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Autore: ArchiviandoSogni_    29/10/2012    8 recensioni
Lui, lei e l'altro.
Roberto e Cristina si conoscono dall'età di tre e cinque anni e diventano, fin da subito, amici per la pelle.
La loro amicizia si fortifica anno dopo anno, ma - per una serie di sfortunati eventi- il destino ha deciso di mandarli in capo al mondo, dividendoli per sempre.
Lei a Milano, Lui a New York: la loro bellissima amicizia sembra affievolirsi ogni giorno di più. Dopo chiamate disperate, videochiamate malinconiche e visite ormai sempre più rade; il destino torna in campo per concendere ai due migliori amici, una seconda possibilità.
E se l'amicizia non fosse più l'unico sentimento che li lega?
E se, nel frattempo, dopo sette anni di distanza, comparisse il simpaticissimo e protettivo Luca al fianco della nostra incasinata protagonista?
Una storia d'amore moderna, frizzante e malinconica al punto giusto; che porta con sé il retrogusto dolceamaro della vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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“Rob, non puoi costringermi a farlo.”
La persona seduta di fronte a me, che batteva le dita ritmicamente sul tavolo di plastica, mi guardava con fare duro e inflessibile.
“Invece posso eccome! Muoviti e mangia.”
Sbuffai, riposizionandomi meglio sulla sedia.
“Non mi ricordavo fossi così rompicoglioni! Dai, come faccio a mangiarmi tre panini al kebab e due porzioni di patatine da sola? Di solito ne finisco a malapena uno e le patatine le passo sempre a Luca.”
Roberto scoppiò a ridere, passandosi una mano dietro al collo.
“Ma no, scema. Un panino e una porzione sono per me.. L’altro lo dividiamo e se non ce la fai, lo mangio da solo. Sai, non tocco cibo da dieci ore.”
Strabuzzai gli occhi, completamente incredula.
“Coooosa? Ma sui voli internazionali non offrono sempre il pasto?”
Lui prese il panino in mano, giocherellando con l’insalata.
“Già, ma ero troppo in pensiero per Paola.”
In quel momento avrei voluto alzarmi e correre ad abbracciarlo forte.
Nonostante il tempo avesse mutato il suo corpo e la sua voce, fondamentalmente era rimasto lo stesso ragazzo gentile, generoso e in pensiero per l’intero globo.
Sapevo benissimo che quella frase nascondeva mille dubbi ed insicurezze e anche se l’aveva sussurrata con noncuranza, conoscevo benissimo l’imbarazzo che lo contraddistingueva sempre e che celava con fin troppa disinvoltura dietro ogni ammiccamento o parolaccia congeniata.
“Non sei cambiato in quel frangente, vedo.”
Lui ritornò a guardarmi, mentre inghiottiva un boccone di cibo.
“Cioè?”
“Sei sempre troppo buono, troppo generoso e pensi sempre poco a te stesso.”
Lui arrossì, bevendo un sorso dalla bottiglia.
“Cazzo, mi ero dimenticato quanto fosse difficile nascondere i propri difetti ed insicurezze alle persone che ti conoscono meglio di te stesso. Beh, purtroppo non sono riuscito a cambiare quel lato del mio carattere.”
Iniziai a mangiare anch’io, ripensando al passato e sovrapponendolo al presente.
“No, non è un difetto; solo che ci rimani male sempre. E’ una fregatura.”
“Già, ma in fondo siamo simili, no? Anche tu metti sempre gli altri davanti a te stessa.”
Sorrisi, mandando giù un boccone. “Purtroppo. Sai quante fregature ci prendiamo più del consentito? Dovrebbero fare una legge per gli stronzi insensibili! Altro che carceri in esubero, bisognerebbe fondare direttamente un nuovo pianeta. Tipo Stronzolandia o Merdaland. Così potremmo davvero vivere di rendita dal turismo di massa!”
Roberto quasi si strozzò con la sua birra, prima di lasciarsi andare indietro sulla sedia.
“Quanto sei cretina e volgare! Come cazzo hai fatto a trovare un tipo come Luca? Nel modo in cui me ne parli sempre, sembra un incrocio tra il principe azzurro di Biancaneve e la pazienza di San Francesco.”
Io scoppiai a ridere, sputacchiando in giro residui di carne e insalata.
Roberto continuò a prendere in giro la mia mancata femminilità, fintanto che – in meno di qualche secondo – i suoi occhi si rabbuiarono.
“Però..” Il suo voltò si fece più serio mentre si riavvicinava al tavolo e al mio braccio. Lo toccò con la punta delle dita, intensificando lo sguardo. “Stai esorcizzando il dolore con le battute, vero? Come facevi sempre da bambina.” Il suoi occhi di ghiaccio, mi congelarono definitivamente. ”Vuoi parlarne?”
Rimasi con la bocca dischiusa, abbassando lo sguardo.
Dio, era così strano sentirsi nudi e vulnerabili.
Con lui non avrei mai potuto usare menzogne o piccole bugie, per proteggermi. E non avrei mai potuto fingere di avere mal di stomaco, pur di evitare confronti scomodi come invece facevo da sempre con mia madre, Stefania e a volte Luca.
Roberto conosceva ogni segreto, paura e sfumatura del mio essere.
Sapeva muoversi tra le mie insicurezze e rispolverare il mio coraggio, per farmi reagire contro i dolori della vita.
Lui mi faceva sentire gratificata e sollevata, proprio come quel calore invisibile che ti avvolge il cuore quando riesci a prendere il voto più alto in un compito difficilissimo o a comprare quella maglietta che ti piaceva tanto con il 50% di sconto.
Era tornato e mi faceva ancora strano ricordare il ragazzino che si intrufolava nel mio letto per piangere la notte e osservare invece l’uomo sorridente e consapevole seduto di fronte ai miei occhi.
Sembravano due persone completamente diverse o forse era il mio subconscio che si rifiutava di accettare i suoi cambiamenti, perché non erano merito della sottoscritta.
In fondo, ero rimasta la stessa ragazzina egoista e capricciosa che odiava essere esclusa dai giochi più belli che si organizzavano nella comitiva.
“Non riesco a parlarne - o meglio : non ne voglio parlare.”
Lui aggrottò le sopracciglia, non perdendo mai il contatto visivo.
“Una volta mi avresti raccontato tutto senza remora.”
“Sono cambiata anch’io. ” Senza di te, aggiunsi mentalmente.
Lo vidi sbuffare, accavallare una gamba per poi ritornare alla posizione precedente.
Nervoso?
“Lo sento, vedi? Ho cercato di lasciare perdere; di passarci sopra, ma tu non molli per un attimo l’ascia di guerra! Sei incazzata nera, Cris! Altro che felice per me, per il mio futuro e per la mia permanenza in America. Sei  ancora ferita, perché ti sei sentita e ti senti ancora esclusa dalla mia vita. Invece – te lo giuro – ho passato gli ultimi tre anni a pensarti, a incolparmi e a sentirmi al pari di una merda per non esserti stato vicino. Lo so, ho sbagliato un sacco di volte, perché fondamentalmente sono uno stronzo insensibile con tutti, ma non lo sono mai stato con te. No, Cristina Moro, tu non sarai mai al pari di nessun’altro e lo sai: LO SAI! Dentro di te, sai quanto per me tu sia meglio di qualsiasi fidanzata, ragazza, scopata, ma anche dei miei amici e dei miei stessi genitori. Ti ho fatto una promessa anni fa e nonostante quello che è successo dopo, non ho mai smesso di credere a quelle parole. Sei stata la mia ancora di salvezza nelle notti più buie e tristi. Sei l’unica donna che mi ha mai visto piangere di cuore e con disperazione per una vita che non avevo potuto scegliere. Smettila di dire che stai bene e che quello che ho fatto non ti ha mandato fuori di testa. Sono presuntuoso? Ok,  lo sono e vedo dal tuo sguardo che muori dalla voglia di staccarmi la testa dal collo per quello che sto dicendo, ma adesso basta. Chiariamo una volta per tutte ‘sta situazione del cazzo.”
Roberto era furioso, rosso in volto e con i pugni chiusi sul tavolo.
Non lo vedevo così arrabbiato da secoli o forse non l’avevo mai visto davvero infuriato con un’altra persona all’infuori di suo padre.
Era lì; quasi tremante di rabbia che mi stava spronando a sporcare la mia lingua di parole che sapevano di invidia e rancore.
Che diavolo di amica ero?
Perché provavo quei sentimenti verso di lui?
La mia bocca però, tradì la ragione, rigettando anni di parole represse, confuse e urlate al muro spoglio della mia mente.
“Perché ti invidio: I.N.V.I.D.I.O, ok? Invidio il tuo essere diventato uomo lontano dalla tua vita, famiglia e da me. Invidio il tuo lavoro, perché ti piace e ti senti realizzato; mentre io sto studiando per una schifo di facoltà che spegne ogni capacità creativa che possiedo. Ho perso la spensieratezza di un tempo, le passioni che mi infiammavano l’animo e la forza che avevo di rialzarmi da tutto. Sto sopravvivendo, non vivendo. Mi alzo alla mattina, perché non voglio perdere l’unico lavoro che ho e che mi aiuta a pagare le bollette. Voglio tornare a fotografare; vorrei trasformarlo in un lavoro, ma quali prospettive ho? Che cazzo di certezze possiedo in questa città troppo grande per una ragazza di provincia come me? Ci sono state mattine in cui mi svegliavo con il panico e mi alzavo piangendo e reprimendo l’odio che avevo per me stessa. Tu mi hai lasciata qui, contro il mondo che mi inghiottiva sempre di più ed io annaspavo alla ricerca d’aria. Poi è arrivato Luca e lui ha reso le giornate più leggere e divertenti, ma a volte mi sento di troppo anche per lui e questo mi fa stare ancora più di merda. Ho paura, capito? Ho paura di perdermi del tutto, di dimenticarmi chi ero e di perdere anche te che ti sei allontanato giorno dopo giorno, senza voltarti indietro.”
Mi morsi il labbro, abbandonando la contemplazione del suo viso che mi feriva ancora di più, in quel momento.
Era rimasto a bocca aperta, del tutto incredulo dei miei veri pensieri e del rancore che avevo nascosto e sepolto così bene per troppi anni.
Ma entrambi sapevamo che il declino della nostra amicizia aveva avuto un inizio ed eravamo troppo orgogliosi per ammetterlo e parlarne con disinvoltura, come se fosse semplice acqua passata.
“Crì, io…”
Lo interruppi, alzando una mano. “No, Rob, non dire niente. Mi sto odiando abbastanza per entrambi.”
Mi alzai e pagai la mia consumazione, lasciando addirittura  quattro euro di mancia, perché il mio cervello era perso altrove.
Se avessi fatto un discorso simile a Luca, lui mi avrebbe rincorso e baciato con tenerezza, facendomi capire che lui c’era, che mi voleva bene e soprattutto mi amava nonostante le mie mille insicurezze.
Ma Roberto non era il mio ragazzo, non sognavo di certo un suo bacio passionale sotto l’insegna al neon mezza rotta di un Kebab di provincia.
Mi aspettavo di più, almeno un “hey” o un “mi dispiace”, eppure Roberto non mi seguiva e io mi persi a camminare per i viali alberati che delimitavano l’ospedale, costruito al posto di un ex sanatorio.
Sentivo i secchi aghi di pino che si infilavano sotto la giacca leggera, ma non me ne curai. Calpestavo foglie, terreno e fango con la stessa forza che avrei voluto calpestare me stessa.
Mi meritavo una scrollata, una soluzione al mio stato emotivo da perenne indecisa: eppure ero ancora ferma sulle mie posizioni, dannatamente insicura sul prossimo passo da compiere.
“Ti ho pensata perennemente in questi sette anni.”
Mi ero aggrappata alla vecchia ringhiera di ferro che contornava ancora l’ospedale. Era arrugginita, bagnata, ma mi serviva qualcosa che mi sostenesse dal peso della realtà.
“Non mi interessa.” Ed era vero, non volevo le sue belle parole; non più. Non avevo tredici anni e non ero felice di farmi imbambolare da promesse che svanivano nel vento.
“Fa male; mi sento un estraneo. Tu non sei così.”
“Ah davvero? E tu sai chi sono davvero? TU sai cosa sono diventata? Non sono più la bambina che hai lasciato e mi spiace non esserlo, credimi.
Era tutto più facile quando ti infilavi nel mio letto e mi facevi il solletico per farmi rilassare.
Era tutto più facile quando la mia unica preoccupazione era trovare un ragazzo e ricevere il primo bacio.
Era tutto più facile quando io e te eravamo bambini e avevamo bisogno di un amico con cui giocare, confidarci e chiedere consigli.
Roberto, io ho bisogno d’altro ora: ho bisogno di un vero amico; presente, che rompa i coglioni dalla mattina alla sera, che mi dica che sto facendo un cazzata e che mi impedisca di lasciarmi andare al fluire della vita senza lottare.
Tu non ci sei e ci giochi da morire sulla lontananza e-“
Lui mi tappò una bocca, abbassando il capo per osservarmi meglio.
“Vuoi che ritorni qui?”
Io aggrottai le sopracciglia, scuotendo poi il capo. Purtroppo tentai di parlare, ma la sua stretta aumentò fino a farmi male.
“Mi ero innamorato di te.”
La sua mano ricadde e la mia bocca si spalancò automaticamente.
“Sì, non fare quella  di faccia! Ti sembra così strano? Ti morivo dietro come un cane, Cri! Lo sapevano tutti; Arianna per prima!”
Il mio cervello si spense del tutto, andando completamente in black-out.
Quella frase riecheggiava dentro la mia mente, il mio petto si era pietrificato all’istante e i ricordi si confusero tra di loro creando un’agglomerazione di sentimenti, parole e gesti che mi fecero quasi perdere l’equilibrio.
Innamorato? Lui? Di me?
Non era possibile; non era fottutamente possibile!
Ma poi lo sentii ridere, di cuore, mentre si passava una mano tra i capelli bagnati.
Aveva ricominciato a piovere forte, eppure io lo vedevo benissimo all’infuori di tutta quella pioggia che mi penetrava negli occhi e nella pelle.
“Stavi scherzando, vero?”
Lui sorrise amaramente, prima di accarezzarmi il viso. “Purtroppo no. Ma ora sto bene e tu avevi ragione su tutto. Mi sono allontanato di proposito, non sono tornato anche se ne ho avuto mille occasioni per farlo e da quando hai trovato un uomo come Luca, ho deciso di farmi da parte. Faceva male, Cri, da morire. Sentirti eccitata, felice ed emozionata da un amore che volevo donarti io. Volevo renderti la donna più soddisfatta del mondo, ma sapevo di non meritarmelo e di non esserne in grado. Il mio era stato un amore a senso unico e tu, nonostante vorrai sicuramente negarlo, non hai mai provato quel tipo di attrazione verso di me. Me ne sono accorto però, quando ormai ero lontano, anche se credo che tutte le coccole che mi chiedevi, per me erano sempre qualcosa di più. Eppure ero contento, sai? Ero davvero felice di essere stato forte e di averti lasciato andare. Invece ho fatto una cazzata dietro l’altra e tu sei qui quasi sull’orlo del pianto, perché hai creduto di non valere niente per me. Dio, come ti sbagli, scricciola. Ti sbagli alla grande.”
E mentre le lacrime cominciavano ad unirsi alla pioggia, sentii le sue braccia intorno al mio corpo.
Mi stringeva forte, fortissimo. E sentivo i suoi singhiozzi, sopra la mia spalla.
“Roberto, io…”
“Shhh, me lo devi, scema. Stiamo così ancora un poco e poi torniamo a casa. Voglio conoscere Luca.”
Strofinai il mio naso sulla sua felpa, visto che il giubbino era rimasto aperto.
“Hai parlato al passato, descrivendo le tue emozioni. E ora? Ora come facciamo?”
Lui si allontanò leggermente, baciandomi la fronte.
“Ora non mi allontanerò e sarò qui ogni volta che vorrai. No, non ti preoccupare. Non ti amo più e posso essere il migliore amico di cui tu hai bisogno.”
Mi riprese tra le braccia, eppure sentivo che, le nuove lacrime che scendevano dalle mie guance, mi facevano più male della stretta che sentivo al cuore.
Quel Non ti amo più, mi fece soffrire più di tutto il resto.
 
 
_______________________
 
Mi scuso umilmente per il ritardo, ma il famoso “blocco” mi era venuto a trovare e ho dovuto cacciarlo via con le maniere forti :D
Spero di non aver deluso nessuno con questo capitolo, soprattutto me stessa. Non era stato pensato in questo modo, forse ho accorciato i tempi, ma l’ho scritto di pancia e soprattutto di cuore. Spero di emozionarvi, come mi sono emozionata io a scriverlo e ad immaginarlo. Ero in fibrillazione ed era da tanto che non scrivevo così velocemente e con gli occhi lucidi.
Devo rispondere alle vostre recensioni, lo so, e pian pianino lo farò.
Con l’università e tutto il resto, ho davvero poco tempo per fare tutto quello che vorrei.
Mi perdonate?
Spero di sì! Per tutto il resto, sapete dove trovarmi.
Ringrazio chi recensisce, legge, inserisce nelle seguite/preferite e da ricordare questa piccola storia.
Mi rendete ogni giorno più felice :)
 
Un bacio enorme <3
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

   
 
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