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Autore: daisy05    07/05/2007    15 recensioni
“Amore… mi… mi riconosci?” Dondola, dondola, dondola, Marionetta Fuggitiva. Dondola, dondola, dondola, Bambola Rotta. Dondola, dondola, dondola, Hermione che fu. “Harry.” E un moto di rabbia a colpire il suo petto. Smettila. Ha l’alzhaimer. Non una cotta per Harry.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccole premesse, prima di lasciarvi alla lettura che segue; il tema trattato non è un tema semplice. Non lo è affatto, dato l’altalenarsi di dibattiti e polemiche tra le varie controparti. Ci ho provato. Ci ho provato sul serio. Ne è uscito questo, qualcosa di cui sono consapevole per prima essere lacunoso. Abbiate pietà. E’ il mio primo lavoro dopo quasi un anno di assenza e blocco più totale.

 

                                                                                      ****

 

Sono in clamoroso ritardo lo so; a mia discolpa posso dire che veramente l’intero mondo ha congiurato contro di me, da Movie Maker che si ostina a non funzionare a questa benedetta tastiera che non mi dà la soddisfazione di piegarsi, ma…vi ho pensate. Vi ho pensate, mentre scrivevo questa storia; ho pensato a Sunnina aka Crostatina che fa *Momo*, gratta alla porta di zia e ripete con la sua vocina “Zio Merdoooooooon, zio Merdoooooooon, Zio Merdoneeeee” per poi lanciarsi nelle mie braccia e farsi coccolare . Ho pensato a Gaietta , piccola martire di noi altri che, tra uno sclero da Skin e l’altro, sopporta pazientemente anche i nostri, di Scleri. Avrei voluto fare di più, sul serio, come ad esempio presentarvelo in tempo, questo regalino di “compleanno”.

 

Avrei voluto disseminare la rete di Charlie/Ellie and Aodhan/Sarah videos, Sun, dal momento che le tue manine ci hanno abituato a capolavori con i quali neppure il più minuzioso dei lavori può competere (e lo confesso, sono ancora dell’idea sia un pessimo regalo dedicartela, questa FF, ma…considerala l’aperitivo pre-Video).

 

Avrei voluto saper rendere meglio quello che speravo di rendere, di strappare qualche sospirone di quelli che accrescono il mio amore nei tuoi confronti e di lasciarti soddisfatta; ci ho provato, Gem, ci ho provato sul serio, ma non credo di esserci riuscita.

 

Dedicato a voi, in ogni caso; perché ogni parola, anche la più insulsa, incide in me, se dalle vostre labbra. Vi voglio bene.  (Costoletta & Gem)

                                                                                  ******

*Estou Com Saudades De Tu*

 

Non lo avrebbe mai saputo cosa l’avesse spinto ad arrestare la folle corsa dei suoi occhi proprio sulla ruota di quella macchina; non era una bella macchina. Non lo era affatto.

 

Accozzaglia di ferro cromato argento che, dall’assordante chiassosità di uno stemma che racchiudeva, in una “V” rovesciata, il “Plus” che tanto sembrava essere capace di racchiudere in sé l’aspirazione massima del genere umano.

 

Carne asservita a metallo.

 

Non era che una macchina. Eppure sarebbe stato quello, il particolare che avrebbe ricordato, ripensando a quel preciso istante.

 

Non le narici dilatate, nel carpire l’ultima boccata di sigaretta; non le unghie che, inclementi, affondavano nella cellulosa oramai ocra; non le morbide note di un Carretto di gelato, o la goccia salata che, implacabile, scivolava contro la tempia del suo conducente, di un allegro colorito pulce.

 

Ed è curioso; come sia il particolare a rendere memorabile un istante. Come quella stessa percezione affondi radici nella terra smossa che è la tua mente. Come alla fine, sia proprio a quel senso che t’appendi, nel ricercarlo.

 

Quello sarebbe stato il suo senso. Stridore di ruota su asfalto riarso dal sole.

 

Caldo. Aveva caldo. Annaspava, nel calore, le labbra sottili socchiuse nel tentare di carpire il fiato d’aria fresca che avrebbe potuto sottrarlo alla combustione.

 

Ed è meccanico volgere il capo alla ruota; ricercare la causa di un equilibrio spezzato in una giornata che si presta ad essere ripetitività.

 

Respira, Ron, respira ed espira.

 

Respira ed espira.

 

Pelo color caramello sotto ruota assassina.

 

Respira ed espira, Ronald.

 

Zampa color zafferano contro gola che ancora palpita, gola marrone, gola rantolante.

 

Respira ed espira, Ronald.

 

Caramello che espira.

 

Spettatore impotente davanti ad una morte che coglie impreparati. E lo sai e basta, quando arriva quel momento.

 

Lo sguardo risoluto, nell’incontrare quello riflesso in occhi zaffiro incastonati in ciuffi di pelo arancione; ciuffi di pelo che, sparpagliati, ricoprono zampa assassina.

 

Peli arancione sporchi di porpora. Peli arancione che poggiano ancora contro la gola marrone.

 

Boia dagli occhi zaffiro solleva lo sguardo, ad incontrare quello di lui.

 

Respira ed espira, Ron.

 

Respira.

 

Petto martellante, petto che duole, petto che soffoca considerazione razionale mentre la mano callosa preme contro il legno  di una porta di un candore immacolato.

 

Lo sai e basta quando arriva il tuo momento.

 

Stridore di ruote.

 

Lo sai e basta.

 

Volge il capo; zaffiro in cobalto, per l’ultima volta. Immagine del “Fu”, del “Già fatto” ha riflettersi in “Farò”.

 

Stridore di ruote.

 

“Signor Weasley…”; piccolo cenno affermativo.

 

“Dottoressa…”.

 

Lo sai e basta, quando arriva il tuo momento.

                                                                           

                                                                                *****

 

 

Pelle. Barba ispida e ramata contro pelle serica e ambrata. Callo contro guancia. Lingua che sfrega lingua. Lingua a sinistra. Lingua a destra. Punta contro incisivo. Piatto. Grani, grani, grani. Ruvido, ruvido, ruvido.  Ed il sapore ferruginoso del sangue, nelle loro bocche.

 

“Apri gli occhi”.

 

Sussurro contro labbra gonfie ; bocca sottile che si solleva, lucida di saliva. Un bambino dalle guance bollenti. Alluce che percorre vena madre. Onda contro onda. Gelone che trasforma in guanto. Non è perfetta. E nell’ imperfezione violentata un rassicurante senso di realtà.

 

Palpebre serrate, ciottoli a seppellire terra screziata di pirite e promesse non mantenute; mai perdere il controllo. Mai perdere la razionalità. Mai perdere l’occasione di farsi del male. Era brava in questo. Era quello che le riusciva meglio.

 

“Ora aprirò gli occhi. Poi cingerò il tuo collo con le  mie mani. Ed infine perderò l’ultimo briciolo di lucidità che mi avevi lasciato dentro.” La sicurezza, data da un programma, più forte di ogni istinto.

 

Perché è quello che cercava, sempre; premeditazione. Non è capace di improvvisare. Non è brava in questo. Non lo è mai stata.

 

Niente tentennamenti; niente spontaneità; nessuno slancio. Non è una favola; non è una pellicola dal profumo di Tendoni di Parchi Gioco Fantasma; non è che Ron.

 

Labbro che mordicchia labbro; canino che ferisce piega; piega che si squarcia; taglio che aderisce a taglio.

 

“C’è che sto facendo l’amore con te. E tu te lo stai perdendo.”

 

Occhi che si aprono rapidamente, feriti; terra promessa, sommersa da oceano in tempesta; zigomo che cozza con spigolo; ed una fitta, sopra le ciglia. Occhio che quasi sfiora occhio. Lui vede lei. Lei vede lui. Ed è come se fosse la prima volta.

 

“Ti vedo.” Sussurro roco, contro la linea della mascella, morbida.

 

“Io vedo il mio riflesso.” Acume che spinge, prepotente, contro ogni artefatto rosa pastello. “Vedo i tuoi occhi…ci vedo noi.”

 

E il calore dato dal rassicurante velo della sincerità che le è propria, a riempire la mente, svuotata solo  da una manciata di secondi, di lui.

 

Polpastrelli callosi che picchiettano, leggeri, lungo il fianco dell’altra, lascia che le palme rimodellino la colonna, sporgente; ossa contro mano. Bacino che scivola contro polso contratto.

 

“Ci vedi noi.”

 

“Ci vedo noi.”

 

“Va tutto bene.”

 

“Va tutto bene.”

 

L’angolo del labbro che si arriccia mentre, piano, solleva la mano; dita tremanti che, delicate, passano sul labbro dell’altro. Sfiorare. Sfiorare. Sfiorare.

 

Nella speranza di non dimenticare mai la percezione della filigrana della carne di lui, sotto le dita.

 

Ma la mente è labile.

 

Anche se allenata; anche se il fruscio di grani di quarzo rosa, contro il cristallo delle clessidre, è un carillon che conduce all’oblio; anche se il guanciale al quale la tua gota si è abituata alla rigidità di un tomo di Trasfigurazione.

 

La mente è labile.

 

Troppo.

 

                                                                                ***

 

Pulsa. Pulsa, pulsa, pulsa.

 

Ospite ritardatario che, insistente e sgarbato, picchietta con forza sulla porta di carne del suo polso.

 

Repellente; viscido. Solo sangue, infondo.

 

Dita contratte a pugno, affonda le unghie nella palma; ed è dolore, mentre un nuovo taglio si apre, nel tempo di un battito di ciglia, su due fronti, sul palmo e sulla nocca.

 

Non è valido questo. E’ gioco sleale, questo. Fare male senza preavviso. Non vale, Hermione. Non vale.

 

E la guarda, raggomitolata su quella sieda di paglia e ciliegio, davanti alla finestra. Due fiocchetti a scacchi scozzesi blu e rossi, a fare capolino dall’intreccio giallo sole su cui lei  siede. 

 

Polsi incrociati all’altezza della clavicola; Cristo piangente che si fa donna, Cristo rapito della sua identità, Cristo che non sa perché è in Croce, Cristo che non rammenta il suo Dio, il suo Demiurgo, plasmatore primo ed ultimo di ciò che è.

 

E non lo sa perché dondola, lei.

 

Lei che sapeva tutto, ora non lo sa

 

Sapevi tutto…sapevi sempre tutto.

 

 

                                                                          ***

 

 

Battito.

 

Morsa che attanaglia organo pulsante, soffocando sul nascere il respiro che muore in gola. Un respiro sprecato.

 

Le dita callose che, lente, si artigliano al bordo della maglia, sollevano lentamente la canottiera di lana.

 

Lana.

 

Alle porte di Marzo.

 

Se lo doveva aspettare, dopotutto. Non è che una bambina. Piccola donna che, con vocina saccente e ciocche di ricci color ebano che oscillano nel vuoto, bussa insistente alle porte della vita.

 

Quel qualcosa che è incapace di ritrovare nei libri. Quel qualcosa che quelle fottutissime pagine la cui carta ha l’onore di sfiorare il naso di lei - un diritto che gli è sempre stato negato, un diritto a cui ogni singola cellula del suo corpo gridava, irosa, pur di poter accedere- non sono capaci di insegnarle.

 

Certe cose non le impari sui libri, piccola Hermione.

 

Dita che stringono bordo.

Dita che sollevano maglia.

Dita che rivelano pelle di seta, celata da grezza lana pungente.

 

Perché, in fondo, è questo, lei, no? La dolcezza della morbida goccia di caramello riposta in uno scrigno di cioccolato fondente, lucido e spigoloso al tatto.

 

Solleva appena il capo, lasciando che, per l’ennesima volta nel giro di qualche secondo, il cuore deceleri rapidamente Lei L’angolo sinistro della bocca ad arricciarsi, incapace di sorridere pienamente.

 

Il braccio dell’altra che si solleva pudico a celare alla vista di lui il seno scoperto, chiude la mano sul polso sottile di Hermione, Ron, impedendo che ella porti al fine il suo movimento; niente barriere. Nessuna barriera.

 

Guida la mano contro il suo petto, ponendola proprio ove il cuore batte, frenetico. Un sorriso imbarazzato, ad accogliere l’espressione a metà tra il compiaciuto ed il grato della ragazza.

Socchiude gli occhi, Hermione.

 

“Spiegami come si fa.”

 

Capo che si scuote, mentre una ciocca di frangia color zenzero si appiccica alla fronte, già coperta da una leggera patina di sudore.

 

“Non si imparano queste cose.”

 

“Non mi interessa il romanticismo.”

 

Le sopracciglia rosse che si arcuano, arriccia il naso.

 

“Stiamo facendo l’amore. Il romanticismo c’entra per forza.”

 

Tono irato; nota di fomento ed ira malcelata nella voce. Quel suo dannato vizio di mostrarsi sempre superiore, di voler sempre essere distaccata, capace, nel vero senso della parola.

 

Ma non glielo permetterà, dannazione.

 

Non ora. Non nel loro “Ora”.

 

Gli occhi caramello che si schiudono, rapidi. Lo fissa, attenta; le labbra che assumono una piega di colpa, nell’assimilare il significato delle sue stesse parole.

 

“Oh, Ron, io non…non…”

 

“Ma l’hai detto.”

 

“Non era quello che intendevo e lo sai.”

 

Le braccia ridotte a due fasci di muscoli indolenziti, incrocia le braccia al petto.

 

“No, non lo so, Hermione.”

 

“Non voglio litigare ora.”

 

“Allora spiegati, avanti.”

 

“Io…”

 

“Spiegati.”

 

Lo sguardo che si abbassa, in un punto sospeso appena sopra l’ombelico di lui, si lascia sfuggire un sospiro spezzato dalle labbra.

 

“Voglio che tu sia orgoglioso. Voglio che tu possa dire un giorno che non ho fatto errori, qui. Che…è andato tutto bene.”

 

“Oh.”

 

“Oh.”

 

Stupido Ron. Stupido, idiota, cretino Ron.

 

Porta l’indice sotto il mento di lei, sollevandole appena il capo, il volto ridotto ad una maschera di concentrazione.

 

“L’hai sentito prima il cuore?”

 

Un piccolo cenno affermativo, occhi negli occhi.

 

“Tu limitati a seguire il suo ritmo e andrà tutto bene”.

 

Si china su di lei, la punta della lingua che, piano, corre a lambire il contorno del labbro inferiore di lei, per qualche istante; le mani che sollevano, ad incorniciare, il volto della ragazza che  schiude piano gli occhi.

 

“Potrebbe...fare male.”

 

Sussurra, contro la sua stessa bocca.

 

Ed occhi gemelli e diversi, ad aprirsi; labbra che si sollevano verso l’altro, sotto le sue.

 

“Lo so.”

 

Sapeva sempre tutto. Lei.

 

Ed affonda; piccolo Maestro di vita mai vissuta.

 

Affonda.

 

Affonda in lei.

                                                                              ***

 

 

 

Piede che segue piede; punta contro tallone, punta che batte su pavimento a scacchi, punta che riecheggia.

 

Cinque dita, solo cinque dita, a schiudersi; ventaglio che smuove, piano, la massa di aria sospesa sopra il capo di lei.

 

Desidererebbe abbassarla, quella mano. Lo vorrebbe sul serio.

 

Ma non lo farà. Sa per certo che non lo farà. E sa che quando sarà tutto finito, quando la tapparella verde vomito di quella stanza dall’aria soffocante - quella stanza che, ora come ora, sembra chiudersi su di lui - si abbasserà, riparandola dagli ultimi raggi di luce del sole di Agosto, un conato di vomito colpirà la bocca del suo stomaco.

 

I polpastrelli che si richiudono sul palmo della mano, stringe le dita; le nocche che, secche, si fanno ceree.

 

“Hermione…”, tenta. Richiamo sottile e morbido.

 

Quasi a non volerla disturbare.

 

Anche se sa bene che lei non può essere disturbata. Nel suo regno fatato ed ovattato, nessuno può accedere.

 

Infondo è sempre stato così, no, Hermione? Hai sempre avuto un mondo tutto tuo. Solo che stavolta non potrò chiuderlo, quel dannato libro.

 

Un profondo sospiro.

 

“Hermione…”, riprova, con più sicurezza, accovacciandosi davanti a lei.

 

I polsi ancora incrociati all’altezza della clavicola, non cessa il suo dondolio, Hermione. Marionetta dai fili spezzati che, esanime, non può fare altro che dondolare in avanti, quasi a voler tirare, sino a spezzare completamente, i fili del Burattinaio che, nonostante tutto, si ostina a tenerla ancora nel suo magazzino angusto e polveroso.

 

Quasi a voler recidere il filo trasparente che sembra legarla alla scena. Che potrebbe farla camminare sulla scena. 

 

Quasi a voler uscire, da quella fottuta scena.

 

Le ciocche di capelli crespi che le ricadono sulla fronte, quasi a celare agli occhi azzurri dell’altro lo sguardo vitreo, sfiorano per poco la fronte di Ron con la propria.

 

“Amore… mi… mi riconosci?”

 

Dondola, dondola, dondola, Marionetta Fuggitiva.

Dondola, dondola, dondola, Bambola Rotta.

Dondola, dondola, dondola, Hermione che fu.

 

Un cenno affermativo, mentre un sorriso nervoso si dipinge sulle labbra. Riflesso, lo chiamano i Guaritori. Sorriso, lo chiama lui.

 

“Harry.” E un moto di rabbia a colpire il suo petto.

 

Perché ricordarsi di Harry? Che gliene importa di Harry? Forse Harry era più importante, forse Harry era quello che lei voleva, forse Harry…

 

Smettila. Ha l’alzhaimer. Non una cotta per Harry.

 

“No, sono Ron, amore”, sussurra, tentando di accarezzare la guancia della ragazza che, però, sposta il volto di scatto.

 

“Jack Russel.”

 

“No, Ron.”

 

“Lo sai come si fa levitare una piuma? Un mio amico l’aveva bruciata, sai? Ma io gliel’ho detto,  l’incantesimo giusto.”

 

“Lo so.”

 

“No che non lo sai.”

 

“Hai ragione, sei sempre tu a sapere tutto” E una fitta al cuore, nel pronunciare quelle parole.

 

                                                                                     ***

 

La lingua che passa contro il palato. Socchiude gli occhi, le labbra arricciate in un sorriso radioso.

 

Sì, radioso, non ha paura di sorridere, di mostrargli ciò che prova, nel suo intimo.

 

Non più.

 

Il leggero fruscio delle lenzuola, ad accompagnare lo spostamento del peso del suo corpo. Solleva piano il mento. Occhi che, placidi, affondano nel mare in tumulto di quelli dell’altro.

 

Cinque dita, ad insinuarsi tra loro. Equilibrio. Qualcosa di così agognato, di così cercato. Così vicino, ora, nelle sue braccia.

 

“Lo sapevo.”

 

“Miss Modestia che sa qualcosa… wow, sono colpito.”

 

Un riso lieve, mentre le palpebre calano; si raggomitola meglio a lui, appoggiando la gota, bollente e cremisi, sul cuore dell’altro.

 

Batte. Batte che fa male. Batte che è vita che non vuole spegnersi.

 

Silenzio fatto di balsamo che accarezza le corde del cuore, caldo e soffice.

 

“Cosa sapevi, comunque?”

 

Si morde le labbra, ridisegnando la linea dello sterno con l’indice.

 

“Che l’avrei trovato. Che saresti stato tu. Il mio Baricentro.”

 

Irrazionale e melensa, come affermazione. Così poco adeguata, a labbra che hanno decantato interi tomi di pozioni. Credere che ci sia una predestinazione. Un sentiero che i tuoi piedi devono per forza di cose percorrere.

 

Fa paura affidare la tua vita, la tua esistenza, nelle mani di una sola persona. Conferirle il diritto di negarti o regalarti gioia. Di spezzare il filo della tua vita. Perché questo è l’amore, no?

 

                                                                         ***

 

 

I polpastrelli callosi si chiudono sulle guance incavate di lei, e stringono. Piccolo quadro fatto di occhi opachi e pelle spenta.

 

Eppure sente il respiro morirgli in gola.

 

Rilascia la presa delle dita dal volto di Hermione, mentre il capo si accoccola in grembo; le mani grandi che vanno a coprire quelle piccole e sottili della ragazza.

 

Guancia adulta che si appoggia su nocca ancora bambina, innocente, nel suo candore.

 

“Ti amo. Lo so che non mi senti. Che non capisci. Ma ti amo.”

 

Ed era vero. La pelle tesa proprio attorno la bocca, ciocche di capelli sotto quella cascata di fili color ebano che le attorniavano il viso che si facevano candide, e mani ruvide al tatto, ma era vero.

 

La amava, di un amore totale, avvolgente.

 

 

Copertina di lana grezza che avvolge, stretto stretto, nell’illusione di carezza di madre, neonato in fasce.

 

“Ti sento. Mamma ha sempre detto che ci sentivo bene. Anche Ron… blatera continuamente che sono una femmina e che quindi origlio sempre tutto.” Abbassa il mento, appoggiandolo contro la nuca rossa di lui.

 

Le dita esili che si insinuano tra i capelli, in una carezza fievole. Palpebre che si abbassano su occhi nocciola.

 

“Se è per questo ama anche cincischiare e trascorre il tempo guardando male la foto di Allock che nascondo sotto il cuscino. Idiota. Non lo sa che ci ho fatto un incantesimo, su quella foto. Basta picchettare con la punta della bacchetta, ed appare la sua foto. Ma non si accorge mai di nulla, Ron.”

 

Un sospiro liberatorio nell’accarezzare i capelli dell’altro.

 

“Ti devo dire una cosa…”

 

“Ti ascolto, Percy.”

 

“…Tra un minuto inclinerò il polso destro...”

 

“Ricordati di scandire bene l’incantesimo, eh? Perché se no non funziona.”

 

“…Rafforzerò la presa delle dita sull’impugnatura di salice...”

 

“Ci hai messo il lucido, eh, Harry? Quello che ti avevo regalato, credo possa andare bene, anche se… Oh, Harry, non lo so, forse dovremmo chiederlo a Wayne Hopkins, quella di Hufflepluff! Suo padre ha un negozio di bacchette, lei sicuramente saprà se la cosa potrebbe arrecare un danno considerevole all’anima della bacchetta…”

 

“…E ti ucciderò, amore. Non sentirai nulla. Te lo prometto, Hermione. Sarà veloce. Non avrai neppure il tempo di rendertene conto. “

 

Deglutisce con forza, Ron. La presa sulla bacchetta che rischia di venir meno. Ma non può permettersi tentennamenti.

 

Non può.

 

Non deve.

 

E non lo trova, quel coraggio.

 

Sollevare gli occhi, bearsi della luce del suo sguardo per l’ultima volta, prima di stringerla con dita tremule sino a spegnerla.

 

Ma lo sa che lo farà. L’animo umano tende al dolore. Vibra, per poterlo accarezzare, il dolore. Non era la sua mente, la sua parte razionale, quella stessa componente che lei aveva tentato di anni di cullare nella speranza che il suo acume potesse crescere, ad imporgli di farlo, ma il suo corpo.

 

Ogni singola fibra muscolare, ogni millimetro di pelle coperta da capocchie color caffellatte… no, non era razionalità. Era tendersi di membra umane, di cuore, di carne, di istinto a voler porre fine al suo dolore.

 

A cancellare il sorriso beffardo di un fato che aveva giocato con loro.

 

Il destino asseconda chi lo segue, trascina di mala sorte chi vi si ribella.

 

E lei si era ribellata. Vi si era ribellata al punto che il suo animo, ora, avevo scelto come ultima isola di sosta la terra natia, un paradiso conosciuto, confortevole, sicuro.

 

Perché non era una malattia Magica, la sua. Nessuna chiazza aveva bruciato la sua pelle, nessun Vaiolo di Drago o Peste Clofatilliana.

 

Era Muggle.

 

Muggle .

 

Dalla terra nasciamo e a quello il nostro io più profondo aspira. E per quanto si fosse inchinata all’invito suadente delle bacchette levate nell’aria, Hermione era una Muggleborn.

 

“Ron.”

 

Voce chiara, limpida, sicura.

Voce imperiosa e dolce assieme.

Voce abbraccio e voce fitta.

 

Volge il capo verso di lei, quasi a rallentatore e li vede quegli occhi spaventati, sgranati. Occhi bambini, che colgono e sfuggono.

 

Silenzio.

 

“Non mi lasci sola, vero?”. Respiro che muore in gola. Vita che si arresta, in quel preciso momento.

 

Appoggia la fronte contro quella di lei, socchiudendo gli occhi. Le mani che afferrano, sicure come non lo sono mai state, quelle piccole e affusolate di lei.

 

“Non l’ho mai fatto, amore mio. Non l’ho mai fatto.”

 

Ed un sorriso sincero, a dipingersi sul volto di lei. Percepisce il calore. L’amore.

 

Percepisce lui. Sebbene non sia che un’ombra. Sebbene lui possa cambiare volto e nome senza assumere pozione alcuna. Sebbene non sia sempre Ron. Lei lo sente.

 

                                                                         ***

 

Una coda lunga ed affusolata; passo felino, schiena che si arcua, mentre un piccolo musetto zafferano si sporge verso musetto color cioccolato.

Occhi grandi. Occhi spalancati. Occhi blu in occhi marroni.

 

Narici che si dilatano, mentre si accoccola contro il dorso dell’altro che, fuggevole, si allontana. Il disco rossastro del sole al tramonto, che si abbassa oltre la cortina di nuvole, a baciargli la schiena, mentre tende le zampine in avanti. Lo sapeva che avrebbe fatto così. Lo fa sempre.

 

Fa caldo oggi, troppo caldo. E non c’è abbastanza acqua, nella vaschetta. Non per tutti e due. Ma si accontentano. Bevono dalle pozzanghere. La terra è amica dei felini.

 

Incassa la testa, piccolo gomitolo che lentamente si alza e si abbassa, ai lati di un marciapiede sporco e trasandato. Ma non si lamenta. C’è lui vicino. C’è lui  a qualche passo da lei, a bere l’ultimo sorso di acqua di cui disporrano. Ad assetarsi sottraendo a lei linfa vitale.

 

E sbircia. Gli piace sbirciare, socchiudere, con lentezza che ha dell’esasperante, l’occhio dal taglio orientale; spiarlo, quasi a volere assicurarsi che le sue azioni riflettano quelle che si proiettano nella sua mente acuta.

 

E’ un esemplare intelligente, conosce il mondo umano. Ne conosce bene la folle pretesa di poter cristallizzare il tempo sino ad amministrarlo. Ma non è la terra, o il sole, o le nuvole che vorticano sopra la mente ad esserle asservite, né il contrario. Lo schiavo sei tu. Di te stesso. Delle tue pretese di onniscienza. Di Previdenza.

 

Pia illusione di essere al di sopra di tutto, che miete per prima vittima se stessa. Gioca a combatterlo il destino, il milione arancione. Saltella sul tetto color canarino. Scivola contro la balaustra cristallina. Sbeffeggia il randagio. Ma torna a casa. Torna a lei. Sempre.

 

Allunga le zampe anteriori, prendendo a graffiare con gli artigli il terreno.

 

E non c’è un perché o un per come. Non un Dio e né un’entità malefica. E’ semplicemente la vita a vincerti. A pretendere il tributo richiesto per l’uso che ne hai fatto sino a quel preciso stante.

 

Quel preciso istante che sai poter contenere un’intera esistenza, il sapore del più prezioso dei secondi, l’impalpabilità della fuggevolezza della persona amata. Quel preciso istante per il quale la tua mente è stata forgiata, il tuo udito affinato, il tuo naso scolpito. Quel preciso istante che spiega la tua esistenza, perché a volte basta un attimo per scordare una vita intera, ma non basta una vita intera per scordare quell’attimo.

 

Ed è luce accecante. Freddo e caldo assieme. Tremore e sicurezza. Faro che squarcia il buio della notte imminente, rompendo l’equilibrio costruito. Può cambiare, il destino, può farlo.

 

Scatto repentino, scatto in avanti, scatto che arresta la ruota del camion proprio nell’istante in cui lui attraversa la strada.

 

Fragore assordante, ad accarezzare le orecchie appuntite del corpo dell’altro mentre, in un movimento tardivo, solleva il muso.

 

E la vede, accasciata al suolo. Agonizzante.

 

Alza la zampa; sa quello che dovrà fare. Lo sa bene. La natura non risparmia i suoi figli.

 

Non risparmia mai.

 

 

                                                                                     ****

 

Estou com saudades de tu.

 

Portoghese. Espressione intraducibile. I linguisti più avventati tendono ad assegnarle significato lato: “mi manchi”.

 

La verità è che Saudades è qualcosa di intraducibile. E’ dolore che si dirama in ogni fibra del tuo essere. E’ dolore che avvolge la tua persona in cortina di ghiaccio e neve, sino a renderla vana agli occhi altrui. E’ malinconia che invade ogni dove, malinconia che nasce da morte e disperazione.

 

Non è un semplice mancanza; è  cuore spezzato. Profonda convinzione che la tua esistenza è, oramai, senza significato.

 

Il tuo momento lo hai vissuto, ogni compito adempiuto.

 

Solleva la bacchetta verso di sé, Ron. Movimento veloce. Movimento rapido.

 

Uno, due, tre.

 

Pulsazione di cuore infranto spezzata.

 

Uno, due, tre.

 

Corpo che si rovescia.

 

Uno, due, tre.

 

Terra a terra.

 

Uno, due, tre.

 

Cuore a cuore.

 

E Saudades , ora, non è che una parola come un’altra.

 

 

                                                                                     ****

 

 

Unghia sotto solco.

Unghia su unghia.

Unghia sotto solco di unghia gemella.

Unghia su unghia.

Lima.

Unghia sotto solco.

Unghia su unghia.

 

Passa la lima, gli occhi azzurri socchiusi in un’espressione che ha dell’annoiato, Emily Drew.

 

Meno di dieci minuti alle sette; lo zoccoletto di legno bianco che, ritmico, percuote violentemente le piastrelle cesellate dell’atrio.

 

< Ma quanto diavolo hanno intenzione di starsene là dentro, si può sapere? Io non ho tempo da perdere, Signori miei, non sono certo pagata per tenere aperte queste stanze maleodoranti per voi e- ohhhhh, quanto lo amo questo profumo, Miss Evlyn ha fatto veramente una gran buona cosa a suggerirmela, quella profumeria, senza contare che poi ogni tanto cambiare fa pure bene-, Morgana Benedetta, da quanto avrò addosso questo camice? Resisti, Lucy, resisti, dieci minuti e volenti o nolenti portano il culo fuori da qui, anche perché Merlino!, che pizzicore, neppure avessi usato il rasoio al posto di quella ceretta fenomenale-STRAPPO-STRAPPO-STRAPPO!, va a finire che glielo strappo via prima o poi a Roger quel dannato ghigno dal volto- >

 

“Hai qualche idea?”

 

“No. Non ho la benché minima idea di cosa possa essere accaduto lì dentro.”

 

Dita nodose che picchettano insegna su porta di candore immacolato.

 

“No, dico, lo hai visto il nome?”

 

“Hermione  Jane  Granger”.

 

< …ohhh, ma vedrai bene che ti attende stasera, caro mio, ti straccio. Quel vestitino a tinte floreale è qualcosa di…ohhh, è qualcosa.di.dannatamente.sexy, dillo ad alta voce ragazza!-, vecchi barbagianni, non ho tempo da perdere io, quindi o parlate a voce alta oppure potete anche starvene zitti e finire nella tomba come quegli altri due sfigati che hanno deciso di raggiungere il creatore proprio quando c’era il mio turno-, ma questa me la paga, Ellen, eccomeeee, se me la paga! Ma perché le rogne tutte a meeeee, perché?!... >

 

“Un Death Eaters? In pieno giorno? A dieci anni dalla caduta di…di…?”

 

“Abbiamo una chiara morte da Unforgiven. Ed un…”

 

“Ecco, parliamo di lui, Green. Il volto del ragazzo tutto, tutto,  mi sembrava fuorché tumefatto da aggressione. Ed è Weasle-.”

 

“Era, sarebbe più corretto Brown. Era.”

 

“…ERA-contento ora?!-, Ronald Weasley! Buonmerlino, se non la sapeva lui brandire una bacchetta in difesa, non so proprio chi possa vantarsi di saperlo fare! E si può sapere perché diavolo continui a guardare verso quei due stramaledetti corpi?!”

 

< …ma ho deciso. Una bella vacanza. Alle Hawaai. Prima lo seduco col vestitino, poi me lo sposo, gli spillo un po’ di soldi e…ALOHA, buongiorno Verity Abbronzata ed addio Verity-sono-sulla-buona-strada-per-essere-un-vampiro- -, ma quanto diavolo ci mette ad asciugarsi questo coso?!, forse ho usato una tinta troppo forte, troppo Rouge, come direbbe il Dottor Lovalable, e, e, e… >

 

“Perché hai ragione, Brown. Uno dei due è stato chiaramente colpito da un Unforgiven, ma…ma…”

 

“Ma?”

 

“Ma non lei. E’ stato lui ad esserne colpito.”

 

“LUI?! Ma è assurdo! Lei…il petto di lei riporta chiari segni di impatto da Avada Kedavra e-“

 

Silenzio. Sguardi sgomenti e comprensivi assieme che si intrecciano.

 

“Esattamente, Brown. Unforgiven non riuscito. Accade, quando la mano dell’omicida non è particolarmente sicura, o anche solo quando…beh, emotivamente instabile, ecco. Generalmente quel genere di soggetto si arresta prima, ma…in questo caso ha tentato di adempiere sino in fondo al suo compito”.

 

“Quindi…quindi solo lui sarebbe morto a causa di un Avada?”

 

“Evidentemente l’assassino ha acquisito più sicurezza al secondo tentativo.”

 

“Ma…e…e la ragazza?”

 

“Infarto.”

 

Silenzio.

 

“Si potrebbe dire che è morta di cuore spezzato.”

 

E Saudades non è nulla, per un cuore spezzato.

 

                                                                                                  ******

 

Note dell’Autrice:

 

So che l’argomento narrato non aggraderà molti, al di là della drammaticità della conclusione; so che averlo scelto non è stata una buona strategia e che in alcuni punti è lacunoso. Lo so. Ma volevo scrivere una FF particolare e questo è venuto fuori. So che non incontrerà il favore di molti e, credo sia superfluo dirlo, ogni critica è accetta, se espressa in modo civile. 

 

Un grazie di cuore va alle canzoni dei Within Tempation, che mi hanno fatto da colonna sonora; al capolavoro di Guillame Musso, dove sono incappata in questa frase e che mi ha in parte ispirata a quello che avete appena letto. E, soprattutto, un ringraziamento di cuore  a Patsan, alias Ramona55 o molto più semplicemente alla mia Dome per il prezioso supporto che mi ha offerto nella stesura di questa cosina, aiutandomi a renderla migliore.  E, decisamente, a Marcy, che mi ha aiutato a sconfiggere il demone dell’HTML (Grandeeeeeee Nano! *__*)

 

E grazie, ovviamente, a tutti quelli che sono giunti sin qui e a quelle anime pie che spenderanno un secondino del loro tempo per lasciare un commento, favorevole o sfavorevole che sia *__*.

 

Daisy05

 

                                                         **MESSAGGIO PROMOZIONALE**

 

·          Il 3 aprile sono stati resi pubblichi i primi Threads (per chi non avesse alba, come non l’avevo io, di Greatest Journal, con Threads si intendono dei file costituti da botta/risposta di personaggi che interagiscono tra loro), del Chequered_Rpg, un gioco di ruolo HBP-Canon che si propone di offrire una degna conclusione alla saga che noi tutti amiamo. La particolarità di un gioco di ruolo sta nella capacità di presentare una panoramica  realistica dell’universo che, pagina dopo pagina, JKR ha saputo farci amare. Oltre il Trio e alla nostra Roshia preferita (^_-), ritroverete personaggi che, prima di questa lettura, vi sembravano privi di interesse ed insignificanti, personaggi citati dalla piuma della nostra cara zia Row-Row solo una manciata di volte e presto finiti nel dimenticatoio. E’ riscoprire o, in alcuni casi, scoprire, caratterizzazioni che ti lasciano un nodo in gola, svelando thread per thread trame che vi faranno palpitare il cuore. Se avrete voglia di immergervi nella lettura, il mio consiglio è proprio questo; non snobbate i personaggi secondari perché vi sarà possibile innamorarvene e porli sullo stesso piano di un Ron, di un Harry, di un Hermione o di una Ginny. Una fanfic a quaranta mani,  aggiornata quasi ogni giorno con nuovi capitoli e che vi conquisterà, ne sono sicura.  Se poi ci lasciate un commentino nel Forummotto del Gioco (trovate il Link nelle “Informazioni” del sito) sappiate che farete la felicità di venti Fanwriter in un colpo solo (e mica Fanwriter improvvisate, le migliori della rete! V_v io faccio eccezione *Faccina che fa sisi*) ed aderite non solo al progetto “Salviamo le penne del domani con botte alla loro autostima” ma vi conquistate anche un posticino diretto in paradiso (e non fate quella faccia, amori miei, verità indiscutibile est V_v). Grazie di tutto. *Soffing valanga di bacini alla vaniglia a tutti*

 

·          Prossimamente…:

 

·          “Menti fanciulle  presto onniscienti, sappiate prestare occhio agli eventi.

Incute timore la mia filigrana, benché rattoppata sia la mia lana.

Incute timore, la toppa avvizzita, benché un fazzoletto sia cosa solente gradita.

Ma rilassateVi, mio Buon Signore, il mio occhio, indagatore, sarà oggi serrato ad ogni ascoltatore; non scruterò cervelli incoerenti, sordo sarò a suppliche insistenti e chiedo a Voi, mastro sconosciuto, di farvi complice arguto.

Ciò che la piega ammuffita sta per narrare è novella assai singolare; non vi sono eroi perfetti, in questa storiella, né tantomeno saputelle in gonnella.

Se cicatrici sulla fronte cercaTe, o zazzere zafferano dal vento scompigliate, presto altrove il Vostro orecchio portate; ma se è coraggio, amore ed amicizia, scopo del Vostro errare, dalla mia voce lenta lasciateVi guidare.

‘Conta la storia di quattro Tassi, amici fidati tra alti e bassi.

 ‘Conta di coraggio sprecato, di codini dorati e di braccio celato. ‘Conta di cuore pulsante, respiri mozzati e ragazzo triste errante. ‘Conta di libri serrati, pianti disperati e amanti ritrovati.

Prestate orecchio, giovani menti, prestate occhio, al procrastinarsi degli eventi.”

[Somewhere]

{Ian Summers x Susan Bones___Hannah Abbott x Ernie McMillian}

 

 

  
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