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Autore: voiceOFsoul    21/10/2012    3 recensioni
Cris, uno studente universitario fuori sede, si ritrova dopo un anno a non aver ancora trovato nessuno con cui condividere la sua esperienza. La sua vita, però, sta per avere una svolta. Sia in facoltà che a casa le cose cambieranno e nelle sue mani si intrecceranno molti destini.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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- Perché è un bravo ragazzo! Perché è un bravo ragazzo! Nessuno lo può negar! - Cantavamo tutti insieme quella canzonetta stupida seduti sul pavimento del salottino. Brendon applaudiva e cercava di imitare la nostra cantilena non smettendo però di ridere delle nostre facce buffe. 
Era il suo primo compleanno e Naki aveva deciso infine di dare una piccola festicciola. Diceva che anche se lui non l'avrebbe ricordata per lei sarebbe stata indelebile. C'erano, ovviamente, Daniele ed i nonni, Giovanni e Angela. In qualità di zio, ero stato uno dei pochi invitati, insieme a Meg, Ludovica insieme al uso ragazzo, Terry e Marco. Le ragazze avevano preparato un piccolo buffet che riuscì però a saziarci tutti e la torta in cui si era cimentata nonna Angela era deliziosa. Brendon sembrò apprezzare i regalini ricevuti ed anche tutte le attenzioni che si riversavano su di lui. 
Il regalo più bello, però, fu quello di Daniele e non solo per il piccolo. Dopo aver portato su per Brendon una palestrina che accorpava molti giochi e che lui sembrò subito gradire, porse a Naki un pacco rettangolare, incartato con uno stupendo fiocco blu. Dentro c'erano tutti i documenti necessari per il riconoscimento del bambino! Non appena comprese cosa fossero in realtà quei fogli e cosa tutto ciò significasse, scoppiò in un oceano di lacrime. Di felicità, ovviamente. Anche nonna Angela si commosse, mentre nonno Giovanni iniziò soltanto a guardarlo con un po' meno odio.
Nonostante fosse il festeggiato, erano da poco passate le ventidue quando Brendon crollò sfinito tra le braccia di Daniele. Mentre Naki metteva a letto il piccolo, le ragazze si sbracciarono per iniziare a sistemare la stanza e a finir di lavare le stoviglie. Nonna Angela, però, le fermò risolutamente. Spedito il marito giù a casa propria, voleva pensare lei a sistemare tutto mentre noi continuavamo la serata fuori. Fu irremovibile. Neppure la nipote riuscì a farla desistere, riuscendo solo a strapparle la promessa di pensare solo alle stoviglie, utilizzando come scusa che sistemare i mobili e pulire il resto avrebbe causato troppo baccano. 

Passeggiavamo serenamente per le vie della città. Osservavamo la gran vita dei ragazzi che affollavano ogni angolo, pronti per un'altra delle loro folli notti. Noi non avevamo intensione di fare follie. Ce ne erano state fin troppo. Volevamo solo godere della pace che avevamo finalmente ritrovato. L'unica follia, se così si può definire, fu raggiungere il grande parco cittadino e scavalcare il grande cancello. Ci rifugiammo nell'area del parco giochi riservato ai bambini. Ludovica e Naki iniziarono a dondolarsi sull'altalena. Meg e Terry si accomodarono su una panchina di ferro battuto rinfrescata dall'umidità dalla notte ed iniziarono una delle loro lunghe e incomprensibili conversazioni da donne. Capii che probabilmente da un momento all'altro le avrebbe detto tutto.
Noi uomini, anche se forse mi sembra un po' troppo da vecchi definirci così, ci sedemmo su un'altra panchina. Il discorso, non so come, riuscì a stare lontano da motori, università e tecnologia, cose che spesso monopolizzavano i nostri dialoghi. L'argomento quella sera cadde su di loro, le persone che ci facevano battere il cuore.
Mentre parlavamo del più e del meno delle nostre relazioni, non riuscivo a far a meno di guardare Meg sorridendo. Era talmente bella mentre non si accorgeva di essere osservata! Ogni tanto si accorgeva che la guardavo e allora si zittiva, portava un ricciolo dietro l'orecchio e mi sorrideva arricciando gli occhi. Quando lo faceva una piccola fossettina le si disegnava all'angolo destro della bocca. Adoravo quella fossetta. Ancor di più perché significava che non mi odiava anche dopo aver parlato con Terry.

- Migliora a vista d'occhio. - Qualcuno di loro disse.
- Cosa? - Mi ero perso a fissarla, ancora.
- Meg, dico, la trovo migliorata ogni volta che la incontro. - Ripeté Jay. - Anche Ludo mi dice che sta iniziando ad aprirsi di più anche con lei. -
- Credo che stare con te le faccia bene. - Disse Marco, poggiandomi una mano sulla spalla.
- Non sono io che la faccio stare meglio. Il sostegno psicologico lo fa. -
- Dici che con me sarebbe lo stesso quindi? - Una voce mi arrivò all'orecchio proveniente dalle mie spalle. Una voce che non mi piaceva troppo, specialmente mentre ci provava direttamente o indirettamente con la mia ragazza.
- Oh Diego! Finalmente sei arrivato! Pensavamo ti fossi perso. -
Jay, da bravo amico, non aveva perso tempo a chiedergli di unirsi a noi. Avevo imparato a cancellare l'idea che mi ero fatto di lui a Torre del Vetro, ma da quando Meg era tornata sembrava essere ripartito all'attacco della preda. E la cosa non mi piaceva per niente. 
- No, forse io potrei farla stare meglio. - Disse, fregandosene dell'amico che lo accoglieva e prendendo a guardarmi fisso negli occhi.

Non risposi alla sua provocazione e la lasciai cadere nel vuoto. Come prevedibile, dopo averci velocemente salutato, si diresse verso Meg. Lo seguii con lo sguardo ma ciò che vidi non mi piacque. Meg era improvvisamente diventata seria, la fossettina che adoravo non c'era più. Quando Diego le si avvicinò, lo respinse velocemente alzandosi dalla panchina. Venne verso di me come una furia e mi diede un sonoro ceffone sulla guancia sinistra. Tutti si zittirono. Il tempo sembrò fermarsi. Restai immobile, soffrendo del bruciore in silenzio. Sapevo bene a cosa era dovuto e ancor meglio sapevo di meritarlo. 
- Stronzo! - Meg corse via dopo avermelo urlato in pieno viso con tutta l'aria che aveva riuscito a tirare fuori dal petto.
Diego senza esitare le corse dietro, così come fece Ludovica, mentre io continuai a restare immobile. Fu Marco a dovermi scuotere per riuscire a farmi partire nella sua stessa direzione.
Vidi Diego raggiungerla ed afferrarla per le braccia. La strinse a sé ed io mi pietrificai di nuovo. Iniziai a camminare lentamente. I miei piedi si erano improvvisamente trasformati in macigni pesanti. Li raggiunsi. Ludovica le teneva la mano dicendole di non trarre conclusioni affrettate. 
Diego mi fissò in cagnesco ma con una sottile linea di soddisfazione. - Vattene. - Mi disse secco.
- Vattene? - Ripeté incredula Ludo. Strappò Meg dalle sue braccia, abbracciandola a sua volta. - Vattene tu. Loro devono parlare. - 
- Ma... - 
- Ma un cazzo. Vattene prima che ti prenda a pugni! - Lo minacciò Ludovica. 

Diego restò al suo posto. Non gli badai. Non me ne fregava niente di lui. Mi avvicinai a Meg. Il suo sguardo era un misto di dispiacere, rabbia e paura. Ebbi timore anch'io, timore di perderla ancora. Le carezzai una guancia. Chiuse le palpebre ma non indietreggiò. Alzò la mano a toccare la mia. Lasciò Ludovica e mi abbracciò. Incredulo e sorpreso la lasciai fare, cingendola a mia volta. Chiusi gli occhi, annegando nel suo odore. Sentii distrattamente Ludovica che portava via Diego. 
- Scusa. - La sentii sussurrare.
- Scusa? Sono io che devo scusarmi. -
- No, no. - Staccò la guancia dal mio petto per guardarmi negli occhi. - Sono io. Non sapevi niente, né se né quando sarei tornata. Non potevo pretendere che tu... -
- Ti aspettassi? -
- Già. - Un sorriso amaro le sfiorò le labbra.
- Ci ho provato, te lo giuro. -
- Però avevi bisogno di qualcuno e a Terry sei sempre piaciuto. -
- No, non hai capito. Ci ho provato a non aspettarti. Ma non ce l'ho fatta. Nella mia testa c'eri sempre tu. Ho provato ad andare avanti, ad essere talmente arrabbiato con te da dimenticarti, a provare piacere nello stare tra le braccia di un'altra. Ci ho provato con tutto me stesso. Ma mi sono illuso. E ho illuso Terry, cosa per cui mi sono fatto schifo da solo. - Le carezzai il mento. - Io non ti ho mai dimenticato, neanche per un attimo. Ti ho odiato, questo sì. Ho odiato il fatto che fossi scomparsa e che non sentissi la necessità di cercarmi. Ma non sei mai uscita da qui. - Le presi la mano le poggiai sul mio petto.
La ritirò via quasi scottasse. - Io... - Il viso le avvampò. - Non so cosa dire, Cris. -
Sorrisi. - Dire che mi ami anche tu sarebbe... -
- ...una bella idea. - Completò lei per me. - Me l'hai già detto questo, ricordi? -
- Come potrei dimenticarlo? - Le baciai la fronte. - Ma vale la stessa regola ancora. -
- Quale regola? -
- Non lo pretendo. Non sarebbe giusto forzarti a... -
- Ti amo. - Lo disse così velocemente da travolgermi. 
Spalancai le palpebre. Persi il respiro. Mi girò la testa. Le gambe divennero improvvisamente incapaci di reggermi. - L'hai detto. - Riuscii soltanto a bisbigliare.
Meg sorrise e fissando i suoi enormi occhi nocciola nei miei annuì. 
- L'hai detto. - Ripetei con un volume poco più forte. 
- L'ho detto. - Mi fece eco lei, iniziando a ridere.
- Mi ami? - Mi illuminai.
- Sì, sì, sì e ancora sì. - Annuiva e rideva. 
La presi in braccio iniziando a farla girare. La sua risata cristallina mi solleticò le orecchie. Il cuore mi scoppiò nel petto. La amavo e lei mi amava e non c'era niente di più bello al mondo. La baciai, appassionatamente e a lungo. Solo un anno prima la osservavo dal mio angolo di solitudine vivere la sua vita. Adesso c'ero catapultato dentro. Era mia ed io ero suo. Avrei voluto fare l'amore con lei, lì sul quel prato umido, a qualche metro dai nostri amici. Avrei voluto fare l'amore con lei dovunque, sempre. Per tutto il resto della mia vita. 
- Fermo, mi fai girare la testa. - Disse ancora ridendo. 
Mi fermai e le feci riappoggiare i piedi a terra. Continuavamo a sorridere occhi negli occhi, a respirare insieme il profumo di qualcosa di nuovo. 
- Torniamo dai ragazzi, ci staranno aspettando. -
- Falli aspettare. - La baciai ancora.
- Dai Cris, abbiamo tempo per i baci. - Mi disse tra le labbra, senza nessun tentativo di allontanarmi.
Mi staccai, sbuffando palesemente. - Uffa! Però li salutiamo e andiamo a casa. - Le dissi abbracciandola da dietro e baciandole il collo. 
- Qualcuno ha gli ormoni in subbuglio per caso? - Mi chiese maliziosa.
- Tu forse. Io ho il cuore in subbuglio. - 
Le diedi un altro piccolo bacio godendo del suo sorriso. Le afferrai la mano e tornammo dagli altri. 


- Ma io voglio passare la notte qui con te. - Mi disse baciandomi le labbra, appoggiata al portone. 
- Piccola, vorrei tanto anch'io. -
- E allora fammi dire a Ludo di andarsene e fammi salire. - Prese a mordicchiarmi il collo. 
- Sai che non si può. -
- Non ho più dodici anni. - Imperterrita continuava a stuzzicarmi e la voglia di lei diventava sempre più forte.
Dovetti fermarla per resistere al desiderio di averla proprio lì in mezzo alla strada. - Se non hai dodici anni non fare la bambina! -
Si liberò i polsi dalla mia stretta. Si mise a braccia conserte, facendomi il broncio. 
Sorrisi, carezzandole i capelli. - Non fare i capricci, su. Sai che devi sottostare alle regole se non vuoi che ti buttino fuori. - 
- Che mi interessa? Vengo a stare con te! - Sorrise gettandomi di nuovo le braccia al collo.
- Purtroppo non posso ancora permettermi di badare a entrambi. - Sorrisi. - Anzi, ora che mio padre è andato via a stento riuscirò a restare qui. - 
Meg mi guardò di nuovo col broncio. 
- Piccola forza, vai a casa. Ci vedremo lunedì. -
Si lasciò convincere a smettere di fare i capricci. Ci salutammo con un lungo bacio. La guardai salire in macchina da Ludovica e partire tenendo la testa fuori da finestrino a guardarmi. 

Guardavo l'auto allontanarsi e pensavo. 
Pensavo a come una sconosciuta può diventare la persona più importante della tua vita. 
Pensavo a come un gruppo d'amici può salvarti dalle situazioni più orribili da cui ti sembra di non poter uscire.
Pensavo a come una ragazza madre può avere la forza di continuare gli studi badando a un bambino e a come un ragazzo che la ama riesca a voler riconoscere un bambino non suo pur di starle vicino al meglio.
Pensavo a un marito che abbandona la famiglia pur vivendo sotto il loro stesso tetto e ad una moglie adultera che riesce ad essere una perfetta madre.
Pensavo a un ragazzo violento e puttaniere che si innamora perdutamente di un paio di enormi occhi castani che hanno passato le pene dell'inferno.
Pensavo all'università da finire, al lavoro da trovare, alla casa da arredare e alla famiglia da costruire. Pensavo ai sogni per il mio futuro con lei, sperando che anche questi potessero avere una stupenda coronazione.




Fine.

   
 
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