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Autore: Francesca_c    20/10/2012    4 recensioni
Questa storia è ambientata in futuro lontano e tecnologico. La protagonista è una ragazza orfana che si prende cura della sorella minore da quando aveva 8 anni, età in cui i suoi genitori sono morti. Il padre è stato assassinato per una ragione sconosciuta e lei da tempo continua a fare degli incubi spaventosi che riguardano lui e la madre. Capirà, anche grazie all'aiuto dell'affascinante ragazzo legato in qualche modo al suo passato, che non tutto è come sembra, che potrebbe scoprire i segreti del suo mondo, e distruggerli...
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 5
 
Quel sabato pomeriggio David arrivò a casa mia con il suo solito ritardo. Io ero già pronta da un pezzo.   
Per uscire con Jeremy e i suoi amici avevo optato per dei jeans chiari strappati, una maglia rossa e una giacchetta blu scura.
Ovviamente, a coronare la mia comodità, erano le mie fantastiche scarpe sportive.
Jill mi avrebbe ucciso appena le avrebbe viste.
Credeva di riuscire a rifilarmi quei suoi tacchi assurdamente alti abbinati ad un vestito la cui misura era meno estesa di quella del tacco. Mi ero categoricamente opposta. Anche se tutte le ragazze presenti avrebbero voluto sfidare la forza di gravità, io ci tenevo a far rimanere i piedi ben fissi al terreno e il mio fondoschiena più lontano possibile da esso.
Andai ad aprire la porta e trovai una gradevole sorpresa sulla soglia. Una sorpresa senza tacchi e minigonna.
<< Ellen! Non sapevo venissi anche tu. >>
<< Infatti non ero stata invitata ma David mi ha praticamente costretto. >>
Rivolsi un sorriso di approvazione a David. Ero contenta che Ellen sarebbe uscita con noi e non solo perché non sarei stata l’unica ad avere qualcosa addosso.
Un paio di minuti dopo, eravamo quasi giunti al punto d’incontro. Parlavamo di Alice e Jeremy.
Beh in realtà David e Ellen parlavano,  io ero totalmente immersa nei miei pensieri e comunque loro sembravano abbastanza a loro agio, senza che io intervenissi nella conversazione. In effetti stavano passando parecchio tempo insieme negli ultimi giorni. Non mi sembrava fosse una situazione puramente casuale, ma non me ne interessai più di tanto.
Arrivammo dagli altri verso le 6.20. Jill e delle altre ragazze che non conoscevo avevano beh…  un abbigliamento molto diverso dal mio e quello di Ellen. 
Alice invece aveva addosso la sua solita e splendida semplicità.
Quando Jeremy ci vide, rivolse un sorriso sincero a me, e uno imbarazzato alla ragazza che non aveva pensato di invitare.
<< Ellen, ciao! Come va? >> iniziò lui credendo di averla offesa.
<< Ciao Jeremy! Alla grande, tu? >> Ellen non apparve minimamente preoccupata dalla situazione.
<< Bene anch’io >> Jeremy si rilassò e prese a presentarci i suoi amici e amiche.
Malgrado avessero tacchi chilometrici, erano quasi tutte alla mia altezza, compresa Jill che quando aveva visto il tipo di scarpe che indossavo mi aveva incenerita con lo sguardo. 
Gli amici di Jeremy erano simpatici. Passai con alcuni di loro ed Ellen parte della serata.
Me ne sarei dovuta andare verso le nove, per arrivare a casa prima di Shelby, che aveva pranzato e cenato a casa di un’amica.
Come da previsione, mi aveva chiamata pregando di poter restare anche a dormire.
Shelby restava spesso a dormire a casa delle amiche, probabilmente a causa della compassione che i genitori nutrivano per la nostra situazione.
Infatti la mamma della ragazza mi aveva assicurato che non si fosse autoinvitata.
“Prenditi un po’ di tempo per te, cara e sta tranquilla.” Mi aveva detto. 
Quindi alle 8.30 non avendo più orari da rispettare, decisi di prolungare la serata fino al tardi, imponendomi comunque di rincasare non dopo le undici.
Per la cena, Jill aveva consigliato il ristorante di un locale alla moda aperto da poco (ovviamente ne aveva scelto uno che avesse anche la discoteca incorporata).
Malgrado il mio stomaco si lamentasse chiassosamente per la fame,  presi la saggia decisione di non sperperare i miei guadagni in quei cibi costosissimi. Per consolarmi del digiuno, mi ripromisi di comprare un libro il giorno seguente, spendendo i miei risparmi per qualcosa di gran lunga più conveniente che di una pizza da dodici sterline.
Da quando avevo compiuto sedici anni, avevo incominciato a svolgere alcuni lavoretti poco impegnativi, sia pubblici che privati. Il lavoro pubblico in cui riuscivo a guadagnare di più, e anche quello che mi occupava più tempo, era quello dell’Organizzazione Riparazioni Cittadine dei danni di guerra (O.R.C).
La ricostruzione del mondo infatti, comunemente chiamata Rinascita, era iniziata a partire dal 2935, vale a dire appena finita la Quarta Guerra Mondiale. Quest’ultima guerra, aveva costretto l’intera umanità veder cadere la maggior parte di tutto ciò che aveva costruito in 2900 anni di storia a causa delle micidiali armi che lei stessa aveva creato. Protagonisti di questa strage che determinò la morte di quasi metà della popolazione mondiale, furono le bombe atomiche e gli “sterminatori satellitari”, aggeggi infernali lanciati nello spazio per provocare una distruzione addirittura più violenta di quella delle bombe.
In ogni caso, dopo l’imprevista pacificazione sotto il dominio inglese, ebbe inizio la difficile fase della Rinascita, in cui il mondo risorse dalle sue ceneri.
A partire dal 3000 quindi, iniziò quel periodo di forte stabilità e solidità chiamato Era d’Acciaio, durante il quale oltre che riparare il pianeta, gli uomini avevano intrapreso anche un lungo viaggio di scoperte scientifiche e invenzioni tecnologiche.
In ogni caso, usanze, costumi, tradizioni erano andati perduti. Il mondo era praticamente ripartito da zero.
Sebbene la maggior parte delle riparazioni dei danni di guerra fossero state iniziate e concluse, la minor parte restava ancora da affrontare, ed era di questo che si occupavano le organizzazioni cittadine.
Noi lavoravamo soprattutto nelle periferie, aree a cui era stata comprensibilmente concessa meno ristrutturazione rispetto ai centri.
Io ero una specie di coordinatrice dei lavori; ci andavo tutte le domeniche da quasi sette mesi ed era veramente importante per me farne parte.
<< Bene gente, adesso che si fa? >> David alzò la voce per farsi sentire da tutti i presenti.
<< Che ne dite di ballare? Restiamo un altro po’ e poi andiamo via. >> propose Jeremy non molto convinto.
<< Si è una splendida idea! E poi adoro questa canzone! >> Jill scattò sulla sedia e si sistemò il trucco, visibilmente impaziente di scendere in pista.
In un batter d’occhio un amico di Jeremy si fece avanti per farle compagnia. David lo imitò invitando Ellen.
Alice, dall’altra parte del tavolo, mi lanciò uno sguardo rassegnato indicandomi il ragazzo che era rimasto seduto senza invitarla. Stavo convincendola a farsi avanti quando un altro amico di Jeremy, Miles, mi invitò a ballare. Accettai la proposta indirizzando poi ad Alice uno sguardo incoraggiante.
Arrivati sulla pista, Miles mi prese in vita e cominciammo a muoverci lentamente. 
Lui sembrava perfettamente a suo agio, io invece, avevo le guance rosse per la vergogna.
Stavo appena incominciando a rilassarmi quando la musica cambiò, diventando sfrenata e assordante. 
Rivolsi un sorriso imbarazzato a Miles e decisi di tornare al tavolo pronta per andar via, a mio parere avevo già ballato abbastanza. 
Trovai Jeremy ancora seduto nello stesso posto con la tipica faccia di uno che sta combattendo una lotta contro sé stesso e Alice che lo guardava da dietro con aria supplicante. Appena mi vide si alzò e comunicò ai presenti il suo desiderio di andarsene subito da quel posto.
Mi trovò perfettamente d’accordo, così andò a cercare Jill e il suo compagno che stavano ancora ballando. 
Quando fummo di nuovo tutti insieme fuori dal locale mi accorsi dell’ora. Le undici passate.
Stanca com’ero, decisi di salutare tutti e infilarmi nel primo teletrasportatore pubblico che trovai.
 
Venti minuti dopo ero in pigiama con i capelli bagnati raccolti in un asciugamano.
Era stata una giornata alquanto pesante ed ero sicura di addormentarmi in un attimo.
Dopo essermi rigirata nel letto per circa un’ ora, dovetti arrendermi all’idea che non fosse andata come avevo previsto.
Decisi di alzarmi e girovagare un po’ per la casa, nel tentativo di stancare quantomeno le gambe.
Un paio di giri più tardi, tornai in camera mia più sveglia di prima e mi sedetti nuovamente sul letto contemplando la mia libreria.
Poi il mio sguardo si posò in un angolino del penultimo scaffale, dove la mia “scatola delle memorie” passava abilmente inosservata.
Accanto alla scatola, si trovava un album fotografico di notevoli dimensioni. Era sicuramente uno degli oggetti più preziosi che possedessi, oltre alla scatola delle memorie, naturalmente.  Me lo aveva regalato mia madre molti anni fa sostenendo che fosse una delle poche cose che i nostri antenati, durante le guerre, fossero riusciti a salvare.
Solo dopo la morte dei miei genitori mi ero resa conto che nascosti all’interno della copertina e nelle pagine stesse, vi fossero documenti, poesie, lettere e parti di libri che neanche conoscevo, risalenti proprio al ventunesimo secolo. Mio padre mi aveva regalato poi, il resto dei cimeli di famiglia arrivati fino a noi, che avevo poi conservato dentro la mia scatola.
Quello a cui tenevo di più, era senz’altro la collanina d’oro a forma di sole. Non sapevo a che era appartenesse, ma non mi appariva poi tanto antica.
 Custodivo anche un bellissimo anello la cui pietra era di uno splendido blu intenso. Dentro quel cofanetto, tenevo inoltre vecchie lettere dei miei genitori, che mi avevano scritto pochi mesi prima la loro morte.
Lo ritirai fuori dal penultimo scaffale e presi ad ispezionarlo per rammentarne il contenuto.
Aprii la prima busta che mi ritrovai sottomano. Guardai il foglio che conteneva per qualche secondo, e poi cominciai a leggere.


Cara Grace, 
ti scrivo questa lettera e le altre che seguiranno, per aiutarti. 
Per aiutarti a non perdere quella determinazione che sempre ha illuminato i tuoi occhi, che sempre ti porterà alla realizzazione dei tuoi obiettivi, che sempre ti condurrà  al coraggio con il quale affronterai pericoli che ancora non conosci.  Stai crescendo, Grace. Stai imparando. Imparando a scegliere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Anche se dopotutto, non c’è molta differenza tra le due cose. 
È tutta una questione di logica, alla fine. E a te la logica non è mai mancata.
Anche se in realtà tu non hai mai avuto la possibilità di stare con la testa per aria. Non hai potuto scegliere quando smettere di essere una bambina. Sei dovuta crescere. E anche in fretta. 
Forse ti abbiamo privato della cosa più importante per un bambino. Ti abbiamo privato della fantasia.
Forse è per questo che sei sempre stata così razionale e, logica e ti sei allontanata tanto da questa.
Ma io ti prometto che un giorno sarà la fantasia a ritornare da te. Magari non nel modo in cui ti aspetti, ma prima o poi la fantasia torna a tutti. Anche a quegli adulti indaffarati che una volta  vecchi cominciano a preoccuparsi di ciò che troveranno dopo la morte. Ed è là che la fantasia ritorna. 
È là che ti dà la forza per andare avanti, e per sognare ancora.  Ma  tu non aver mai paura della morte.
La morte non è nulla in confronto alla vita.  È la nostra esistenza che conta. 
L’importante non è vincere, ma partecipare.
La vita non è tanto l’insieme delle cose che ti succede, quanto come reagisci ad esse.
Quindi, bambina mia, non perdere mai la determinazione che tante volte ho visto bloccare le tue lacrime, non perdere quella speranza che tante volte ti conforterà nei momenti difficili, e non arrenderti. Mai.

Con immenso affetto, mamma
18 settembre 3004
 
  
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