Le note a fine capitolo. Buona lettura!
Epilogo
Riccardo
osservava di soppiatto Amalia. Era da quando era tornata in classe che
gli
appariva un po’ strana, soprattutto adesso che tornavano a
casa da scuola
insieme, come ogni giorno, e non gli stava ancora dando
dell’idiota.
-
Amalia...
-
Se è per Rebecca sì, ti aiuterò.
Annuì
e guardò il cielo. Era vero, doveva pensare alla sua cotta,
alla bellissima
Rebecca, non solo alla sua amica. Ma in quel momento c’era
lei, accanto a lui,
no?
-
Non ne avevo dubbi. Il problema è...
-
...che sei un idiota?
-
No, però se mi chiami idiota vuol dire che stai meglio.
Le
sorrise, e lei sbuffò. Lo prese per il braccio e
continuarono a camminare per
un po’ in silenzio. Aveva già fatto
così, qualche volta, e ogni volta lui
sapeva che aveva qualche significato, ma non sapeva quale. Se lei non
glielo
diceva, lui come faceva a capirlo? Ma forse avrebbe dovut... Oh.
-
Forse hai ragione.
-
A darti dell’idiota?
-
No, del superficiale. Ero così sicuro che Rebecca non mi
avrebbe rifiutato,
così sicuro di me che non ho pensato nemmeno per un secondo
che potesse
essere... così. Ha fatto male, un po’, sai?
Lei
lo guardò con gli occhi sgranati.
-
Dimmi chi sei tu e cosa hai fatto a Riccardo.
-
Sono un alieno e l’ho mangiato, preso il suo posto e le sue
sembianze per poter
mangiare anche te.
-
Ok, sei il solito idiota.
Lui
rise, la prese per mano e cominciò a correre, strattonandola
e ignorando le sue
lamentele. Non aveva voglia di pensare. Non ora.
Ma
dopo qualche secondo dovette fermarsi, perché la ragazza non
reggeva la sua
velocità.
-
Riccardo... Lo so, che fa male. Lo capisco. Però... almeno
ti aiuta a crescere,
no?
Lui
annuì, anche se avrebbe preferito non ritornare sul
discorso, ma lei era
Amalia, non avrebbe lasciato perdere, perché si trattava di
lui. Questo lo
sapeva.
-
Grazie di essermi amica, Amalia.
La
abbracciò, le sorrise e le fece la linguaccia.
-
Già, sennò chi ti ricorderebbe che sei un idiota
ogni giorno?
Risero
insieme, come amici. Era fortunato, ad averla con sé.
Fortunato perché si
sentiva meglio, e adesso aveva capito di non dover dare sempre tutto
per
scontato. Forse nemmeno lei...
Si
ripromise che, il giorno dopo, avrebbe cominciato a conoscere meglio
Rebecca.
Rebecca
guardò la porta di casa davanti a sé, quasi senza
vederla. Non ricordava bene
come era riuscita ad arrivarci, fin lì, né che
pensieri avesse fatto... però
sapeva a cosa stava pensando adesso.
Al
suo principe.
Fece
una smorfia. Se lo poteva permettere, o forse no, però non
l’aveva vista
nessuno, tanto. Il suo cane la raggiunse, ebbe appena il tempo di farle
le
feste che lei lo prese in braccio e si buttò sul letto,
stringendolo a sé.
Ci
stava male, ci stava maledettamente male. Il suo principe
l’aveva rifiutata per
la seconda volta, ed era colpa sua, perché aveva voluto
sapere. Anzi, essere
sicura, perché a sapere sapeva. E lui non si era risparmiato.
Il
suo principe aveva saputo essere spietato, con lei, forse era per il
suo
bene... forse per farle affrontare la realtà... ma un
principe l’avrebbe
consolata.
Ma
in fondo, lei cosa cercava nel principe? Lei cercava... lei...
Qualcuno
che l’amasse.
Lasciò
andare il cagnolino, che abbaiò e scondinzolò
verso di lei. Sorrise e sospirò.
Poi si ricompose.
Il
principe non esisteva. O almeno, questo aveva voluto comunicargli
Teodoro.
Quali erano i suoi difetti...?
Si
scoprì a non conoscerli, oltre alla sua poca
socialità non sapeva che altri
difetti attribuirgli, e lei era perfettamente conscia che tutti hanno
difetti.
Il
principe non esisteva.
Scosse
la testa e chiuse gli occhi.
Voleva
ancora sognare e fantasticare sul principe, prima che quella bella
favola
volasse via forse per sempre, il giorno successivo.
Ma,
lo sapeva, questo non voleva dire che lui avrebbe smesso di piacerle.
Teodoro
sbadigliò, di nuovo. Il fratellino teneva forte la sua mano
e gli stava
raccontando della sua giornata a scuola. Non riusciva a seguirlo per
bene, però
cercava di fare attenzione perché sapeva quanto fosse
importante, per lui.
E,
soprattutto, così non avrebbe pensato alla povera Ann...
Marta.
Sospirò.
In realtà non stava pensando né ad Anna,
né a Marta, né a Riccardo, né a
Rebecca.
Stava
pensando ad Amalia, e purtroppo gli stava succedendo fin troppo spesso,
di
recente.
Sentì
la manina del bambino stringere appena, probabilmente rivoleva la sua
attenzione, ma il secondo dopo capì che il fratellino aveva
smesso di parlare
già da un po’, accortosi che il maggiore non lo
stava ascoltando. E che erano
arrivati a casa.
-
Scusa, non sono di molta compagnia, oggi.
-
Però mi aiuti lo stesso con i compiti dopo, vero?
-
Certo.
Gli
sorrise, aprì la porta e si fiondò in camera.
Lasciò lo zaino sul letto e
afferrò il telefono.
C’era
un pensiero che gli girava in testa già da un po’,
ma che ancora non aveva
trovato risposta, e forse non l’avrebbe trovata, forse
sì, fatto sta che voleva
parlarne con lei, perchè
sapeva che
avrebbe capito. Lei lo capiva spesso.
Quando
sentì la sua voce rispondere, non le diede nemmeno il tempo
di capire chi
fosse, preso dalla foga.
-
Ho deciso, lo so che sono un inutile ragazzino senza spina dorsale,
quindi devo
farlo... cioè, ho deciso!
-
Aspett...
-
Ed è anche vero che probabilmente non ce la farò,
ma non è che mi aiuteresti?
Sì, ti sto chiedendo aiuto, da amica.
-
Ehi...
-
Sì, lo so che mi piaci e che tu mi vedi solo come amico, ma
un aiut...
-
TEODORO!
Il
ragazzo si zittì immediatamente, non si era del tutto
accorto della sua stessa
foga.
-
Grazie. Adesso prendi un bel respiro
e ricomincia da capo. In cosa dovrei aiutarti?
-
Ecco... vorre aprirmi, cominciare a farmi degli amici. Così,
forse, potrei
anche farmi passare la cotta per te...
Chiuse
gli occhi, come se quella confessione gli pesasse.
Anzi,
leviamo il come.
-
Va bene.
-
Amalia, grazie!
-
Ma dovrai fare tu il primo passo, lo sai, vero?
-
Io...
-
Ti aiuterò, e ne hai già fatto mezzo, di passo.
-
Grazie. Mi sforzerò.
Chiuse
la conversazione così, senza voler dire altro,
perché lo sapeva, che non gli
sarebbe bastato, che probabilmente avrebbe voluto sentire di
più la sua voce.
Sospirò.
Aveva fatto un passo, o mezzo come diceva lei, e almeno avrebbe pensato
ad
altro, non solo a lei.
Ma
lo sapevano entrambi, che era complicato cambiare i propri sentimenti.
Amalia
osservò la cornetta del telefono per qualche secondo prima
di scuotere la testa
e ridacchiare. Era contenta per il suo amico, finalmente decideva di
darsi una
svegliata! Era un ragazzo così dolce, seppur avesse anche
lui i suoi difetti. E
forse avrebbe fatto meglio a prendere una bella cotta per lui, invece
che per
quell’idiota di Riccardo.
Sbuffò.
Già, peccato che, come dicono, al
cuor
non si comanda. E lei ne era la prova, sennò non
avrebbe preso quella
cotta!
Sbuffò
di nuovo. Era inutile mentire anche con se stessa. Lo sapeva anche lei,
che in
realtà non c’erano motivi per i quali uno si
innammora, o meglio, lo senti e
basta. O, meglio ancora, se si era presa una cotta, non poteva
cambiarla
facilmente, né cambiare lui.
Perché,
forse, sarebbero venuti meno i motivi della cotta.
No,
non era nemmeno questo. Era piuttosto che, in amore, bisogna accettare
l’altro,
non sperare che cambi.
Sospirò,
un po’ malinconica. Erano davvero in un pessimo quadrato,
sperava di uscirne
presto, in un modo o nell’altro.
Ed
era contenta che Riccardo stava cambiando; però ormai aveva
capito che lo stava
accettando: le piaceva anche così, idiota e insensibile.
Il
suo migliore amico.
Eh
già, era proprio vero.
Al
cuor non si comanda.
Ecco qui. Spero vi sia piaciuto questo breve racconto. Mi piace perché non finisce, potete immaginare qualsiasi storia, qualsiasi coppia, anche un manage a trois, o che qualcuno si riscopri bisex o omosessuale, o anche che rimangano tutti amici e si trovino altri partner nella vita futura, o altro. Non l'ho voluto scrivere per lasciare spazio alla vostra immaginazione (e alla mia), e perché volevo concentrarmi su altro, ritenevo più importante come loro abbiano affrontato i propri sentimenti e come, un poco, siano cresciuti. Non mi piace più come l'ho scritta, sarebbe da cambiare, ma spero che si capisca almeno quello che volevo dire.
So che sottolineerò l'ovvio, ma preferisco dirlo. XD Riccardo era il colpo di fulmine, Rebecca l'idelizzazione dell'amato, Amalia l'amore "non accettato", quello che si vorrebbe solo cancellare, e Teodoro era l'amicizia che diventa amore. Penso che a tutti sia capitata almeno una delle quattro cose, d'altronde sono le più diffuse, e ovviamente diverso è il modo in cui l'hanno affrontato, ma quello è il carattere che ho voluto dargli. I personaggi sono volutamente un po' stereotipati, per concentrarmi meglio sull'ammmore, almeno spero di essere riuscita almeno in questo. XD
Per ultimo, voglio davvero ringraziare chiunque abbia letto questa storia, e una mia amica che l'ha letta e mi ha corretto qualche errore. Se non fosse per lei, adesso stareste leggendo qualche erroraccio enorme. ^^'
E, be', adesso è ora di salutarci. Alla prossima storia!