Capitolo 5:
addio…Gorgo
Il giorno dopo, all’alba, tutto era pronto. Gorgo si sistemò il
mantello sulle spalle, quello stesso cremisi che indossava durante la gara: un
ricordo di Sparta. In silenzio, nelle loro stanze, le serve
ilote piangevano sommessamente; in silenzio, all’ombra del porticato, la madre
l’osservava senza espressione; in silenzio, nel cortile interno della dimora,
suo padre la osservava, attendendola.
Quando Gorgo giunse, egli osservò il mantello rosso, la treccia,
la tunica corta e i sandali da viaggio.
– Possiamo andare, allora – disse Ebdacle, volgendosi verso
l’uscita.
– Spartana! – Ektha richiamò la figlia. Quest’ultima si volse
verso di lei e le si avvicinò lentamente. La madre
l’osservò senza nulla dire, poi si tolse un ciondolo e lo legò intorno al suo
collo.
– Me lo darai quando tornerai – . Gorgo
osservò quell’ artiglio argentato, ricordo dell’agogè
di Ektha , quindi annuì e si volse verso l’uscita della dimora, senza nulla
dire.
Appena fuori, si volse indietro, per un ultimo sguardo a quelle
mura in cui nacque e in cui avrebbe tanto voluto crescere.
La città era ancora poco frequentata: solo le donne, con piccole
brocche, s’avvicinavano al profondo pozzo per attingere l’acqua fresca del
mattino. Gorgo sorrise loro, ma non disse nulla. Si diressero verso le porte
della città…Silenzio.
– Bene…Buon viaggio, figlia mia – disse Ebdacle, osservando sua
figlia.
– Grazie, padre – null’altro disse la giovane spartana. Osservò
suo padre, quindi gli volse le spalle e si avviò verso l’esterno della città,
sospirando.
- Ebdacle! – riconobbe quella voce solenne ma pacata. Leonida!, pensò la ragazza, voltandosi di
scatto indietro. Davanti a suo padre sostava il Re e tre spartani, in veste da
guerra.
– Accompagneremo vostra figlia…Devo recarmi anch’io dagli Efori: è
quasi giunto il tempo delle sacre Glancizie…comprendi, Ebdacle? – spiegò il
sovrano all’uomo che subito si inchinò.
– Certamente signore,
comprendo benissimo – rispose Ebdacle, quindi lanciò un ultimo sguardo alla
figlia e si diresse verso la propria dimora. I quattro uomini, tra cui il
giovane e valoroso Delios, si avvicinarono verso la giovane atleta.
Gorgo tuttavia non badò al loro arrivo ma
alla figura di suo padre che si allontanava, per poi scomparire. Diede un
ultimo sguardo, un ultimo addio alla sua città: salutò l’agorà, il gymnasion, la sala del consiglio, le
botteghe, la casa reale, casa sua, tutto.
- Spartana, non ho tempo da perdere – la richiamò il Re, mentre le
passava accanto. Gorgo annuì, quindi si sistemò la sacca sulle spalle e si pose
alla fine del piccolo gruppo di spartani, mal armati ma sicuri che nessuno
avrebbe dato loro fastidio. Al loro contrario, Gorgo riusciva a mala pena a
camminare, costretta dalla Legge, probabilmente, mentre il suo cuore le gridava
di tornare indietro, di fuggire dal suo destino. Ma perché fuggire? Prima o poi
sarebbe giunto…che differenza fa essere schiava degli Efori oggi o domani?
Tutto per un maledetto Oracolo…
Addio per
sempre, Sparta mia. Ti porterò sempre nel mio cuore. Addio, madre mia, ti ho
amato sempre. Addio, padre mio, non ti do alcuna colpa...Tu hai solo ubbidito
alle leggi. Addio, Filorome, ti ringrazio per tutto ciò che mi hai insegnato. Addio,
mia Edoné, saprai troppo tardi che tua sorella non c’è più. Addio, fratello
mio, che tu possa sempre vincere le tue battaglie.
Addio…sacra
Sparta. Addio…Gorgo.
Ringrazio
coloro che hanno apprezzato, commentato o semplicemente letto questo mio
racconto. Mi date la forza di scrivere ancora e di apprezzare di più il mio
lavoro.
P.S. non
temete, non ho fatto il mio solito racconto lungo Kilometri! ^_*