Anime & Manga > Sailor Moon
Segui la storia  |       
Autore: Querthe    08/05/2007    7 recensioni
Una sorta di poliziesco a metà strada tra un noir e X-file, o così spero di riuscire a farlo. Scusate se ogni tanto nella storia uso qualche imprecazione, ma non conosco poliziotti da film non scurrili. Mamoru e Rei compagni di squadra, un rapimento e un mistero attorno alla figura di un angelo biondo a cui mancano solo le ali e l'aureola, ma con dei bei codini...
Genere: Azione, Science-fiction, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Rei/Rea, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie, Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La porta della piccola stanza in cui stava dormendo la bionda si aprì lentamente, senza fare rumore. Lo spiraglio di luce che entrò nel locale illuminò la figura addormentata, ancora rannicchiata in posizione fetale. I passi di una donna, le scarpe con il tacco, risuonarono sul lucido pavimento di metallo, fermandosi a pochi centimetri dal volto serafico della ragazza.
- Chi l'ha conciata così? - chiese la donna, la voce autoritaria e piena, quasi sensuale se non per una venatura velenosa e tagliente che la rendeva a malapena sopportabile. Le due guardie alle sue spalle, ricoperte dall'armatura in kevlar rinforzato si guardarono, ma non fiatarono, stringendo inconsciamente i fucili mitragliatori che tenevano in mano. - Allora?
- Non lo sappiamo, Dottoressa.
- Non lo sapete? O ve lo siete dimenticati apposta?
- Non lo sappiamo. - risposero in coro i due. - Siamo montati di guardia tre ore fa.
- Chi era a capo della squadra che avete sostituito?
- Bob. Il sergente Bob Robertson.
- Capisco. - sospirò, socchiudendo gli occhi. - Lasciatemi sola con lei.
- Dottoressa, lo sa che non possiamo. Dopo quanto avvenuto ieri sera...
- Ho... detto... lasciatemi... sola... con... lei! - scandì le parole una per una. - Me ne assumo la piena responsabilità. E lasciate aperta la porta.
- Dottoressa...
Lo sguardo della donna impedì al soldato di completare la frase. Ci fu un rumore secco, di tacchi battuti uno contro l'altro, e le due figure si allontanarono nel corridoio, borbottando tra di loro.
- Piccola mia creatura, come ti hanno lasciato dormire? - le chiese, accarezzandole i capelli scompigliati. La ragazza si mosse impercettibilmente, spostando i piedi e le gambe, quindi si voltò del tutto. - Nemmeno un letto, un vestito pulito. E solo perché hai ucciso due miseri umani. Ah, se capissero quanto poco valgono due delle loro vite...
La dottoressa si inginocchiò, il camice immacolato, abbottonato fino alla vita, ad aprirsi e mostrare sottili pantaloni a sigaretta in tessuto nero. Spostò e sollevò la testa di Usagi per appoggiarla meglio nell'incavo creato dalle due cosce, e iniziò a d accarezzarle la tempia e i capelli finché la ragazza non aprì gli occhi e si stiracchiò delicatamente, mugolando.
- Che dormita... Mi sentivo così stanca. - borbottò girandosi e piantando i suoi occhioni in quelli della donna. - Buongiorno Dottoressa Meiou. Ha dormito anche lei qui con me?
- No, piccola. Io sono arrivata da poco. Come va? - le sorrise.
- Bene. Ma sono ancora stanca. Posso avere un panino come quello di ieri? Ho fame...
- Un panino?
Lei si sollevò, si voltò per essere di fronte alla donna e incrociò le gambe, iniziando a giocare con una ciocca di capelli.
- Sì. Con formaggio e prosciutto e pane bruciato. Buono...
- E chi te lo avrebbe fatto?
- Momo... No, Mamoru. Mamoru il poliziotto.
- E come lo hai conosciuto? - le chiese curiosa, sorridendo, nascondendo le sue vere emozioni.
- Ero sotto la pioggia. Un ombrello mi ha riparato, e io l'ho ringraziato.
- Mamoru.
- No. - rispose sgranando gli occhi come se la donna, sulla quarantina, avesse detto una sciocchezza enorme. - L'ombrello. Ma attaccato all'ombrello c'era il poliziotto, che mi ha fatto fare la doccia e mi ha fatto un panino molto buono. Posso averne uno uguale?
- Magari dopo.
- Uffi.
Lei si imbronciò, ma non smise di giocare con la ciocca di capelli alla sua sinistra.
- Ma dimmi un'altra cosa.
- Solo se posso avere il panino di Mamoru.
- Dopo.
- Ma...
- Dopo, Usagi.
- No, no e no. Io non dico nulla se non ho il panino. - Incrociò le braccia e non si mosse, chiudendo gli occhi e facendo la faccia imbronciata, socchiudendo con fare furbo le palpebre per vedere come reagiva la donna davanti a lei.
La dottoressa le sorrise tenera, come una madre.
- E va bene. Dimmi come era, così posso fartene uno uguale.
- Uguale uguale? - sorrise, gli occhi lucidi e felici.
- Uguale uguale. - le rispose lei.
- Allora. C'era il pane, bianco e nero, bruciato ma caldo e tanto buono, poi il prosciutto, il prosciutto più buono che io abbia mai mangiato, buono così tanto che sapeva... Sapeva... Sapeva di buono. E il formaggio, che fondeva e sapeva di latte e filava in bocca anche se non scottava e poi...
- Calma, calma... - rise lei. - Non ti seguo. Sei un po' confusionaria... Devi dirmi che tipo di pane era, che formaggio era, il prosciutto era cotto o crudo?
Usagi ci pensò un attimo, poi sorrise e chiuse gli occhi.
- Aspetta. Te lo mostro.
- Usagi, sai che non devi usare i tuoi poteri se non sono necessari.
- Ma è necessario, o il panino non sarà buono come quello.
- Va bene, va bene. - chiuse anch'essa gli occhi. - Mostramelo, per favore, piccola. Lentamente, come ti ho insegnato.
Lei annuì, iniziando a tempestare con una serie di informazioni sensoriali e di ricordi la mente della donna, che non solo vide con gli occhi della ragazza il panino, ma poté riviverne il sapore, il profumo e tutto il resto, oltre a parte delle emozioni che Usagi ebbe nel momento in cui lo mangiò.
- Buono, eh?
- Decisamente. - strinse gli occhi Setsuna. - Ma per favore, smetti. Sai che le tue emozioni sono... forti per me. - Una perla di sudore scivolò dalla tempia verso la guancia, mentre la trasmissione mentale veniva interrotta. - Grazie. - sospirò. - Direi che posso fartene fare uno uguale, ma in cambio ora mi dovrai dire come hai fatto a spostarti fuori dalla tua stanza e poi mi dovrai dare una mano per un gioco.
- Mi piacerà?
- Ne sono sicura. Dovrai fare un giro fuori dal tuo corpo e giocare con un signore...
- Come l'altra volta?
- Quasi. L'altra volta ci sei entrata nella testa per sapere alcune cose che non voleva dirmi.
- E' stato divertente, ma aveva dei pensieri scuri, a volte erano oleosi...
- Capita con i politici.
- Però i suoi ricordi con i figli erano carini. Ho sentito il sapore del mare e il freddo della neve sulla faccia quando sciavo. Cioè, sciava lui, ma io sentivo quello che sentiva lui...
- Sono contenta. Ma ora dimmi come hai fatto?
- Fatto cosa?
- Dai che lo sai. Come hai fatto ad uscire dalla stanza? Avevi delle guardie fuori, siamo in un posto molto riservato e di sicuro non sai guidare una macchina, quindi dove ti abbiamo trovato ci sei arrivata solo tu sai come.
- Segreto... - sorrise sorniona lei alzandosi e girando su se stessa con le mani braccia aperte. - Sono un aeroplano!
- Usagi... - Si alzò anche la dottoressa, sistemandosi il camice e sospirando. - Usagi. Fermati, o mi farai girare la testa. Dai, andiamo nella tua stanza. Ti cambi, ti fai un bagno mentre ti preparo il panino e poi giochiamo, va bene?
Lei annuì e si mise sulla porta, aspettando che la dottoressa la oltrepassasse, per poi seguirla nei corridoi asettici della struttura dove aveva sempre vissuto, da quel che si ricordava. Arrivarono ad una porta rinforzata. Setsuna digitò un codice alfanumerico estremamente lungo, oltre la quindicina di caratteri, prima che uno scatto metallico e un rumore oleoso indicarono che la serratura era sbloccata e che i cardini si sarebbero aperti a momenti, spinti dai pistoni. La pesante porta blindata finì di ruotare, permettendo alle due figure di entrare, prima di richiudersi alle spalle della dottoressa.
- Posso avere un vestito?
- Forse. Ora vai a farti una doccia. Io preparo il panino.
Appena la bionda chiuse la porta della piccola stanza da bagno la dottoressa estrasse dalla larga tasca destra del camice una ricetrasmittente, azionandola.
- Qui è la Dottoressa Meiou. Sono nella camera del soggetto Undici. Un panino al formaggio e prosciutto con alcuni cetrioli sottaceto entro cinque minuti. Il pane bruciacchiato e il formaggio molto filante.
- Dottoressa... - rispose una voce nell'apparecchio. - E' sicura di quello che chiede?
- Sì. Con dell'acqua minerale. Naturale. Fresca, non fredda.
- Ricevuto Dottoressa.
La donna attese, sentendo il rumore dell'acqua scorrere nella vasca da bagno. La porta si riaprì quasi in contemporanea a quando quella del bagno si spalancava e una gocciolante Usagi usciva sorridendo, vestita solo da un candido camice da ospedale troppo grande per lei e incollato al suo corpo in alcuni punti a causa dell'acqua.
- Panino. Panino, Pani... - Si bloccò. Setsuna era in piedi, accanto a lei due guardie con la tuta da combattimento che sempre indossavano quando erano in presenza della bionda. Uno dei due aveva tra le mani un piatto con il cibo richiesto dalla donna dai capelli verdi. - Voi siete cattivi! Siete cattivi! - urlò mettendosi a piangere, strizzando gli occhi e stringendo i pugni all'altezza del petto.
Un'onda d'urto investì le tre figure, spostandole di due spanne. Setsuna si piegò dal dolore, un piccolo rivolo di sangue dalla bocca, mentre i due soldati imbracciarono le armi, lasciando cadere il piatto, che però rimase sospeso a mezz'aria, come se fluttuasse.
- Fuoco al tre! - gridarono uno all'altro.
- No! Fermi. - Mormorò la donna tenendosi lo stomaco con la mano sinistra, mentre la destra era appoggiata alla spalla di uno dei due soldati, a sostenersi. - Ci penso io. Voi uscite. Ora!
- Signora, la sua incolumità...
- Siete voi il problema, non lei. Uscite.
- Dottoressa Meiou.
- Uscite, cazzo!
- Agli ordini.
- Usagi. - Tossì, ingoiando poi un po' di sangue che le si era formato in bocca. - Usagi, ora andranno via. Non colpirli più, non colpirmi più...
Le guardie sparirono nel corridoio.
- Loro sono cattivi. Loro devono...
- No. Non devono morire, ti prego, Usagi. Mi hai fatto male, lo sai?
- Non è vero!
- Lo è. Guardami. - Osservò con la coda dell'occhio che le due guardie fossero uscite. - Guardami.
La bionda aprì gli occhi, e immediatamente il panino cadde a terra, assieme a lei, che si accasciò al suolo piangendo.
- Scusa. Ti ho fatto male. Sono cattiva. Sono cattiva...
- Non è vero. Devi solo imparare a non avere spesso paura, e a controllare i tuoi poteri. Sei speciale, ma molti non ti capiscono. Come i soldati, che hanno paura. Mentre io voglio che tu ti senta felice. Ma per farlo devo convincere i cattivi che tu sei brava.
- Ma io sono brava?
- Sì. Dammi una mano. Facciamo un gioco assieme. Ma prima il panino.
- Posso davvero?
- Certo. E se sarai brava potrai smettere di portare i camici e ti darò un vestito.
Lei corse a prendere il panino e lo annusò, per poi addentarlo.
- Non è uguale, ma è buono comunque. Allora, facciamo il gioco?
- E la mia domanda? Come sei uscita?
- Non lo so. - la guardò mentre mangiava con voracità il panino. - Non lo so. Davvero. Ad un certo punto ho desiderato uscire, volevo solo andarmene, poi ho sentito un grande calore dentro... qui. - Indicò il petto, proprio al centro della gabbia toracica. - E quando ho chiuso gli occhi per un attimo, poi li ho riaperti ed ero fuori, poco lontano da un lampione. E poi è venuto Mamoru e l'ombrello... Ma non so altro, dottoressa.
- Va bene così, non ti preoccupare. Ora giochiamo. Ti ricordi come si fa, vero?
- Certo. E' facile. - La bionda incrociò le gambe, sedendosi a terra. Si appoggiò con la schiena un po' all'indietro, sostenendosi con le mani e le braccia tese ai suoi lati, quindi sospirò quasi con gioia, mentre chiudeva gli occhi. - Che bello. Sono fuori, sono vicino ad un bar. C'è tanta gente e molti stanno bevendo una cosa nera e calda. Che cattivo sapore. Eppure a tutti piace.
- E' caffè, piccola. Alzati, finché la città non sarà grande come un piatto.
- Facile facile. Fatto.
- Brava. Ora vai verso la grande torre bianca e rossa, con le spalle al grattacielo più alto.
- E poi?
- Sempre dritto fino alla strana villa con tanti cani nel parco e uomini con le facce scure e le pistole nelle fondine.
- Ci sono. Che bei fiori. E i cani sono così simpatici, anche se sembrano affamati. Toh, dentro la casa c'è un signore anziano che sta telefonando.
- E' calvo?
- Cioè?
- E' senza capelli?
- Ne ha pochi, dietro, vicino al collo, e sono bianchi. Sembra arrabbiato, sta urlando al telefono. Parla di soldi, di sangue e di altre cose che non conosco.
- Va bene. E' con lui che devi giocare.
- Cosa devo prendergli dalla mente?
- Nulla. Devi arrivare da lui e toccargli il cuore.
- Il cuore?
- Già. Come hai fatto con i cattivi ieri sera.
- Cosa ho fatto io? - chiese sinceramente stupita. - Io non so toccare il cuore, solo la testa.
- Pensaci bene. Lo hai fatto ieri sera, puoi rifarlo adesso. Saresti davvero una brava bambina se tu riuscissi a farlo...
- Ma io non posso... Non sono capace...
- Ma lo hai fatto. Dai, ritentaci. Sarà una cosa molto bella, mi darai una mano. Lui mi ha fatto del male, vuole allontanarmi da te.
- Non sono stata io. Lei...
I lineamenti di Usagi cambiarono improvvisamente, si fecero duri, sprezzanti. Un sorriso cattivo increspò le labbra della ragazza.
- Lei non è in grado di farlo, ma io sì. E' così che ho ucciso quelle scimmie senza peli. Così farò anche con te.
- Oh. Quindi sei tu che ha sfoggiato quella dimostrazione di forza. Pensavo che fosse stata lei senza poi ricordarlo. - sorrise la donna, per nulla spaventata o sorpresa. - Posso sapere come ti chiami?
- Ci manca anche che lei si ricordi di aver spappolato il cuore a due umani. Quasi tre, ora...
- Non ci tentare, piccola, chiunque tu sia.
- Che paura. - disse ironica. - E come mi fermeresti?
Setsuna sentì il suo cuore rallentare, come preda di una morsa di ghiaccio.
- Guardati in giro... - le disse mentre con un dito azionava un radiocomando nella tasca sinistra. Simboli arcani si formarono sulle pareti, tappezzando anche il pavimento e il soffitto.
- Maledetta! - gridò la voce di Usagi, terrorizzata e dolorante. - Falle smettere. Falle smettere. - Quasi sibilò come un serpente. - Come sai che odio queste cose? Falle smettere! Falle smettere, mi uccidono...
- Uccidi quell'uomo. Fagli fermare il cuore. Non devono scoprire che è stato ucciso.
- Perché?
- Vuoi saperlo o vuoi che spenga gli Arcani?
- Troia. - Ringhiò. - Un giorno ti strapperò quel cuore marcio. L'ho ucciso. Infarto.
La donna estrasse la ricetrasmittente.
- Bersaglio ucciso. Ripeto. Bersaglio ucciso. Confermate.
Passarono dieci secondi, quindi una scarica statica.
- Confermato. Nella villa c'è il chaos. Ripeto. Confermato.
- Bene. - Mise via la radio. - Allora, mia cattivella sconosciuta. Devo ringraziarti. Ora fai tornare la nostra amica comune, o la prossima volta vedrò di tatuare alcuni arcani sulla candida pelle del nostro coniglietto biondo.
- Sei morta! Sei morta e non lo sai, puttana. Ti caverò gli occhi, ti piscerò nel cranio dopo aver banchettato con il tuo cervello mentre ancora sei viva. Soffrirai così tanto che... - si bloccò. Il voltò si addolcì. Setsuna spense i proiettori dei simboli. - Che... che cosa è successo? Dottoressa, mi sono addormentata?
- Direi di sì, ma solo per pochi secondi, cucciola.
- E il gioco?
- Una nostra amica lo ha fatto per te. E' stata brava.
- Ma io non ti ho detto nulla. Lei mi ha fatto promettere di non dirti nulla.
- Non mi hai detto nulla. Tranquilla. Ora stai tranquilla. - Sorrise accarezzandole i capelli. - E direi che per l'impegno ti meriti comunque il vestito. Come lo vuoi?
Lei chiuse gli occhi ancora una secondo, poi sorrise.
- Rosa... con dei gatti bianchi e neri. Come Luna e Artemis.
   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Querthe