Serie TV > NCIS
Segui la storia  |       
Autore: Marika Jane Seven    17/10/2012    3 recensioni
Ho deciso di scrivere questa fan fiction (la prima, per di più) grazie a un sogno che ho fatto. Mi ha fatto pensare che nella serie tv non viene dato molto spazio ai rapporti "uomo-donna" tra i protagonisti (com'è giusto che sia in questo genere di serie). Questa fan fiction è quindi soprattutto un tentativo di conoscere meglio McGee non come agente ma come uomo e concentrarsi sull'aspetto sentimentale della sua vita. La prima frase del capitolo è anche il titolo della storia. Tim è turbato da un sogno che ha fatto e che non riesce a ricordare e comincia a chiedersi cosa ci sia che non va in lui dato che non riesce ad avere un rapporto stabile con una donna. Sarà la maledizione di tutti gli agenti federali? In questo caso, l'indagine di Tim riguarderà se stesso.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Abigail Sciuto, Anthony DiNozzo, Leroy Jethro Gibbs, Timothy McGee, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cosa c’era che non andava in me quel giorno? Ancora non riuscivo a capirlo.
Fu con grande sollievo, quindi, che non appena uscii dall’ascensore quasi andai a sbattere contro Gibbs. Certo, non ero sollevato per averlo urtato, ma lo ero perché mi diede subito nuove direttive e quindi la giornata proseguì senza che potessi lasciar vagare la mente verso pensieri che non riguardassero il lavoro. Non mi resi conto di quante ore avessi passato concentrato al computer finché qualcuno non mi fece trasalire buttando un sacchetto sulla mia scrivania. Avvertii un forte odore di kebab e il mio stomaco brontolò di riflesso. Pensandoci, non avevo messo qualcosa sotto i denti da almeno quattordici ore. Alzai lo sguardo e incontrai quello di Tony che stava in piedi davanti alla mia scrivania e mi guardava bevendo il suo solito tè freddo facendo rumore con la cannuccia.
“Vai a casa, McGee. Per oggi basta così.” Si girò e cominciò a prendere il cappotto e lo zaino dalla sua scrivania.
“Ma Gibbs -”
“Tranquillo, è stato lui a congedarci. E sinceramente non credo che riuscirai a fare molto se non ti riposi un po’.”
Beh, questa era nuova. Tony DiNozzo che mostrava interesse per la salute di qualcuno che non fosse se stesso o una bella donna. Presi la mia giacca, lo zaino e il sacchetto con quella che a quanto pareva sarebbe stata la mia cena e seguii il mio collega verso l’ascensore.
“Uhm…grazie, Tony”, dissi alzando la busta contenente il kebab.
Tony scrollò le spalle e fece un verso di risposta tenendo ancora la cannuccia tra i denti. Probabilmente era il suo modo per dire “non c’è di che”. Sorrisi. Non lo avremmo mai amesso, ma Ziva aveva ragione: eravamo amici.
Ci dirigemmo verso il parcheggio delle nostre auto riflettendo sugli ultimi risvolti del caso. La marca che Abby aveva trovato sull’arma del delitto non era poi così diffusa. Poteva essere definita una specie di “Ikea per pochi eletti”. Avevo scoperto che in tutta la città erano stati venduti solo venti centrotavola, il che restringeva di molto la ricerca. Purtroppo, essendo la casa di produzione molto discreta, non aveva ancora voluto rivelare i nomi dei clienti. L’indomani, però, una visita del mio capo avrebbe potuto far cambiare idea ai proprietari.
“Non voglio perdermi la scena quando Leroy Gethro Gibbs metterà al loro posto questi venditori con la puzza al naso!” Solo guardandolo, potevo capire che la mente di Tony già la immaginava, la scena, e ne era compiaciuto. Premetti il pulsante di apertura dell’auto che mi salutò facendo lampeggiare due volte le frecce. Salutai Tony e mi accinsi ad aprire lo sportello del guidatore. Con la coda dell’occhio, però, notai che Tony era ancora fermo vicino alla sua Audi e mi fissava. Stavo per chiedergli come mai non se ne andasse ma mi precedette.
“McGee, va tutto bene?”
Lo guardai interdetto e probabilmente anche lui capì il mio sguardo perché continuò spiegandosi.
“Voglio dire, sembri un po’ tra le nuvole, oggi. Non che di solito tu non lo sia – perché, credimi, lo sei spesso – ma di solito riesci a lasciare qualsiasi problema fuori di qui. C’entra per caso Maxine?”
Stavolta lo guardai quasi rincuorato. “No”, risposi calmo.
“Ma non ti vedi più con lei, dico bene?” il suo tono da investigatore cominciava a farsi sentire ma anche stavolta la mia risposta fu un tranquillo “No”.
“Beh, mi dispiace. Non conosco i particolari, ma sembravate molto simili.”
“Tony, non è per questo motivo che oggi ero tra le nuvole, come affermi tu.”
“Okay, okay”, disse alzando le mani in segno di resa. “Comunque vedi di tornare il solito McGranRottura.”
“Credevo ti desse fastidio”, risposi trattenendo un sorriso.
“Sì, ma è sempre meglio del McGnomoDaGiardino che sei stato oggi. Non sei utile né a te né a nessun altro.” Voleva farlo risultare un insulto, ma l’espressione divertita lo tradì. Cercava di scuotermi, cosa che di solito le sue battutine su di me riuscivano a fare. Alzai gli occhi al cielo e feci per entrare in macchina. Lo sentii ridere.
“A domani, Pivello.”
Tempo fa mi sarei offeso per il modo in cui pronunciava quel nomignolo ma ormai avevo capito che era così che DiNozzo dimostrava stima e affetto. Scossi la testa ridendo a mia volta e misi in moto l’auto.
 
Non appena entrato in casa lasciai andare un sospiro. Che fosse di stanchezza o di sollievo per la fine della giornata non saprei dirlo. Probabilmente era un po’ entrambe le cose. Divorai il kebab offertomi da Tony e solo dopo mi resi conto di aver mangiato ancora vestito in giacca e camicia. Era un miracolo che non le avessi sporcate. Indossai una maglietta e il pantalone della tuta e decisi che per quella sera sarebbe stato meglio non accendere il computer altrimenti mi sarei fatto prendere da qualche gioco di ruolo online e avrei potuto dire addio a una notte di riposo che invece corpo e mente mi richiedevano.
Nonostante le premesse, però, non riuscii ad andare subito a letto. Affondai le mani nelle tasche dei pantaloni e percorsi con lentezza avanti e indietro il corridoio dell’appartamento. Arrivato alla porta del bagno, la vista del bicchiere con dentro due spazzolini mi fece all’improvviso venire in mente una discussione che avevo avuto con Maxine qualche giorno prima che smettessimo di vederci.
Aveva finito per passare la notte a casa mia dato che avevamo perso la cognizione del tempo sfidandoci a un gioco online (se Tony lo avesse saputo, avrebbe dubitato ancora delle mie capacità di seduzione). Preparai il divano in modo che potesse fungere da letto occasionale per me mentre lei si cambiava in bagno con una delle mie magliette che le avrebbe fatto da pigiama.
Mentre aspettavo che finisse, cominciai ad arrovellarmi il cervello cercando di trovare le parole giuste che la convincessero che non le avrei fatto niente e che poteva dormire tranquilla. Ero così preso dalla preparazione del mio discorso che non mi accorsi della testa bionda che aveva fatto capolino dalla porta del bagno.
“Hey, Tim, mi ascolti?” mi chiese per quella che molto probabilmente era la terza volta.
“Oh…oh! Sì! Cosa c’è?”
Il mio sguardo allarmato la fece ridere.
“Tranquillo, volevo solo sapere se posso usare questo spazzolino, dato che ne hai due e sull’altro c’è scritto il tuo nome. A proposito, molto carino. Sembri un bambino delle elementari che mette le etichette alle sue penne.” Rise ancora ma si aggiustò meglio la frangetta sugli occhi, segno che nonostante la battuta anche lei era un po’ imbarazzata per la situazione in cui ci trovavamo.
Potei sentire le mie orecchie farsi rosse per l’imbarazzo e balbettai in maniera sconnessa quello che avrebbe dovuto essere un sì. Solo qualche istante dopo, però, capii davvero cosa mi aveva chiesto.
Scattai su dal divano e corsi verso il bagno. Spalancai la porta e vidi Maxine trasalire. Aveva ancora in mano lo spazzolino. Le afferrai il polso.
“No!” Avevo quasi urlato e non era certo una cosa da me. Maxine era immobile e mi guardava quasi spaventata. Cercai di farla rilassare sorridendole.
“Scusami. Ripensandoci, non puoi usare lo spazzolino. Scusa.”
“Oh, certo…va bene.” Lo sguardo di Maxine era ancora un po’ incerto e smarrito ma non chiese altro. Sapeva che, trattandosi di me, quel rifiuto sarebbe potuto essere un’altra delle mie innumerevoli manie.
 
Scossi la testa ripensando al mio comportamento di quel giorno. Mi avvicinai alla mensola su cui tenevo il bicchiere, presi lo spazzolino e cominciai a rigirarlo tra le dita. L’unica persona che lo avesse mai usato era stata Abby. Ogni tanto, quando la pericolosità di un caso la allarmava o semplicemente perché sentiva il bisogno di stare con qualcuno che la conoscesse bene, veniva a trovarmi. Passavamo le notti a parlare: lei mi confidava ogni suo dubbio e timore sulla riuscita dell’indagine e io la rassicuravo. Quando, poi, riusciva finalmente a calmarsi, i nostri discorsi cominciavano a variare fino a non avere più un senso. La maggior parte delle volte finivamo per ridere di noi stessi e a prenderci in giro a vicenda.
Riposi lo spazzolino al suo posto, a fianco al mio.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > NCIS / Vai alla pagina dell'autore: Marika Jane Seven