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Autore: Cassie chan    20/05/2007    7 recensioni
“Ma il cerchio è una figura ben strana. Nessuno vi ha mai trovato un inizio, né una fine.”. L’amore tra Elissa e Leon, e poi quello tra Strawberry e Ryan… una scia tra le stelle dell’Universo che arderà eternamente incandescente, via maestra per nuovi solchi di luci e colori, fatti di sentimenti. Alcune leggende dicono che fu un errore la nascita degli esseri umani e degli alieni; quelle piccole e miserrime creature erano troppo potenti con i loro patetici sentimenti, potevano distruggere il cielo per salvare l’oggetto del loro amore, infrangendo ogni legge dell’Universo. Una volta, il cosmo si è salvato. E se accadesse ancora? Il seguito di BEYOND ME AND YOU…
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 9 – Sorrow behind light-hearted eyes

Capitolo 9 – Sorrow behind light-hearted eyes

 

Kevin continuò a passeggiare per qualche ora, lo sguardo ceruleo basso a fissare le piastrelle monocrome dei marciapiedi e l’asfalto delle strade. Gli allegri discorsi delle persone accanto a lui, provenienti da ogni parte del mondo, giungevano attutiti alle sue orecchie, sebbene ne capisse ogni singola parola. Continuava a pensare al suo sogno, lo stesso che si era fatto ogni notte più intenso, ad Elissa, a Melissa ed a Herik, ai suoi genitori, a Nemesi, ma soprattutto continuava incessantemente a pensare a Kathrine. La mattina dopo, l’avrebbe portata da Herik e Melissa e aveva paura, paura che le facessero male. Ma non era solamente questo, non era solamente quel suo strano potere su di lui, il potere di risvegliare memorie sepolte in lui o la sua incomprensibile presenza in quel sogno. Era lei stessa, era la stessa Kathrine che adesso gli faceva male dentro. Adesso la conosceva, adesso lei non era la sconosciuta ragazza bionda un po’ snob, che gli aveva fatto quello strano effetto. Adesso lei era la ragazza che aveva conosciuto in quei giorni, una ragazza meravigliosa, di cui si poteva perdere la testa con una facilità disarmante. Ora capiva Nick, il suo migliore amico, che si vedeva lontano un miglio che era cotto di lei, adesso capiva Grace e Chiyo, che le stavano accanto sempre, anche se ognuna a modo loro, adesso capiva i suoi genitori, che erano così protettivi con lei, ora capiva tutto quel brulichio di gente che le stava accanto e che l’amava e ammirava. Una volta conosciuta, era impossibile starle lontani. E lentamente si rendeva conto che stava succedendo anche a lui la stessa ed identica cosa… Kathrine aveva il potere. Un potere strano e meraviglioso. Non solo quello di far franare nella sua mente ricordi di un passato lontanissimo, ma anche quello di rasserenare l’animo e di rendere lucente come oro ogni giornata. Era radiosa in ogni cosa che facesse, come se non avesse mai provato sofferenza, dolore o angoscia. Non mostrava mai niente di tutto quello, anche se era praticamente impossibile che non avesse sofferto anche lei nella sua breve vita. Vedere Parigi con lei era stato bello, era stato divertente, era stato indimenticabile… e adesso stava per rischiare di perderla.

Scosse il capo, non ci doveva pensare, era necessario. Come era vero che Kathrine era tutto quello che aveva visto, la sua mente era ancora congelata su Elissa e su quell’altro ragazzo, quella persona che poteva essere suo fratello. Aveva sentito nei suoi sogni la sua voce dirgli, sofferente: “Ti perdono fratello mio…”. Che cosa gli aveva fatto? E adesso lui dov’era?

Appoggiò la mano sulla maniglia della porta dell’albergo ed entrò dentro.

A quelle domande, solo domani avrebbe avuto una risposta.

Tramite Kathrine… la sua mente si costrinse a rispondersi.

Si avvicinò alla reception, chiedendo a Riad se Kathrine fosse in camera sua.

“Veramente…” mormorò lui in francese “Non so dove sia andata… ma in compenso un’altra ragazza la sta aspettando e vuole assolutamente vederla…”.

“Un’altra ragazza?!” chiese Kevin meravigliato, poi, pensando che si trattasse di Melissa, mormorò: “E’ per caso bruna?”.

Riad cercò di reprimere la risata che già gli stava venendo fuori, contrariamente alle indicazioni di Salinda, e rispose: “Non lo so, io non l’ho vista… la sta aspettando sulla terrazza… a proposito, mi ha detto che avrebbe dovuto cambiarsi, prima di vederla…”.

“Cambiarmi?!” chiese scioccato Kevin, guardando il suo maglione azzurro e i suoi jeans. Che diamine avevano che non andava?

Riad lo prese per un braccio e lo condusse in una stanza attigua, dove l’ancora stupito ragazzo fu costretto ad indossare uno smoking di colore bianco. Riad, dopo aver sudato sette camicie per aiutare a vestirsi il riottoso ragazzo, gli fece segno di salire la scala, fino all’ultimo piano, dove, oltre una porta di ferro battuto coperta da una tenda rossa, c’era la terrazza.

Kevin, borbottando, salì le scale. Di chi diamine poteva essere quella bella idea? Ci scommetteva tutti gli euro che circolavano in quella nazione che era opera di quella pazza isterica di Melissa… chissà che cosa le era venuto in testa… continuò a salire le scale, maledicendo quel vestito che sentiva per lui troppo elegante e che gli ricordava troppo le uniformi militari di Nemesi. Arrivò in cima ed aprì la porta di ferro, scostando poi la tenda rossa.

Davanti a sé, c’era l’enorme terrazza circolare dell’albergo, circondata da candele tondeggianti rosa, che emanavano un gradevole odore di vaniglia che doveva tenere alla larga gli insetti, ma che rendeva ancora più particolare e magica quella atmosfera. La terrazza era piena di tavolini con vasi pieni di fresie bianche, accompagnati da eleganti candelieri d’argento. C’era un discreto numero di persone lì, alcune delle quali ballavano al suono delle note romantiche di un piccolo quartetto d’archi, accompagnato dalla voce suadente di una cantante, vestita in satin grigio, altre guardavano il meraviglioso panorama di Parigi, altre ancora chiacchieravano silenziosamente. Una cosa era certa: sembravano tutte coppie. Kevin, arrossendo d’imbarazzo, si fece strada tra i tavolini, cercando l’unica persona che invece doveva essere da sola perché stava aspettando lui, convinto più che mai di dover cercare una ragazza bruna di origine aliena di nome Melissa.

E invece trovò una ragazza bionda, senz’alcun dubbio umana, di nome Kathrine Shirogane.

Come qualche giorno prima, Kathrine non si accorse subito del suo arrivo, persa com’era nel panorama luccicante di Parigi. Stava ripensando a quella vacanza e i suoi occhi color cioccolato si perdevano tra scie di luci artificiali e code di ricordi vivaci; un lieve sorriso piegava le sue labbra rosa, accentuate dalla patina trasparente di un delicato rossetto. Kevin la guardò meravigliato per qualche istante… era chiaro che era lei, era normale che quella fosse Kathrine, ma era come se, all’improvviso, lui non stesse più guardando la sedicenne che conosceva, una bellissima ragazzina ancora immatura. Lei adesso sembrava cresciuta tutta assieme, diventando sua coetanea o anche più grande. Aveva i capelli stranamente liscissimi, che cadevano dolci sulle sue spalle, lasciate scoperte da un lungo vestito azzurro scuro, che le fasciava stretto i fianchi, per poi aprirsi in una specie di coda alla fine della sua schiena. Ai lobi, aveva dei piccoli brillanti, e al collo una collana con un ciondolo minuscolo a forma di fiore, che lei tormentava freneticamente tra le mani. Portava persino dei guanti lunghi di raso bianco, che le arrivavano fino al gomito. Non sembrava minimamente a disagio, anche se quelli non erano i suoi panni consueti, ma, come intuiva facilmente Kevin, dovevano trattarsi di vestiti di Salinda. Sembrava una giovane donna dell’alta società parigina, solamente un po’ annoiata che il suo accompagnatore fosse in ritardo.

Si avvicinò piano, il cuore che gli batteva ferocemente nel petto, mentre Kathrine finalmente si accorse di lui e lo guardò, sorridendo. Poi disse: “Salinda voleva che trascorressimo l’ultima serata a Parigi in modo speciale… non sono riuscita a dirle di no…”.

Lui sorrise a sua volta e si sedette di fronte a lei, osservando per qualche istante i riflessi della candela sul tavolo accendere i suoi capelli di sfumature sconosciute: “Ha avuto una bella idea, in fondo…”, poi abbassò gli occhi e mormorò: “Scusami, so di essere stato molto distratto in questi ultimi giorni… ma sai stavo pensando ai miei genitori…”.

Lei scosse il capo e rispose: “Non ti preoccupare, lo avevo immaginato… domani è il grande giorno, vero?”.

Kevin rise amaramente e annuì con il capo, l’immagine di lei che si sovrapponeva a quella straziante del suo sogno ricorrente.

Kathrine si sporse su di lui e gli sussurrò: “Hai paura?”.

“Un po’” ammise sinceramente lui, non guardandola ancora… se avessi paura per me, non ci sarebbe problema… ho avuto paura per quasi la metà della mia vita, da quando temo che i miei genitori mi nascondano qualcosa … ed invece ho paura solamente per te… e questo, se mai ciò sia possibile, mi fa paura più di tutto il resto…

Kathrine poggiò dolcemente la sua mano su quella del ragazzo, che sollevò lo sguardo da bambino, adesso reso scintillante da lacrime nascoste: “Non devi avere paura… ci sono io con te…”.

Kevin sorrise malinconicamente, pensare che era proprio questo il problema. Strinse nella sua la mano di Kathrine, che arrossì, rendendosi conto dell’improvviso contatto tra di loro, mentre Kevin intrecciava le dita attorno alle sue. Le sussurrò piano: “Non che tu sia una grande forza armata, anzi sei un’emerita fifona, ma comunque ti ringrazio…”. Il suo tono era cambiato, la stava prendendo in giro come sempre, eppure Kathrine notò subito che la sua voce era più dolce, più tenera, più tranquilla di come era di solito. Kevin era cambiato, soprattutto verso di lei, ed ancora una volta si ritrovò a chiedersi perché.

All’improvviso, la piccola orchestrina smise di suonare per concedere un po’ di pausa ai musicisti ed alla cantante. Nell’attesa che riprendessero,  le note di una canzone famosa si diffusero nell’aria primaverile. Alcune coppie si diressero verso lo spazio tra i tavoli per ballare, stretti e cullati dalla dolce melodia e dai riflessi argentati della pallida luna.

“Vuoi ballare?” le chiese Kevin, osservandola e stringendo più forte la mano di Kathrine.

La ragazza sorrise, il volto ancora scarlatto, e si fece guidare da lui, al centro della pista. Si sentiva accaldata e strana, mentre lui la trascinava con sé la mano ancora stretta nella sua, e quando si fermò, lo guardò per qualche istante, come se non capisse dove si trovava. Era da bambina che ballava spesso con qualche ragazzo, alle feste o ai ricevimenti, a cui alle volte suo padre e sua madre avevano dovuto presenziare, spesso avvenenti giovanotti si inchinavano cerimoniosamente di fronte a lei, chiedendole di ballare. Ma quella fu la prima volta, in cui ebbe quasi paura del contatto troppo forte che si stava stabilendo con Kevin, eppure era così serena e calma che niente avrebbe potuto farle paura in quel momento. Lentamente, appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo, che la strinse più forte, la mano aperta sulla sua schiena nuda. Si muovevano piano, senza fretta, perché impacciati, perché impauriti, perché felici, e attorno a loro, sembrava che il mondo avesse abbassato il volume altissimo dei suoi folli ritmi. Per un attimo, entrambi dimenticarono tutto, persino chi fossero, quale era il motivo per cui erano lì. L’importante era esserci, l’importante era essere lì l’uno con l’altra. 

“Domani, torneremo a casa…” disse all’improvviso Kathrine, staccandosi da lui e guardandolo in viso.

“Lo so, Kathrine…”.

“Le cose cambieranno… vero?” chiese ancora lei in un sussurro, stringendo più forte la mano sulla manica della sua giacca.

Kevin inarcò un sopracciglio e rispose: “Probabilmente…”.

Lei abbassò gli occhi e riprese: “Me l’aspettavo… quando torneremo, io tornerò ad essere la mocciosa di sempre, vero?”.

Kevin la guardò ancora, non capiva dove volesse arrivare. Le mise due dita sotto il mento, costringendola a sollevare il viso: “Kathrine, si può sapere che stai dicendo?”.

Kathrine spalancò gli occhi,  intimidita, come se si fosse resa conto solo allora di che cosa avesse detto. La vicinanza di Kevin le aveva fatto perdere il controllo di sé stessa ed aveva detto quello che temeva nel profondo. Lei sentiva di aver condiviso qualcosa di importante con lui, ma Kevin la pensava allo stesso modo? Che cosa dovevano considerarsi una volta tornati a casa? Conoscenti, amici o… non era possibile, in fondo lui aveva ancora Chiyo… una scarica d’orgoglio la riprese all’improvviso… e poi che diamine me ne importa?!

“Niente di importante!” sorrise decisa, portando le sue braccia attorno al suo collo “Non so che cosa mi sia preso!”.

Kevin la guardò scettico, poi ripresero a ballare. Ma la magia che si era creata pochi secondi prima tra loro non ebbe il tempo di ricrearsi. All’improvviso, Kevin sentì il corpo di Kathrine farsi freddo, sembrava diventata un pezzo di ghiaccio. Si era irrigidita ed era immobile tra le sue braccia, la discostò da sé, e si accorse che era pallida, le sue labbra erano violacee e i suoi occhi scrigni di luce spenta.

“Che hai Kathrine?! La smetti di farmi preoccupare?!” le chiese, scuotendola per le spalle.

Ma stavolta lei non fu così celere a rispondere. Rimase immobile, le labbra leggermente dischiuse, gli occhi lucidi e fissi in un punto della sala. Kevin si voltò in quella direzione e vide che non c’era nessuno, a parte un tecnico delle luci con un berretto rosso in testa che stava riavvolgendo il filo di un lampione.

Kevin non ebbe tempo di farle un’altra domanda, perché Kathrine si liberò bruscamente dalla sua stretta e raggiunse velocemente il tavolo. Si sedette e afferrò qualcosa dal tavolo. Un coltello, che nascose nella sua mano.

Kevin si accorse di quei suoi movimenti, e la prese per il polso: “Kathrine si può sapere che diamine ti succede?!”.

“Lasciami stare…” la sua voce era tagliente come una lama e i suoi occhi, sebbene ancora pieni di lacrime, erano lucidi di odio e di rabbia. Continuava a fissare lo stesso angolo di prima e stringeva convulsamente la lama del coltello che ormai le aveva ferito la mano tremante, che adesso sanguinava copiosamente.

“Non vedi che ti stai facendo male?” le urlò nervoso, strappandole finalmente il coltello di mano e attirando l’attenzione degli alti ospiti, dei camerieri e del tecnico, che guardarono interrogativamente verso di loro.

Kathrine spalancò gli occhi, che finalmente ritornarono del loro consueto colore castano luminoso,  e le sue guance si rigarono di lacrime. Si alzò velocemente ed, urtando Kevin, inforcò l’uscita. Il ragazzo stava già per seguirla, ma fu trattenuto da Salinda e Riad, che evidentemente avevano visto tutta la scena e che si affrettarono a chiedere a Kevin il motivo della stranezza di Kathrine.

“Non lo so, ma adesso vado a vedere… vi faccio sapere dopo…” rispose velocemente, prima di inforcare anche lui l’uscita. Si mise a correre giù per le scale, era insolito il comportamento di Kathrine, era stata strana tutta la sera, ma quell’ultima reazione non se l’aspettava proprio. Era scappata via  e sembrava sconvolta. Raggiunse il loro corridoio, sperando che lei fosse semplicemente tornata in camera loro, e spalancò violentemente la porta.

“Kathrine!” la chiamò a gran voce e vide spuntare i suoi capelli biondi al di là della parete di legno della veranda, ricoperta di rampicanti. Si avvicinò a lei e la guardò interrogativamente. Per tutta risposta, Kathrine lo guardò come se non fosse accaduto nulla, i suoi occhi erano ancora rossi, ma il suo viso stava riprendendo colore. Si teneva la mano ferita nell’altra  e faceva abilmente finta che lo strano della situazione fosse Kevin, non lei. Continuava a guardarlo severa e si stringeva nelle spalle sottili, adesso non più coperte dal vestito elegante di prima, ma da una lunga maglietta a maniche corte, troppo grande per lei, che le fungeva da pigiama.

Kevin si tolse la giacca di dosso e la gettò distrattamente su una poltrona, slacciandosi anche la stretta cravatta.

“Si può sapere che ti è successo?” le chiese, avvicinandosi a lei, che si ritrasse leggermente “E’ tutta la sera che ti faccio la stessa domanda ed è tutta la sera che eludi la risposta… e non ho nessuna voglia di adoperarmi continuamente come tuo psicanalista…”.

Lei non rispose e guardò davanti a sé il panorama luccicante della città di Parigi, scie di luci che cadevano e morivano nei suoi occhi. Sospirò e disse, sorridendo: “Hai ragione, non mi sento molto bene…”.

“Questa chiacchiera non funziona…” ribadì Kevin, adesso leggermente nervoso, voltandosi ancora verso di lei “Non sarò certo a pregarti di parlarmene, perché non sono proprio il tipo… anche se forse un’altra persona si offenderebbe, considerato che io invece ti ho raccontato tutto della mia vita e dei miei genitori…”.

Certo, non che questo sia del tutto vero… pensò Kevin, studiando le linee del volto della ragazza accanto a lui Ma, se scoprissi i miei segreti, saresti anche peggio di come stai adesso, solamente per i tuoi…

Kathrine replicò spazientita, muovendosi per ritornare dentro: “Non ho niente Kevin, accidenti… sono solo stanca e voglio andare a letto!”.

“Va bene” si rassegnò lui, seguendola “Ma almeno fammi vedere la ferita che hai sulla mano… stava sanguinando prima…”.  Fece per prenderle la mano, ma Kathrine si ritrasse, autenticamente terrorizzata. Tremava dalla testa ai piedi.

Kevin la guardò ancora, vistosamente amareggiato, e le disse stavolta cercando di essere più dolce: “Kathrine, per favore… che hai? Ho fatto qualcosa? Ti ho fatto stare male?”.

La ragazza, stringendo la mano al petto, negò con il capo. Cercava di trattenere le lacrime, ma sentiva che stavano uscendo, che stavano premendo sotto le sue palpebre e che tra poco sarebbe esplosa. Non voleva, non voleva assolutamente che lui lo sapesse, che Kevin sapesse che cosa le era successo, che provasse pietà, compassione o chissà che cosa. Era riuscita a vivere, dimenticandosi di tutto quello che le era capitato, era un anno che faceva così e le cose andavano bene. O perlomeno lo pensava. Già, le poche allusioni che solo Nick poteva fare, a volte le davano fastidio e cercava di eluderle. In quei momenti, si sentiva sporca, impura e aveva paura che gli altri lo pensassero a loro volta. Non voleva che proprio Kevin lo pensasse, che proprio lui lo capisse. Era riuscita ad essere meravigliosamente allegra e spigliata con lui, e adesso tutto poteva rompersi, infrangersi, come una scintillante cascata di pezzi di vetro. Era ritornata la paura, ancora una volta, la paura di essere toccata, e lui l’aveva percepito. Fu tentata di chiamare Nick, ma sapeva che si sarebbe preoccupato inutilmente. Ma perché le doveva succedere proprio adesso? E perché proprio con lui? Si morse freneticamente il labbro inferiore, mentre diceva piano, sedendosi sul letto: “Tu non hai fatto niente, Kevin… è solo colpa mia… m-mi era sembrato di vedere una p-persona che conoscevo…”

“Una persona che conoscevi? Qui, a Parigi?” chiese Kevin, sedendosi accanto a lei. Cercava di non toccarla,  aveva capito che lei aveva reagito così dopo che lui l’aveva sfiorata. Fino a cinque minuti prima, era tra le sue braccia e sembrava felice, adesso non voleva che la toccasse. Che strano contrasto…

Lei annuì sommessamente, voltando il viso dall’altra parte, poi Kevin le chiese: “Questa persona ti ha fatto soffrire?”.

Bastò quella semplice domanda e le resistenza che aveva posto dentro sé stessa si sbriciolarono, come carta bruciata.

Kathrine spalancò gli occhi, stavolta senza riuscire a fermare le sue lacrime. Come un fiume in piena, il dolore, la frustrazione, la rabbia, il disgusto, ruppero gli argini che aveva difficilmente posto nella sua mente e nel suo cuore. Si voltò verso Kevin, che la guardò sorpreso per quelle sue lacrime così lancinanti, poi si gettò tra le sue braccia, riprendendo a singhiozzare.

Lei non diceva niente, continuava a piangere, senza fermarsi. Kevin non sapeva che cosa fare,  era spaventato da quella sua reazione, ma pensò che lei avesse bisogno di sfogarsi e allora la fece fare, non parlando, ma accarezzandole piano i capelli, mentre lei piangeva, il viso nell’incavo della sua spalla, le lacrime che cadevano lungo il suo collo, portando frescura sulla sua pelle calda. Passò parecchio tempo e lei piano si andava calmando, così lentamente la prese in braccio e la mise a letto. Le rimboccò le coperte, come se fosse una bambina, e si mise anche lui il pigiama, cambiandosi in bagno. Quando ritornò, lei singhiozzava ancora, ma almeno sembrava un po’ più tranquilla.

Si sedette accanto a lei e le accarezzò il viso, e Kathrine gli fece segno di venire anche lui a letto. Si infilò piano, cercando anche stavolta di non sfiorarla, ma questa volta Kathrine si mosse tra le lenzuola, arrivando a lui e appoggiando la testa e una mano sul suo petto. Kevin arrossì, ma cercò di non darlo a vedere.

“Ti senti meglio?” le chiese in un sussurro.

Kathrine annuì piano, ma non sembrava effettivamente rasserenata.

Lui le chiese ancora: “Se vuoi parlare, io sono qui… lo sai vero?”.

Kathrine annuì ancora, poi sospirò e rispose: “Non voglio né che tu mi compatisca, né che tu faccia ogni sorta di commento in effetti… questa è una cosa troppo seria per me, e non l’ho mai detta a nessuno, a parte che a Nick, perché lui si trovò con me quel giorno, altrimenti avrei evitato anche con lui… perciò, non voglio che tu mi dica solo una frase fatta per tenermi contenta… non farlo, per favore… tanto è una cosa senza rimedio, credimi… sento di dovertelo dire, perché abbiamo condiviso qualcosa di importante in questi giorni e perché tu mi hai raccontato dei tuoi… ma non è facile per me, non lo è affatto, quindi per piacere non interrompermi… non è un bel ricordo…”.

Lui annuì e la strinse a sé. Voleva darle coraggio, lo sentiva nella sua pelle ghiacciata che stava soffrendo, che stava male, e voleva che sapesse che c’era, che lui era lì con lei.

Kathrine rimase in silenzio qualche secondo, poi lentamente iniziò a parlare. Le sue parole erano scandite, chiare, voleva evitare che Kevin le chiedesse qualsiasi tipo di cosa. Quel racconto doveva finire quanto prima possibile.

“L’anno scorso, avevo un ragazzo. Non so se alla fine potevo considerarlo tale, ma lo amavo veramente tanto. Facevo di tutto per stare con lui, di tutto, e anche io sono una persona molto pigra, mi iscrissi in piscina, perché ci andava anche lui. Era inverno, e un giorno C.J. , lui si chiamava così, non poté venire perché aveva l’influenza. Io ci andai lo stesso perché dovevo vedere una mia amica che mi doveva dire una cosa importante. Quella sera, la mia istruttrice mi trattenne per più tempo, perché le ero sembrata un po’ svogliata, e voleva chiedermi le mie intenzioni, perché tra poco ci sarebbero state delle gare e, perlomeno secondo lei, io ci avrei potuto partecipare. Senza che me ne accorgessi, si fecero le dieci. Dovevo tornare a casa da sola;  mio padre era a S. Francisco e mia madre aveva delle cose da fare con mio fratello. Mi aveva fatto uscire da sola, solo perché credeva che sarei tornata con C.J. …”

A quel punto, la ragazza si interruppe e prese fiato, adesso veniva la parte difficile. Stava per ricominciare a piangere, ma cercò di far finta che stava raccontando una storia accaduta a qualcun altro. Era l’unico modo per finire quanto prima.

“La piscina era in periferia e per arrivare a casa mia, dovevo passare davanti ad una stazione di servizio, ma prima c’era una lunga strada buia che era al limite di alcuni terreni incolti. Cominciai a camminare, la strada era buia e non c’era nessuno. La gente era già tutta a casa. Iniziai a camminare più veloce, sentivo dei passi dietro di me ed avevo paura. Ma cercai di farmi coraggio e continuai a camminare. Sospirai di sollievo, quando vidi la stazione di servizio. C’era ancora qualcuno, e in particolar modo c’erano dei camionisti che si stavano preparando per partire. Li guardai distrattamente, e ripresi a camminare. Ad un tratto, mi sentii chiamare da uno di loro. Non mi voltai, continuai a camminare, pensavo che non stessero dicendo a me. Speravo che stesse parlando con qualche altro. Poi lo sentii urlarmi qualcosa, tipo “Biondina” o altro, non lo so. Iniziai a camminare sempre più veloce, fino a quando sentii i passi di quella persona dietro di me. Presi a correre più forte che potevo, ma lui mi raggiunse. Iniziò a scherzare pesantemente, seguendomi sempre a breve distanza; io cercavo di non dargli retta, sperando che passasse qualcuno, ma nessuno si accorgeva di me. Gli urlai di lasciarmi stare, voltandomi piano, e lui per tutta risposta mi afferrò per le spalle e mi spinse contro un muro. Avevo paura, avevo tanta paura e mi misi ad urlare, ma lui mi diede uno schiaffo, dicendomi di stare zitta, altrimenti sarebbe stato peggio. Caddi per  terra, avevo il labbro spaccato e cercai ancora di scappare, ma lui mi afferrò forte per il polso e mi gettò contro quel maledetto muro. Iniziò a baciarmi sul collo, cercavo di dimenarmi, di urlare, ma non c’era nessuno in quella dannata strada. Si insinuò piano sotto i miei vestiti, sfiorandomi ovunque, e allora pensai che fosse finita, pensai che mi avrebbe stuprata e non avrei potuto fare niente per impedirglielo. Smisi di gridare e capii che non c’era più speranza. Ci andò vicino, molto vicino, ma non ne ebbe il tempo. Nick… casualmente a casa sua mancava qualcosa, ed era andato un attimo in un supermercato, vicino a casa sua e, per puro caso, aveva sentito le mie urla. Mi aveva riconosciuto ed era corso in quella direzione. Gli mollò un pugno e me lo scrollò di dosso. Quando vidi Nick, pensai che fosse un sogno. Lo abbracciai e lui mi portò a casa sua. Quella sera, non c’erano i suoi e nemmeno Grace e Teddy, e allora dormii lì. Avvisai i miei, e poi pregai Nick di non dirli nulla, sapevo quale sarebbe stata la loro reazione, mi avrebbero tenuto più sotto controllo di quanto facciano adesso, si sarebbero preoccupati, ma ormai quella… cosa… era successa. Tutte le precauzioni che hanno sempre preso con me non erano bastate e, per loro, saperlo sarebbe stata solamente una sconfitta. Avevo solo bisogno di dimenticare. Di scordare quello che era successo e ci sono riuscita. Ma stasera… quell’uomo, quel tecnico gli assomigliava molto e io ho avuto quella reazione… scusami…”

Kathrine si morse per le labbra per cercare di non piangere,  per distogliersi da quel pensiero sollevò lo sguardo per vedere il viso di Kevin, e lo vide con un’espressione strana. Lei corrugò le sopracciglia, pensò che Kevin provasse pietà, strazio, disgusto. Ma in realtà, Kevin non provava niente di tutte quelle sensazioni che lei enumerava nella sua mente. Lui provava la rabbia più cieca, muta e sorda che si potesse provare. Strinse i pugni, pensando a Kathrine, preda di quelle azioni di un uomo che era poco più di un animale. Ma anche lui sentiva in lui qualcosa di simile, qualcosa di ferino, che si dimenava furioso dentro di lui: voleva avere quell’uomo tra le mani ed ucciderlo come un cane, fargli pagare tutto quello che aveva fatto a Kathrine, pensò alla possibilità che quella dannata sera Nick non si fosse accorto che mancava qualcosa in casa, oppure se avesse preferito restare a casa al caldo. La sua rabbia, se possibile, crebbe anche di più. Pensò di usare la magia, anche in quello stesso momento, di trovare quell’uomo e di ammazzarlo, lì, davanti a Kathrine, di farlo a pezzi, davanti a quel cucciolo terrorizzato, che teneva tra le braccia. Abbassò lo sguardo e la guardò di nuovo, i suoi occhi erano specchi di dolore, stava soffrendo, stava malissimo e, per un attimo, gli sembrò di impazzire, respirando nell’aria la sofferenza di lei, che entrava in lui e lo squarciava dall’interno. 

Gli faceva paura.

Era terrorizzato.

Lei…

 lei…

… il suo dolore… inferno… mi sta consumando…

La strinse più intensamente e Kathrine si ritrovò con la guancia premuta fortemente contro il suo petto. La soffocava quasi con il suo abbraccio, ma era così bello che le sembrò quasi che il suo dolore, per la vicinanza con il ragazzo, passasse perlomeno in parte da lei a lui. 

“Di che cosa devi scusarti?” le chiese dolcemente “Di che cosa, Kathrine? Sei sicura che non fosse lui? Lo vorrei avere qui quel bastardo, lo ammazzerei con le mie mani…”.

Kathrine si ritrovò a piangere di nuovo, e strinse le sue braccia attorno alla sua vita, annuendo, il viso immerso nel suo collo.

Riprese a piangere, mentre singhiozzava: “Io voglio solo che questa cosa sparisca dalla mia testa, dalla mia mente, dalla mia memoria… voglio solo dimenticare, e invece non posso! Invece, per sempre questa cosa mi verrà dietro e non se ne andrà mai! Ogni volta che ci penso, ogni volta che mi ritorna in mente, ogni volta che i miei genitori o Nick mi dicono di stare attenta, io sento di nuovo le labbra e le mani di quell’uomo addosso, mi sento sporca e non voglio più essere toccata, sfiorata, baciata da nessuno. E ho paura, una maledetta paura che succeda ancora, che qualcuno mi faccia di nuovo tanto male”.

“Sta tranquilla, piccola” le sussurrò con calma sui capelli e la baciò piano sulla fronte “Non accadrà mai più…”

Ci sarò io con te…

Kevin si ritrovò a pensare quelle parole, ma non poteva dirle, non poteva.

Le accarezzò il viso dolcemente, il suo viso da bambina, i suoi occhi dolcissimi, le sue guance tonde, il suo naso minuto, e poi le sue labbra rosse e piene. Le sfiorò con un dito, adagio,  e si ritrovò a desiderarle, con impeto, con forza, quasi con violenza. Come se potessero accarezzare loro sole quell’animale, nato in lui, e farlo saziare. Di lei, solo di lei.

Vorrei baciarti, Kathrine… sto morendo dalla voglia di baciarti e di sussurrarti sulle tue bellissime labbra, su quelle labbra insolenti, che si aprono sempre per dirmi qualcosa di irritante, che sarò sempre qui con te… ma non ti meriti una bugia, non te la meriti. E sarei un pazzo, se adesso ti baciassi, sapendo che, tra quanto, una settimana, un giorno, qualche ora, potrei andarmene e tornare su Nemesi… e sarei una bestia, peggio di quella che ti ha fatto tutto questo, se ti baciassi solo perché adesso desidero tanto averti…

Kathrine continuava a piangere, e continuò a farlo per tutta la notte. Non si fermava, se non pochi istanti, e rimaneva stretta tra le braccia di Kevin, che cercava solo di tenerla quanto più unita possibile a lui, che sentisse il suo cuore battere forte, come il suo.

 

 

Chiedo perdono!!!! Sembra essere diventato un ritornello! Purtroppo, questa volta non è davvero colpa mia! Come avevo già preannunciato, il mio computer se ne era andato completamente ai pesci, quindi è stato necessario formattarlo e se ne sono andati due mesi buoni perché mio padre non riusciva a ripristinare Internet! Ma adesso sono tornata finalmente, quindi potete godervi questo capitolo nuovo di zecca! Finalmente si è saputo che cosa è successo alla povera Kathrine, una cosa che mi ha fatto enormemente male nello scriverla, ma che era necessaria anche per qualcosa che succederà dopo… nel prossimo capitolo, infatti, finalmente si capirà chi è davvero Kathrine e il motivo del suo particolare potere su Kivar/Kevin. Non vi dico di provare ad indovinare perché mi sono esaurita per trovare una soluzione che non fosse scontata e sono stata così geniale che sarebbe difficile per chiunque! Oggi sono nella fase della presunzione assoluta, scusatemi! Come sempre, ringrazio coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, aggiungendo che mi siete stati di grande aiuto perché, come penso si sia capito, ho sempre bisogno di molti incoraggiamenti per continuare a scrivere! Grazie, quindi a Kashia (scusami tantissimo per il ritardo, ma almeno stavolta non è stata colpa mia!! Grazie tantissimo), Izayoi 007 (grazie dei complimenti, sono sempre contenta di trovare nuovi lettori quasi quanto di trovare quelli che mi seguono da sempre! So che questa storia è davvero molto incentrata su Kathrine e Kevin, in effetti credo che siano loro i protagonisti della storia! Quindi, sicuramente ci sarà meno di Ryan e Strawberry qui! Comunque per loro due, li rivedrai presto, già nel prossimo capitolo! E comunque la mia indole perfida non li lascerà in pace… insomma, alla fine le passeranno anche loro di tutti i colori… un bacione!),  Black_pill (grazie tantissimo! Una piccola precisazione: Profondo blu, ormai, è bello che morto… quello che Kivar sente nella mente sono i ricordi di PB, ma non lui stesso… mi dispiace non essere stata chiara, ma spero di essermi spiegata adesso! Un bacio!), Mew Pam (la mia Pammina! Hai perfettamente ragione, Kivar in effetti è un po’ strano, credo di assomigliargli parecchio nei mie scatti emotivi strani!! Purtroppo, non ho nemmeno MSN, non avendo l’Adsl mio apdre non ne vuole sapere di metterlo… comunque, se vuoi contattarmi, almeno l’e-mail mi funziona nel mio computer giurassico!!! Per sapere di che altro cavolo ha fatto C.J. a Kathrine, dovrai aspettare ancora due capitoli!), Hermy6, Aya chan (la mia Ayuccia! Come vedi, finalmente ho aggiornato anche questa storia… grazie per le tue puntualissime recensioni, io invece con la tua storia sono sempre in ritardo! Ti rispondo qui solamente per quello che riguarda la recensione, tanto per il resto ci sentiamo via mail… come sempre, sei troppo buona con me, ti dico la verità: il mio più grande sogno sarebbe quello di pubblicare un libro, ma non penso di essere così brava! E poi sono troppo contenta che tu abbia notato un miglioramento nel mio modo di scrivere, a me sembra che scrivo sempre nella stessa maniera!!! Per Roswell, a me piace tantissimo, adesso lo sto rivedendo a sprazzi su MTV… la mia coppia preferita sono indubbiamente Micheal e Maria; li adoro forse perché rappresentano il mio ideale di coppia! E poi perché sono molto simile a Maria… ed anche perché il famoso “ragazzo perfetto” è molto simile a Micheal, tolti tutti i traumi infantili… sto impazzendo!!! Un mega bacione!!) e Lunachan 62 (questa volta ho lasciato persino in un punto peggiore della volta scorsa, eh? Grazie anche a te!).

Approfitto di questa sede, anche se può darsi che non leggeranno questa storia, per rimgraziare tutti coloro che continuano a recensire Beyond me and you… grazie tantissimo… adesso scappo… ciao da Cassie chan!!!

 

 

   
 
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