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Autore: SmokingRum    30/10/2012    1 recensioni
L'ultima e diretta discendente di Sherlock Holmes, il suo assistente, uno studente di medicina, e i loro casi.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter XIV
The witness

 
 
 
Dopo qualche rapida ricerca e una telefonata a Henry, Cheyenne riuscii ad avere l’indirizzo di Peter Loice. Risiedeva poco fuori Londra e in taxi non ci sarebbero voluti più di cinquanta minuti per cui io e la mia amica ci mettemmo subito in viaggio.
In taxi io mi misi a stilare una lista delle cose da ricomprare: sei piatti e due tazze di porcellana. In più sarebbe anche stata ora di chiamare un architetto per rimettere in sesto il povero muro che ormai somigliava sempre di più ad una fetta di groviera.
Cheyenne, dal canto suo, era concentrata sul suo cellulare.
-Cosa fai? –le chiesi.
-Sto twittando sul mio profilo per vedere se qualcuno dei miei follower ultimamente ha visto un uomo sulla trentina dai capelli neri e dagli occhi verdi aggirarsi per Londra vestito in un completo elegante con un sorriso tronfio sulla faccia.
-Visto che ce ne sono pochi di uomini così per Londra sarà un gioco da ragazzi.
-Non fare lo spiritoso, Muddy. Quando si vede un uomo come Ginevra non si può dimenticare facilmente. Si porta dietro un aura particolare. È come se ci si accorgesse di lui facilmente. Come te lo spiego? È quel tipo di persona che, quando entra in una stanza, si fa riconoscere.
-Se lo dici tu…- borbottai.
Cheyenne smise di cliccare i tasti del suo cellulare e mi guardò con la testa piegata di lato. Con il tempo avevo capito cosa voleva dire quel suo inclinare la testa: o era incuriosita da qualcosa, oppure era irritata da qualcosa.
-Che cos’hai Muddy? –mi chiese –Questo tuo comportamento mi irrita profondamente.
Questa volta era la seconda.
-Non ho niente. –dissi velocemente –Piuttosto, stiamo andando dal nostro primo vero testimone! Ne abbiamo fatte parecchie di indagini assieme ma mai abbiamo interrogato un testimone.
-Già… è vero. –convenne lei –C’è sempre una prima volta…
Durante il resto del tragitto non spiccicammo parola. Rimanemmo zitti e nervosi. Il mio nervosismo, però, non riuscivo proprio a capire da cosa dipendesse. Mi sentivo così sin da quando lei mi aveva parlato per la prima volta di Ginevra. Non si trattava di ansia o di paura, ma di puro nervosismo, di quello che ti fa rispondere male anche ad un bambino che ti ha chiesto se vuoi giocare con lui. Mi uscii un sospiro prolungato, che destò in Cheyenne l’alzata di un sopracciglio.
Finalmente arrivammo a destinazione. Il taxi si fermò davanti ad una villetta con un bel giardino. Le mura erano di un azzurro chiaro e rilassante e ampie vetrate illuminavano l’abitazione.
Grandi alberi dalle fronde rigogliose, e un prato verde perfettamente tenuto completavano il lavoro.
-Wow, qui è… è davvero bellissimo! –dissi estasiato.
-Sì, carino. Ora andiamo. Ci aspetti qui, per favore –borbottò al tassista, per poi avviarsi verso il cancello. Suonò il campanello del citofono e aspettamo qualche istante.
-Si, chi è? –disse una voce gracchiante.
-Salve! –esclamò Cheyenne con una vocina dolce e rassicurante, che non le avevo mai sentito usare prima –Mi chiamo Charlie Rhodes, e sono una vecchia compagna di scuola di Peter… Mi chiedevo se potessi vederlo.
-Oh! Davvero? Beh, sì, penso non ci siano problemi! Prego, entra pure.
Un rumore metallico segnalò che il cancello era stato aperto. Mentre ci avviavamo per il sentiero acciottolato che portava fino al portone, guardai Cheyenne.
-Charlie Rhodes? –chiesi – Chi diamine è?
-Nessuno. –rispose lei –E’ il nome di un personaggio di Gossip Girl.
-Oh, grandioso.
Arrivammo al portone e Cheyenne si mise i capelli tutti da una parte e si stampò un sorriso ottimista in faccia.
-Se la madre ti chiede qualcosa, tu sei il mio ragazzo sin dai tempi del liceo e hai avuto l’onore di conoscere Peter un giorno che siamo usciti tutti insieme prima della disgrazia avvenutagli. –disse.
-Con queste esatte parole? –lei fece per rispondermi ma il portone si aprì all’improvviso.
Una signora sulla cinquantina ci aprì. Aveva un viso gentile e bello, segnato però da rughe lievi ma evidenti. I capelli scuri erano raccolti in uno chignon un po’ sfatto.
Prima guardò Cheyenne, poi me, ma ci fece cenno di entrare. All’interno, la casa era grande e a due piani, con mobili lussuosi in legno d’acero, e tappeti morbidi e lindi.
-Peter non mi parla mai del liceo, ma mi sembra di ricordare una Charlie. –disse la signora Loice.
-Certo, posso capire benissimo. –convenne Cheyenne –Vero, Max?
Max? Seriamente?
-Certo, Charlie. –dissi.
-Oh, a proposito, tu chi sei? –mi chiese la donna con un tono pacato.
-Mi chiamo Max Rosswell, signora. Sono il ragazzo di Charlie sin dai tempi del liceo ed ho avuto l’onore di conoscere Peter una volta che siamo usciti tutti insieme prima della disgrazia avvenutagli. –dissi tutto d’un fiato. Vidi Cheyenne roteare gli occhi.
-Ah, certo… Ecco, la camera di Peter è questa. Prego,fate pure con calma, io preparerò un te. –detto questo si congedò.
Mi arrivò subito uno schiaffo sulla nuca.
-Non dovevi usare le stesse identiche parole, idiota!
-Scusami tanto se non mi avevi dato istruzioni, Charlie! Si da il caso che la tua frase la ricordavo proprio come l’avevi detta. E ora andiamo dal nostro vecchio amico, zuccherino.
Lei sbuffò e aprì la porta. La stanza era illuminata da una grande finestra che dava sul giardino. Di fronte ad essa vedemmo la schiena di un ragazzo. Stava seduto su una sedia a rotelle, gurdando immobile davanti a se.
-Peter? –chiamò Cheyenne.
Lui girò lentamente la testa verso di noi e ci guardò incuriosito. Aveva un bel viso, con lineamenti delicati e fragili. I capelli biondi gli incorniciavano due occhi di un azzurro intenso come quello del cielo estivo. Era magro, con le spalle larghe e, una volta, doveva essere sicuramente uno sportivo a giudicare dalle braccia, che risultavano comunque muscolose.
-Voi chi siete? –chiese lui.
-Sono Charlie, non ricordi? –disse lei, prima di farmi cenno di chiudere la porta –Andavamo al liceo insieme.
-Mi ricorderei di una ragazza bella come te. –disse lui.
“Sulla sedia a rotelle, ma ancora in grado di provarci”, pensai mentre chiudevo la porta. Appena questa fu chiusa, Cheyenne cambiò subito approccio.
-Mi chiamo Cheyenne Holmes e sono una consulente investigativa. Sono qui per farti delle domande riguardo all’uomo che ti ha ridotto così e…
-Ripetimi il tuo nome. –la interruppe lui, bruscamente.
-Cheyenne. Cheyenne Holmes. –rispose aggrottando le spracciglia.
Peter sembrò improvvisamente sbiancare. Deglutì rumorosamente e si guardò intorno.
-Lui ripeteva il tuo nome. Mentre mi colpiva continuava a canticchiare il tuo nome.
-Lo canticchiava? –chiese Cheyenne –Su una melodia conosciuta oppure inventata?
-Non lo so. Non ricordo la melodia. Ma ripeteva sempre “God save Cheyenne”.
-Sottile, come sempre… -disse fra se e se Cheyenne.
-Ascolta… io non so cosa tu mi voglia chiedere ma… io non ho idea di dove sia quell’uomo.
-Mi basta che tu mi dica se lo avevi già incontrato in precedenza e come ha agito per… beh, hai capito. –disse lei.
-Non è che l’avessi incontrato davvero prima. O almeno, non ci avevo mai parlato. Ma lo avevo visto spesso davanti al mio liceo. Non faceva granchè, se ne stava lì a guardare gli studenti. Che io sappia non aveva mai parlato con nessuno. Una sera, mentre tornavo da una giornata fuori con degli amici, mi sentii prendere per il collo e venni trascinato dentro un vicolo buio. Lì lo rividi e… beh, mi gettò a terra con forza e mi stordii con un colpo in testa. Poi… -si bloccò e deglutì –poi mi ha accoltellato la gamba destra. Ha cominciato a ridere e a canticchiare il tuo nome. Poi mi ha accoltellato anche l’altra gamba e ha riso ancora più forte. Ha continuato a canticchiare e a ridere anche mentre mi ha tagliato i tendini delle braccia. Poi ha smesso. Lì i miei ricordi sono confusi. Mi sentivo malissimo, non riuscivo a muovere nemmeno un muscolo. So solo che mi si è avvicinato e mi ha sorriso.
-E poi? –chiese Cheyenne.
-Poi se ne è andato. –disse Peter velocemente e con tono brusco. Ovviamente, a Cheyenne, questo suo cambiamento di tono non sfuggì e appena fece per aprire bocca per incalzarlo, Peter si mise un dito sulle labbra.
In quel mentre  la madre entrò nella stanza portando del tè con dei pasticcini. Poggiò il vassoio sul tavolo di Peter e se ne andò sorridendoci. Appena sentimmo svanire il rumore dei passi Peter sospirò.
-Perdonami, ma la avevo sentita arrivare. –disse –Ricordo benissimo cosa accadde dopo. Mi si avvicinò, mi sorrise, e mi parlò.
-E cosa ti disse? –chiedemmo in coro io e Cheyenne.
-“Dalle questo da parte mia quando la incontrerai. Game start.” Poi sono svenuto. Quando mi sono svegliato ero in ospedale. Sei giorni dopo il mio ricovero mi sono svegliato nel cuore della notte e sul mio comodino ho trovato una lettera. E’ nel mio comodino.
Cheyenne si mosse subito e aprì il terzo cassetto senza pensarci due volte. Non volli sapere come faceva a sapere che lì si trovava la lettera in questione, fatto sta che la prese e se la rigirò fra le mani.
-E’ indirizzata a te, vero? –chiese lui.
-Sì. E’ per me? L’hai letta?
-Ci ho provato. Ma non ho capito una sola parola.
-La polizia sa di questa?
-No. Non ho detto nulla. Anche perché, credo che neanche loro avrebbero capito qualcosa.
Cheyenne rimase a lungo a pensare. Esaminò la lettera da ogni angolazione, ma non la aprì.
-Sentite, io non posso più camminare. Riesco ad usare le braccia, ma farlo mi stanca immensamente. Se voi lo trovate… vi pregherei di portarlo subito alla polizia. –disse sommessamente.
-No. –disse secca Cheyenne –Non lo porterò alla polizia. Io devo ucciderlo con le mie stesse mani.
Senza dire altro uscì dalla stanza con la lettera in mano, lasciandomi solo con Peter.
-Ecco… grazie per il tuo prezioso aiuto. –dissi.
-Lei sembra spaventosamente intelligente.
-Lo è.
-E non è stancante stare con lei?
-Sì, ma non rimpiango un solo giorno. Ti auguro di vivere il resto della tua vita pacificamente. –detto questo girai i tacchi anche io.
Mentre uscivo dalla casa incontrai la signora Loice, che mi ringraziò di cuore per essere venuto a trovare suo figlio. La salutai e raggiunsi Cheyenne, che stava appoggiata al taxi, che ci aveva aspettati fino ad ora.
Appena mi vide entrò nel taxi e io la seguii. Mentre il taxi ci riconduceva a casa, mille domande mi frullavano in testa.
-Ginevra sapeva che…?
-Non lo so. Lo scoprirò leggendo questa.
-E la canzone?
-God Save the Queen, Sex Pistols.
- Il biglietto di Kate O’ Malley... –sussurrai io –“Come la regina”.
-Non solo. Ginevra Ivyheld: “La vergine ora si unisce al suo Dio.” La regina Elisabetta, nota anche come la regina vergine. Per questo ho detto che è stato sottile. –disse mentre aprì la busta della lettera –Ora non resta altro che sapere cosa mi ha scritto Ginevra.
Spianò il foglio. Non si capiva una sola, benedetta parola.
-Questo è… è un codice? –chiesi.
-Sì, il messaggio è crittografato.
Sulla lettera, lo riporto proprio come era, c’era scritto questo:
 
Tadatato tactahe tastaita taletagtagentado qtautaetastata ltaettetara vtauol dtaitare ctahtaeta htaita taptaarlatatota ctaotanta Ptaetaetar. Etabtabtaetaneta , staptapita chetata tita taasptaetattao ctaonta atansitaa ptaetarta ital notastarota gitaotaco. Gtamtaeta tastattaarta.
 
Alla fine c’era il disegno di un animale.
-Ma che diamine?! È assurdo!
Cheyenne guardò per un attimo la lettera e poi sbuffò.
-Che sciocchezza. –disse –E’ fin troppo facile. Vedi l’animale disegnato? E’ un procione. In giapponese procione si dice Tanuki. Dato che Nuki significa anche senza, e visto che il messaggio è pieno di ta, basterà eliminarli per leggerlo al completo. Non c’era nemmeno bisogno di mettere comunque il procione, ci sarebbe arrivato anche un ritardato.
Con una penna cancellò tutti i ta e poi si schiarì la voce.
-Dato che stai leggendo questa lettera vuol dire che hai parlato con Peter. Ebbene, sappi che ti aspetto con ansia per il nostro gioco. Game start.
-Non ci dice granchè. –dissi io.
-Merda.
-Cosa?
-Merda! –urlò Cheyenne, dando un pugno al sedile davanti a se –Questo stronzo mi fa saltare i nervi!
Cheyenne continuò a lanciare insulti di ogni genere. Il tassista la guardò incredulo dallo specchietto retrovisore. Appena arrivammo al campus, lei balenò fuori dalla vettura continuando a urlare insulti e imprecazioni. Pagai il tassista che mi disse di stare attento, perché quella era matta.
Cheyenne, appena messo piede in casa, puntò dritta alla sua stanza.
-Oh, Dio non di nuovo. –sospirai, sedendomi sul divano. Riscese come un fulmine e… indovinate un po’! Riprese a sparare come un ossessa contro il povero muro.  Ma prima che potesse distruggere qualcos’altro  la presi per un braccio e, con tutta la forza che avevo, la gettai sul divano. Lei, prima di rendersi conto di cosa succedeva, si ritrovò immobilizzata dalle mie braccia.
-Fermati un secondo e spiegati che cosa sta succedendo! –urlai io.
-Mi ha fregata! –esclamò –Anche questo messaggio è codificato! E questo qui è davvero impossibile!
-Perché è impossibile?! Per te niente è impossibile!
-In questo caso sì. Ci vuole una parola chiave e senza non posso decifrarlo! E io la parola chiave non la conosco!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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