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Autore: Kimmy_90    30/04/2007    5 recensioni
Philosophi, Custodes: guerrieri e sapienti, condottieri cresciuti ed istruiti, usati, stressati, tirati oltre ogni limite. Bambini sottratti ai genitori per divenire macchine da guerra: Utopia o Distopia?
E se il tutto, che a stento si regge in piedi, crollasse a dispetto dell'uno?
E se l'uno fosse dalla parte del tutto?
Dove trovi la ragione, dal sempre fu o dal nuovo che porta terrore come solo questo sa fare?
E se la routine della guerra divenisse l'isto di una catastrofe?
Siamo in un altro mondo, signori, e qui non v'è magia alcuna: soltanto geni...
Geni e Demoni.
[Storia in revisione] [Revisionata sino al capitolo 10]
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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[Prima pubblicazione: 30 04 2007]

[Ultima revisione: 10 10 2010]

- 7 -

E non siam più nulla

ne' noi stessi

ne' ciò ch'essi volevano

diventassimo

solo ombre che s'aggirano

in un impero di falsa luce

solo ombre che non muoiono

solo riflessi del passato

solo soli

nel deserto abbandonato.

- Identità: si, no? Forse. No. -

Non andava via. Non voleva proprio saperne: dannata, dannatissima macchia. Il ragazzino stringeva fra le mani uno straccio imbevuto di acqua e di un miscuglio senza capo ne' coda di saponi e detersivi che aveva trovato in bagno: ma niente da fare.

La macchia di sangue lì era e lì rimaneva.

Arresosi, Naruto si sedette sui calcagni e rimase per vari minuti ad osservarla: lì, una chiazza scura, sul cemento grigio che pavimentava la sua stanza.

La guardava.

La contemplava.

Era tutto pulito, era tutto a posto, ma lì?

Sarebbe mai andata via?

Si levò in piedi e si sedette sul letto: era tardi. Il pomeriggio era inoltrato, aveva perso le lezioni. Aveva perso le lezioni e guardava la sua macchia di sangue in terra, fra il muro ed il letto, vomitata fra deliri e scosse convulse.

«Mi verranno a cercare.»

Nessuno rispose.

«Forse è meglio che vada in infermeria.»

Nuovamente, nessuno rispose.

«E gli dovrò dire che avevo mal di pancia, e gli dovrò dire di quanto sangue ho perso, e perché l'ho perso.»

Silenzio.

«Dovrò digli di quanto mi sono sentito male. Di quella voce.»

Silenzio.

«Quello che facevo.»

Silenzio.

«Di perché mi sento in colpa per la morte di una striscia blu. Di tutte le volte in cui ho disubbidito, in cui ho infranto i regolamenti, in cui sono andato in zone dove non dovevo andare.»

Silenzio, e null'altro.

«Così morirò anch'io. Di frustate, ma morirò anch'io. Non sarebbe mostruosamente comodo, Konohamaru?»

«Peccato che la vita non sia fatta per essere comoda, Naruto.»

Naruto non andò mai in infermeria.

Quegli ultimi mesi passarono con una lentezza mai sperimentata prima. Naruto si alzava, andava fino al poligono di tiro, sparava, tornava indietro, mangiava, faceva lezione, mangiava, studiava, dormiva.

Ogni giorno.

All'infinito.

Ritmicamente, lasciava che la sua mente si dividesse in due: una, apatica, morta, seguiva le attività del Ludus; mentre l'altra pareva essere partita alla disperata ricerca di Konohamaru e di quella cosa che si faceva chiamare Kyuubi.

Chi era, Kyuubi?

Anzi, cosa era? Era collegata al suo corpo o alla sua mente? Kyuubi esisteva o era solo frutto di un cervello stressato dallo shock e privo d'ossigeno per il dissanguamento?

Kyuubi parlava? Pensava? Mordeva e graffiava?

Kyuubi era o diveniva?

Non lo sapeva.

Naruto non lo sapeva, mentre ritmicamente sparava, ed ogni giorno mirava un po' meglio, ed ogni giorno usava il triplo dei proiettili dei suoi compagni. Caricava e sparava. Caricava e sparava. Perso nella spirale dell'abitudine, del gesto ripetitivo, perso nei suoi pensieri, bramando ogni giorno qualcosa, qualsiasi cosa: ma non sapeva cosa.

Si lasciava inebriare dalla sua passione, dalla sua essenza, dalla calibro 45, mentre metà di lui era morta, e l'altra metà ricercava disperatamente qualcosa di sconosciuto.

Era una strana sensazione.

Era perso.

Non gli era mai successo prima.

Era perso mentre Sakura e Shikamaru completavano l'ultimo esame rispondendo a tutte le domande, nonostante il tempo limitato.

Era perso mentre Sasuke riusciva a fare un nico foro nel bersaglio, cambiando sei caricatori.

Era perso mentre Kiba e Shino venivano condotti nel bosco, alla mattina, anziché esercitarsi con gli altri al poligono.

Era perso mentre Hinata diveniva campionessa nei tiri a lunghissima distanza.

Era perso mentre sparava ripetutamente, e ripetutamente qualcosa si muoveva in lui, come insoddisfatto.

Insoddisfatto?

Oppure scocciato?

Naruto si era perso.

Iruka non lo vide più.

«Nessun segno?»

«Apparentemente nessuno.»

Kakashi cercava in svariati modi una posizione comoda sulla sedia, sebbene avesse dovuto sapere da anni di esperienza che una posizione del genere non esisteva.

Non per quella sedia.

«Non va bene. A quest'ora avrebbe già dovuto fare qualcosa. Qualsiasi cosa»

Loro non avevano il diritto di stare comodi.

«Garantisco non ha fatto nulla, non apertamente. Nessuna esibizione di niente. Ma il ragazzino è cambiato.»

«A me il ragazzino non interessa, Kakashi.»

«Oh, e invece dovrebbe.»

«Vuoi dirlo tu a un Philosophus cosa deve pensare? Vuoi dirlo tu?»

Il tono dell'interlocutrice suonava incredibilmente acido, colmo di minacce ben che avverabili.

«No, Tsunade.»

«Bravo. Parlami degli altri, piuttosto. Sasuke, ad esempio.»

«Lui è stato il primo, quest'anno.»

«D'altronde Neji era l'unico della sua annata – ma questo lo sapevo. Se ne è reso conto? Neji ci aveva messo un po'. E anche» inspirò « lui...»

«Di certo ha notato che è cambiato qualcosa. Non so se si è mai guardato allo specchio mirando, e probabilmente nemmeno i suoi compagni hanno notato qualche stranezza – o ci hanno prestato caso seriamente. Sai, loro, in genere, non hanno un grande spirito di iniziativa.»

«Non devono averlo.»

«Lo so. Tutto è dato e niente è dovuto.»

«E quell'altra? La ragazza, Hinata. Dovrebbe essere come Neji, lei.»

«Hinata. Anche lei ci si sta abituando, ma va abbastanza bene. E' abbastanza mansueta – più di Sasuke. Cercheremo di svegliarla al secondo ciclo, mettendola sotto l'ala di Neji, che è più solido. A parte questo, Tsunade, torno a dirti che il ragazzino mi preoccupa.»

«Lo so, uno con un potere così va tenuto sotto controllo. Ma sappiamo benissimo come tenercelo buono, il piccolo orfano.»

«... di chi sta parlando?»

«Di Sasuke.»

«Io intendevo Naruto.»

«Ancora?» sbottò la donna, battendo i palmi delle mani sul tavolo che divideva i due. Ciocche biondaste rimbalzarono al sussulto: fissava Kakashi adirata, le pupille verdi strette fra le palpebre esprimenti furore.

Momenti di umanità.

«Io faccio solo il mio lavoro, Tsunade. E ti dico che il ragazzo mi preoccupa. Se tu mi ascoltassi, per una volta, senza accantonare il problema...»

«Io non sto accantonando il problema! Il problema ce l'ho sempre sotto il naso, e, per una volta, dico, una volta, vorrei poterne non parlare. Sono stufa!»

«Tsunade...»

«Cosa vuoi?»

«Non starati scappando?»

Rarissimi momenti di umanità.

Il Rector si alzò in piedi, facendo per andare via.

«Kakashi, non ti ho congedato»

«Se è per quello non mi hai nemmeno mai richiamato. Ufficialmente.»

La donna osservò l'altro seccata.

«Mettilo in prima linea.»

«In prima linea? Per cosa, scusa? Non ha nemmeno iniziato il secondo ciclo. E secondo me non è pronto.»

«Va bene. Allora, appena sarà pronto, mettilo in prima linea, al fronte a nord, quello lasco – metticeli tutti appena puoi; anzi, parla con Jiraiya – che tu al secondo ciclo devi anche starne fuori.»

«Dritta al punto, come sempre. Parlaci tu, con Jiraiya.»

«Ti pare che ho il tempo per farlo? Gli passi le consegne ogni anno – bene, quest'anno le consegne sono un po' diverse! Non mi sembra complicato, Kakashi.»

«Va bene. Come vuoi tu, o sommo Philosophus!»

Quasi inesistenti, momenti d'umanità.

***

Il biondo camminava lento per i corridoi dell'alloggio, il capo insolitamente chino, avvolto nel copriveste, sprofondante nel largo colletto.

Vado.

Non vado.

Passi quasi molleggiati, passi da passeggiata, mentre in vero la sua meta l'aveva ben fissa in testa: il problema era se sarebbe riuscito o meno ad arrivarci.

Bhe, manca poco, in fondo.

Uscì. L'aria era fredda e pungente, squisitamente pungente: una piccola sveglia per il volto del giovane, a richiamare l'attività delle sue cellule, e forse in parte della mente.

Vado.

Vai a fare cosa?

No, non vado.

Il terreno continuava a muoversi sotto di lui.

Ok, vado.

Tanto ci sarebbe andato lo stesso. O le sue gambe ce lo avrebbero portato.

La Sphaera era lì: vicina. Molto vicina, sempre più grande. Sempre più grande e incombente. Ecco una delle sei entrate: Naruto si immise nel corridoio esterno, vuoto, che andava dritto dritto alla porta, e varcò la soglia.

Ok, ci siamo. Ho detto che vado. Vado.

A fare cosa?

Espirò e si sedette per terra, schiena al muro: già. Cosa andava a fare?

Una sfida. Una sfida come al solito, no?

Come ogni sacrosanto anno.

Come ogni volta.

Un altro respiro profondo.

Sempre uguale.

Sempre uguale.

No.

Naruto se ne stava spalle al muro, petto in fuori e colonna vertebrale perfettamente verticale. Respirava lentamente, facendo meno movimento possibile, mentre guardava ora a destra, ora a sinistra: via uno. Si piegò e fece un piccolo e potente balzo, a scatto, per andare a scomparire dietro l'angolo.

Nessuno l'aveva visto.

Una cosa vagamente simile ad un sorriso gli si dipinse in faccia: la sfida si faceva interessante. Lasciava scorrere pupille ed iridi sul corridoio, cercandone i punti strategici: ogni tanto passava qualche Magister.

Naruto.

Che nome idiota.

Naru to.

Na. Ru. To.

Cosa farai, adesso?

Ti crogiolerai nel dolore, Naruto?

Ti crogiolerai nell'assassinio, Naruto?

Chi sei, Naruto?

Il ragazzino era sempre più vicino alla meta: sentiva una voce grave che si avvicinava ad ogni suo spostamento. Eccolo. Era lì.

Si acquattò dietro lo stipite della porta, in stallo.

La senti?

No.

Dov'è finita? Quella cosa che ti muoveva.

Naruto, cosa cerchi?

Oh, lui cercava, sì. Cercava l'adrenalina.

L'adrenalina che lo aveva sempre spinto.

La sfida.

L'eccesso.

Ciò che aveva ucciso Konohamaru, in sua vece.

Naruto si sporse sulla porta dell'aula: i ciuffi biondi spuntavano dallo stipite assieme ai suoi occhi azzurrissimi, e qualche scorcio dei segni che recava sul volto.

L'Ignis Umbra parlava: la voce rimbalzava lenta sulle pareti, tornava indietro, si disperdeva; due Magistri sostavano ai margini della porta, guardando verso il palco.

Naruto guardava il bambini e l'Ignis Umbra – il nonno di Konohamaru; quel vecchio, sempre lo stesso vecchio che parlava con fare convinto ogni anno ad ogni inizio anno ad ogni schiera di mille bambini scelti.

Nessuno l'aveva visto.

Cercava l'adrenalina, Naruto?

No.

Naruto cercava qualcos'altro.

Cercava Konohamaru.

Cosa era, Konohamaru?

Cosa era stato?

Un bambino?

I piccolini erano tutti uguali. Possibile? No, c'era sempre qualcuno che si differenziava: eppure, quel giorno, agli occhi del biondo erano tutti uguali.

Konohamaru era stato tra quelli, e non l'aveva mai notato. Come ora non riusciva a notare nessuno in particolare, allora non aveva notato Konohamaru.

Eppure Konohamaru era diverso.

Era stato protetto, protetto troppo.

Era stato spinto, spinto troppo.

Era stato maltrattato, maltrattato troppo.

Cosa cerchi, Naruto?

La diversità.

Naruto aveva sempre cercato la diversità.

Konohamaru era già diverso.

Diverso non è bene, al Ludus. Nemmeno per il nipote dell'Ignis Umbra. Soprattutto per il nipote dell'Ignis Umbra.

La diversità aveva ucciso Konohamaru.

Ciò che muoveva e faceva vivere Naruto, aveva invece calato il colpo di grazia su quel bambino.

Una mano gli si appoggiò sulla spalla: Naruto ebbe un tuffo al cuore, quasi a sentirsi morire, mille volte peggio del solito. Troppa carica.

Si voltò: non un sussulto esterno da parte sua, non un mutamento nel volto che si rifletteva ora negli occhi di un Magister che aveva già visto, in una situazione simile.

Il Magister rimase a tener salda la mano sulla spalla del tredicenne, fissandolo. Ad un certo punto, espirando, Naruto calò lo sguardo a terra, con fare rassegnato.

Era come era stato gli altri anni?

O era diverso?

Era, come era che fosse?

Konohamaru, lui, cosa voleva?

Cercava un'altra diversità – perchè anche Konohamaru cercava.

Cercava la diversità per definizione.

E alla fine era sempre la stessa cosa, lo stesso problema.

L'identità.

Ma chi aveva insegnato l'identità a quei ragazzini?

Nessuno.

Loro dovevano essere come gli altri, tutti uguali, nessuno diverso. Solo un nome a distinguerli, nella massa.

Ma quando la diversità ti è intrinseca - allora già la conosci, sotto ogni suo aspetto, sfaccettatura ed essenza.

E a volte la sfuggi.

E a volte la brami.

Non sai se sei ciò che sei perché sei diverso, non sai se sei diverso per ciò che sei: se sei chi sei o se non sei chi sei perché non sei uguale – ma anomalo.

Anomalia.

E identità.

E a volte la sfuggi.

E a volte la brami.

E così accadde che le nocche del biondo incontrarono, in una minima frazione di secondo, prima la pelle, poi un sottile strato di carne, ed infine lo zigomo, che urtarono violentemente facendo smuovere l'aria fra atlante ed epistrofeo del Magister.

Un suono secco.

Il poderoso gancio fu accompagnato immediatamente da una ginocchiata allo stomaco, profonda e tagliente, che con una rapida oscillazione dell'arto fece sì che Naruto andasse ad incastrare il tallone dietro quello dell'uomo, e facendo infine leva assieme ad una potente spinta del busto, scaraventò definitivamente il Magister a terra.

Era accaduto tutto in un istante. Un misero e scarso secondo. Tutto in silenzio, un silenzio inumano, assieme a qualche soffice, inesistente rumore.

Naruto osservava con gli occhi sgranati la figura che aveva neutralizzato in un battito di ciglia.

Sì.

Oh, sì.

«E' dunque questo quello che vuoi?»

«... forse.»

Sorrise.

La colluttazione. La battaglia.

Ora voleva quello. Ora, ed ora soltanto, o forse sempre: ma con foga estrema, la desiderava. La mente si era riunita: doveva rimettersi in gioco.

No.

Doveva crescere.

Migliorare.

Naruto correva come correva sei anni prima.

No.

Cresci.

Non era un ordine.

Era un impulso.

Un impulso che lo muoveva mentre solcava i corridoi in cemento, usciva, all'aria pungente di gennaio, ed al posto del cuore una pompa che si apriva e si chiudeva ad ogni battito con più foga.

Oh, sì.

Non l'aveva ucciso, il Magister.

La sua calibro 45 stava lì, al suo fianco.

Non l'aveva ucciso. Ma l'aveva atterrato.

E si era sentito potente.

Non sapeva cosa sarebbe successo dopo.

Ma non gli importava.

Cresci, Naruto.

Non gli interessava il futuro.

Non gli interessava quanto male gli facesse ogni colpo che riceveva da ogni Magister, perché lui gliene tornava il doppio, mosso da qualcosa che non capiva ma che amava.

Cambia, Naruto.

Voleva una cosa, la voleva ora.

Estrasse la sua arma.

Divieni, Naruto.

Era solo lui. Era solo. Era sempre stato solo, ma ora era diverso.

Era solo contro tutti.

E in questo modo poteva identificarsi.

«E' questo che vuoi?»

«Oggi, sì.»

«E domani?»

«Probabilmente domani sarò morto.»

Apri la strada, piccolo fiume.

Scava, lento, lento e pacifico.

E quando poi giungerà l'innondazione,

allora

distruggi

   
 
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