#03 Personal Jesus –
Trauma
Someone
to hear your prayers
Someone who cares
Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who's there
[Personal Jesus, Depeche mode]
E non sai
"Niente? Non vedi niente? Non ricordi
Niente?"
[…]
"Sei vivo, o no? Non hai niente nella testa?"
[La
terra desolata, T. Elliot]
-
"Per favore, nii-san,
non rendere le cose più difficili. Sono già tanto
stanco."
Giorni di vuoto poco
distanti; Ed lo fissa, e l’ha già perso.
Il morbido fratellino
partorito dalla mamma per premiare la sua scontrosità,
vincere l’indifferenza
persa ed ora riacquisito, perché ha perso suo fratello, e
suo fratello ha perso
sé stesso.
Sulla carrozzella, cinto
nel bianco lo osserva, scuote la testa; non vuole uscire fuori, dove il
sole lo
abbaglierà, e dipenderà ancora e ancora da Al,
dalle mani non sue che lo
trasporteranno, accorte ed inerti.
Winry li fissa, in casa
alle loro spalle, sgomenta dalla tensione di Ed, ingentilita nella
giovane età,
bambina spaurita in un litigio che litigio non è, eppure
l’uno è stanco,
deluso, afflitto; l’altro è così
scomposto da non permettere di definire cosa
sia.
Ella tende le labbra,
lentamente schiudendole; ma non ha voce in gola per gridare.
Né ha avuto voce per
gridare ai suoi genitori di non lasciarla indietro; non in loro
presenza.
Soffocandosi ha pianto,
premendosi le dita sulla gola per non fare troppo rumore e non
tormentare
nessuno col suo dolore, solo consumarlo in santa pace.
Allo stesso modo ora può
solo proteggerlo schermandolo con la schiena sottile davanti allo
sguardo spento
di Al, scuotendo vigorosamente la testa.
No.
Edward le porge un esanime
sorriso, gli occhi incavati nel viso simili a bottoni cinerei e sottili
su
campo bianco opaco, senza spessore, senza riguardo per
l’insostenibile visione
che le sta ora procurando, turbandola.
E’ dura.
E’ semplicemente troppo
dura per spalle così infime e lo sguardo debole di lei, che
ora cerca rifugio
tra le pieghe della gonna a fiori fissandole come se gliene importasse
qualcosa, quando in verità trema forte per pura frustrazione.
Lo sguardo opprimente di
lui è così pesante da parere metallico ed aspro,
stridente contro la testa
china ch’ella gli volge.
Non c’è altra
soluzione.
"Senti. Senti, Al, lo
porto io." ella s’illumina allora, fievole luce mattutina
nella stanza
scura, rifugiandosi in questa scusa per fissare senza ragione il volto
realmente metallico di Al che non le porge alcuna espressione
né l’opprime
fortemente come quello di Ed, annuendo piano.
Anche se il suo metallico
lo è davvero.
-
"Guarda. Ricordi che
da piccoli ci sedevamo spesso qui a far rimbalzare sassolini
sull’acqua?"
Mossa sbagliata.
Rivangare ancora e ancora
il passato non è esattamente la cosa che più
possa confortarlo, mentre ella lo
parcheggia con la carrozzella accanto a lei, sulla parte meno scoscesa
della
riva del lago, fissandolo in cerca d’un minimo, insensato
incitamento a
proseguire col suo tardo riesumare memorie lorde di terra ed ossa.
Sei felice? No, non puoi
essere felice. Cosa posso fare per renderti meno infelice?
Lui fissa il cielo appena
celato dalle ombre degli alberi, dinanzi a lui, seppur senza vederlo.
Quello che invece vedono i
suoi occhi devastati, è precluso a chiunque altro.
"Ricordo. Qui è dove
io ed Al litigammo per qualche stupidaggine."
Per sposare me, Ed.
E’ ancora vivo.
Nonostante tutto, lei
ringrazia ora ogni Dio le venga in mente per quelle scarne e avvilenti
parole.
-
Al.
Il primo colpo.
Perdonami, Al.
Il secondo colpo.
Perdonami se ho sorriso,
Al.
Un altro ancora.
Non volevo sorridere,
Al, davvero. Non volevo.
"Nii-san, cosa…"
Scusami.
La visione lo atterrisce, e
così non riesce più a ragionare; dapprima
indietreggia pesantemente, gemendo
come un pianoforte dalle corde rotte, poi scuote forte la testa,
soccorrendolo
e scuotendolo un poco.
Perché così
non va, non va
affatto.
L’ha fatto di nuovo.
Ha di nuovo preferito la
propria felicità a discapito della sua preoccupazione.
Dovresti smetterla,
nii-san. Ci farai ancora preoccupare tutti.
Eppure, dolcemente, lo
raccoglie come sempre, tra scricchiolii di giunture non oliate ed odore
di pena
che solo chi, come lui, non può sentire col naso
può percepire.
Il retrogusto amaro di un
impeto instancabile che ogni notte aggredisce Ed con furia animale,
componendolo in pezzi simili a sabbia, allontanandoli ed avvicinandoli
sempre
di più.
Guarda, Al, nessuna
ferita. Io sto bene, Al. Credimi, Al.
Ci sono cose che solo Al
può capire.
Poiché è una
femmina, è
sempre stato lecito escluderla dai nostri segreti, i nostri
“affari tra
uomini”.
Ci sono cose che solo Al
non può capire.
Poiché è una
femmina,
non possiamo permettere che soffra con noi, perché sarebbe
ancora più doloroso.
Ci sono cose che solo ad Al
non desidera dire.
Anche se prendere a
testate il muro come espiazione non è normale.
E Winry sarà
già troppo
inquieta per rendere tanto più salate le giornate insapori
che condividono.
Ultimamente lei di notte,
infatti, ha spesso sentito rumori che l’hanno fatta stringere
di più alla
coperta, gelidi fremiti a pizzicarle la schiena vibrandone fortemente
ogni
muscolo sobbalzante e scalpitante, ma non è certa di voler
incontrare ancora
quello che vuole essere un sorriso rassicurante su un armatura senza
vita, che
stringendo un Ed particolarmente infiacchito tra le giunture
meccaniche,
nervosamente le ripeterà che va tutto bene.
E per quale ragione non
dovrebbe credergli, dopotutto?
Non potrebbe opporsi a
niente, come sempre, in alcun modo.
-
"Preparerò dei
biscotti."
Non sai preparare
biscotti, Winry. Perché allora te lo riproponi?
La carrozzella di Ed è
ancora voltata verso la finestra, così non può
vedere cosa manifesti in viso;
non può, principalmente, vedere se
manifesti qualcosa in viso.
Perché anche il minimo
stimolo può essergli vitale. Anche una parola può
fargli riaprire gli occhi.
"Dai, non ridere, Ed.
Imparerò in fretta a farli. Davvero."
Ridi. Ti prego.
Non c’è
risposta al suo
replicarsi da sola quando lui non risponderà né
riderà.
Riempire il silenzio con le
proprie parole è quanto l’aiuti a non sentirsi
sola, quando lui non le risponde
mai.
Non si è mai sentita
così
stupida, ma non si è nemmeno mai sentita così
sola.
Preparerò biscotti per
lui perché sarà come vivere con qualcuno
affianco, quando Al non respira e la
nonna me li affida entrambi per lavorare. Leggerò un libro
per imparare a
prepararli.
Gli passa accanto per
svuotare il vaso di fiori appassiti a lui accanto.
E’ un mese che dimentica
di
annaffiarli.
E saranno i più buoni
biscotti che abbia mai assaggiato. Davvero, bruciacchiati o meno
avranno il
sapore della mia vicinanza. Il sapore di me.
Armeggia a lungo, muscoli
tesi e viso tirato, ai fornelli, senza distrarre un istante gli occhi.
Consumandoli sino a farli
lacrimare, bruciandosi le dita.
Porgendogli il prodotto
delle sue fatiche con mani timide ed affannate, scivolose di sudore e
nere di
bruciature.
Lui non allunga le mani a
prenderli, si limita a riflettere i suoi occhi in uno sguardo
sconsolato.
Facendosi un poco forza,
allunga il collo a prenderne uno tra i denti.
"Mh. Sai…"
Mastica piano, assaporando
con lentezza senza poi alcun reale interesse nel paesaggio che aveva
sino ad
allora scrutato ed ora disinvoltamente abbandona temporaneamente.
"…la mamma ne faceva
di buonissimi. E’ dura trovarne di buoni come quelli."
Lei trema, un poco,
scostante e ferita con gli occhi lucenti di lacrime rabbiose ed
esauste, poi
lasciandogli cadere il piatto sulle ginocchia per crollare lontano,
congedandosi con labbra morbidamente celate da una mano opprimente.
Non so che fare. Non so
cosa dare. Non c’è altro. Niente. Niente. Non so
che fare. Non so che fare.
Lui volta leggermente la
carrozzella a guardarla, e la fissa un poco, senza forze per schiudere
le
labbra e dirle che il punto era che, dopotutto, gli piacevano
tantissimo anche
questi.
Il vento rumoreggia alle
sue spalle, ed è ingiusto sforzarsi di percepire ogni
più velato di lei singulto,
quando lei vorrebbe solo stroncare la propria vita se è
così inutile, e sarebbe
ancora più inutile se lui non la riconoscesse come solido
supporto ; dopotutto
può capirla, e torna a fissare a lungo il cielo, voltandosi.
-
Questa volta sta per giungere
una giornata dura, una giornata spaventosa.
Lui può sentire le mani
di
lei tremare anche mentre gli pettina i capelli per poi intrecciarli, ed
Al
tiene il capo fisso su di loro, rannicchiato a ridosso di un muro,
indecifrabile e terrificante come non può che essere
un’armatura senza respiro
che è in vita.
Solo, li guarda.
Lei rammenta, tremante, lo
sguardo puro e coraggioso di Ed, sempre levato su chiunque lo fissasse,
bambino
impertinente e sicuro di sé.
Lo sguardo protettivo che
sempre aveva rivolto ad Al.
E di questi ricordi non
fanno parte le scuri che sono diventate i suoi occhi che si aprono a
fatica,
senza fiato e taglienti nei bulbi oculari brucianti di sudore salato,
avvelenati dalla visione liscia dei riflessi del sole su di Al.
I riflessi dell’oggetto
che lo hai fatto diventare.
"Non ci vorrà
molto." lei lo incoraggia per salvarlo ancora e ancora d’ogni
constatazione infelice che gli comporti la visione lucente di Al.
Ed entrerai in quel
maledetto esercito. Lontano da me.
Lui abbassa il capo
lentamente, e lei si volta per adagiarselo su un fianco senza che Al lo
scorga
chiaramente, come un gesto casuale.
Potrebbe essere
bellissimo averti lontano da qui, senza nuove torture, senza
espressione.
Lo stringe teneramente, pur
certa che se fosse più in forze l’allontanerebbe
nuovamente con parole amare
perché no, davanti ad Al non si può fare.
Ma non sarà bellissimo;
sarà terrificante. Più spaventoso del tuo viso
perso in quello che non c’è più.
Sopprimerà
un’altra volta
la voce nel rendergli arti tangibili, nel pomeriggio.
Chissà se tornerai.
Chissà se vorrai ritornare. Ma io attenderò con
pazienza; sei ancora qui e già
sono confusa.
Quando Al tremerà
davanti
alla porta compensando l’assenza di urla fraterne, in un
terrore che gli
bagnerebbe gli occhi, se potesse accadere.
Se avesse degli occhi.
-
Sei così fortunato,
nii-san. Tu puoi ancora mangiare. E’ molto buono, te lo
assicuro.
Un colpo e non sanguina.
E’ colpa mia scusami
perdonami ancora e ancora.
[Chissà se mi odia. Chissà quanto mi
odia.]
Batte la testa un’altra
volta, stridente rincorsa delle ruote, pesante di molli arti che non
può ancora
utilizzare.
E’ colpa mia scusami
perdonami lasciami
scontare la pena.
[Come posso rimediare? Va bene se rimedio
così?]
Il cuoio capelluto diventa
livido con lentezza, coperto fittamente dalla massa bionda che ormai
lascia
crescere a piacimento d’essa a quest’unico scopo.
Se non la celasse appieno
sarebbe tutto inutile.
Un fugace pensiero
gl’allevia il peso in animo, e passa l’unica mano
di carne sul ginocchio
meccanico, serrando le dita a gettarlo giù dalla carrozzella
per ovattare
gentilmente il suono delle ruote sul pavimento.
E’ colpa mia scusami
perdonami non farò altro rumore.
[Io
l’ho messo in un corpo che odia. Io continuo a rovinare
tutto.]
Quando non ha altre forze
si limita a crollare il capo pesantissimo sulla spalla, ansante e fiero
come un
leone arruffato dopo aver dato la caccia a una gazzella.
Non ha nemmeno svegliato
Al.
Va bene così.
Ed andrà meglio di
giorno
in giorno, camminando, camminando con Al e salutando Winry.
Allontanandosi dai ricordi,
che sono oggetti da fare a pezzi e seppellire lontano.
Al sarà
l’unico ricordo che
porterà con sé.
Al sarà
l’unico oggetto che
porterà con sé.
Perché non è
nient’altro
che questo, oramai. A causa mia.
[Ed è
colpa mia, scusami. Perdonami sino alla morte.]
-
"Davvero, non
disturbarti più di così. Nii-san è mia
responsabilità. Lo accompagno io. Se si
stancasse troppo non potresti certo portartelo in spalla."
Al l’accompagna
sorridente
con lo sguardo; qualcosa che entrambi gli undicenni presenti possono
discernere
solo dall’inclinazione tranquilla del capo, il premere
gentilmente le mani alle
basse spalle del fratello che non lo guarda, ma guarda il muro.
Non vuole più guardarlo
se
può evitare di farlo.
Può solo annuire.
"Non è mica
così
debole. No, ce la farei." ribatte lei supplicandolo con la fermezza
della
presa all’indumento che ha tra le dita.
E’ basso e deperito,
accidenti. Ovvio che non pesi tanto, auto-mail a parte.
"E’…lo stesso,
sì." sussurra lui un poco incerto, cercando di stabilire chi
dei due abbia
già fatto troppo per lui, ma è una scelta troppo,
troppo difficile; così non
sceglie affatto, e lei gli porge la giacca rossa perché
è inverno e se no
prenderà freddo.
Lo avvolge col calore delle
acque profonde in cui sono immersi i suoi occhi, e lui farà
per sempre tesoro
di questa visione afflitta, vulnerabile ed inattesa.
Lo sta lasciando andare, e
non è nemmeno totalmente certo di volere questo.
"…Al. Senti, Al. Io
non voglio…disturbare nemmeno te. Ecco. A lei non pesa, a
lei…non devo…così
tanto."
"Ma nemmeno a me pesa,
nii-san."
Ma se i tuoi occhi
fossero qui diresti il contrario.
"Vuoi farti aiutare da
una ragazza, nii-san?"
Ma se uno specchio
riflettesse la tua sagoma spigolosa, se scorgessi sul suolo la tua
ombra
innaturale, tremeresti.
"…sì,
io..sì. Voglio
farmi aiutare da una ragazza."
"Nii-san…"
I fratelli si fissano un
poco, senza comprendersi, e l’amica timidamente esulta in
cuore, sperando di
aver inconsapevolmente sfiorato le corde giuste di quello di Ed.
Sperando di riuscire a
scioglierle una per una, ma senza fretta, dai vigorosi e stretti nodi
che le
stringono, rendendo mostruose e senza sonno le sue notti come quelle di
Al.
-
Ha desiderato testare gli
auto-mail ora che è ancora fresco d’intervento, e
gli arti non gli rispondono
certo bene, ai primi comandi.
Flettiti. Piegati.
Indietro. Avanti. Su. Giù.
Camminano vicini per la
strada, ed in preda ad un istinto impetuoso lui si ferma e fissa un
albero.
Lentamente si concentra per
flettere le dita e chiudere il pugno argenteo, poi lo abbatte con forza
contro
la corteccia ruvida ed incisa di ombre profonde.
Non fa male.
Né ottiene di scuotere
l’albero, poiché il gesto l’ha stancato,
ma non è ancora pienamente in forze.
Dovrà diventare molto,
molto più abile di così.
Lei lo guarda un poco,
curiosamente, e lo chiama sfregandovi lo sguardo addosso da lontano.
Lui lo percepisce
nitidamente, dunque la segue ancora, sguardo sempre l’uno
sulla schiena
dell’altra e poi viceversa; cambiano di posto allontanandosi
sempre maggiormente.
Sono infelici quando
riposano le caviglie stanche sull’erba ruvida ed affatto
confortevole al primo
pomeriggio; non parlano, non fiatano neanche per timore di darsi
vicendevolmente fastidio.
Così diventano pian
piano
più pallidi, senza guardarsi negli occhi dalle palpebre
pesanti d’un insonnia
condivisa, che va avanti da giorni e giorni, da quando lui si
è sforzato di non
urtare più i nervi altrui rumoreggiando contro il muro.
Lei ha teso le orecchie per
sentirlo, vegliando a lungo; ed ha preso questa situazione di controllo.
Né lui può
più andare
avanti nell’espiare ogni colpa, se questo può
sconfortarla tanto; se questo può
sospingerla a reagire in qualche maniera.
Perché non sarebbe
giusto
per nessuno.
Così lui si alza,
sentendo
l’erba troppo fievole e lieta tra i piedi nudi delle scarpe
accostate ad
entrambi, e vuole allontanarsi, mentre lei lo guarda.
C’è qualcosa
d’insostenibile in tutta quest’atmosfera candida e
silenziosa, qualcosa di
macchiato.
Qualcosa che non sono né
gli occhi stanchi, gelati di lei, né il putridume riversato
nel fiumiciattolo
dai depositi alluvionali degli ultimi giorni; qualcosa che a spiegarlo
a parole
è una gratitudine incerta, un soppesare nuove e nuove colpe,
un capire di aver
negato qualcosa a qualcuno un’altra volta.
"…c’è
ancora qualcosa
che non va bene, in questo posto tranquillo, sai?" lei spezza il
silenzio
con la disinvoltura casuale e soppesata d’una
sensibilità per lui e non altri,
che non urta, non crepa gli arti tenuti insieme da un’attenta
saldatura e non
ossa, e con esse la nuova maschera di ferro di lui.
Perché se stringo i
pugni, può sembrare una contrazione involontaria.
"E questo non sei tu,
eh.", prosegue ella, serenamente, d’una serenità
inquieta e disturbante,
perché lei, che lo fissa, per una volta, dal basso, non ha
motivo d’essere
serena; può scagionarla soltanto premendo sul fatto che il
cullarli del vento,
inibendoli, li affondi entrambi nella dolce dimenticanza d’un
posto pieno della
parte migliore dei ricordi, non quella crudele.
Se non ricorda altro, non
può essere infelice.
Perché se anche solo
accosto un pugno falso ad uno vero, non si può vedere quanto
faccia male.
"Io non…voglio che tu
pensi male di te stesso.
Perché se tu non avessi
provato sulla pelle le cose sbagliate, non sapresti che lo sono, ed ora
saresti
insoddisfatto.
Hai pagato un prezzo e non
ottenuto quanto volevi, ma non c’è una scelta
totalmente felice.
Non c’è mai.
Se ci fosse, sarebbero
sempre tutti felici e contenti, e non è così.
Se non è
così, va bene; hai
sbagliato, ma non completamente.
Quando si fa qualcosa per
qualcuno a cui si tiene, non si è mai del tutto razionali.
Ed il valore di una persona
non si misura né in centimetri, né nella
quantità di sangue che versa.
Non meriti di…passare
ancora questo.
Di scontare così,
perché
esistono parole più confortanti e buone, che alleviano il
dolore, risolvono
tante cose ma non tutto; perché hai già pagato
abbastanza.
Non è il modo giusto di
farti perdonare, questo; lo sai, no?"
Lui è un poco turbato e
qualcosa pulsa, distintamente, tra le tempie e le sue orecchie; sangue
ribolle
d’un ribollire dolceaspro, eppure in breve è tutto
passato, il tempo di
contrarre un labbro in dolore e rovinare giù sul prato,
pesantemente su di lei
che lo guardava, seduta, di fronte a lui.
L’auto-mail nuovo non ha
risposto affatto, affatto bene; se prima voleva allentarsi, che ancora
forza un
sorriso confermandogli che va tutto bene, anche se i battiti accelerati
del suo
cuore affermano il contrario.
Perché se no sarebbe un
nuovo motivo di contrariarsi, di odiarsi, di sapere di aver sbagliato
ancora.
Così lei è
gentile e lui
alza il braccio per sollevarsi, carponi, fissandola senza scampo
negl’occhi;
non c’è altra via, non c’è
altro da guardare se non iridi spaventate e gentili
che paiono tastarlo con la gentilezza d’un paio di carezze
sul viso contrito ed
inumano.
Non va affatto bene,
perché
lui scivola ancora, troppo sconvolto per avere una minima padronanza
degli
auto-mail sul suo corpo ormai da innumerevoli mesi; sente il petto di
lei
sconvolgersi ancora e ancora, caldo ed accogliente, in una maniera che
non
aveva mai attestato fosse per davvero.
Piacevole.
"Se…se…"
"…se?"
"Se ti calmassi,
sarebbe come il respiro della mamma. E…sarebbe molto bello."
Ed arrossisce lievemente,
scontroso e timido come non mai, e lei chiude gli occhi ed espira
forte, difficoltosamente
placandosi, per accoglierselo calma in seno.
Guida il suo capo sul
proprio cuore, aspro ed incerto in puerile pudore, e lì lui
giace a lungo,
riposando le palpebre, ammorbidendo la rigidità dei muscoli
tesi, ed è salvo
tra quei battiti di cuore che paiono scandire lentamente che
è stato salvato e
va tutto bene, va tutto bene.
Anche se poi
dimenticherà
questa sorta di momento intimo tra loro, tenero e vellutato, in favore
d’un
senso di colpa che gl’imporrà di dimenticare per
non detestarsi ancora, perché
Al questo quietarsi d’animo non potrà provarlo.
Lentamente, impara a
proteggere sé stesso.
-
In altri mesi lui è
pronto
a partire, più alto e segnato di ferite visibili, che fanno
sperare dentro ve
ne siano poche.
Al sorride più
affabilmente,
perché il placarsi fraterno ha turbato meno lui, il loro
rapporto; la serenità
con cui si affrontano, anche a parole.
Non sa nemmeno perché,
dopotutto, ma spera che duri; spera che Ed, crescendo, maturi oltre,
migliori
oltre, perché viva meglio.
Perché non
può vivere con
un fratello che non sa come vivere.
Non sanno quando, ma
saranno pronti a tornare, presto.
O tardi.
Il cielo è ancora bianco
perché è presto, e bruciata la casa con dite
arrossate, il giorno prima, Edward
ha congedato gli ultimi frammenti della loro vita, in favore
d’un nuovo scopo,
per ricomporre il puzzle.
E’ presto
perché andranno
lontano.
E’ presto
perché lei ha
vegliato sino a tardi con loro, per revisionare un’ultima
volta gli auto-mail,
ed ora starà sicuramente dormendo.
E’ presto
perché lei
piangerebbe; ed è l’ultima cosa che possano
desiderare.
Eppure quando sono fuori
con la vecchia Pinako, lei è in procinto d’uscire,
madida del nuovo terrore di
essere dimenticata lì, da sola, ed ansiosamente, in pigiama,
scarmigliata,
devastata, allunga la mano ad aprire l’ultima porta, barriera
tra lei e
l’esterno;lei ed il raggiungerli per un affliggente saluto.
"Lei piangerebbe,
zietta, quindi non la saluteremo. Fallo tu, per favore."
Non vuoi salutarmi. Non
vuoi salutarmi.
"Torneremo, comunque.
Servirà qualche revisione agli auto-mail di nii-san."
Voglio vederlo. Voglio
vederlo.
Ella sosta
a lungo così, tra il nulla ed il tutto, a
metà
della bilancia, ove l’ago nemmeno si posa.
Lo sa, lo sa bene che ora
è
il suo, di sguardo, a risultare pesante a lui.
Perché ha dimenticato
tutto, tranne l’ansia di starle vicino e l’ansia di
starle lontano.
Che sia un bene o un male,
non sa dirlo; ma se potrà servire a qualcosa, a cambiarli
entrambi, non sarà
tempo sprecato.
Non sarà gioia mancata;
solo assenza d’un qualsivoglia aspetto della vita insieme,
che era vuota e
grama, ma tanto, tanto consolatoria.
Così non apre la porta,
ma
si raggomitola sulle ginocchia in terra, attendendo di sentire i
rumorosi e
pesanti passi metallici di entrambi i fratelli allontanarsi.
Risalirà piano le scale
da
cui si è precipitata giù, soppesando con lo
sguardo ogni singola incrinatura
del pavimento, col naso ogni singolo odore, per quanto effimero possa
essere.
Poi, verrà il nuovo
giorno.
-
Note
finali: Altra
fic per il theme-set Violator postato da Maki sul forum, ovviamente.
Ho aspettato secoli a pubblicare questa cosa senza un reale motivo, in
verità.
Era pronta da tempo, con un’idea di base rimasta a lungo
latente, anche, ma
ora, uhm, direi che è proprio finita.
Mi sono sorti tanti e diversi dubbi nella pubblicazione, ma credo vada
bene
così, alla fine, non posso dirmi totalmente insoddisfatta, e
spero vorrete
lasciarmi qualche parere tramite recensioni.
E’ abbastanza angosciante trovare due o tre recensioni per
una fic che segna un
numero di letture pari a 150 o su di lì, no?
Ecco, lo apprezzerei molto.
Se tutto procederà per il verso giusto, mi
metterò presto al lavoro per
completare, prossimamente, Clean, una cosina apparentemente
leggera in
cui si scoprirà, tra le tante cose, del buffo momento in cui
Ed e Al si
contesero la piccola Win. Al momento, però sono piuttosto
presa dalla mia eretica
fic totalmente angst su Al e Winry, quindi, previo inconsueti scatti di
ispirazione incontrollata, ci vorrà un po’ prima
che mi dedichi ad altro.
Ringrazio ancora, e tanto, le mie recensitrici più accanite
e fisse, Siyah
(Apprezzo sempre molto i tuoi commenti, sono particolarmente personali
e
ragionati, spero continuerai a seguirmi), Cidori (Non credo di meritare
tutti
quei complimenti, ma ne sono ovviamente contentissima ^^) e Onda, che
ha sempre
anteprime complete ma mai si scorda di commentare anche qui. Il che
è piuttosto
scemo, ragazza mia, ma sei fatta così, eh?
E grazie mille anche ai recensitori nuovi e saltuari, che non si sa mai
continuino a seguirmi ^^.
Detto questo, alla prossima fic, EdWin o meno che sia XD;.