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Autore: Littlefinger    22/10/2012    0 recensioni
Piacere, mi chiamo Neil McRoberts e sono un mago.
Questo l’avrete capito dal fuoco fatuo che mi ronza intorno, il cappello a punta e il bastone intarsiato che mi porto sempre appresso. Scherzo, ovviamente; non indosso un cappello a punta, sono così fuori moda.
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Neil McRoberts'
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Lo schiaffo mi colpì all’improvviso e sentii la guancia che s’arrossava.
     Mi alzai dal sedile col vago sospetto che la signorina non gradisse la mia compagnia. Percorsi il corridoio del pullman fino a raggiungere Jebediah e Chiara. Il primo occupava due posti per conto suo ed era immerso nella lettura, mentre l’altra stava sdraiata nell’ultima fila di posti, con il cappuccio della felpa tirato, auricolari - a volume così alto che si poteva sentire cosa stesse ascoltando - e occhiali da sole; si era isolata dal mondo. Mi sedetti nel posto vicino a Big J, accanto a una simpatica vecchina.
     Stavamo viaggiando verso Cagliari in pullman.
     Sì, avete capito bene, in pullman. Un po’ anticlimatico, però era il mezzo più comodo. E l’unico a disposizione. Preparare un Portale per più persone verso una destinazione nuova era abbastanza complicato; richiedeva un rituale di preparazione piuttosto lungo e non volevo sprecare tanto tempo per un incantesimo fine a se stesso. Perdere un giorno per risparmiarsi tre ore di viaggio non era la scelta più saggia che mi venisse in mente. Inoltre viaggare in pullman ci avrebbe dato il tempo discutere il piano d’azione e di rilassarci per qualche ora. Niente Aston Martin, elicotteri o moto fiche per il povero Neil McRoberts.
     «Cosa ne pensi?» chiesi a Big J.
     «È un casino.» rispose, senza alzare gli occhi dal libro. Girò pagina. «Spero proprio che Bella non si metta con Edward.»
     «Guarda che parlo del lavoro.»
     Jebediah fece spallucce e continuò a leggere. «È un peccato che i vampiri veri non brillino al sole.  Sai che facilità riconoscerli e piantar loro una pallottola in testa?»
     «Terra chiama Big J, Terra chiama Big J.»
     «Ci sono, ci sono.» Sbuffò e socchiuse il libro. «Le istruzioni sono abbastanza chiare e non c’è molto spazio di manovra. Il capo vuole uno spettacolo con i fuochi d’artificio e non gli dobbiamo dare uno spettacolo coi fuochi d’artificio.» Lanciò un’occhiata alla vecchina, mia compagna di posto. «Sei proprio sicuro di volerne parlare qua?»
     «Che problema c’è?» Mi rivolsi alla signora. «Elena, lo sa che io e il mio amico siamo dei mercenari e stiamo andando a Cagliari per uccidere un vampiro?»
     La vecchina si mise a ridere. «Non ha proprio l’aspetto di uno che possa uccidere un vampiro, Neil.»
     «Maskinganna pensa il contrario.» risposi, un po’risentito.
     Al sentire quel nome, la signora si segnò e si alzò, andando a cercare un altro posto in cui sedersi.
     Jebediah si mise a ridere. «Complimenti per il tatto, ma almeno ora possiamo parlare con tranquillità.»
     «Chissà perché ha reagito così.» mi domandai. «Era una vecchina così simpatica.»
     «Perché la cultura popolare identifica Lord Maskinganna col diavolo cristiano.» rispose Chiara. Si era tolta un auricolare e mi fissava dal posto centrale. Non riuscivo a decifrare la sua espressione; non capivo se fosse divertita o irritata. «Maskinganna, o Maestro degli Inganni, è sempre stato associato al mondo sovrannaturale e le credenze più intolleranti solitamente tendono a bollare di malvagità ciò che non s’instrada nel loro credo.»
     «Aspetta un attimo!» esclamai eccitato. «Mi stai dicendo che Maskinganna è una parola che vuol dire  maestro degli inganni?»
     Chiara annuì. Ora era chiaramente – che gioco di parole sopraffino! – irritata. «Non mi piace ripetere le cose ovvie, Neil.»
     «Quindi abbiamo accettato un incarico da un tizio che si chiama Maestro degli Inganni?»
     «La nostra solita fortuna.» disse Big J, laconico. «Comunque mi è sembrato un tizio a posto.»
     «Eh, già!» Stavo cominciando ad alterarmi. «Sembra un tizio a posto! Che maestro degli inganni sarebbe altrimenti? Oppure secondo te dovrebbe andare in giro con un cartello “Potrei fregarvi”?»
     «Basta con le cazzate, Neil. Maskinganna è solo un nome con cui viene chiamato dagli altri, nessuno sa il suo vero Nome. Sai bene che le fate non lo dicono al primo che capita.»
     «E il tuo nome, Chiara? È quello vero oppure è solo una parola con cui ti chiamano gli altri?» Mi pentii subito di quello che avevo detto. Ero adirato per la storia del nome, ma non voleva attaccarla.
     «È il nome che mi hanno dato i miei genitori» replicò, accompagnando le parole con uno sguardo fulminante. Si rimise l’auricolare e si sdraiò sui sedili.
     Ci sono momenti in cui vorresti possedere un telecomando per far tornare indietro il tempo. Oppure una vanga per scavare una fossa e nasconderti per la vergogna. Meglio entrambi. Chiara era una cara amica e non meritava che la offendessi così.
     «Quello che voglio dire è che non mi posso fidare di un tizio che si chiama… che chiamano Maestro degli Inganni!» Lo so, non sono bravo nello scusarmi. Feci per alzarmi, ma Jebediah mi trattenne.
     Scosse la testa e disse: «Non ci sai proprio fare con le donne, Neil. Lasciala in pace. Conoscendoti ora non faresti altro che irritarla ancora di più. Parlale quando arriviamo.»
     «Ma…»
     Mi zittì con uno sguardo. Quando voleva Big J sapeva essere convincente. Anzi, spaventoso. «Quando arriviamo ti scusi e non cerchi nessuna giustificazione, chiaro? Visto quello che dobbiamo fare, non voglio che ci siano incomprensioni.»
     Annuii in segno d’assenso. Aveva perfettamente ragione.
     «E ora torniamo agli affari.» Sorrise. «Sono un po’ arrugginito con il tiro a segno, ma ho trovato un paio di postazioni interessanti abbastanza vicine all’obiettivo da non darmi troppe preoccupazioni. Ringraziamo Dio per Google Maps.»
     «Non prima di fare un paio di ricognizioni dal vivo.» obiettai. «Può essere pure che i palazzi che hai visto nelle foto siano stati abbattuti.»
     «Ovviamente, non sono un pivello. Piuttosto, tu saresti in grado di congiurare un paio di Portali per collegare istantaneamente le varie postazioni?»
     Rimasi in silenzio per quasi un minuto. In teoria l’idea di Big J non era per nulla malvagia. Un ottimo modo per far saltare le teste dei cattivi senza dare indicazioni sulla propria posizione. In pratica era un altro paio di maniche. Come si suol dire, tra il dire e il fare…
     «Ci devo pensare su. Non è un incantesimo banale da preparare.» dissi infine. «Mi serviranno parecchie cosine. E un chilo di cioccolato.»
     «Mic?» chiamò Big J.
     Lo Spirito apparve dopo qualche secondo. «Tutto si può fare.» disse, dopo che Big J gli ebbe spiegato la sua idea. «L’unico limite è l’energia di Neil. Alla fin fine lui dovrà combattere nella villa e non credo sia efficiente consumare energia per mantenere attivi i Portali.»
     Non mi andava a genio andare alla guerra con una frazione dei miei poteri. E non potevo nemmeno chiudere i Portali istantaneamente quando mi faceva comodo. Un incantesimo facile è come una lampadina, per azionarla basta premere un interruttore. Un incantesimo di quella complessità, invece, è come una centrale elettrica: molto più complicato da spegnere. Quando le potenze in gioco sono molto elevate – e quell’incantesimo ne dissipava parecchia – ci vogliono misure di sicurezza più stringenti, per evitare di far saltare in aria un intero quartiere o, peggio, aprire un Portale per qualche Dimensione non proprio amichevole.
     «Non possiamo tenerli aperti in qualche altro modo?» chiesi.
     «Si potrebbero usare uno o più vettori in cui stipare abbastanza energia per tenerli aperti per la durata della missione.» rispose Mic.
     «Una batteria, insomma.» disse Jebediah.
     «Esatto.» Mic mi anticipò.
     «La festa sarà fra dieci giorni, quindi abbiamo abbastanza tempo per preparare tutto.» aggiunsi dopo un po’. «La villa probabilmente sarà protetta magicamente da Portali estranei, quindi bisogna escogitare qualcosa per portare le armi all’interno.»
     «Portarle fisicamente come se foste normali essere umani?»
     «Dubito che la sicurezza faccia entrare degli ospiti armati.» Mi misi a parlare in falsetto. «Ma certo, signore, entri pure col suo fucile a pompa! Serve per i palloncini, vero?» Ripresi il mio solito tono. «Io posso arrangiarmi senza bastone, ma Chiara sarebbe troppo svantaggiata.»
     L’obiettivo della missione era Maria Salis, una sùrbile. Per chi non è ferrato in mitologia e folklore sardo – come non lo ero io, prima che Chiara mi erudisse - una surbile è un vampiro, una strega-vampiro, se vogliamo fare i pignoli. Non lo era nel senso stretto del termine definito da Bram Stoker,  e nemmeno da Stephenie Mayer, grazie al cielo, anche se Big J lo avrebbe preferito. Si cibava esclusivamente di neonati, preferibilmente non battezzati, o battezzati in famiglie non credenti dove il battesimo era una moda piuttosto che un atto di fede. Le religioni, se praticate coerentemente, sono un grandissimo strumento difensivo contro la magia e le creature sovrannaturali. Dracula temeva la croce non perché era formata da due bastoncini perpendicolari fra loro, ma per il simbolo che è e per ciò che rappresenta. Se io provassi a difendermi da un vampiro con un crocifisso, il suddetto ci metterebbe un attimo a trasformarmi in uno spuntino. D’altra parte, se a usarlo fosse un prete, la questione sarebbe ben diversa. Poi c’è sempre il problema del bilanciamento delle forze in gioco: se il tuo scudo si fa un baffo dei colpi di una spada, non è detto che resista a un bazooka.
     Naturalmente, “surbile” è solo un nome che deriva dalla tradizione sarda, si tratta comunque di un vampiro;  con una predilezione per gli infanti, ma pur sempre un vampiro.
     Maria Salis era pericolosa; una di quelle creature per cui l’aggettivo “antica” non era né offensivo né sproporzionato, ma una misura di quanto tempo avesse avuto per praticare l’arte magica. Stando alle informazioni dateci da Maskinganna, non possedeva del potere puro come un Lord dell’Areu Afadau né quella “forza” bruta tipica dei maghi e degli stregoni umani, però la sua arte era sottile e raffinata, come un samurai che taglia una goccia con la sua katana. Era anche molto abile anche nell’arte alchemica. Stando al rapporto, filtri e pozioni erano il suo pane quotidiano. Una vivida immagine mi apparve nella mente. Avete presente la classica figura della vecchia strega che mescola un calderone fumoso? Ecco!
     «Il trucco è di portare le armi dentro dopo che verrete perquisiti.» disse Jebediah. «Mi pare chiaro.»
     «Ci penseremo con calma dopo aver fatto un paio di ricognizioni.» replicai. Era inutile pensare a certi dettagli senza avere un solida base su cui ragionare. Potevamo anche pensare al miglior piano del mondo, ma se poi il terreno non era favorevole, eravamo punto a capo. In quel momento potevamo solo tracciare a grandi linee un piano d’azione e solo più tardi avremmo definito i dettagli. «È possibile che tu debba entrare nella villa per aiutarci. La surbile è potente, non so se posso affrontarla a testa bassa da solo.»
     Big J annuì. «Come se tu ti preoccupassi combattere onestamente. Dove non arriva la forza, arrivano i trucchi sporchi.»
     Sorrisi e alzai le mani. «Mica sono un Cavaliere della Tavola Rotonda.»
     «Se lo fossi stato, ti avrebbero espulso da un pezzo.» aggiunse Mic. «Ti ricordi del capodanno a Nuova Delhi?»
     «Legittima difesa!» esclamai.
     «E il mese scorso a Boston?»
     «In teoria il palazzo non doveva crollare.»
     «Ma è crollato.» obiettò Mic, continuando a ronzarmi intorno alla testa, fastidioso come un calabrone.
     «Colpa del troll.»
     «Come no. Lui è morto e non può replicare.»
     «La storia la scrivono i vincitori, bellezza.» Ridacchiai.
     Mi accorsi che un bambino ci guardava dal sedile davanti.  Sembrava interessato ai nostri discorsi, ma aveva una faccia un po’ spaventata. Gli mostrai il pollice alto e dissi: «Tranquillo, tigre. Noi siamo i buoni!» Tecnicamente non era proprio vero. Lo sarebbe stato in un’etica in cui il bene equivaleva ad un grande numero di zeri del mio conto svizzero. Di norma, quelli che mi pagano sono i buoni, gli altri i cattivi. Viva il relativismo!
     Il bambino sorrise e ricambiò il pollice su, poi si voltò a parlare con la mamma. Lo sentii riferire la storiella del troll e qualcosa sul voler fare il mago da grande. Certo, la carriera del mago mercenario è fantastica. Giri il mondo e lavori usando la tua arte e divertendoti. È come essere una rockstar, però senza i miliardi e le groupie e col rischio di morire a ogni “concerto”,  anche se quest’ultimo punto vale pure per tante rockstar. Se avessi studiato musica a quest’ora sarei stato in una piscina d’oro massiccio, circondato da conigliette di Playboy e non in un ridicolo pullman diretto a un mio possibile funerale.
     La voce di Mic mi riscosse dai pensieri sulla mia mancata carriera da musicista. «Alla festa ci saranno i rappresentanti di molte parti del mondo sovrannaturale, fossi in te eviterei di far crollare la villa o di combinare altri danni collaterali che potrebbero far adirare qualcuno.»
     «Ovviamente, Mic, ovviamente.» risposi. «Mi prendi per pazzo?»
     Big J scosse la testa e aprì il libro. «Non ti prendo semplicemente lo sei. Ora lasciami in pace e fammi finire di leggere il libro. Voglio godermi in santa pace la battaglia finale contro i Volturi.»
     Se avete letto Twilight, sapete che Jebediah sarebbe rimasto deluso. Io tifavo per i Volturi, comunque. Per tornare agli affari… facendola breve, Maria Salis era una servitrice dell’Areu Afadau, ma, a quanto sembrava, si era stancata di ciò e aveva deciso di ribellarsi. Si era convinta di essere abbastanza forte da potersi mettere in proprio; quale fosse il motivo di quel cambiamento, il rapporto non lo diceva. Quella festa era un po’ il debutto in società di Maria Salis in veste di leader del proprio clan. Membri importanti del mondo magico e di quello fatato erano stati invitati, insieme a membri dell’alta società e della politica italiana. Ovviamente la corte fatata non era d’accordo: era impensabile che una vampira, l’equivalente di una plebea del mondo sovrannaturale, potesse elevarsi come un nobile, figurarsi se poi decideva di farlo senza nemmeno consultarsi con un Lord. Secondo la corte, comportamenti di quel tipo esigevano un castigo esemplare.
     Noi eravamo, o saremmo dovuti essere, quel castigo.
     I Lord delle corti - quelli che nel folklore gaelico si chiamano Aes Sidhe – non sono tizi che amano sporcarsi le mani, preferiscono lasciare i lavori di manovalanza a noi poveri mortali. Loro sono dei nobili e combattono le loro battaglie con eleganza e sottigliezza. Se avessimo avuto successo probabilmente Maskinganna avrebbe negato qualsiasi suo coinvolgimento – “sono scioccato quanto voi! Chi poteva immaginare che i miei emissari impazzissero e uccidessero la povera Maria!” - ma tutti avrebbero saputo che era stato lui a ordinare i fuochi d’artificio. Proprio per questo motivo aveva richiesto che il lavoro venisse svolto durante la festa: voleva che tutti potessero vedere qual era il prezzo del disobbedire all’Areu Afadau. E chi poteva accusare un Lord di mentire, senza correre il rischio di venire incenerito sul posto per aver offeso il suo onore?     
     Sprofondai nel sedile, cercando di trovare una posizione comoda in cui stare. Era arrivata la parte più importante del viaggio in pullman. Chiusi gli occhi e mi addormentai.
 
     Mi svegliai nell’esatto istante in cui il pullman si fermò, preciso come un orologio atomico. Nel mio campo ci si abitua molto velocemente a dormire quando se ne ha la possibilità e a farlo con un occhio solo. Così si diventa attenti e reattivi a ogni minimo suono fuori dall’ordinario. E gli strilli del bambino che non voleva scendere erano lievemente sopra la soglia di “minimo suono”. Tirai giù dal portabagagli lo zaino e il bastone e uscii, seguito da Chiara e Jebediah.
     «Vado a fare due passi intorno all’obiettivo, per vedere se quei palazzi di cui ti dicevo ci sono ancora. Tu sai cosa devi fare. » disse Big J, dandomi una pacca sulla spalla. «Rendez-vous al bed & breakfast.»
     Si allontanò velocemente, percorrendo il marciapiede a grandi falcate. Avrei potuto seguirlo con facilità. Se avessi avuto una bicicletta a portato di mano. Mi voltai verso Chiara. Era ancora in modalità “isolamento”. Batteva il ritmo della musica sulla coscia e sembrava aspettare me.
     «Senti» disse mentre m’incamminavo. «per quanto riguarda prima…»
     «Hai detto una stronzata» m’interruppe «l’hai capito e ora ti vuoi scusare.» Sorrise.  «Scuse accettate.»
     Con un gesto veloce le tolsi gli occhiali da sole e mi guardò perplessa. «Volevo vedere se fossi la vera Chiara e non un doppelganger.»
     «Idiota.» replicò, ma continuava a sorridere, le fossette sulle guance lievemente rosse. «Cosa facciamo? Andiamo direttamente al B&B o diamo una mano a Big J?»
     «No, può fare da solo. Del resto è lui che deve trovare un posto comodo per il suo materassino.» risposi. «Noi dobbiamo fare un’altra cosa.»
     La casa che affittava alcune stanze, e molto esageratamente si definiva bed & breakfast, si trovava vicino alla stazione dei pullman, per cui era comodo andarci a piedi. Inoltre volevo fermarmi a fare shopping prima di arrivare, perché mi servivano un po’ di cosine per preparare l’incantesimo dei Portali. Fui fortunato: trovai quasi subito il negozio che mi serviva. Chiesi a Chiara di aspettare qualche minuto ed entrai da solo.
     Quando uscii, con una busta stracarica in ogni mano, la jana si mise a ridere. «A cosa ti serve tutta quella roba? Hai svaligiato la cartoleria?»
     Esatto, una cartoleria. Non tutti i maghi usano ali di pipistrello, occhi di rospo e cervello di scimmia per preparare i propri incantesimi. Non più, oramai. Oggi ci sono tanti materiali molto più efficaci, e meno inquietanti, per incanalare l’energia magica. Mille tipi di carta, mille tipi di inchiostro, mille tipi di plastica. Non potete nemmeno immaginare quante cose si possono fare con un foglio A4 e una penna arcobaleno.
     Dopo un quarto d’ora arrivammo al nostro quartier generale. Un uomo di mezza età ci aspettava sulla porta. Ci guardò con sufficienza e ci fece segno di entrare. Probabilmente pensava che fossimo due studenti stranieri in cerca di un’abitazione meno provvisoria. Chiara poteva passare tranquillamente per una ventenne e io… beh… io potevo essere un fuoricorso molto in ritardo. Ovviamente ogni studente universitario va in giro con una o più pistole nascoste sotto la felpa. Ci chiese quando sarebbe arrivato il terzo e ci mostrò le stanze, al cui interno c’era il minimo indispensabile per poterle definire tali. Chiara posò il bagaglio sul letto e poi mi raggiunse nella mia stanza. Io ero già seduto alla spartana scrivania di formica e avevo tirato fuori i miei acquisti della cartoleria.
     «Hai intenzione di metterti subito a lavorare all’incantesimo?» domandò, mentre chiudeva a chiave la porta. Si buttò sul letto e si sedette a gambe incrociate.
     «Devo fare un po’ di tentativi, prima di essere sicuro che sia affidabile durante la missione.» replicai. Presi un foglio e cominciai a tracciare diverse figure a matita. Lo scopo era quello di costruire una specie di contenitore – una batteria, come l’aveva perfettamente definita Jebediah – su cui versare l’energia necessaria per mantenere attivi i Portali. Presi riga e compasso e cominciai a disegnare un pentagono regolare. Era una figura molto importante per via delle sue proprietà geometriche: questioni di sezione aurea e altri arzigogoli matematici, roba noiosa per noi rudi uomini d’azione. L’importante è sapere che viene utilizzata spesso negli incantesimo di contenimento per via di quelle proprietà.
     «Che fai?» mi chiese Chiara.
     «In primis devo costruire il contenitore.» replicai, mentre continuavo ad armeggiare con riga e compasso. Non è affatto banale disegnare un pentagono regolare. «Una specie di bicchiere in cui mettere l’energia.»
     «Non mi pare una cosa così complicata o astrusa. Da come ne parlavi in pullman pensavo fosse qualcosa al di fuori delle tue abilità.»
     «Questa è la parte semplice. Poi bisogna fare in modo che l’energia rimanga là per tutto il tempo necessario. Spostare l’energia è semplice, lo si fa ogni volta che si esegue un incantesimo. Il problema è contenerla.» Mic era apparso e fluttuava sopra il foglio, verificando che non stessi facendo cavolate. «La particelle che trasportano l’energia magica si muovono per diffusione, un classico moto br…»
     «Niente fisica, per favore, altrimenti… » mi puntò contro l’indice e abbassò il pollice. «Bang!»
     «Diciamo che in condizioni normali tendono a spostarsi e a occupare egualmente tutto lo spazio disponibile. Un po’ come quando spruzzi del profumo. Noi però non vogliamo che succeda questo.»
     «Per cui…»
     «Per cui bisogna costruire un campo di contenimento che riduca la diffusione. Ovviamente è impossibile annullarla completamente, ma l’importante è renderla trascurabile rispetto al consumo dovuto ai Portali.»
     Il pentagono era completo. Ora si trattava di colorarlo. Lo so, sembra che vi stia raccontando i compiti di quando andavo all’asilo, ma da un certo punto di vista sono cose simili. Mai sentita la barzelletta sul bimbo che evoca Yog-Sothoth mentre disegna la sua famiglia? No? Lo immaginavo, è solo per addetti ai lavori. Ogni colore ha un particolare significato e un determinato potere. O forse è la particolare composizione chimica a dotarlo di ciò, non si sa bene ma ci sono studi in corso.  Fatto sta che una volta costruito il bicchiere si trattava di “rivestirlo” di colori in maniera tale da non far disperdere l’energia.
     «L’ultimo passo» disse Mic, rivolgendosi a Chiara «è quello di costruire un “pacchetto” che lo protegga dagli agenti atmosferici.»
     Presi della plastilina dalla buste delle compere e mi misi a lavorarla. «Naturalmente questo porta altri casini.» borbottai. «Si tratta di un lavoro di precisione perché si rischia di danneggiare il contenitore.»
     «È come cercare di plasmare sull’unghia un rivestimento di piombo intorno a un calice di cristallo.» aggiunse il fuoco fatuo.
     «Bella similitudine, Mic.»
     Chiara si alzò. «Ora che mi avete spiegato cose di cui non capisco nulla, posso andare a fare un po’ di manutenzione alle mie armi.»
     «Poi ci servirai.» le dissi, mentre apriva la porta.
     Chiara si voltò e m’indirizzò uno sguardo interrogativo.
     «Ci devi dare una mano a riempire le batterie.» dissi col sorriso sulle labbra. «Sei una fata, hai più energia tu nel mignolo che io in testa.»
     «Non ne dubito. Col cervello che ti ritrovi.» Lo sbattere della porta mise il punto esclamativo alla battuta.
     Jebediah tornò qualche ora dopo. Era soddisfatto del risultato della ricognizione e mi raccontò tutto mentre continuavo a lavorare sulla batteria.
     «Sorpresa! I palazzi ci sono ancora. Non ho verificato l’accesso al tetto, ma non dovrebbero esserci problemi. Ho fatto un giro intorno alla villa ed è parecchio grande. Il muro di cinta è alto quasi due metri e sopra c’è un’inferriata.»
     «Non sarà difficile scavalcarlo.» commentai. Avevo già una mezza idea di come portare dentro le armi.
     «L’ingresso era controllato. Due uomini.» continuò Big J. «Grossi, molto grossi.» E se lo diceva lui c’era da preoccuparsi.
     «Umani?»
     «Non credo. Le iridi completamente nere e i denti aguzzi mi fanno pensare il contrario.»
     «Sgherri sovrannaturali della surbile. Avevano anche armi?»
     «A prima vista non mi è parso. Potrebbero avere una pistola sotto la giacca, ma ho idea che siano tizi che preferiscono sfondarti la cassa toracica con un pugno, piuttosto che spararti semplicemente.»
     «Motivo per cui ci terremmo a distanza di sicurezza.» Sollevai con entrambe le mani la prima batteria. «Mirate!» esclamai.
     «Cos’è?» domandò Jebediah. «Sembra una palla.»
     «È una palla. Una palla di plastilina rossa al cui interno è contenuto un dodecaedro di cartoncino, riempito a sua volta con altra plastilina. Quella dentro è verde, se ti può interessare.»
     «Non m’interessa.» tagliò corto Big J. «Tanto non sono ferrato per apprezzare queste finezze teoriche. L’importante è che funzioni.» Prese la palla in mano e inarcò un sopracciglio. «Perché funziona, vero?»
     Sollevai le braccia. «Mistero.» replicai.
     «Va testata.» aggiunse Mic. «È un primo prototipo ma non dovrebbe funzionare troppo male.»
     «Autonomia?» chiese Big J.
     «A piena carica dodici ore, in linea teorica.» disse lo spirito. «In pratica, se tutto va bene, direi che sei ore è una buona approssimazione.»
     «Possiamo provarla subito?» Big J soppesava l’oggetto, passandoselo da mano a mano, per valutarne il peso e la consistenza.
     «Prima va caricata.» risposi. «Poi vanno aperti i Portali per testarla. Mi serve Chiara. Mic, vai a chiamarla per favore.» Lo Spirito sparì nella fessura fra la porta e il pavimento.
     «Non puoi testarla usando qualche incantesimo meno vistoso?»
     Scossi la testa. «Per rischiare che poi saltino fuori problemi durante il lavoro? Non credo proprio. Meglio faticare prima piuttosto che morire poi.»
     La porta si aprì e Chiara entrò, con Mic posato sulla spalla. Big J le tirò la batteria e la prese prontamente al volo.
     «È questo il mirabile artefatto magico di cui Mic mi stava enunciando i pregi?» chiese, mentre continuava a lanciarla in aria.
     «Smettetela di giocarci!» esclamai, adirato. Avevo impiegato un sacco di tempo per fare quella… palla. Non volevo vederla cadere a terra e  rovinarsi. «Chiara, dato che sei la nostra jana preferita, devi caricarla.»
     «Come devo fare?» chiese.
     «Tienila in mano, ma anche no, basta che sia a contatto col tuo corpo. Puoi fare la foca e tenerla sul naso, se  vuoi.»
     «Neil…» borbottò Chiara con uno sguardo minaccioso.
     «Va bene, non c’è bisogno di scaldarsi. Tienila in mano e poi concentrati. Non hai mai usato coscientemente la magia?»
     Scosse la testa in segno di diniego.
     «Praticamente è la stessa cosa di quando ti muovi velocemente o di quando rigeneri le ferite leggere.»
     «Ma è una cosa che faccio naturalmente, come respirare. Mica mi metto a pensare “ora devo correre più velocemente” o “voglio saltare più in alto”.»
     «Appunto. Chiudi gli occhi e immagina un fiume.»
     Chiuse gli occhi e, suppongo, immaginò un fiume.
     «Immagina ora che una diga blocchi il fiume. L’acqua continua a muoversi, ma non può andare avanti. Spinge, ma s’infrange sulla diga. Comincia ad accumularsi e si forma un lago.»
     «Sta brillando!» esclamò Big J.
     «Silenzio!» dissi, ma aveva ragione. La pelle di Chiara aveva preso a illuminarsi leggermente. Non tanto quanto usava la magia inconsciamente, ma il fenomeno stava aumentando d’intensità. «Ora immagina di raccogliere l’acqua, di essere tu a controllarla, a plasmarla.»
     Dopo qualche minuto, Chiara brillava come non avevo mai visto prima, l’energia che possedeva era immensa. Che maga sarebbe potuta diventare, se si fosse applicata allo studio dell’arte.
     «Rimani concentrata» continuai «non farti sommergere dalla magia. Sei tu a controllare lei e non il contrario. Continua a plasmare l’acqua: fanne una sfera. Contienila, non farla sfaldare. Ora costruisci una seconda sfera, attingendo dalla prima. Piano, con calma, non devi distruggerla. Quella è l’energia che stai fornendo alla palla. Continua fino a quando non senti che l’energia viene respinta dalla sfera più piccola.»
     Passarono diversi minuti prima che Chiara completasse l’incantesimo. Lentamente la sua pelle tornò normale, mentre la palla di plastilina aveva acquisito una tenue luminosità che aveva la stessa tonalità di quella di Chiara. La fata aprì gli occhi, era visibilmente provata e il sudore le imperlava il viso.
     «Ci sono riuscita?» domandò, asciugandosi la fronte.
     Le presi la palla dalla mano. «Direi proprio di sì.» replicai. «Ottimo lavoro. Hai vinto questa barretta di cioccolato. Attenta ai brufoli.» Le tirai una delle merendine che tenevo sempre a portata di mano.
     «Grazie, Neil. Ora posso fare le magie spettacolari che usi tu? Palle di fuoco, aculei di ghiaccio e quelle figaggini?»
     «Quando riuscirai a ripetere quello che hai fatto ora in una frazione di secondo.» Sorrisi. «Quel metodo va bene per la magia da laboratorio, dove non hai fretta e hai il tempo per raffinare l’energia e centellinarla per bene. La magia da combattimento è tutta un altro mondo.»
     Chiara fece spallucce. «Fa nulla.» disse, anche se sembrava un po’ delusa. Potevo capirla.
     Gli esseri fatati possiedono una quantità di energia ordini di grandezza superiore a quella di un essere umano e la usano inconsciamente. La scienza magica è un’invenzione umana, pensata per ridurre questo gap. Tramite regole e tecniche noi umani cerchiamo o di aumentare l’efficienza e la facilità con cui possiamo controllare le forze magiche. Poi ovviamente ci sono creature come Maskinganna che hanno avuto migliaia di anni per imparare a controllare i propri poteri e si fanno beffe della magia umana. Chiara è giovane secondo i canoni umani, figurarsi se paragonata a un Lord delle fate.
     «Ora non ci rimane che testarla con un Portale.»
     Il primo test non andò tanto bene. A quanto pare la forma sferica non era adatta a un oggetto che volevamo rimanesse assolutamente immobile. La batterie divennero quindi dei coni e poi delle piramidi. Il secondo test andò quasi peggio. E pure il terzo e il quarto. Ci vollero otto giorni per progettare la “Palla di Plastilina, versione sei punto zero”, la migliore batteria che Mic e io riuscimmo a produrre. Era lievemente instabile e durava poco meno di due ore, ma sarebbe bastata. Avrebbe dovuto bastare, volenti o nolenti, visto che non c’erano altre opzioni. Ne costruimmo una per ogni Portale e una di ricambio, in caso sarebbero emersi problemi. Assumere che ce ne saranno non è mai una cattiva linea di pensiero.
     Il party si sarebbe tenuto la sera del giorno successivo. Mentre Mic e il sottoscritto giocavano con la plastilina, i colori e le forbici dalla punta arrotondata, Chiara e Big J si erano dedicati alla ricognizione dell’obiettivo, alla preparazione delle armi e avevano organizzato il trucchetto per portare le armi all’interno della villa. Erano appena rientrati dall’ultimo, importantissimo, incarico: noleggiare i vestiti per la festa. L’invito, infatti, diceva “cravatta nera” e non ci tenevo a mancare di rispetto a un vampiro. L’ultima volta avevo dovuto nascondermi in Groenlandia per un paio di mesi, prima che un mio amico convincesse il simpatico succhia sangue a rimuovere la taglia sulla mia testolina.
     «Ecco il tuo smoking.» disse Jebediah, mentre posava il vestito sul mio letto.
     «Uno smoking?»
     «Certo. Cosa pensavi volesse dire “cravatta nera”?»
     «Che ne so.» risposi. «Pensavo a un vestito da funerale. Boh, non m’intendo di vestiti. Comunque… uno smoking! Finalmente!»
     Big J mi guardò con un’espressione fra il preoccupato e il divertito.
     «Finalmente sarò come James Bond, potrò andare a lavoro in smoking!» spiegai.
     «Se non fossi un mago fottutamente in gamba mi rifiuterei di lavorare con un pazzo del tuo calibro.» Scosse la testa e fece per uscire.
     «Anche Chiara sarà in smoking?»
     «Direi proprio di no. Ha un abito da sera. Per donne. Si è chiusa un camera perché deve fargli un paio di modifiche.»
     «Modifiche? Ma così perderemo la caparra che abbiamo lasciato al negozio!» protestai.
     «Dici che la perderemo per quello?» Big J inarcò un sopraciglio, dubbioso.
     «In effetti credo che il negoziante difficilmente rivedrà i suoi vestiti interi.»
     Big J si mise a ridacchiare e uscì.
   
 
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