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Autore: Solitaire    28/04/2007    5 recensioni
nemmeno noi siamo solo logica e calcolo, per il semplice fatto che si arriva a un punto dove non c’è alcuna logica né alcun calcolo e la differenza è fatta solo dalla nostra volontà
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riku, Roxas, Zexyon
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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III

 

III 

 

 

Ascolta il rumore.

Il crepitare degli incendi.

Il fragore di passi in corsa.

La cacofonia di metallo su metallo, metallo su pietra, metallo su carne.

Sopra a tutto, le urla, che annegano ogni altro suono.

Ascolta le urla.

 

Non è niente più di un’operazione di routine, tanto semplice che, insieme a Roxas, c’è solo un altro neofita, uno dei più giovani e meno bellicosi. Non sa combattere, ma sa pensare e, in caso di necessità, può elaborare piani e strategie in un istante, anche se nessuno si aspetta problemi. E’ un mondo a limitato sviluppo tecnologico e metapsichico, questo. Gli abitanti non possiedono armi in grado di costituire un pericolo.

La razza dominante è rappresentata solo dal ceppo umano più comune fra i Mondi, ma le condizioni ambientali l’hanno frammentata. Deserti, alte montagne, scarse vie di comunicazione come mari e fiumi agibili separano le popolazioni. In altri tempi, le condizioni sono state diverse e hanno permesso la dispersione della specie che si è poi trovata in ambienti dissimili, molto competitivi e isolati l’uno dall’altro. L’isolamento riproduttivo, la deriva genetica e la selezione hanno fatto evolvere un gran numero di sottospecie omogenee. E’ possibile che, in questa variabilità, siano comparsi caratteri di un certo interesse o di una qualche utilità. Non ci sono altre specie senzienti.

Anche le culture sono microcosmi senza scambi l’uno con l’altra e non hanno ancora raggiunto un grado di tecnologia che permetta loro di superare con efficacia gli ostacoli geografici. Solo sulle coste dei mari tropicali qualche città-stato ha cominciato ad ampliare i propri confini.

Le risorse naturali utili sono presenti, ma scarse.

Nell’insieme, è un mondo moderatamente interessante. Sono molti i mondi simili a questo, negli universi.

Fondamentalmente, è solo un serbatoio di Cuori.

 

Per giorni, i due nobody hanno controllato l’estrazione delle poche risorse geologiche ed elementali e hanno catturato esemplari per gli scienziati. Una volta finita quella fase, hanno dato via all’invasione e hanno fatto cadere un’area dopo l’altra.

La città che è il loro attuale obiettivo è arroccata come il nido di un’aquila sugli altopiani di montagne altissime, ma la posizione strategica e le mura di basalto che nella storia l’hanno protetta dagli assalti dei vicini non sono servite contro un nemico che ignora lo spazio.

Alcune case sono state incendiate nella confusione e fiocchi di cenere svolazzano nell’aria secca e rarefatta. Una conseguenza inevitabile al fatto che gran parte degli edifici è costruito in legno.

Gli abitanti hanno tutti occhi e capelli verde scuro e pelli color mattone, adattate a proteggerli dei violenti raggi solari dell’alta montagna. In mezzo a loro, l’aspetto di Roxas e del suo compagno afferma alieni ad alta voce. E chissà quale sarebbe stata la reazione di quella gente non abituata alla moltitudine di colori e forme dei popoli dei Mondi, se li avessero visti. Ma i due non si sono mostrati apertamente e ora non ha più importanza.

I nativi fuggono dagli heartless sciamanti e, al momento, la loro sola occupazione è urlare, piangere o morire.

Qualche individuo è riuscito a superare il trauma del vedere le ombre prendere vita e tenta di reagire, ma, anche se le armi ordinarie possono uccidere gli heartless, ce ne sono troppi perché le difese abbiano una qualche efficacia. Le creature braccano e si avventano in massa sulle prede, strappano loro quel viluppo di energia che è il Cuore e lo trasformano in un nuovo heartless, incrementando il numero degli attaccanti.

Quelli che cercano di fuggire dalla città trovano le strade chiuse dai nobody.

Roxas imbranca i fuggiaschi e li respinge fra le fauci degli heartless. Il ragazzo non si è ancora preso il disturbo di evocare i keyblade, ma il controllo che esercita sulle sue truppe personali, formate da una variante particolarmente letale di nobody di basso rango, è straordinario, soprattutto considerato che lui stesso, talvolta, non sembra molto più complesso di uno di loro.

Ma anche coloro che riescono a superare la sorveglianza di Roxas trovano le via di fuga sbarrate.

Luxord ha piazzato una rete di trappole temporali intorno alla città. Trappole dove, a distanza di pochi atomi l’una dall’altra, ci sono sacche puntiformi di tempo difforme. Coloro che ne sono catturati si trovano a essere contemporaneamente in zone dove il tempo scorre a velocità diversa, con conseguenze sconvolgenti sull’intero organismo. Oltre questa prima falange ne ha piazzata un’altra, una circonferenza battuta da onde temporali che si sollevano e frangono a ritmi alterni. Chi ne entra si ritrova sballottato al ritmo di un sistema di moviola impazzito, che rallenta e accelera senza tregua né ordine né costanza.

Nessuno è in grado di sfuggire alle maglie di quella rete.

Anche se gli abitanti di questo mondo la chiamano città, è soltanto un villaggio che conta poche migliaia di individui. Ci vuole poco perché sia pieno solo di esseri d'ombra.

Roxas materializza i keyblade e si avventa sulle strade per farne strage. Più lento e misurato, Luxord lo segue. Ora a lui resta poco altro da fare, se non abbattere qualche casuale heartless che gli si avvicina troppo e ammirare le evoluzioni di Roxas.

Ogni apatia è svanita nel ragazzo. E’ uno sfolgorio oro e nero, troppo rapido per essere visto con chiarezza, la cui velocità e agilità possono confrontarsi a quelle di Larxene.

Finora non ha manifestato un’interconnessione con il suo elemento stretta quanto quella dei suoi compagni, quella che rende così rischioso avvicinarsi ad alcuni di loro. In compenso, il legame che ha con le sue armi è la più intima che Luxord ha mai visto. Non le usa. Ne fa parte.

Guardare Roxas combattere è come guardare un delfino nel mare.

E’ uno stato di grazia, il suo.

 

Qualcosa di freddo e lieve si posa sul volto di Luxord. Adesso, fiocchi di neve si mescolano a quelli di cenere. In pochi secondi, una fitta nevicata cade sul campo di battaglia.

Un brivido percorre il nobody. Il soffio di un freddo diverso da quello causato dalla neve.

Uno spasmo fa vibrare la membrana elastica dello spaziotempo. Un’ombra attraversa il cielo e, quando passa, la luce è cambiata. Scolorita.

In quel momento, le navi vedetta in orbita lo chiamano e gli trasmettono l’analisi spettrale della corona solare, dandogli solo una conferma di quello che ha subito saputo.

Gli heartless hanno raggiunto il sole anche prima di raggiungere il Cuore del mondo.

In quei giorni, ovviamente, non hanno potuto abbatterli tutti. Qualcuno sfugge sempre. Quelli sopravvissuti hanno raggiunto altri esseri viventi e si sono moltiplicato con la velocità di un’infezione. In un mondo come questo il loro tasso riproduttivo è esponenziale.

La variazione nello spettro della corona solare è il primo indizio che gli heartless hanno cominciato ad attaccare la stella e, se la stella collassa, le sue contrazioni bloccheranno anche i sentieri delle ombre per tutto lo spazio e il tempo influenzato dai suoi campi d’esistenza. Questo vuol dire che, se non se ne vanno al più presto, saranno obbligati a lasciare il pianeta a bordo di una delle navi piene di nobody inferiori.

In quel momento, si accorge che Roxas non sta più combattendo.

Se ne resta imbambolato con il volto alzato al cielo, ammiccando appena quando i fiocchi di neve gli cadono negli occhi spalancati. I keyblade sono abbandonati lungo i fianchi.

 

“Roxas.” esclama Luxord.

 

Il ragazzo lascia andare i keyblade, che si dissolvono anche prima di toccare terra, e tende le mani con le palme aperte verso l’alto. Qualche fiocco cade sui guanti neri.

Roxas li osserva, poi si lecca una mano per assaporare la neve.

 

“Roxas, muoviti.”

 

Neppure si gira.

La cosa stupisce Luxord e non sono molte le cose in grado di stupirlo. A quanto ne sa, Roxas non ha mai disobbedito a un ordine. La prima volta poteva non averlo sentito, ma adesso è certo di essere stato volutamente ignorato.

Luxord si dirige verso da lui e lo guarda in faccia.

Di solito, il ragazzino non ha espressione. Il suo linguaggio corporale è pressoché inesistente, la mimica facciale nulla, ma, adesso, ricambia lo sguardo dell’altro uomo con attenzione e sul suo volto c’è l’ombra inconfondibile della curiosità.

 

“Che cos’è?” chiede.

 

Non è una domanda educata. E’ un ordine che esige una risposta.

 

“E’ neve. Non possiamo metterci a giocare. Dobbiamo andare.”

 

Già, però Roxas non gioca mai.

Luxord apre un portale che avrebbe permesso il ritorno nella loro dimensione e prende Roxas per un braccio. Lui fa resistenza e si libera di scatto.

La cosa comincia a essere preoccupante.

Luxord è quasi tentato di trascinarlo a casa di forza, ma contrariare il ragazzino non è proprio il comportamento più prudente da tenere, se si ha cara la salute.

 

“Sono arrivati al sole. Il sistema collasserà con noi dentro. Hai capito? Adesso andiamo.”

 

Questa volta, Roxas lo segue senza altre obiezioni. Però, mentre attraversano il portale, continua a guardarsi alle spalle.

 

Si rimaterializzano nella distesa desolata al di fuori della città.

Nel mondo buio piove una pioggia glaciale e scrosciante. E’ un peccato che quando si proviene da altri piani di realtà non sia prudente materializzarsi direttamente all’interno del castello, ma lo scarto d’errore cresce con il modulo del vettore di spostamento e, una volta qui, ben pochi hanno la forza e la voglia di aprire un’altra volta un portale solo per evitare di bagnarsi.

Roxas non fa neppure il gesto di ripararsi dalla pioggia ed è fradicio prima che lui abbia il tempo di tirargli su il cappuccio. Quando si incammina verso casa, il ragazzino lo segue docilmente.

Mentre attraversano le vie della città, le ombre si sollevano dai loro piani bidimensionali e li spiano con occhi gialli da pesce. Nessuna di esse prova ad attaccarli.

Non appena sono finalmente all’interno e all’asciutto, Luxord si accovaccia davanti all’adolescente e gli scopre la testa.

Roxas se ne sta lì, in tutto il suo inutile splendore dorato, in tutta la sua giovinezza inutile, lo sguardo a terra. Quando il giocatore gli prende il mento e lo obbliga a fissarlo, lo fa senza ribellarsi. Con i capelli chiari incollati alla testa e gli enormi occhi azzurri spalancati in una stolida passività, sembra una bambola animata da un burattinaio disinteressato.

E’ questo il suo comportamento normale, non quello mostrato sul mondo appena lasciato.

Roxas ascolta, osserva, obbedisce a tutto ciò che gli è chiesto, è diventato indipendente per ogni operazione bellica, ma, escluso questo, non prova mai apparentemente interesse per nulla. E’ come un automa. Una macchina da guerra.

Eppure, per la prima volta, ha avuto una reazione spontanea diversa dall’ammazzare qualsiasi cosa si muova davanti ai suoi occhi o starsene fermo. Per la prima volta, qualcosa ha suscitato curiosità in lui.

E’ stato sorprendente come se uno degli heartless si fosse messo a declamare una poesia, quindi Luxord vuole capire quello a cui ha assistito.

Non ha mai davvero fatto caso a Roxas. All’inizio, l’idea di un nobody che controlla due keyblade è stata sensazionale, ma, a parte questo, il ragazzo ha ben poco di interessante. Ha conosciuto sassi con maggiore personalità. In mezzo al temperamento degli altri è pressoché invisibile e la curiosità dovuta alla novità si è presto spenta. Ma, ora, Luxord guarda Roxas, non l’alimentatore di due armi micidiali, e quello che vede è sorprendente.

E’ stato davanti ai suoi occhi per settimane e non se ne è mai accorto. Adesso deve decidere.  

 

Se qualcuno gli chiedesse un parere, Luxord direbbe che non arriveranno a niente e non hanno mai avuto nessuna possibilità. Ma nessuno gli chiede nulla e lui non è come Marluxia, che fa di tutto per farsi ascoltare.

Luxord passa e vuole passare inosservato. E’ dotato di un potere devastante, immane sino al ridicolo. Una cosa così spropositata da essere virtualmente inutile, perché, se volesse usarla ad alti livelli, la sola cosa che otterrebbe sarebbe annichilire la realtà. Non un mondo, o due, o innumerevoli mondi. Proprio l’intera realtà e questo non è disposto a farlo, nemmeno per salvare sé stesso. Tanto, a quel punto, anche lui sarebbe fra i perdenti e voler distruggere con sé più nemici possibili è un concetto demenziale, se non porta nessun beneficio tangibile. Così, usa poco il suo potere e per fare ben poche cose. Pasticciare con il tempo è la sola cosa su cui non è disposto scommettere.

E’ convinto che Xemnas si sia prefissato un obiettivo troppo grandioso per essere attuabile. Bisogna sempre mirare a qualcosa di fattibile e questo non lo è.

Se lo scopo di Xemnas è dichiarato, meno comprensibili sono le sue motivazioni. Forse vuole davvero aiutare la sua gente. O si crede un dio. O usa loro e le loro capacità per un fine tutto suo. Oppure è impazzito e illuso, un altro pazzo da aggiungere al gruppo.

Tutte le ipotesi sono plausibili. L’ultima, gli sembra leggermente più plausibile delle altre.

Non è che gli interessi davvero. Potrebbe essere interessato alle motivazioni altrui solo se intendesse usarle per uno scopo pratico, ma non è questo il caso. Comunque, le cose finiranno sempre nello stesso modo.

E’ un maledetto fatalista, se ne rende conto e non gli importa nemmeno di questo.

Il problema è il perché lui gli dia retta. Ma la risposta è semplice. I popoli dei Mondi hanno un modo semplice e diretto per avere a che fare con i nobody. I Cuori hanno imposto il loro dominio in modo ferreo e, in tutti i pianeti dove sono riconosciuti, i nobody sono sterminati a vista. Non solo i membri del loro gruppo, cosa che riesce a comprendere, ma qualsiasi nobody, bellicoso o pacifico che sia. A chiunque non è un Cuore non è concesso il diritto di esistere e Luxord vuole esistere. Per quanto poco propenso alla violenza, non è disposto a farsi schiacciare e non gli frega proprio niente della convinzione degli abitanti dei Mondi. Se per salvarsi ha dovuto trasformarsi in un devastatore, che sia.

Non durerà ancora a lungo, ma da solo sarebbe già morto, così è meglio essere qui.

Anche se non ha mai creduto di riavere il Cuore, il suo premio è ogni ora di vita in più che riesce a strappare al nulla.

Ma qualunque sia la ragione, qualunque siano le motivazioni, qualunque siano gli scopi, le cose sono alla fine. Sono avviati a velocità incrementante verso un collo di bottiglia probabilistico. Al di là di quel certo punto, le possibilità della loro sopravvivenza in massa sono così esigue da non essere verosimili.

Non può salvarli. Lo farebbe, se potesse. Non è pazzo, non odia nessuno dei suoi compagni e se deve mettere sul piatto della bilancia la sopravvivenza dei suoi simili o quella degli altri esseri, non ci pensa un istante. Solo, non può.

Ha cercato ogni possibile deviazione dalla strada che hanno intrapreso, ma non ce ne sono più. Sono su un’imbarcazione che si avvicina alle cascate, ma ormai sono presi dalla corrente e non possono evitarle.

Inaspettata, adesso vede una possibilità. Far sopravvivere qualcuno di loro. Qualcuno che non sarà lui.

C’è una linea molto chiara nel suo futuro. E’ buio oltre quella linea. E’ lì che finisce il suo tempo. E’ lì che lui finisce.

Ha combinato e ricombinato mentalmente ogni possibile mossa. Lo ha fatto per anni, prima di rassegnarsi al fatto che non ci sono vie d’uscita. Seguendo determinate strade finirà prima, seguendone altre arriverà sino a quel punto, ma non oltre, mai oltre. Ha sempre pensato che non gli importa nulla di cosa viene dopo, ma ora si accorge che forse può piantare un seme oltre la barriera del suo futuro.

Segue la scia delle possibili rotte di Roxas nel mare del tempo. Sono tutte rotte per la tempesta. Molte di esse, la maggior parte in realtà, si perdono fra i flutti. Eppure, ce ne sono altre che attraversano l’uragano e portano poi di nuovo nella bonaccia.

Con una probabilità sufficiente.

 

Luxord sospira.

Potrebbe semplicemente infischiarsene e continuare la sua esistenza fino all’inevitabile conclusione. Per lui non cambierà nulla, in nessun caso. Ma allora, se non fa differenza e può scegliere, preferisce che qualcuno e qualcosa della sua gente superi la catastrofe. E obbligare il tempo a imboccare una strada possibile, ma così difficile che, nel flusso spontaneo degli eventi, resterebbe quasi certamente solo un’ipotesi teorica.

 

Prende il ragazzo per mano e, anche prima di andare a fare il suo rapporto, si dirige verso un’area del castello che si è sempre guardato bene dal frequentare.

 

Si chiede quanti degli altri saranno compiaciuti di quella prima traccia di personalità in Roxas. Alcuni sì, ne è certo, ma non tutti.

Ci sono già abbastanza problemi, abbastanza ribelli. Non è un caso che i nobody nascano solo dagli spiriti più forti. Ma gli spiriti più forti sono anche quelli meno disposti a tollerare ordini e volontà superiore alla propria e tutti loro non sono altro che una massa di individualisti insofferenti.

Roxas è prezioso e così com’è non dà problemi. Se fosse diverso, potrebbe essere addirittura il peggiore di tutti.

Ma, tanto, era solo questione di tempo.  

 

Non utilizza i meccanismi dimensionali artificiali disseminati un po’ dovunque e gli ci vogliono parecchi minuti di cammino per raggiungere l’ala del palazzo dove vive e, di solito, lavora Zexion, ma, una volta arrivati, bastano pochi passi prima che un’onda di gelo stremante passi sulla sua mente.

Le ombre cominciano a muoversi e si muovono in modo non concorde a ciò che le proietta.

Qualcosa si è messo in agguato fra i picchi dei suoi pensieri.

Si ferma e aspetta. Tanto non sa come proseguire in quella specie di immane e labirintica biblioteca che è il regno del telepate.

E’ come avere una belva invisibile che gira intorno, intenta a scrutare ogni movimento, in attesa di un passo falso. Qualcosa che si sa esserci, ma che non si può vedere né sentire.

Solo che questa belva fa in modo di far sapere che è qui.

Luxord non si è mai dato all’attività così in voga fra i membri più giovani del gruppo, quella di sottovalutare e disprezzare i sei fondatori. Che lo facciano sul serio, per invidia, per quella pulsione tanto umana di voler denigrare i propri superiori, per passare il tempo, poco importa. Lui non lo fa e non l’ha mai fatto. I primi sei possono essere molte cose, ma soprattutto sono individui che sono stati capaci di superare, da soli, una condizione sconvolgente e sconosciuta. Si sono trovati in un altro mondo senza sapere cosa era successo loro e qualunque essere completo sembrava spinto a distruggerli per istinto. Eppure, sono sopravvissuti nove anni. Hanno fatto sopravvivere tutti loro molto più a lungo di quanto non avrebbero fatto con le loro sole forze. Ed è una coincidenza ben strana quella per cui, dopo di loro, solo un pugno di persone su svariati miliardi di esseri distrutti dagli heartless ha originato un alto nobody, mentre i primi sei hanno tutti mantenuto forma e raziocinio.

Lui li rispetta e li teme, di sicuro non li sottovaluta. Non sottovaluta colui che è venuto a cercare.

E’ un gioco pericoloso, questo. Manipolare il manipolatore.

Sa che se solo lascerà fluire un pensiero sbagliato, un’intenzione sbagliata, Zexion lo attaccherà con una violenza e una crudeltà tutte sue che nessun altro è in grado di eguagliare.

Non si può scherzare con leggerezza con quest’uomo. Odia essere disturbato. Odia essere destato dai suoi sogni a occhi aperti e uno Zexion irritato è capace di essere molto convincente e molto fantasioso sul modo con cui comunicare la sua irritazione. Non gli farebbe davvero del male, naturalmente. Alla fine, ne uscirebbe illeso. Il problema sarebbe arrivare a quel momento.

Potrebbe fargli passare le prossime ore facendogli provare la sensazione di essere scuoiato vivo e strappato di tutti i muscoli, strato per strato, o qualcosa di altrettanto esaltante. Potrebbe farlo anche solo perché ha osato avvicinarlo senza chiedere l'incontro, né essere stato convocato.

E’ che Zexion ha bisogno di un ampio spazio personale. Con i suoi sensi acutissimi e le capacità telepatiche, l’improvvisa e inaspettata apparizione di un altro individuo nella fascia più ristretta del suo campo percettivo deve essere come una frustata data con un pezzo di filo spinato. Ma fra esseri per cui non esistono barriere e porte chiuse, è facile dimenticare il concetto di riservatezza e alcuni dei membri del loro gruppo sembrano farsi un punto d’onore nel non rispettare neppure i più elementari principi di discrezione.

Questo lo rende difensivo all’inverosimile. E’ un meccanismo di autodifesa, ma, poiché lo scienziato dà sempre la risposta più efficace al problema posto, sfocia spesso in uno di aggressione preventiva.

Per questo Luxord non ha preso scorciatoie dimensionali. Quando si tratta di Zexion, evitare di teletrasportarsi è un modo saggio per presentarsi. Se lo si avvicina camminando, gli si dà l’opportunità di percepire in anticipo chi arriva.

 

La belva sta pizzicando i suoi centri neurali, evocando lo spettro di un terrore nauseante. Le ombre lo hanno circondato e offuscano la luce.

 

Non è proprio un attacco, ma neanche precisamente un caldo benvenuto. 

La presenza, le ombre… tutto serve a creare quell’aura di paura che altro non è se non un’ulteriore arma nell’arsenale dell’illusionista.

Almeno non ha preso di mira il ragazzino e Roxas è tranquillo come sempre. Buona cosa. Luxord avrebbe potuto trovarsi fra le mani un custode di keyblade in preda al panico o intenzionato ad aggredirlo.

No. Non un attacco. E’ solo un avvertimento.

Luxord non si allontana.

 

Le ombre defluiscono in cima ad una scalinata e si coagulano nella figura di un uomo seduto sul primo gradino. Probabilmente, è stato davanti a lui dal momento in cui Luxord ha messo piede nel suo dominio, ma anche l’invisibilità è un’illusione.

 

Con alcuni degli anziani, Luxord userebbe la massima deferenza per farsi ascoltare, ma c’è un solo modo realmente significativo per mostrare a Zexion quanto sia importante. 

L’arma estrema del manipolatore, quella da usare in caso ultimo. La verità.

Abbassa completamente le barriere mentali e dà il consenziente invito al telepate di violarlo.

Spera che la belva sia solo curiosa e non affamata.

 

 

* * * * * * *

 

 

Va bene, adesso ragioniamo.

Perché Roxas è qui. Come Roxas è qui, soprattutto.

Roxas è svanito da oltre dodici anni. Molto più che morto.

Cancellato, annullato, obliterato. Revocato dall’esistenza è, forse, la definizione più corretta.

Riunito alla forma da cui ha avuto origine, la sua individualità si è dispersa in quella di Sora come un bicchiere d’acqua rovesciato in mare.

Allora com’è che, improvvisamente, è tornato dal nulla, vivo, vegeto e di pessimo umore?

Improvvisamente?

E’ stato davvero improvvisamente?

 

Sora. Sora potrebbe fermare Roxas.

 

Questo conduce a una domanda. Dove è finito Sora?

Perché le possibilità sono svariate e qualcuna persino rassicurante.

Può essere un heartless ed essere in giro a sbranare ignari passanti. Può avere mantenuto la sua personalità come ha già fatto in passato ed essere qui da qualche parte. Può non essere da nessuna parte, così come Roxas non è stato da nessuna parte fino a poco tempo prima. Le loro personalità possono essersi semplicemente invertite senza frammentazione fisica.

 

“Dov’è Sora?”

 

Ancora una volta, la sua voce sembra riportare Roxas a forza sulla terra da qualche luogo lontanissimo in cui il giovane sembra del tutto felice di stare.

 

“Roxas, dimmi dov’è Sora.”

“Non esiste Sora. Sora è morto.”

“Morto?”

 

Roxas lo osserva con l’espressione speculativa di un predatore annoiato.

 

“Mi sono strappato il Cuore e l’ho distrutto.”

“Non puoi…”

 

Ma lo aveva già fatto quando era Sora. E’ possibile che lo abbia rifatto. E’ possibile anche che stia mentendo.

Forse ha mentito.

Possibile?

Possibile, certo. Improbabile, però.

 

“Come hai fatto a tornare?”

“Ho consumato Sora dall’interno. Me lo sono mangiato, se preferisci. Io sono mente e vita. Sora era soltanto quello che avanzava e me lo sono mangiato.”

 

Possibile?

Possibile.

 

In fin dei conti, tecnicamente, il corpo è sempre stato quello di Roxas. Il Sora che ha recuperato forma e mente razionale dopo il breve periodo passato come heartless era solo un simulacro forgiato con l’Oscurità. Il suo corpo originario lo ha riavuto quando si è riunito a Roxas.

Almeno crede. Non è che abbia mai capito davvero la meccanica per cui da un essere completo si originano un heartless e un nobody.

Non sa cosa avviene in concreto durante la scissione e neppure durante la ricombinazione. Non ha assistito con i suoi occhi all’atto finale di quella di Sora. Ha visto Roxas introdotto nella sala che conteneva il corpo dormiente di Sora e da quella sala ne ha poi visto uscire soltanto quest’ultimo.

Non sa cosa è successo. Se si sono visti luci ed effetti speciali. Se i due corpi si sono uniti in coniugazione. Se ci sono state ancora urla, ribellione e furia, o solo il quieto e silenzioso svanire di quella che, fino a un istante prima, era stata una creatura viva e senziente.

Sa solo che ha preferito non ripensare più a tutta quella nauseante e grottesca faccenda.

Però, se l’involucro fisico è quello del nobody, è possibile che l’individualità Roxas abbia con esso una relazione ben più stretta di quanto non ne abbia Sora e che, quindi, Sora sia stato rigettato come un parassita o un elemento estraneo.

 

Possibile?

Possibile sì.

 

Roxas deve avere percepito i suoi pensieri o ha capito quello a cui sta pensando e, con un gesto svogliato delle dita, gli getta addosso un po’ di sabbia.

 

“Non perdere tempo a diventare accademico, Riku. Non è una scienza esatta, questa.”

 

Riku non replica, ma pensa che, in fondo, non ha molto altro da fare, a parte aspettare.

E’ strano trovarsi a speculare mentre sta morendo. Presume che dovrebbe disperarsi, essere spaventato, ma non è che la paura abbia mai fatto davvero parte della sua vita. Neanche altre forti emozioni, a dire il vero, se si escludono rabbia, impazienza e irrequietezza. Sono le sole cose che sia mai riuscito davvero a provare.

E rimuginare. Quello gli è sempre venuto bene.

Tutto il resto lo ha sempre più o meno recitato, a beneficio dell’una o dell’altra persona con cui si è trovato ad avere a che fare. Più o meno come un nobody.

Tra l’altro, al momento si sente splendidamente consapevole.

Perché no? Se si assopisce morirà, quindi l’Oscurità lo tiene il più sveglio possibile.

 

“Quando è successo?”

 

Roxas sembra quasi insofferente nel rispondergli. Resta da capire perché, in ogni caso, risponde. Potrebbe semplicemente ignorarlo.

Potrebbe semplicemente andarsene.

 

“Non ha importanza. E’ successo.”

 

Sbaglia. Ha importanza. Un’importanza enorme. Perché Kairi è morta solo una settimana prima.

 

“Quando?”

“E’ successo quando ho cominciato ad avere i miei ricordi e non più solo quelli di Sora.”

“Quando?”

“Vuoi sapere in quale giorno? Non lo so. Qual è il tuo primo ricordo? Quando sei stato cosciente di essere un individuo? Forse vuoi sapere se una settimana fa ero io o era Sora?”

 

Ancora una volta, Riku percepisce una certa malignità in Roxas e non ha idea di come lo possa sapere, visto che il giovane non ha cambiato espressione né tono.

E’ strano. Non ricorda Roxas come una creatura particolarmente maligna.

Spietato e implacabile. Quello sì.

Il nemico più pericoloso che ha mai affrontato. Quasi certo.

Demone dell’ego, risultato incarnato della frantumazione di una psiche, sterminatore di masse, distruttore di mondi, portatore di caos, bambino sperduto. Tutti termini più che adeguati a descriverlo e nemmeno lontanamente sufficienti a comprenderlo.

Probabilmente anche un po’ pazzo - un po’ tanto pazzo - ma non maligno.

Però, alla fin fine, non è che lui lo ha mai conosciuto realmente ed è un Roxas con una storia in più, questo.

 

Non cancellato. Non annullato. Non obliterato.

Sedato, imprigionato, accecato.

Perso.

 

Ma, come frammenti di mercurio, le molecole dell’entità Roxas si sono riunite l’una all’altra nel mare che è la personalità di Sora, fino a quando il mostro è stato di nuovo completo e ha divorato la sua prigione.

Adesso sa perché Kairi è morta.

 

“Dodici anni… perché ci sono voluti dodici anni?”

“Se fossero stati dieci, o venti, ti saresti fatto la stessa domanda. Un tempo doveva pur essere.”

 

 

* * * * * * *

 

 

Zexion è rimasto stupito nel percepire la presenza di Luxord, quasi nei suoi alloggi.

Di tutti i neofiti, è il più discreto e riservato e, di sicuro, il meno problematico, oltre a essere uno dei membri mentalmente più stabili del gruppo stesso. Non rifiuta nessun ordine, ma non si fa mai avanti, evita con cura meticolosa di attirare l’attenzione dei suoi superiori e gioca la parte del vigliacco e dell’incapace che, probabilmente, è la più contraddittoria con quello che è. Così, è una sorpresa sentirlo arrivare con Roxas a rimorchio.

I due erano impegnati in missione. Lo sa bene, perché è stato lui a inviarceli. Sa anche che sono appena tornati, ma non c’è ragione ordinaria perché si presentino a lui.

La pianificazione e la strategia delle campagne belliche fanno parte dei suoi compiti e ci si attiene doverosamente, ma nient'altro. Non vuole essere immischiato in tutto quello che riguarda la parte gestionale. E’ ad altri che si risponde e si riferisce dell’esito della guerra.

Quindi, se non è una ragione ordinaria a spingere qui i due, si tratta di una ragione fuori della norma.

Interrompe il lavoro e li osserva per un po’, pizzicando le sensazioni di Luxord, ma l’uomo non si lascia intimidire.

Evidentemente, considera quello che ha da dire tanto importante da sfidare la collera del suo superiore.

Deve ammettere che nutre una certa considerazione per Luxord, per la sua intelligenza e sensibilità. Persino per la decisione di non usare il suo potere, che non è un capriccio, ma una scelta ponderata e consapevole.

Probabile che valga la pena ascoltarlo.

 

Ne è valsa la pena. Quello che gli ha portato è il più prezioso dei doni. Informazioni.

Ha detto molte cose e altre non ha avuto bisogno di dirle.

 

“Nessuna possibilità di errore?” gli ha chiesto, appena prima che se ne andasse.

“Io non sono un indovino da sagra paesana, Zexion. Non prevedo la buona sorte. L’ultimo svincolo che ci avrebbe permesso di lasciare questa linea temporale è passato da parecchio e non possiamo tornare indietro. Il nostro tempo è alla fine.”

 

Roxas si è seduto sul pavimento, con il mento appoggiato alle ginocchia.

Zexion non lo guarda. Lo fiuta. I dati olfattivi compongono nella sua mente il simulacro polidimensionale del ragazzo. Massa, stato fisico, attività neuromuscolare.

La sua presenza fisica è chiara e in condizioni perfette. La presenza mentale, d’altra parte, è molto meno definita. Se Zexion volesse descriverla usando un paragone visivo, cosa che ha poco senso, ma che qualche volta si è ritrovato a fare per cercare di spiegare le aure mentali, direbbe che è come se qualcuno avesse disegnato Roxas con l’inchiostro, poi avesse passato un dito sporco di grafite sui contorni del disegno, confondendoli.

La chiave del destino. E’ così che Luxord lo ha chiamato. Un termine un po’ impegnativo per un ragazzino semiautistico.

Zexion soppesa attentamente le informazioni ricevute. Le studia, le osserva da ogni angolazione. Alla fine, le lascia cadere nello schema degli eventi che ha costruito e conserva nei suoi pensieri.

I nuovi addendi si incastrano nel disegno. La rete di probabilità si dimena, cambia, assume una nuova configurazione.

 

Crede a Luxord, ma non completamente.

Crede all’approssimarsi di una crisi, quello sì. Da tempo si è accorto anche lui della convergenza di eventi sfavorevoli, alcuni dei quali macroscopici, a cui si avvicinano.

Sono apparsi i portatori di keyblade e sono nemici da non sottovalutare. Il Re è astuto e abile e si è deciso a scendere in campo. Potrebbe fungere da centro di aggregazione per i Mondi.

Poi c’è Marluxia. Il suo arrivo è stato forse l’evento più rivoluzionario della storia nobody e la situazione non è certo migliorata da quando Larxene si è unita a lui. I due giovani gettano semi di dubbio e inquietudine che stanno fiorendo ovunque. Quasi inevitabile, visto cos’è Marluxia. Cambiare e causare cambiamenti fa parte della sua natura. Sembra che nessuno si rende conto a cosa realmente lui è legato, ma, se ci si pensa bene, fa quasi paura. Anche se è proprio il contrario. Non dovrebbe fare affatto paura. La paura è proprio l’ultima cosa che dovrebbe fare. Purtroppo, in questa situazione, rappresenta una forza centrifuga. Finora nessun nobody ha mai alzato la mano su un suo simile. Sono troppo pochi, soli in miriadi di Mondi universalmente nemici. Non possono permettersi frantumazioni. Se lasciato libero, prima o poi Marluxia attirerà nella sua orbita molti di loro e siccome Xemnas è tutt’altro che insensibile o svagato come sembra, se ne renderà conto ben prima di quel momento. Quello che accadrà allora segnerà la svolta.

No. Non ha problemi nel credere a Luxord riguardo allo squilibrio imminente.

In un certo senso, alcune delle loro capacità sono analoghe, ma si basano su principi del tutto dissimili e lui ha restrizioni molto precise. Si limita a estrapolare schemi matematici ad altissima attendibilità dai dati che possiede. Non può inserire il fattore individuo nell’analisi. Invece, Luxord osserva i flussi temporali, è in grado di percepire le perturbazioni che li attraversano e può contemplare anche le interferenze imprevedibili dovute a fattori soggettivi e caotici.

Quello a cui Zexion non crede è l’inevitabilità. Non crede all’impossibilità di modificare gli eventi.

Il tempo non è predeterminato, anche se non è neppure a possibilità infinita in ogni istante. Ha leggi e limiti, come qualsiasi aspetto della natura. E’ come un bacino idrografico. L’acqua può scendere da più versanti, ma la probabilità che ne prenda alcuni è bassa. Tuttavia, esiste sempre la possibilità che l’acqua scenda dal versante meno probabile. In presenza di determinate condizioni, può persino risalire.

Il tempo è elastico, quindi c’è la possibilità di intervenire.

Se potesse stupirsi di qualcosa, si stupirebbe del fatto che Luxord, con tutto il suo immane potere e la sua intelligenza, non ha fatto alcun tentativo per modificare gli eventi, neppure quelli a lui sfavorevoli.

Ma i loro poteri li influenzano, nella misura in cui si lasciano influenzare. Non potrebbe essere altrimenti. Fanno parte di loro, concorrono a formare le loro personalità. In alcuni casi, si tratta della convinzione che l’individuo possiede nei confronti dell’elemento che domina. In altri, di un’influenza ben più concreta.

Luxord vede troppo. Troppi universi potenziali svanire nel mare delle eventualità non realizzate. Forse si è rassegnato al fatto che alcune linee temporali sono troppo improbabili per cercare di imboccarle.

Lui, invece, non vede altro che schemi e numeri, e schemi e numeri sono strumenti da manipolare. Questo lo porta a considerare ogni cosa come soggetta alla sua volontà.

E’ possibile che sbaglino entrambi. Dubita che qualcuno conosca la formula giusta per vivere, ma, perlomeno, il suo punto di vista è più produttivo. Male che va, arriverà allo stesso risultato di Luxord. Se però va bene…

Devono cambiare, perché sono cambiate le condizioni da quando è iniziata la loro avventura. Non possono restare legati a comportamenti validi in un ambiente diverso.

D’altra parte, non si è mai aspettato una perpetua invariabilità di stato.

E’ possibile che la loro ricerca non abbia più una possibilità, semmai ne ha avuta una. Zexion non si è mai preoccupato di chiedersi se ci ha mai creduto. E’ un particolare di nessuna importanza.

Se quello che li aspetta è questo, allora occorre prepararsi ad affrontare un’instabilità di sistema imprevedibile, non fissarsi su un unico possibile scenario che si crede inevitabile.

Se quello che li aspetta è addentrarsi in territorio sconosciuto, allora meglio essere muniti di bussola e mappa.

Se quello che li aspetta è la solitudine, meglio avere tutte le armi possibili, perché l’universo è sempre e solo nemico.

E, per quanto lo riguarda, se la scelta è fra vivere senza Cuore o morire, allora la scelta non esiste proprio.

 

Il giovane si mordicchia pensosamente il polpastrello di un dito. Un gesto che è eredità di una vita passata, di cui non si è mai deciso a liberarsi.

 

“Vieni qui, Roxas.”

 

Il ragazzino si alza e obbedisce senza esitazioni. Obbedisce sempre. Non è malleabile come Demyx, o convinto come Saïx. Obbedisce perché non sa fare altro.

Roxas, il signore della Luce. Che adesso lo studia con occhi chiari e freddi come la banchisa. Che sembra in attesa di sentirsi dire cosa fare.

I suoi capelli sono ancora umidi di pioggia e ha una crosta non del tutto rappresa sul labbro inferiore. C’è un livido e un taglio e il sangue che ne è uscito si è solidificato quasi completamente, ma non tanto da avere perso la sua lucentezza rossa e liquida.

Chiunque altro avrebbe fatto almeno il gesto di ripulirsi in modo che non si formasse quella massa.

 

Un bambino.

 

La chiave del destino.

 

Chiamalo come vuoi, con tutti i titoli altisonanti che vuoi. Resta sempre un bambino, ignorante e inerme nonostante la sua forza e il suo potere. Fuori di qui, da solo, non ha possibilità di sopravvivere. Sarebbe capace di lasciarsi morire di fame o di freddo solo perché non sa cosa deve fare per mangiare e ripararsi. Una fine miserabile per la chiave del destino.

 

Non è demente. Gli manca il complesso psichico necessario a rapportarsi al mondo esterno. Una volta stabilito che è utile anche così come si trova, nessuno ha avuto interesse e tempo per rimediare alla sua condizione.

Adesso, ha mostrato la prima espressione di una personalità autonoma. Con il tempo, accumulando esperienze, supererà la sua mancanza. Peccato che il tempo è proprio ciò che manca.

Allora, non può lasciare che le cose seguano il loro corso naturale.

 

Una chiave, sì. Ma non del destino.

 

Prende le due poltrone più comode del suo studio e le piazza l’una di fronte all’altra, sfila il pesante mantello e i guanti di Roxas e lo fa quindi accomodare su una di esse, mentre lui prende posto sull’altra.

La comodità non è precisamente importante, ma i loro corpi esistono comunque nel mondo fisico e se dovessero provare disagio, la loro attenzione ne sarebbe compromessa. E’ in grado di isolare le sensazioni dolorose, ma deve fare una cosa faticosa, che richiede il massimo impegno, e tutto con le sue sole forze. Niente aiuto dalle droghe psicoattive che usa estensivamente sui suoi soggetti abituali per aprire le loro menti. L’uso di tali artifici altera irreparabilmente la piena funzionalità dei neuroni e Roxas non è una cavia sprecabile.

Non ha nessuna intenzione di consumare energia e concentrazione per regolare qualcosa che può essere facilmente tenuto sotto controllo da un cuscino.

 

 

* * * * * * *

 

 

Anni prima, un uomo morente aveva cercato Roxas in Sora e non lo aveva trovato. Annullato negli abissi di un ego alieno, in quel momento Roxas non esisteva. Non era rimasto più nulla di lui per rispondere a quella supplica e Axel era morto solo, circondato da nemici.

Forse non assistere alla sua fine è stata una delle poche cose misericordiose nell’esistenza di Roxas, ma adesso il giovane ricorda. Le memorie appartengono a lui. Tutte le memorie. Le sue e quelle di Sora.

Non tutti sono bei ricordi. Maledettamente pochi, in realtà.

La cosa peggiore è che, per Sora, quelli erano buoni ricordi e adesso lui si ritrova a sapere che, in quei momenti, è stato felice di quello che ha fatto. Che ogni morto è stato solo un passo avanti.

Ha le sensazioni di quello che ha provato Sora come se fossero sue e, al tempo stesso, valuta quelle sensazioni come sé stesso e sente di avere assassinato la sola famiglia che ha mai conosciuto.

 

Adesso è Riku che cerca Sora in lui.

Forse dovrebbe godersi l’ironia della cosa. Forse dovrebbe semplicemente andarsene e lasciarlo morire solo. Ma non si sente così compassionevole. Riku lo apprezzerebbe.

Non vuole essere preso in ostaggio dall’affetto di Sora per quest’uomo. E’ già abbastanza difficile così.

Riku è l’uomo che popola i suoi incubi. E’ solo un altro nemico e tra un po’ sarà un nemico in meno.

E’ già abbastanza difficile ricordare.  

E’ già abbastanza brutto che quei ricordi si mescolano a quelli dove Riku è più di un fratello.

 

Riku non lo odia. Non spreca emozioni, una di quelle preziose emozioni da essere completo, per uno come lui. Riku ne prova repulsione. O lo disprezza, al massimo. Disprezza tutti loro, come li disprezzano tutti gli esseri completi. Come persino alcuni di loro stessi si disprezzavano.

 

Saïx, che portava il lutto per la sua famiglia con la pazzia…

 

Per quanto riguarda Roxas, vale più di tutte le lacrime versate da tutti gli esseri completi di tutti gli universi pensabili.

 

Adesso ha la risposta a una vecchia questione ancora aperta.

Si è perso per cercare il passato, ma quel passato appartiene a un altro uomo.

Il suo passato non è lungo nemmeno due anni. Deve farselo bastare.

 

“Non esiste Sora.” si limita a dire “Sora è morto.”

 

 

* * * * * * *

 

 

Roxas si sveglia ed è notte fonda.

Notte per il suo personale ciclo biologico. Per il mondo è sempre e solo buio.

Sente il suono di un respiro un po’ roco.

Zexion è seduto di fonte a lui. In qualche modo, è riuscito a mettersi a gambe incrociate sulla poltrona. E’ profondamente addormentato, le mani abbandonate in grembo e la testa reclinata sul petto. Il suo respiro è reso elaborato dalla posizione disagevole.

Roxas non si chiede come mai si trova nello studio di Zexion. Ha tutti i ricordi di come è arrivato qui. E’ ancora sulla stessa poltrona dove il telepate lo ha fatto sedere diverse ore prima, e il suo mantello e i suoi guanti sono gettati negligentemente a terra.

Si alza e, senza fare rumore, comincia muoversi per la stanza e a osservare quello che lo circonda.

E’ la prima volta che entra nell’appartamento di uno degli altri.

C’è una finestra che occupa quasi un’intera parete e si apre su un balcone. Il cielo esterno è una massa di svariate sfumature di nero. L’oscurità dell’ambiente è attenuata solo dalla luce quasi inesistente che entra dalla finestra e da quella artificiale di pochi led di alcuni computer. Nulla, in pratica. Ma, tanto, il buio non è un ostacolo per lui.

Ci sono parecchi strani oggetti, complicati insiemi di frammenti metallici e cristallini combinati in forme e colori svariati. Sembrano avere una forma definita sino a quando li guarda con la coda dell’occhio, ma se poi li osserva direttamente, diventano solo agglomerati caotici. Ne tocca uno e quello emette un lieve suono tintinnante.

Ci sono altre cose, compresse negli scaffali alle pareti e in gran parte dei possibili spazi vuoti, persino per terra.

 

libri

 

Libri su supporti usati in diversi mondi. Carta, pelle, rotoli, schede elettroniche, cristalli mnemonici. Libri tattili, olfattivi, audiolibri. Ogni forma di archiviazione e trasmissione di dati immaginabile.

E questi sono solo quelli che identifica. Non esclude che ce ne siano altri che lui non è in grado di riconoscere come libri. Forse anche le strane sculture lo sono.

Libri in un’infinità di lingue e caratteri.

Ne legge i titoli, quando hanno titolo e quando riesce a capirli. Sono parecchi. Non tutti, ma parecchi.

Gli incantesimi di mimesi sono tra i primi a essergli stati insegnati. Quando occorre, può imitare gli abitanti di quasi ogni mondo, assumendo la loro forma e il loro complesso mentale, compreso il sistema di comunicazione, oppure solo una di queste caratteristiche. Ma è una cosa estemporanea e difficoltosa, legata al mondo visitato e alla possibilità di disporre di un modello da mimare. Quando torna alla sua forma o cambia pianeta, perde anche la lingua.

Adesso, però, non sta usando sistemi di traduzione. Legge perché sono lingue che conosce.

Non sa quante siano. Più di una di sicuro. Non sa neppure come le ha imparate. Le ha sempre conosciute.

In qualche modo, sa anche che la lingua con cui comunica con i suoi compagni non è la sua lingua madre.

 

Passa la mano sul sensore della finestra, aprendola quel tanto che basta per scivolare sul balcone. La pioggia è torrenziale.

Nella corte del castello, forme d’acqua sorgono dalle pozze e ballano l’una con l’altra e schiaccianodilaniano le ombre. Le ombre urlano il loro strazio senza voce e muoiono. Da qualche parte, Demyx gioca con il suo elemento.

I capelli inzuppati gli si appiccicano addosso e rivoli ghiacciati gli scivolano lungo il volto, il collo e le mani.

Rientra, si siede di nuovo e appoggia la testa allo schienale.

C’è qualcosa che punge sul labbro inferiore. Con la lingua, sente uno sgradevole sapore metallico e una piccola massa ruvida. La mordicchia. La gratta con un’unghia. La crosta si stacca e dal taglio fuoriesce del sangue. Lo lecca via e preme il taglio fino a quando non smette di sanguinare.

E’ molto stanco. I muscoli del collo e delle spalle sono tirati e doloranti. Risente la fatica dei giorni appena trascorsi.

 

Ascolta i suoni.

Il lieve russare di Zexion.

Lo scrosciare della pioggia sulle pareti esterne e sulla finestra.

L’acqua che scorre su vetro e metallo.

Sotto a tutto, il silenzio.

 

Gli occhi gli si chiudono.

 

Ascolta il silenzio.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Innanzi tutto, grazie a tutti per i complimenti. Sono lieta che vi diverta ^__^

Vediamo di dare qualche risposta.

   

The Bookman: Già. I nostri nobody soffrono della sindrome del pellerossa dei vecchi film western. Sai quelli che si mettevano allo scoperto a girare in tondo attorno a una postazione fortificata, così da essere comodamente abbattuti come al tirassegno?

Che poi arriva il topo, ma intanto ci sono già il cane e il papero. E sì, perché, almeno per una volta, i buoni non soffrono di tale deplorevole cavalleria (altresì detta idiozia senza ritegno) e attaccano in tre contro uno.

E fanno bene!

E vincono!

 

E’ vero. Zexion ha l’aspetto da ragazzino e credo che sia davvero giovane per essere quello che è. Solo che mi è capitato di sentirlo definire adolescente, o dargli poco più dell’età di Roxas e non credo che sia ‘così’ giovane.

 

Kairi? Via il dente via il dolore. In realtà non mi è tanto odiosa, anche se è un po’ troppo ‘Princess in distress’ per i miei gusti. Solo non me ne frega niente di lei. Quella che davvero non sopporto è Naminé.

 

Narakun: Grazie. Sono davvero contenta che Zexion ti piaccia, perché è il mio protagonista secondario. O principale, da un certo punto di vista. E’ troppo divertente scrivere di un soggetto simile e il bastardo è anche il mio personaggio preferito ^__^

E’ sempre così maltrattato, povera stella e, a parte la faccenda dell’età, mi resta incomprensibile tutta quella parte che riguarda la depressione e la sensibilità.

Insomma, è il tizio che ha convinto gli altri ad approfondire le ricerche sull’Oscurità, che è capace di farsi un frappé con i cervelli altrui. E’ lo stratega di gente che ha dichiarato guerra all’universo. Il suo lavoro è quello di studiare i vari mondi, decidere quale e in quale ordine attaccare per sterminarne tutti gli abitanti e quale andamento bellico adottare. Non riesco a immaginarmelo a scrivere poesie angoscianti sul suo diario segreto o tagliarsi le vene per passare il tempo. Semmai dovrebbero essere depressi gli altri all’idea di incontrarlo.

Oh, avanti. Guardatelo bene. Dietro quel faccino adorabile c’è una scritta flashante che dice: “Sono qui per distruggere voi e tutto quello che vi è caro, trascinarvi in un abisso di angoscia e disperazione e gettare i vostri mondi nel caos. E voi darete la colpa a qualcun altro!”

E’ proprio il mio genere di uomo ^__^

 

Per la cronaca, vado pazza pure per Riku.

Lo trovo un personaggio fantastico, complesso all’inverosimile, anche se è un dannato ipocrita. E il termine bastardo va benissimo anche per lui. Un bastardo spietato, contorto, letale come uno sciame di cavallette in un campo coltivato e cattivo come l’aglio.

 

Lexaen: A me i 13 piacciono tutti, però ho un debole per Zexion, Marluxia, Xemnas, Xaldin, Saïx, Larxene e Roxas. Cioè, i più pestiferi. Eccetto Roxas, naturalmente, che è sì pestifero, ma soprattutto è la vera vittima sacrificale del gioco. Colpisce il mio istinto materno, povero piccolino.

 

Xemnas e Saïx sono fantastici, e non intendo dire che sono maledettamente belli (anche se!). Sono grandi figure tragiche. Epiche, direi. Non capisco proprio perché piacciono così poco.

 

Forse quello che mi piace meno è Axel. Molto intelligente e astuto nell’immediato, solo che il suo fine è a brevissimo termine e non valuta le conseguenze nel tempo. Ed è la causa della sua stessa distruzione e di quella di Roxas. Non ha un vero scopo se non quello di creare caos, il che mi andrebbe anche bene. Il problema è che è autolesionista e si suicida e io ho problemi relazionali con gli autolesionisti e i suicidi.

 

Atlantislux: Io amo i nobody proprio per quello che sono. Se fossero diversi, magari non li potrei sopportare. I miei piccoli nichilisti portatori di caos. Sono così fantastici come genocidi a sangue freddo. Non ho intenzioni di trasformarli in patetiche ombre penitenti.

Tra l’altro sono interessanti. Ho sempre scritto dal punto di vista dei nemici, cercando di non fare moralismi, ma qui è un caso estremo e le ragioni non sono esattamente cristalline. Credevo che per me sarebbe stato impossibile amare gente simile. E invece…

E’ divertente scrivere dal loro punto di vista. Se li addomesticassi, finirebbe tutto il bello.

E’ che mi piacciono le persone consapevoli. Quelli che agiscono o per uno scopo logico o per il puro piacere. Basta che si prendano la responsabilità di quello che fanno e non scarichino le colpe addosso ad altri. I 13 sanno bene quello che combinano, quindi sto dalla loro ^__^

In realtà, mi urtano molto di più i discorsi degli altri personaggi. La cosa più carina che dicono è che i nobody non devono esistere, che non esistono, che non hanno diritto di esistere, che ammazzarli è più o meno come gettare dell’immondizia. E sarà indubbiamente un problema mio, ma a me ‘sti commenti fanno sempre leggermente girare le palle.

Poi quel che davvero mi fa accapponare la pelle è la storia di Roxas. E’ di una brutalità e di una tristezza mostruosa. Roxas fa una fine tremenda. Non so chi sia il sadico che ha inventato quel gioco, ma non si possono fare cose simili! Mi ha fatto venire il magone :(

 

Demyx, il dolce, caro, gentile Demyx… che amore di ragazzo. Lo trovo uno dei più inquietanti e potenzialmente letali. Insomma, con la gente stessa che è in pratica un serbatoio semovente.

Lo so che siccome è bello, giovane, allegro e viene praticamente obbligato dall’eroe a fare a botte, è stato trasformato in un orsetto del cuore, ma mi pare spingere un po’ all’estremo quello che è. I bravi orsetti del cuore non si aggregano a organizzazioni che fanno saltare per aria i pianeti. E questo detto con tutto l’affetto che provo per i 13.

Credo che il mio Demyx avrà poco dell’orsetto del cuore. Certo, a meno che non si intenda che il cuore te lo estrae dal torace usando un plettro come bisturi.

 

Ringrazio sentitamente anche per la parte della ‘sensualità’, che, se c’è, è stata del tutto involontaria. Io puntavo all’horror :)

 

Frisumilite: Beh, grazie ^__^

 

Ladyblackmoon: Hai perfettamente ragione. Il riassunto fa schifo. Purtroppo sono logorroica, sono brava ad analizzare, ma nella sintesi faccio davvero pena. Ma credo di avere trovato la soluzione ^__^

 

 

  
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