto che lui proprio non se lo ricordava.

Sospirò spazientito, sollevò di nuovo la cornetta del telefono e compose il numero dell’amico sperando di non trovarlo sbronzo come al solito.

Il telefono squillò a vuoto per quella che gli parve una mezz’ora buona, e infine il deficiente si palesò per quel che era rispondendo giusto un secondo prima che cadesse la chiamata.

« Takeshi, sono Satoru! »

« Ah, ciao Sacchan, scusa ma stavo dormendo. »

« Non ci ero minimamente arrivato, guarda. »

Takeshi aveva la stessa gioviale voce di sempre mentre gli parlava, e a Gackt quasi sembrò di vedere la pagliaccesca faccia di quel sorriso ambulante di ragazzo.

« Be’, che cosa c’è? » gli stava domandando Taka-chan – come ogni tanto si divertiva a chiamarlo lui.

« Mi ha chiamato quel tuo amico, Mana… »

« Ah sì? Me l’aveva detto, ma timido com’è non ci credevo che l’avrebbe fatto sul serio! Che ti ha detto? »

Satoru alzò un sopracciglio, omettendo volontariamente che appunto per quello ancora non aveva finito di domandarsi come cavolo facesse quel Manabu ad essere amico di uno scapestrato di tale ignominiosa fatta.

« Niente di che, si è presentato e mi ha parlato della band, ed è per questo che ti ho telefonato. Mi servirebbe il nome del loro album, gli ho promesso che l’avrei ascoltato! »

« Quanto sei tenero, addirittura gliel’hai promesso? »

« Poche storie e dammi il titolo! »

Takeshi rise maldestramente per cinque minuti pieni, sopraffatto dall’ilarità per la stranezza di tutta quella situazione: da una parte il suo sregolatissimo, adoratissimo, esaltatissimo, pazzo amicone Sacchan – ops no, Gackt Camui nato in Norvegia nel 1500 – dall’altra il timidissimo, bellissimo, assurdissimo, genialissimo altro suo amico Mana-chan. Se il suo intuito vedeva giusto, ne sarebbero uscite delle belle da quella coppia di pazzi scatenati.

« Comunque dimmi: che farai, accetti vero? »

Era quasi contento per entrambi, doveva dirlo.

« Veramente… penso di no. Mi dispiace, ma per ora non me la sento proprio di mollare tutto quello che ho qui. E poi, in fin dei conti a Tokyo cosa mi si offre? Questa band - »

« I Malice Mizer », lo corresse Takeshi.

« Va bene, questi Malice Mizer non sono neppure famosi, e che garanzie di successo avrebbero se anche io ne diventassi il vocalist? »

Quelle parole bastarono e avanzarono a far tacere pesantemente Takeshi, tanto che Satoru, sopraffatto dalla ridondanza che quel silenzio aveva nel suo cuore, quasi si sentì in colpa per averlo ferito, il bastardello!

« Comunque l’album si chiama “Memoire”, » soggiunse finalmente dopo un po’ il ragazzo, con lo stesso tono mogio e ferito di un bambino a cui si rifiuta un capriccio « e lasciami dire che per me sbagli di grosso a pensarla così. Dov’è finito il Satoru che si butta a cuor leggero in ogni sfida che gli si presenta davanti? »

Fu in quell’istante che anche Gackt, per la prima volta, se lo domandò.

Era da un po’, in realtà, che aveva perso quella carica esplosiva che fino a quel momento l’aveva sempre portato in avanti, verso nuove scoperte, verso ogni tipo di competizione, sia a livello personale sia in qualunque altro frangente. Ora non gli andava di rischiare, almeno per un po’ non gli sarebbe andato più.

« Intanto ho detto a Mana che li avrei ascoltati, questo non vedo perché non farlo, per il resto si vedrà, va bene? »

« Come preferisci Sacchan, ma sappi una cosa: io sono seriamente convinto del fatto che tu e Mana-chan potreste veramente arrivare in alto se collaboraste. Sono convintissimo delle tue possibilità come cantante, e sono convintissimo anche delle sue capacità. Dagli almeno una chance, va bene? Promettilo a me questo. »

Gackt sorrise: alla fine, quel ragazzo aveva sempre avuto il potere di suscitargli una indescrivibile tenerezza.

« Sì, stai tranquillo Taka-chan, non lo eliminerò senza nemmeno averlo conosciuto un po’. »         

« Bravo honey, così si fa, e non ti azzardare mai più a chiamarmi con quel nomignolo o la prossima volta che ci vediamo ti infilo una bomba a mano sai perfettamente dove e mi diverto ad osservarti mentre deflagri. »

« Sono questi i momenti in cui mi viene in mente che dovrei adorarti, in ogni caso mi farò sentire. Ciao e grazie mille! »

Riuscì a troncare la conversazione solo dopo altri tre minuti di saluti e raccomandazioni, le due ore successive le impiegò invece per vestirsi ed infilarsi in un negozio di dischi allo scopo di procurarsi quel famoso album “Memoire”.

Strano ma vero, lo trovò sul serio. Non ci avrebbe mai sperato.

Ascoltò il cd mentre era in macchina e andava a prendere You e gli altri, e decise che sì, erano interessanti.

Lui era un pianista più che eccellente e di musica se ne intendeva abbastanza; aveva ascoltato innumerevoli brani e si era fatto le ossa su numerosi generi differenti, senza aggiungere che sapeva suonare praticamente ogni strumento musicale esistente – ebbene sì, aveva cominciato la sua carriera musicale suonando la tromba.

Eppure… come dire, erano di una particolarità che travalicava addirittura la stranezza. In quelle canzoni sentì, – dietro al rock, dietro al basso, dentro quell’organismo portante e straordinariamente potente che erano le due chitarre – ebbene lui poté respirarvi l’essenza di una struttura profondamente classica, qualcosa che aveva dell’incredibile e che raramente se non addirittura mai aveva sentito altrove. C’era un eco barocco in ognuna di quelle note, in ogni singolo pizzico delle dita sulle corde della chitarra.

Parcheggiò la sua Ferrari di fronte alla palazzina in cui viveva You e mentre aspettava continuò ad ascoltare e riascoltare, con gli occhi scuri larghi per quell’emozione che l’aveva preso tutto a un tratto. Sì, gli piacevano, decisamente gli piacevano.

Si chiese chi ci fosse dietro a tutta quella costruzione di melodie, per la prima volta provò un minimo desiderio di conoscere davvero quelle persone, chiunque esse fossero.

Mentre aspettava prese in mano la custodia dell’album e sfogliò il libretto, cercando di far collaborare la sua memoria riguardo a quale fosse Mana.

Uh, eccolo là. Se non ricordava male era quello con la parrucca assurda e il cappellone altrettanto assurdo coi gigli sopra. Anche gli altri, in ogni caso, a guardarli dalle foto non sembravano male.

In quel momento You gli bussò al finestrino, e Gackt gli aprì lo sportello per farlo entrare.

« Ciao You! »

« Ciao Satoru! Come va oggi? »

« Bene perché? »

« Perché mi sembri straordinariamente assorto. Ti sei sbronzato pure ieri sera ben sapendo che oggi abbiamo le prove? »

Gackt guardò l’altro ragazzo sbattendo le palpebre, per una volta genuinamente sorpreso dalle sue illazioni.

« No no, guarda che non ho bevuto affatto. »

You gli sorrise amabilmente mostrando grossi denti da cavallo.

« E allora illuminami, che ti prende? »

« Stavo soltanto ascoltando questi », rispose Gackt passandogli il libretto.

You lo prese con la punta delle dita, non si poteva mai sapere in cosa ci si sarebbe imbattuti con Satoru, e lo esaminò con somma attenzione.

« Malice Mizer? E chi sono? »

« Una band indie di Tokyo, un mio amico mi ha presentato il chitarrista, questo qui. »

Si sporse e gli indicò con un dito il “ragazzo coi gigli sopra” che poi era Mana.

« Non sono male per niente », aggiunse poi.

You sgranò gli occhi mentre scrutava con immane perplessità quel piccolo quadrato di carta stampata.

« Ma com’è conciato? »

Gackt mise in moto, guardando la strada ancora con gli occhi incredibilmente lontani e pensosi, elemento che contribuì a mettere in allarme You poiché significava invariabilmente che al suo  migliore amico stava passando qualcosa per la testa.

« Ah non chiedermelo, me lo sto domandando da due ore e ancora non ci sono arrivato. »

Di nuovo You lo guardò. Era serio, sembrava incredibilmente concentrato ma ogni tanto un sorrisetto beffardo gli appariva sul viso. Non gli pareva per nulla in vena di scherzare quel giorno. Da parte sua, il lettore dell’auto stava continuando a mandare a ripetizione quelle canzoni, e Gackt provò ad immaginare se stesso come vocalist di quel gruppo senza tuttavia riuscirci.

« Sono loro questi? » chiese You.

Lui annuì solo per cambiare discorso, dopo qualche miserevole istante.

« Sai You, » iniziò « ho parlato con Mana al telefono, prima. Sembra un tipo strano, ma non mi ha fatto una cattiva impressione. Takeshi ha garantito per lui, in sostanza. »

You non gli mise fretta, attese che continuasse; lo conosceva abbastanza bene per sapere che quando assumeva quell’espressione voleva parlare.

« Mana non me l’ha chiesto direttamente, ma tra le righe m’ha fatto capire che… insomma, che gli interessa avermi come cantante. Quello vecchio se n’è andato, sai, così per ora il gruppo è in pausa. »

Gackt, di fronte all’inaspettato quanto sospetto silenzio ottenuto come risposta alzò gli occhi verso l’amico, che dopo quelle parole lo scrutava con gli occhi larghi. Comprese immediatamente quale fosse l’origine dei dubbi di quel pezzo di pane di ragazzo che rispondeva al nome di You, e gli sorrise apertamente dandogli una sonora pacca sulla spalla.

« Tranquillo, non accetterò. Non ci penso proprio a lasciare i Cain’s Feel! »

Già, neanche per idea ci pensava…

Neanche per idea.

 

Tornò a casa che era notte fonda, erano le tre del mattino minuto più minuto meno, e non gli interessava. Sentiva ancora gli echi insopprimibili di quella musica rimbalzargli dentro le orecchie, anche dopo ore al casinò, ed era una sensazione così viva ed imperante che sentiva di non poter aspettare un altro giorno. Per cui lo fece, e non gliene fregò nulla di che ora fosse.

Compose il numero, il telefono squillò a vuoto, e lui tamburellava con le dita l’apparecchio mentre il sudore gli velava la fronte senza che potesse far nulla per contrastare quell’ansia rabbiosa che lo stava spingendo a compiere quell’azione così dannatamente insensata nel cuore della notte.

Non ci poteva fare proprio niente, niente, niente.

Sentiva solo che doveva, altrimenti non avrebbe trovato pace.

C’era una cosa che assolutamente era necessario che gli domandasse, una cosa che l’aveva roso scavando nel profondo fin quando non s’era reso conto con una punta di dramma che sì, era stato colpito, centrato alla grande.

Inaspettatamente la cornetta venne sollevata al secondo squillo.

« Pronto? »

Fu una voce maschile, piuttosto bassa ma morbida e appena venata d’allarme, vista l’ora presumibilmente, a rispondergli. Era la voce che lui voleva sentire.

« Mana », lo chiamò impaziente, quasi con affanno, poi cedette e la voce gli si ruppe e rimase in silenzio con totale incertezza, senza più sapere neanche cosa aveva fatto, perché l’avesse fatto e che cosa volesse ottenere. Semplicemente respirò, attendendo di calmarsi un poco, e con quella stessa pazienza Mana aspettò e non gli chiese nulla, e lui gliene fu immensamente grato. C’era una cosa, una cosa che gli doveva domandare, una cosa per scoprire la quale non aveva avuto modo di indugiare.

« Tu che cosa vuoi creare? »

Fu rapido come un fulmine, un puro flash della sua mente, l’immagine celata nel silenzio dell’altro capo del filo.

Lui la scorse nitidamente, per un singolo attimo.

Nel bianco candido dei suoi pensieri, c’era il sorriso angelico di quel ragazzo.

Come se fosse stato lì con lui, Mana gli stava sorridendo.

 

 

- continua -


N.d.A. Ebbene? Che ve ne pare di questo capitolo? A me non dispiace, devo dirlo, straordinariamente questa fic per ora non mi ha deluso. Ma siamo ancora all’inizio, comunque, e credo proprio che verrà addirittura più lunga delle mie previsioni iniziali (se non decido di accorciarla andando avanti). Ringrazio davvero tutti coloro che hanno commentato, in particolare Kelly Kee, il cui commento mi ha fatto davvero piacere. Sono felicissima che Mana – il mio personaggio intendo – piaccia anche a chi non lo conosce e non conosce le sue abitudini, penso che sia il miglior complimento che mi si possa fare. Grazie mille!(Ora sono curiosa di sapere cosa ne pensate del mio Gackt :P Ha una grossa nota di merito sto ragazzo: a descriverlo mi fa morire dalle risate!) Ultime due cosette: colonna sonora di questo capitolo assolutamente No Pains No Gains dall’album Voyage Sans Retour. E per finire, le ultime righe vogliono omaggiare una delle cose di Mana che si ha la possibilità di vedere solo dal vivo: il suo sorriso, che mai si vede in foto, che si vede sempre dal vivo e che è davvero qualcosa di splendido, dolce tanto da risultare commovente (chiedetelo a me, che ogni volta che sorrideva rischiavo di piangere e forse ho pianto sul serio per quant’era tenero… e lo so che è difficile credermi, io stessa prima di vederlo non avrei mai detto che potesse raggiungere tali livelli di amorevolezza in un sorriso… insomma, ha un sorriso che scioglie i sassi, prendetemi in parola!)

@Sesshoudany: Uh, sono felice che questa storia ti piaccia tanto, e come al solito mi fai arrossire >///< ß me più timida di quanto non sembri…

@Narciso: Giusta osservazione quella che hai fatto tu! J E’ una cosa su cui ho puntato molto, la diversità di descrizione nei capitoli di Gackt e in quelli di Mana, e sono felice che la cosa si noti. Il fatto è che Mana e Gackt sono diversi, e ho deciso che se potevo rendere la loro diversità in questo modo, tanto valeva provarci!

 

Vitani

 

   
 
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