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Autore: Il Cavaliere Nero    19/10/2012    2 recensioni
'L'amore è una calamita che entra in azione quando il tuo esterno è la copia dell'interno di un'altra persona. Solo incastrandoti con lei ti sentirai completo.'
Clarissa e Roberto: l'amore è questione di chimica o desiderio di ricongiungersi alla metà della nostra anima ospitata nel corpo d'un altro?
Estratto dal prologo:
"Era solo questo, il motivo per cui c’ero andato a letto: lei era indubbiamente una ragazza molto bella, m’aveva attratto ed io m’ero voluto distrarre.
Mi presi del gioco di quel termine: ‘Distrarre, dal latino devertere, cioè allontanare, deviare.’
Che cosa mi suggeriva la mia mente? Che avevo voluto allontanare la riflessione? Deviare l’attenzione da ciò che mi preoccupava?
Sciocchezze, avevo solamente voluto divertirmi un po’.
‘Già, divertirmi.’ Mi consolai, eppure non potei non ricordare che, nell’opinione di Pascal, il divertissement era, letteralmente, l’atto del devertere: la volontà inconscia d’allontanarsi dalla paura, di distrarsi dal mondo, estraniarsi dai problemi."
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo Terzo
Malaugurante Viola-teatro


“Oggi abbiamo qui dei manichini!” tuonò il vecchio professore di recitazione, un omone la cui scarsa altezza era compensata da un’abbondante peso. Le parole di rimprovero giungevano poco chiare a causa del pizzetto bianco non curato, e la camicia azzurra sul pancione si alzava e riabbassava con velocità rivelando un respiro affannato che sempre accompagnava le sue grida. Mentre passava con flemma una mano tra i capelli bianchi, spettinandoli dalla già precaria forma in cui l’aveva acconciati forse qualche settimana prima, Clarissa pensò che i jeans larghi sarebbero caduti a terra quando avesse tentato di risalire i tre gradoni per raggiungere i suoi allievi sul palcoscenico.
“Se questo sarà il tenore delle prove per tutto il giorno, sarà meglio che ve ne torniate a casa…anzi, in classe: dovete studiare per gli esami, no? Ebbene, studiate! E lasciate perdere il teatro!” la sua voce grezza risuonò forte e dura per le mura del piccolo edificio adiacente l’università, zittendo ogni bisbiglio sommesso.
Storia di secoli: quel vecchio professore provava una sincera rivalità con qualunque cosa riguardasse l’università, che al contrario accettava di buon grado d’accogliere gli spettacoli da lui inscenati nelle aule migliori e più spaziose, e i volantini che pubblicizzavano il suo corso nelle bacheche d’ogni facoltà; ed infatti più della metà dei suoi allievi erano studenti universitari.
“I vostri movimenti sono goffi, e questo mi manda ai pazzi!” proseguì, afferrando dalle mani dei teatranti i fogli del copione per poi tornare sui suoi passi, caracollando da un gradone all’altro nell’ardua discesa.
“Inoltre non capisco l’utilità di questo pubblico e la cosa non mi piace affatto!” precisò, senza neppure rivolgere uno sguardo alle due persone colpite dalle sue parole: superò quei poveretti, seduti nelle poltrone all’angolo per disturbare il meno possibile le prove, e con un’aria di cupa superiorità abbandonò il salone.
Roberto e Clarissa, seduti l’uno al fianco dell’altra, si scambiarono un’occhiata di disagio, mentre i provetti attori riportavano in auge il tono delle loro voci.
“Neppure si ricorda che faccio parte del gruppo di regia…” borbottò Roberto alla rossa, sprofondando nella poltrona.
“Se lo ricorda eccome…” lo corresse Pamela, mentre procedeva a lunghi passi verso di loro “Solo che non sopporta nessuno, eccezion fatta per noi, durante le prove: gli attori rischiano di perdere la concentrazione.”
Clarissa a stento si trattenne dallo sbuffare rumorosamente: quel vecchietto era un altro motivo di discussione per le due amiche. Pamela lo definiva un grande artista, forse un po’ lunatico a volte, ma abile nel suo mestiere e grande conoscitore di arte, filosofia e teatro; Clarissa invece lo riteneva un professore che non meritava affatto il suo ruolo, un uomo tronfio e maleducato che molto spesso straparlava e basta. Non aveva mai avuto occasione di vederlo recitare, ma avrebbe scommesso fosse un pessimo attore!
“Leviamo il disturbo?”  il tono di Roberto suonò ironico, ma la castana non volle capirlo:
“Troppo tardi, pare.”
Quando si trovava a teatro e provava le battute di scene, Pamela diveniva assolutamente insopportabile: il guizzo che Clarissa sperava rappresentasse solo una piccola parte della sua anima esplodeva con forza, rendendola simile più a un’estranea che ad un’amica secolare. E neppure lei sopportava Pamela quando si atteggiava in quella maniera.
Al loro fianco, in silenzio, comparve Patrizio: ascoltò senza proferire parole il battibecco tra i due contendenti, ficcando le mani nelle tasche dei jeans schiariti sulle cosce.
 Il biondo puntò gli occhi su quelli che erano stati apostrofati come ‘pubblico’: le loro guance erano imporporate d’un rossore che non esitò ad imputare piuttosto all’interruzione del loro discorso sussurrato nelle orecchie tra una battuta e l’altra degli attori che all’ironia del docente.
I quattro giovani, dalla sera della festa in quel ricco attico, avevano preso a frequentarsi: molto spesso si fermavano a prendere un caffè e chiacchierare al bar dell’università, e da qualche giorno Roberto e Clarissa assistevano insieme alle prove del tombeur des femmes e di Pamela, seduti in un angolo buio della sala per non dare nell’occhio. L’unico a non rispettare fedelmente questa sorta di strana abitudine che pian piano si stava creando era Patrizio; talvolta dava buca agli altri tre con un sorriso sornione che faceva capire loro il motivo della sua assenza: una donna.
Roberto lo sfotteva con affetto, Pamela taceva e Clarissa scuoteva la testa divertita: era rimasta piacevolmente colpita dal fatto che avesse effettivamente mantenuto la promessa, ma dalla sera in cui l’aveva buttato tra le braccia di Carolina l’aveva visto poche volte, e di sfuggita.
“Vabbeh…” tagliò il discorso Roberto, scambiando un’occhiata di comprensione con Clarissa “Visto che qui abbiamo finito prima del previsto, mangiamo qualcosa? C’è un pub carino qui!”
Sul volto di Patrizio s’allargò un ghigno:
“Spererei di concludere la serata con qualcosa di meglio…” ammiccò, indicando con gli occhi una bella ragazza che in quel momento varcava la soglia dello stabile: il viso era celato da un casco da motocicletta, ma il fisico era davvero mozzafiato.
Patrizio e Clarissa strabuzzarono gli occhi quando ricondussero quella faccia a Carolina.

§§§

“Oh, aspetta!” la fermò, accelerando il passo per precederla e aprirle la porta del locale.
Lo ringraziò spiritosamente, dando un’occhiata in giro: un pub davvero informale, con i tavoli in legno disposti a semicerchio lungo la sala e una luce scura tutt’intorno.
“Vengo spesso qui, mi piace molto.” Confidò Roberto a Clarissa, facendole strada fino a condurla al suo solito tavolo.
“Ceni fuori da solo?” gli domandò mentre si accomodava seduta di fronte a lui.
Lui scosse la testa, imitandola nei movimenti: “Con Patrizio, di solito. Gli faccio da spalla!”
Le ammiccò: tutti quei pomeriggi trascorsi insieme avevano reso la ragazza consapevole, di fronte agli occhi di Roberto, del vizio dell’attore biondo.
L’arrivo di Carolina aveva portato un po’ di scompiglio nel piccolo gruppo: la ragazza aveva lanciato uno sguardo eloquente a Patrizio, riuscendo miracolosamente a nasconderlo a Pamela. Quindi aveva affermato d’essere venuta incontro alla sua amica, visto che non aveva trovato nessuno per andare a vedere un certo film al cinema, sperando di poter ottenere finalmente compagnia. La giovane attrice aveva accettato e, che fosse per sua volontà o per desiderio della nera, anche Patrizio era stato invitato. Clarissa non era riuscita ad udire la sua risposta poiché Roberto le aveva sussurrato all’orecchio: “Che ne dici se a quel pub ci andiamo noi?”
Dopo aver lanciato un’occhiata furtiva ai tre, aveva accettato: ed eccoli lì, in quel locale, l’uno di fronte all’altro, a chiacchierare. Era la prima volta che si trovavano da soli: tutti i loro incontri, seppur frequenti, si erano svolti con la compagnia degli altri due, o quanto meno di Pamela.
Roberto la convinse a prendere una birra, e quando i due boccali furono serviti lui alzò il suo in aria:
“Che quel vecchio professore possa non vederci la prossima volta!” scherzò, facendola ridere.
Lei sollevò il bicchiere di vetro, sorridendo forzatamente: la consapevolezza d’essere completamente da sola con lui la imbarazzava, mettendola a disagio.
“Di solito quando si brinda, ci si guarda negli occhi…” azzardò Roberto all’improvviso, cambiando tono della voce: le parve più profondo, un sussurro. Obbedì, fissando lo sguardo nel suo e lo percepì diverso da solito: meno ilare, più serio.
Perché quel cambiamento repentino? Certo non poteva immaginare che Roberto aveva esposto il suo dubbio a Patrizio.
“Sei l’unica persona con cui non dovrei confidarmi…” aveva esordito “Ma ho bisogno di un consiglio.”
“Clarissa.” L’aveva interrotto lui, scrollando le spalle alla sua espressione interrogativa.
“Come l’hai capito?”
“Qual è il problema?” lo aveva incalzato.
E dopo aver ascoltato attentamente la sua indecisione tra reale interesse o pura attrazione fisica, aveva offerto il suo responso all’amico:
“Di sentimenti, cosa vuoi che ne capisca io? Innamorato per davvero, forse non lo sono mai stato.”
Nella mente di Roberto era apparsa una bella ragazza castana di circa diciotto anni: Arianna. Ma si era ben guardato dal ricordagli quel nome, e in silenzio aveva continuato ad ascoltarlo senza alcuna interruzione:
“Ma se vuoi chiarirti le idee, forse dovresti toglierti il capriccio. Vacci a letto, e poi vedi.”
L’espressione dell’addetto alla scenografia probabilmente doveva aver lasciato trasparire il suo pensiero: -Ero certo sarebbe stato questo il suo consiglio…-
“Ehi, amico, non fare quella faccia!” gli aveva letto negli occhi e nella testa, come al solito “Quale altra soluzione vuoi trovare?”
“Il sesso per te è la soluzione a tutto.” L’aveva sminuito.
“Allora sai cosa ti dico? Dichiarati! Dille che la ami, e poi quando dopo un paio di settimane avrai fatto chiarezza sui tuoi sentimenti, se ti sta bene tienitela, altrimenti lasciala. Ti pare un buon consiglio? Altrimenti, puoi sempre essere sincero e dirle che non sei ancora ben sicuro se vuoi fartela tua fidanzata o solo fartela.”
Rude e irruento, come suo solito, tuttavia chiaro: non poteva imbarcarsi in una storia seria con lei, non prima di aver capito esattamente cosa provasse; inoltre, non poteva neppure essere sicuro che lei corrispondesse i suoi sentimenti. Ma non era possibile neppure dirle la verità. Effettivamente, doveva chiarirsi le idee: a quel punto, la possibilità suggerita da Patrizio non appariva più così banale.
Esisteva un altro mezzo per discernere l’anima dal corpo?
Osservò le guance imporporate di lei mentre sorseggiava la sua birra: banale o no, il consiglio di Patrizio rappresentava l’unica via percorribile.

§§§

Ignorava come Pamela fosse venuta a conoscenza del loro incontro: lei non l’aveva detto a nessuno!
Da quando l’aveva saputo non aveva fatto che tormentarla con quella storia; ma sinteticamente il discorso poteva essere così riportato: “Tu e Roberto state per quagliare!”
“Accompagnami al cinema con Carolina, dai, così puoi raccontarmi meglio!” recitava l’sms che le aveva inviato mentre lei era a casa, gambe incrociate sul letto, a studiare. La sessione era appena terminata e ricominciare così duramente lo studio, proseguirlo fino a sera inoltrata, non era indispensabile: eppure aveva preso quell’abitudine frequentando il liceo, e da allora non l’aveva più cambiata.
Il tempo invecchia in fretta*, e lo scorrere degli anni talvolta s’avvolge su stesso, celandosi; ma quando si libera ed esplode nella consapevolezza d’una persona oramai persa di vista o un posto non più frequentato, causa terribile malinconia: rimanere legata a qualche usanza del passato le mitigava un pò quella nostalgia che, spesso negli ultimi tempi, la catturava. Raccontare aneddoti singolari, rievocare situazioni tanto care alla sua memoria le avrebbe giovato, ma le sue labbra non parevano d’accordo: parlare di quei momenti avrebbe significato coinvolgimento, e pertanto l’avrebbe portata a esporsi con il suo interlocutore; ma a lei esporsi così tanto non piaceva affatto, non lo aveva mai fatto.
Telefonò a Pamela:
“Non eravate andate al cinema l’altra sera?” non fu neppure necessario salutarla.
“No, Cla! Si era sbagliata, non proiettavano più a quell’ora! Vieni con noi, ci sarà anche Anastasia!”
Non aveva avuto altra scelta che accettare l’invito e andare a casa sua, dove ben presto, oltre a Carolina,  anche Anastasia, loro vecchia compagna, aveva fatto il suo ingresso: sin dai tempi del liceo lei amava truccare e costringeva le amiche a sottoporsi alle sue premure da maker e ai suoi consigli sull’abbigliamento.
Quel pomeriggio si era intestardita su un abito color pesca e una matita per occhi piuttosto scura: per quieto vivere Clarissa aveva accettato, pensando che non fosse necessario preoccuparsi tanto per un appuntamento tra amiche di lunga data.
“Ecco qui, facciamo un bellissimo chignon con questi capelli! Sono un po’ troppo ricci, Cla, la prossima volta con più tempo ti faccio la piastra!!”
Tra un consiglio e l’altro fortunatamente la tortura era cessata, o meglio aveva deviato su qualcun altro: Pamela, seduta sul tappeto in salotto, aveva chiuso gli occhi per accogliere la pioggia d’ombretto senza alcun danno.
Clarissa sospirò, fissando il suo riflesso nello specchio: afferrò una ciocca rossa, scrutandola.
-Forse sono davvero un po’ troppo ricci, sembrano una criniera!-
“Da quanto conosci quel tipo?”
Sussultò, guardando Carolina attraverso lo specchio.
“Che tipo?” balbettò, girandosi verso di lei.
“Aristei.”
Tentennò: oh, no no! Non quel discorso, no!
“Patrizio?” domandò, fingendosi ignara, ma la nera annuì.
“Sai per caso se è fidanzato?”
Clarissa lottò con se stessa perché un sorriso ironico non si dipingesse sulla sua bocca:
“Non lo è.” Rispose, semplicemente “Perché?”
Scosse la testa, volgendole le spalle e tornando dalle altre due ragazze: Clarissa la seguì con lo sguardo, incredula. Possibile che lui…?

§§§

“ Quando si brinda ci si guarda negli occhi? Ma sei impazzito?!”
Dal momento che l’idea apparteneva a lui, lui doveva monitorare lo svolgimento del piano: perciò la mattina dopo, all’università, Roberto gli aveva raccontato la serata trascorsa con la rossa.
“Credi di essere in una serie televisiva?” si passò melodrammaticamente una mano sul viso “Dio, non ci sai fare per niente!”
L’altro sbuffò: si rimproverò mentalmente d’aver deciso d’avvisarlo.
“Ha accettato di venire a correre con me martedì mattina, sai?! Facciamo jogging insieme.”
“Oh, Bobbo, è già nel tuo letto.” Gli rispose ironicamente lui, muovendo a veloci passi verso il bar: un terribile mal di testa non gli dava tregua da quando si era svegliato; seguire l’ultima lezione del giorno e poi recitare rendevano necessario un ginseng.
Forse due.
“Quando stai male sei insopportabile.” Decretò, scortandolo sino al bancone. Ignorò il grugnito che gli tornò indietro come risposta e soltanto quando il biondo ebbe la sua tazzina tra le mani lo salutò: era già in ritardo per la sua esercitazione in palestra.
Le parole gli rimbombavano nel cervello  come onde che s’infrangono violente contro gli scogli; anche nel momento in cui lo circondava il silenzio, l’eco dei suoni appena percepiti si propagava nella testa, martellandogli il cervello. Chiuse gli occhi,  stringendo tra indice e pollice il manico della tazzina: il vociare di tutta quelle gente ai tavoli e in piedi, accanto a lui, s’insinuò nelle orecchie per risalire fin sulla fronte, procurandogli una fitta lancinante.
Imprecò, raggiungendo con tre falcate concitate la portafinestra e varcandone la soglia: quella mattina di marzo era troppo fredda perché qualcuno s’intrattenesse fuori, vicino alle fontane che zampillavano acqua per di più. Si sedette su un muretto nelle vicinanze, il bicchierino tra le mani.
Conosceva l’origine del suo mal di testa, anche se cercava di ingannare se stesso trovando mille altre motivazioni mediche: quel puntino fisso, quella maledetta idea che non lo lasciava in pace un attimo, e da giorni! Spesso la notte, svegliandosi improvvisamente di soprassalto, non era riuscito a prendere sonno e si era ritrovato ingabbiato in quel pensiero, le mani incrociate sotto la testa e gli occhi fissi sul soffitto.
Stare con una donna lo acquietava per un po’, ma non appena indossava nuovamente i pantaloni quel dannatissimo chiodo fisso tornava a battere veemente, la forza invasiva d’un vulcano in eruzione.
Non riusciva a distrarsi un minuto!

§§§

“Il prossimo week-end è in programma un viaggio, perché non vieni?” Se ne uscì tutt’un tratto Roberto, sorridendo cordiale a Clarissa.
Arrivata in teatro, il giovane l’aveva chiamata in sala regia, dietro le quinte: attraverso un monitor osservavano gli attori recitare senza però che questi potessero vederli e, soprattutto, che il professore potesse cacciarli. Certo, la visuale era ridotta rispetto alle poltrone in prima fila, ma era meglio di niente!
E poi, in quella stanzetta un po’ buia e piena di cavi elettrici, erano da soli.
-Poco romantico…- aveva subito pensato la ragazza, con il sarcasmo proprio del suo carattere sin da tenera età.
“Viaggio? Che viaggio?”
La perfomance teatrale passò in secondo piano.
“Beh, solitamente prima dello spettacolo il gruppo degli attori si riuniva per una specie di ritiro a casa di qualcuno, fuori città. Il professore diceva che questo aiutava a rilassare i muscoli e liberare la mente.”
-Ancora quel vecchio?!- ridacchiò tra sé e sè, rinnovando il suo sarcasmo.
“Ma da qualche tempo ha cambiato idea, perché con Internet e telefonini, a suo dire, la solitudine non è più possibile. Però alcuni continuano da soli a seguire la tradizione e tutti gli anni trascorrono un giorno e una notte fuori città…” seguitò lui, avvicinando la sedia alla sua.
La ragazza ricordò d’aver sentito Pamela parlare di quella storia.
“…con la differenza che, ora, possono aggiungersi anche degli esterni, tipo me, che sul palcoscenico non c’ho mai messo piede!” fece una piccola pausa, prima di rinnovare l’offerta:
“Perché non vieni anche tu?”
Senza aspettare la sua risposta, le mostrò il foglio delle presenze per la prenotazione delle camere: in ordine alfabetico, il suo nome compariva a chiare lettere.
La studentessa strabuzzò gli occhi, prima di udire il risolino del ragazzo.
Sospirò: “E se ti dicessi di no?” lo stuzzicò, trattenendo a stento un sorriso.
“Non credo mi dirai di no…” le rispose a tono, arrotolando di nuovo quel foglio a mo’ di pergamena.
“Non so neppure dove…” cercò di replicare, tornando seria, ma le risultò impossibile proseguire:
“Di cosa ti preoccupi? Non ti basto io per sentirti più sicura?” insinuò, avvicinandosi al suo viso senza abbassare lo sguardo.
“Semmai il contrario!” replicò, distanziandosi un po’ mentre il volto avvampava: Roberto stava provando a baciarla?
Il trillo del telefono pose fine a quel flirt, ma il ragazzo non parve accorgersene: continuò a fissarla, la bocca piegata in un sorriso divertito.
“Non rispondi?” domandò, aspettando che il suo battito cardiaco riprendesse i normali battiti.
“No, non ti rispondo.” Decretò lui, poggiando una mano sul ginocchio.
“Intendevo il telefono…” additò l’apparecchio.
“Mhm…” finalmente le staccò gli occhi di dosso, sollevando la cornetta. Pronunciò poche parole prima che Pamela e Patrizio comparissero alle loro spalle, imbronciati:
“I microfoni sul palco rimandano l’eco, Bobbo.” Gli comunicò l’attore, una maglia bianca e aderente che metteva in risalto il fisico scolpito.
“E’ fastidioso!” rincarò la dose la ragazza, puntando le mani sui fianchi.
Il ragazzo annuì: “Me l’hanno appena comunicato, vengo a vedere.” Proferì, riagganciando la cornetta.
Rivolse una parola di scusa a Clarissa, chiedendole di aspettarlo lì; lei annuì, arrossendo al commento dell’amica: “Oh, speriamo di non avervi disturbati…”
Lanciò un’occhiata divertita a Patrizio, che dopo aver ricambiato lo sguardo battè forte una pacca sulla spalla del compagno.
-Meglio del jogging…- pensò l’attore, guardandosi attorno.
“Quando vi state divertendo, dovete mettere un segnale fuori dalla porta.” Aggiunse, dopo aver atteso che lui e la rossa fossero da soli “Io per esempio usavo un calzino sul pomello, Dalila.”
“Non stavamo facendo nulla.” Si difese, incrociando le braccia al petto. Lo guardò con la coda degli occhi occupare il posto su cui prima sedeva Roberto: “…e poi, io mi chiamo Clarissa. Non confonderti con le tue amanti.”
“Me lo ricordo, ma Dalila ti si addice di più…” decretò, evitando di dare una spiegazione. Afferrò il microfono della regia, parlando come fosse la voce fuori campo:
“Su, Bobbo, forza! Usa quel cacciavite!” la sua voce rimbombò per tutto il teatro.
Clarissa rise, gli occhi puntati sul monitor che mostravano il ragazzo inginocchiato a terra per aggiustare il problema fonico e Pamela al suo fianco, il piede che tamburellava a terra.
“Nonostante tutto, sei simpatico.” Gli confidò, guadagnandosi una smorfia:
“Nonostante tutto?”
Calò il silenzio per un po’.
“Mi togli una curiosità…?” gli chiese improvvisamente, attirando la sua attenzione.
“Se tu mi aiuti con una tipa…” gli occhi s’illuminarono di malizia.
Clarissa rise di nuovo: “Chi sarebbe?”
“Quella.” Toccò con l’indice il piccolo schermo, mostrandole una ragazza piuttosto alta, dai capelli castani corti; il top che le lasciava scoperto l’ombelico e i pantaloncini neri attillatissimi la descrivevano magrissima.
“So di piacerle, posso leggerlo nei suoi gesti. Ma non riesco a convincerla ad uscire con me, adduce sempre qualche scusa.” Rivelò schiettamente.
La ragazza riflettè: “Tu sei gentile con lei?”
Lui annuì.
“Fai quelle tue battute stupide che…” fece per ammonirlo, ma lui scosse la testa:
“Assolutamente no. L’ho capito da me che non è tipo da abboccare a questo.”
“Allora…perché non provi a corteggiarla?” Si stupì di se stessa: stava davvero aiutando Patrizio?
La sua vicinanza la rendeva più disinibita, in un certo senso: stare con lui era come stare con un ragazzino un po’ immaturo, ma divertente. Provava la stessa sensazione quando trascorreva del tempo con Pamela: persone capaci di distrarla dalle preoccupazioni ma, temeva, incapaci di un discorso serio o di un pensiero un po’ più elevato, attento.
In loro compagnia perdeva i freni anche lei, e tornava quasi bambina: non sentiva il bisogno di appellarsi alla responsabilità, ai doveri. Spensieratezza, e basta. E con Patrizio questa percezione s’acuiva maggiormente che con Pamela: pensò che a trascinarla fosse la sua iperattività, più ferma di quella dell’amica, più decisa.
“Già fatto, le ho regalato dei fiori.” Rivelò, incrociando le braccia all’altezza del petto.
“Forza, olio di gomito!” canzonò poi l’amico al microfono. Tutti gli attori risero.
“Beh, un solo gesto…” tentò di ipotizzare, ma non servì a nulla:
“Per cinque giorni di seguito.” Precisò, spostando gli occhi su di lei.
“Oh.” Si sorprese, abbassando lo sguardo.
“Le mostri di trattarla diversamente dalle altre?” fu certa d’aver colto nel segno, ma evidentemente sbagliava:
“Sì.”
“Le hai detto chiaramente che ti interessa?” domandò a bruciapelo e lui a bruciapelo annuì:
“Hai…?” provò ancora, ma la interruppe ancora:
“Sì.” Rispose, soddisfatto, fissandola negli occhi.
“Allora…” esitò, un’esitazione che sarebbe sfuggita a chiunque: ma non a Patrizio.
Se ne compiacque: alla fine era riuscito ad aver l’ultima parola con lei! L’aveva inquadrata, anche se con un po’ di ritardo rispetto alla velocità che contraddistingueva le sue analisi delle donne: Clarissa era caparbia…forte.
“…insisti. Raramente il ponte levatoio s’abbatte…”
“…con un solo colpo d’ariete.” Finì per lei quel famoso motto di guerra dei cavalieri d’altri tempi, per poi alzare un sopracciglio:
“Giusto. Ma tu cosa volevi sapere?”
Forse non aveva davvero sentito l’esigenza di un consiglio; forse aveva semplicemente voluto vincere contro di lei almeno per una volta.
“L’altra sera tu non sei stato di nuovo con Carolina, vero?” diede voce alla sua supposizione, nata qualche giorno prima in casa dell’amica.
Il biondo fece segno di no e rise quando la rossa gliene chiese il motivo.
“E’ venuta a lamentarsi da te?” evitò la domanda, sarcastico.
“Rispondimi.” Aggrottò le sopracciglia, perentoria.
“Perché io non vado mai con la stessa donna.” Sbandierò scrollando le spalle, come fosse l’argomentazione più ovvia del mondo “Così come non permetto mai a nessuna di impugnare le redini del gioco. Dirigo io la partita.” Ammiccò, alzandosi in piedi appena in tempo per accogliere nuovamente Roberto nella stanzetta poco illuminata: il suo udito sopraffino aveva percepito oltre la soglia passi veloci, concitati.
Non dovette spremersi a lungo le meningi per capire la ragione di quella fretta: gelosia.
Lo superò a testa bassa, celando un sorriso divertito.

§§§

Una meravigliosa villa nel cuore del nulla.
Ecco dove Clarissa aveva accettato di trascorrere il fine settimana: la residenza apparteneva all’attore che Pamela aveva rivalutato durante la festa dell’attico, e si ergeva a circa cinque chilometri da un paesetto umbro di piccole dimensioni. Praticamente era una casa nel bel mezzo della campagna inabitata, al confine con un ruscello quasi asciutto.
Indubbiamente era molto spaziosa: i due piani contavano in totale quattro camere da letto e due bagni, una gigantesca cucina, camera da pranzo e salone, più un giardino abbastanza curato.
Il ragazzo, Gianfranco, aveva suggerito di assegnare due camere ai ragazzi e le restanti due alle ragazze, considerando che per persone dello stesso sesso condividere una stanza non avrebbe costituito un problema; Clarissa non aveva ben capito come si svolgessero solitamente le cose, trascinata dall’irruenza vivace di Pamela e dalla gentile cortesia di Roberto, pertanto si era ritrovata inspiegabilmente nella stessa camera della sua amica e della ragazza che Patrizio le aveva rivelato d’aver puntato, Federica.
L’altra camera era stata concessa a tre ragazze del gruppo, che la rossa conosceva solamente di vista: non dubitava che qualcuna di loro avesse conosciuto piuttosto approfonditamente l’attore gentiluomo, considerati i discorsi che aveva avuto modo d’udire nel viaggio d’andata; tra di loro soprattutto una giovane attrice, Giulia, da tempo sospettava fosse stata una sua fiamma.*
In realtà Clarissa non era troppo entusiasta di trovarsi lì; ma, saputo che Roberto l’aveva invitata, Pamela aveva insistito perché andasse con loro.
Da sempre voleva invitarla, aveva sostenuto, ma non le pareva il caso visto che non frequentava quel gruppo; ma dal momento che da qualche tempo conosceva anche i due ragazzi e che proprio uno di loro le aveva proposto il soggiorno, sarebbe stato sciocco non accettare.
“E poi…tu non hai mai ammesso chiaramente di avere un debole per Roberto, ma io l’ho capito, sai?” l’aveva punzecchiata “E solitamente in queste occasioni…sai com’è: una birra di troppo, la consapevolezza di dormire in una stanza poco distante da un’altra, ed ecco che succede quel che deve succedere!”
Le sei ragazze presero possesso dei letti e degli armadi, nell’attesa che anche l’automobile del sesso maschile giungesse alla villa: i programmi per la serata non erano ancora stabiliti del tutto.
Erano tutte riunite nel salone –un elegante sala con due divani ad angolo ed un pianoforte -quando il cellulare di Federica trillò: Patrizio.
Clarissa alzò gli occhi al cielo.
La telefonata fu però breve: il ragazzo la avvisò solamente del loro ritardo, giacché erano bloccati nel traffico.
“Così imparate a fermarvi ad ogni stazione di servizio!” gli aveva fatto una pernacchia attraverso il telefonino per poi interrompere la comunicazione.
I pettegolezzi non tardarono ad assalirla:
“Come mai ha telefonato a te?”
“No, la domanda giusta è: perché ha il tuo numero?”
“C’è qualcosa tra voi?”
Finse per pochi istanti di voler tacere la faccenda, quindi raccontò che il biondo dimostrava nei suoi confronti delle premure che la lusingavano.
Clarissa e Pamela si scambiarono uno sguardo, ma la più consapevole era sicuramente la prima:
-Dopo aver ottenuto quello che vuole, non si ricorderà più neppure il  tuo nome…- la compianse con il pensiero.
“Sta’ attenta.” Prese la parola Giulia, dando voce ai ragionamenti della studentessa filosofica.
“Aristei è furbo, gli interessa una cosa sola…”
Clarissa assottigliò gli occhi: sin dal loro primo incontro, aveva capito che tra di loro c’era stato qualcosa. Nonostante tutto, le sue sensazioni raramente si rivelavano scorrette.
“Magari!” rise Giulia “Almeno sarà divertente, no?”
Non potè fare a meno di pensare che quel tipo di donne meritava di finire tra le braccia di un dongiovanni come Patrizio: in fin dei conti, sentite le voci che circolavano su di lui, intestardirsi ed illudersi di rappresentare il grande colpo di fulmine che l’avrebbe cambiato, era patetico; se invece il sesso era il loro ultime fine, l’avrebbero avuto: accettavano di passare la notte nel letto d’un uomo che era risaputamente un playboy, quindi il giorno dopo non avevano il diritto di lamentarsi.
Lanciò un’occhiata all’amica, apparentemente tranquilla e sperò che la cotta per l’attore fosse sbiadita; ne ebbe la conferma poche ore dopo, quando oramai anche i ragazzi avevano sistemato le loro cose nelle camere:  il padrone di casa, Gianfranco, propose infatti con successo un falò nel giardino al suono di una chitarra, che l’attore in questione immediatamente impugnò; la musica era l’arma di seduzione migliore.  
Riuniti tutti intorno al fuoco, Federica presto s’inginocchiò accanto a lui, dimostrando di stare per cedere; subito allora Clarissa cercò di rivolgersi a Pamela, trovandola però su di giri con uno specchietto in mano, attenta a controllare ogni dettaglio del suo trucco vistoso.
“Gianfranco mi ha invitato a fare una passeggiata fino al ruscello!” le confidò, speranzosa che la serata stesse prendendo una buona piega.
L’amica le sorrise, mostrandole il pollice: “Vai!”
Quindi si era voltata, sollevata, verso Patrizio: si erano guardati per un istante, e la giovane ebbe l’impressione che lui la stesse ringraziando per i suggerimenti dati nella stanza della regia, pochi giorni prima. Ad ogni modo i loro sguardi rimasero incatenati per poco tempo, perché Federica si sporse a sussurrargli qualche parole in un orecchio e lui, repentino, lasciò cadere la chitarra sull’erba e s’alzò, dirigendosi con lei all’interno della villa.
Clarissa sospirò, tornando seduta a gambe incrociate vicino a quel fuoco ardente: intrappolata in una festa che non le piaceva, lontana da chiunque conoscesse.
Non fece in tempo a pensarlo, che una mano si poggiò sulla sua spalla:
“Sorreggimi, sii gentile.” Le chiese Roberto, gli occhi un po’ lucidi “Ho perso una scommessa con Patrizio e ho dovuto scolare uno Sherry e due Martini. Per fortuna, alla fine sono riuscito almeno a fargli bere due gin.”
“In cosa consisteva la scommessa?” domandò, curiosa; ma il ragazzo scosse la testa.
“Una sciocchezza.” Liquidò la faccenda, sorridendole; l’alito effettivamente tradiva l’alcol ingurgitato.
“Piuttosto, comincio a stancarmi di stare qui fuori. Rientriamo?” le propose, scoppiando a ridere di gusto alla sua reazione titubante.
“Tranquilla, volevo solo chiederti di suonarmi un pezzo al pianoforte. Se non ricordo male, mi avevi detto di aver preso lezioni da bambina, e della buona musica allevierebbe un po’ la bevuta.”
“Non suono da molto…” cercò di rifiutarsi, però lui l’afferrò per un polso trascinandola dentro la casa, fino al salone: il pianoforte si trovava contro la parete, a fianco ad una scala di legno a chiocciola che portava al secondo piano, dove c’erano le camere da letto.
Roberto si accomodò su uno sgabello piuttosto alto, in pelle nera: poi la invitò a intonare qualche melodia.
“Sei matto?” rise, abbastanza rincuorata: pochi istanti prima aveva temuto di dover trascorrere tutta la serata ad osservare il fuoco ardere. “Non sono troppo intonata.”
“Le musiciste sono sempre intonate.” La rimbeccò, indicandole con un cenno della mano un altro sgabello nero, posto davanti allo strumento.
Si sedette anche lei: “Ma io non sono una musicista.”
Roberto le regalò un sorriso: “Suona qualcosa, avanti. Per la mia povera testa!” aggiunse, battendo con due dita la fronte.
Sollevò la tastiera del piano, abbassando lo sguardo per contare mentalmente i tasti e cercare di ricordare le posizioni delle note.
“Proviamo questa.”
Decise, pigiando il do con il pollice: il Notturno d’amore di Polcaro.

Tremula, qui nel mio seno,
la speranza del nostro amor.
Là, sotto il cielo sereno,
è bello vivere,
unir nell'estasi cuore a cuor.

Mentre suonava, le parole dell’amica le rimbombarono nella testa come un avvertimento:
“Sai com’è: una birra di troppo, la consapevolezza di dormire in una stanza poco distante da un’altra, ed ecco che succede quel che deve succedere!”

E' questa l'ora d'amar,
ogni amante la desidera.
La bocca vuole baciar,
e tremante
bacia e mormora.

Aveva ragione, quella notte sarebbe successo quel che doveva succedere. Ma Clarissa non lo aveva ancora capito: cercando di non pensare alla predizione di Pamela, chiuse gli occhi perdendosi tra le onde di quella melodia, preludio al suo notturno d’amore rosso.

 

 


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Precisazioni:
*Il tempo invecchia in fretta: ho rubato la citazione al grande Antonio Tabucchi.
*Aristei: dal greco: migliore, di nobile stirpe. Una specie di pleonasmo che ben si adatta al suo nome, Patrizio.
*Giulia: Presentata nel capitolo primo.

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Note Dell’autrice: è passato un po’ di tempo dall’ultimo aggiornamento. Bene, dal prossimo capitolo velocizziamo un po’ le cose e facciamo un salto avanti nella storia…non aggiungo nient’altro, solo che spero di sorprendervi poiché ciò che presenterò sarà esattamente il nucleo della storia, l’idea originaria attorno a cui ho strutturato il resto. Spero di sorprendervi un po’ e di risultarvi gradita.
Alla prossima,
Il Cavaliere Nero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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