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Autore: _Garnet915_    21/05/2007    7 recensioni
Guarigione. Un concetto che può apparire tanto semplice. Ma per alcuni è una ripida strada di montagna che sembra non offra alcun sentiero sicuro. Percorrerla da soli sembra una tortura. Ma forse con qualcuno accanto, una sicurezza può essere trovata. {NOTA: il titolo della storia è lo stesso di una canzone incisa in Giappone e dedicata al pairing Inuyasha/Kagome - lo stesso principale di questa fic - Questo, però, non significa che la storia sia una sorta di song-fic}
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Kikyo, Sango
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia trae spunto da una mia vicenda personale, che sto ancora vivendo. E'dedicata a me stessa, a tutte le persone che hanno un problema simile al mio e anche più grave (ne esistono a bizzeffe, purtroppo...). Perchè la strada per la guarigione non è impossibile. Ma lunga. Forza e coraggio a tutti!



1. Taiya ga kyou mo kurayami ni noborou ~ Today the sun still rises in the darkness

Se c’era una cosa che aveva sempre odiato erano i mezzi voti. Non significavano nulla per lei. Era sempre stata la sua filosofia: le cose erano o bianche o nere; le vie di mezzo, i grigi non esistevano. E per questo, quel voto non le andava proprio giù.


Al di là del fatto che aveva impiegato la bellezza di tre ore il pomeriggio prima per studiarsi quei dannati concetti che capiva poco, ma che almeno si sforzava di capire; aveva studiato rinunciando a farsi un bel giro per il quartiere di Harajuku assieme alle sue migliori amiche.


Per cosa, poi?


Per un cinque e mezzo?


Non riusciva a digerire quel voto. Era a metà tra la sufficienza e l’insufficienza: non era insufficiente, ma nemmeno sufficiente. Quanto le dava sui nervi quella situazione. L’unica cosa che un po’ la consolava era che fisica non era una materia per lei importante. Certo, cercava di conviverci pacificamente, ma alla fine le importava accaparrarsi solo un sei striminzito alla fine del trimestre.


“C’eri quasi, Higurashi, alla sufficienza. Peccato; la prossima volta andrà meglio, vedrai”


Come no, vecchia strega.


Sapeva benissimo che fingeva: sapeva che la sua professoressa era a conoscenza del suo odio sviscerato per la fisica. E, di conseguenza, aveva scartato l’opzione “Vediamo_se_almeno_prova_a_studiarla” – come la chiamava Kagome.


Non aveva nemmeno voglia di stare ad ascoltare la spiegazione seguente. Chi se ne fregava di alcuni stupidi europei che formulavano leggi? E che, per di più, avevano nomi strani come Ohm o chicchessia. Passò il resto della lezione osservando distrattamente la sua agenda aperta sopra il libro di fisica e ben nascosta dall’astuccio. Sfogliava alcune pagine: in molte di quelle c’erano attaccate foto scattate di nascosto al suo compagno di classe Hojo, per il quale aveva una cotta tremenda.


Quante volte fantasticava su di lui, di come doveva essere avere un appuntamento con lui, pranzare con lui sulla terrazza della scuola di nascosto, marinare insieme un giorno la scuola e andarsene lontano da Tokyo… Osaka, Sapporo, Yokohama, Saitama, Fukuoka… le sue fantasie erano tanto stupide quanto banali, ma erano pur sempre fantasie di una ragazza di prima liceo, del tipo una serata al cinema in una sala mezza vuota con lei aggrovigliata al braccio di lui, una cena ad un ristorante, una passeggiata in un parco, un giro per negozi…


Sì, Kagome, svegliati! Ti sei già dichiarata a lui… un bel rifiuto è stato il risultato, ricordi?


Sfogliò l’agenda fino ad arrivare a quel fatidico giorno; sfogliò lentamente solo per non farsi sentire da quella logorroica prof di fisica; se, al suo posto, ci fosse stato quell’addormentato del professore di storia, sarebbe già arrivata alla pagina interessata.


Alzò un attimo lo sguardo dall’agenda, smettendo di sfogliare, giusto per vedere se la prof aveva notato qualcosa: la quarantenne era voltata verso la lavagna, intenta a scrivere qualche formula strana accompagnata da qualche sgorbio esemplificativo che la prof azzardava chiamare disegno.


Via libera!


Ci arrivò pian piano… 23 maggio… quella data era impressa nella sua mente come se fosse stata marchiata a fuoco.


Sull’agenda aveva scritto solo una cosa:


“GIORNATA DA DIMENTICARE”


Scritta in blu con contorno nero e, tutt’intorno, delle faccine tristi. E, proprio sotto, una stupida caricatura di Hojo, che indossava solo un paio di boxer ridicoli con scritto tante volte “Sono il ragazzo più coglione dell’universo”, teneva in mano diverse bottiglie di alcol e diceva “Bevo, bevo! E quando bevo faccio il deficiente! Oggi ho fatto il deficiente! Se non di più!!”. Una cosa del tutto assurda. Dopo quel rifiuto, aveva bisogno di sfogarsi; e, tutto quello che era riuscita a fare, era quel disegno scemo del ragazzo. Eppure, rivedendolo a mente lucida qualche giorno dopo il 23, si sentì stupida. E si rese conto che, nonostante l’esito negativo della sua dichiarazione, Hojo continuava a piacerle. Forse un po’ meno di prima…


Amore a senso unico… quanto sono stupida

Non fece nemmeno in tempo a pensarlo, che la campanella redentrice decretò la fine delle lezioni.


Sono sopravvissuta… grazie signore!


Kagome raccattò la sua roba, mettendola alla rinfusa nella sua cartella marrone scuro con mosse velocissime. Aveva una gran voglia di uscire da lì! Si voltò per vedere se, due file indietro, la sua migliore amica Sango fosse pronta.


“Ehi, Kagome!” disse avvicinandosi con un’aria da “Spero_di_non_fare_danni”


“Va tutto bene?” si riferiva, ovviamente, all’interrogazione di fisica non andata molto bene. Sapeva che l’amica, per quanto odiasse la fisica, cercava di studiarla un minimo. E l’avrebbe aiutata volentieri se non fosse per il fatto che anche lei riusciva a prendere appena la sufficienza. Era l’unica materia che aveva appena sufficiente. Nelle altre aveva voti come 8 o 9. Voti che Kagome ogni volta sognava di avere, dal momento che – fisica a parte – tutti i professori l’avevano praticamente targata come “L’alunna del 7”. Tutti, nessuno escluso.


“Ma sì” disse sorridendo


“Non che me ne importi molto alla fine. Fisica è pur sempre fisica. Siamo ancora a novembre. C’è tempo prima che il trimestre si concluda, stai tranquilla! Recupererò in qualche modo, giusto per averla vinta su quella strega che gode nel darmi l’insufficienza, vedrai!”


Sango non ribattè, sapeva molto bene che la sua amica, in un modo o nell’altro, sarebbe riuscita a fare quanto detto.


Almeno spero!


“E Kikyo?” chiese Sango della loro amica


“Se l’è già svignata. Oggi deve andare dritta al tempio a lavorare; mio nonno le ha chiesto di andar lì prima, perché ha tutta una serie di faccende da sbrigare. Mamma non può, Sota figuriamoci, io ho il corso di recupero serale dopo un pomeriggio di studio esaltante in biblioteca, quindi rimaneva lei. Del resto, io non so nemmeno come abbia potuto accettare un lavoro come quello di aiuto al sacerdote del tempio. E’ un lavoro noioso e sempre uguale, io non potrei mai resistere!”


“Ci credo!” incalzò Sango mentre le due si avviarono fuori dall’aula e, quindi dall’edificio scolastico.


“Tu ci vivi vicino al tempio!”


“Come se mi piacesse!” e tacque un attimo.


Le due amiche si fermarono di fronte all’ingresso della scuola.


“Domani non ci sarò, Sango” disse Kagome prima di congedarsi dall’amica per andare in biblioteca mentre l’altra aveva un incontro ravvicinato del terzo tipo con sua madre e il nuovo fidanzato.


“Ospedale?” disse anticipandola Sango


Kagome non disse niente, si limitò a fare un cenno con il capo. “Controlli. I soliti.” Biascicò “Prelievi, trasfusioni, visite…. Niente di nuovo né di eccitante! Solo che mia madre poteva dirmelo un po’ prima di questa visita fissata praticamente all’ultimo. L’ho saputo solo ieri pomeriggio. Non sai che rabbia mi è montata quando quella stupida mi ha detto


Oh cara, ora che ci penso. Settimana scorsa mi hanno telefonato dall’ospedale. Domani hai una visita di controllo. La solita. Salti scuola, non ne sei felice?


E che cosa dovevo dirle? Sì, mammina, come no! L’idea di stare in una sala ad annoiarmi per tipo 5-6 ore mi alletta alla grande!! Avevo una voglia tremenda di farla a fettine! Per davvero credimi!” continuò


“E’ per il tuo bene, però” disse Sango e la scherzò dandole una carezza in testa.


Gesto che, nonostante l’intento ludico, riuscì a calmare Kagome.


“Dai, vado. Altrimenti chi la sente poi mia madre e il suo nuovo amichetto” diede un bacio sulla guancia all’amica, si voltò e se ne andò.





Se c’era una cosa che la faceva sentire stranamente bene era stare immersa nella folla, nell’ora di punta e in pieno centro urbano.


Sentire i respiri, i profumi, i mormorii della gente tutta assorbita dalla loro quotidianità… la rasserenava. Le faceva ricordare che, almeno per qualcuno, una quotidianità scansita sempre dalle stesse – rassicuranti, odiose, soffocanti, piacevoli… - azioni esisteva ancora.


E lei?


Lei non l’aveva?


Beh, sì… aveva tutto il diritto di vivere la sua vita tranquillamente, come aveva sempre fatto. Per carità, nessuno glielo aveva impedito!


Ma certo, potrai continuare la tua solita vita


Le avevano detto questo dopotutto.


Eppure, da quando aveva varcato quella soglia… da quando era tornata a casa… sentiva che qualcosa era diverso, terribilmente diverso. Come una piccola macchia scura in un angolo di un acquarello dai delicati toni pastello. Non da un fastidio tremendo alla vista. Eppure c’è. L’occhio attento dell’artista che lo ha dipinto lo sa, sa che è lì. E per quanti complimenti la gente possa fargli sulla beltà dell’opera in sé… lui non sarà mai soddisfatto fino a quando non troverà il modo di togliere quella macchiolina senza rovinare quanto di bello c’è già nell’opera.


Allo stesso modo la sua vita.


L’acquarello era la sua vita – anche se non bella e perfetta – con i suoi alti e bassi


La gente comune era l’insieme di complimenti e critiche di chi osserva l’acquarello.


Ma lei… lei era l’occhio attento dell’artista. L’occhio segnato dall’esperienza delle pennellate che hanno portato alla formazione del quadro ma che non è riuscito ad evitare quella macchia. E ora vedeva quella macchia come un peso, un peso insostenibile. Sapeva che non era indelebile, eppure dava fastidio. Parecchio fastidio.


Si fece largo tra due persone che procedevano troppo lentamente per i suoi gusti, accelerando il passo.


Anche se non doveva andare a scuola l’indomani, voleva passare un pomeriggio in biblioteca per studiare un po’ in pace, soprattutto dopo l’insufficienza di fisica presa quel giorno. A casa non riusciva mai a studiare in pace. O c’era il nonno che le faceva sbrigare commissioni qua e la – non le dispiacevano, ma la distraevano – o c’era suo fratello di dieci anni che voleva la merenda oppure qualche altro capriccio tipico di un bambino della su età. A volte c’era sua madre, una donna sui quarant’anni, tutta d’un pezzo ma un po’ ansiosa riguardo i suoi due figli che le stava con il fiato sul collo quando non era al lavoro. E poi c’erano i vari assistenti per il tempio di suo nonno che facevano sempre un gran baccano…

Il tempio Higurashi era sempre un gran via vai di persone; già lei non era il massimo della concentrazione, se poi si ritrovava a studiare in un campo minato vivente allora si capiva perché Kagome facesse fatica in alcune materie.


Camminava distratta, puntando l’occhio ogni tanto su vetrine già viste, vetrine in allestimento, tutte con oggetti che desiderava o che, magari, già aveva. Ad un certo punto, la sua attenzione fu catturata da un negozio che non aveva mai visto prima.


Era piccolo, situato tra un negozio di scarpe ed uno di bigiotteria.


“Strano” si disse “non l’ho mai notato. Eppure in questi altri negozi con Sango e Kikyo vengo spesso”


Si avvicinò alla vetrata e da lì ne spiò l’interno: era un negozio piccolo dall’aria confortevole, simile alle piccole baite disperse in montagna. Su scaffaletti di legno stavano impilati libri di ogni generi, mentre su tavoli di legno tirati a lucido erano esposti pupazzetti, portachiavi, bigliettini fatti a mano e vari oggetti di cartoleria adatti come idee regalo. In alcuni scatoloni erano ordinatamente infilati dei poster arrotolati a tubo; in vetrina, poi, erano esposte alcune cornici per foto, cuscini e pupazzi dall’aria “dolce”.


Kagome si sentì improvvisamente attirata da tutta quella “carinoseria” che non aveva mai visto prima ed entrò; l’aria del locale era dolcemente riscaldata e resa profumata da alcune boccettine che ogni tanto rilasciavano una fragranza di vaniglia nell’aria. Kagome si innamorò a prima pelle di quel negozio pieno di oggetti carini e, silenziosamente, quasi fosse impegnata in un rito religioso di estrema importanza, iniziò a girare tra tavoli e scaffali, osservando con cura tutto quello che c’era in vendita. Ne osservava forme, colori, cuciture, grandezze… era rimasta come estasiata.


La sua attenzione, durante il giro, fu catturata da una serie di pupazzi a forma di angioletto esposti vicino alla cassa; erano tantissimi, con diverso taglio di capelli, colore degli occhi, fantasia del vestito e colore di quest’ultimo. Con un dito passò uno ad uno i loro visini tondi; era talmente concentrata in quell’attività che non si accorse che qualcuno la osservava.


“Posso aiutarti?” disse una giovane voce maschile.


Kagome trasalì un poco a quella domanda, rapita da quella sorta di giochetto che la divertiva; alzò lo sguardo e si accorse di avere addosso lo sguardo di un ragazzo. Aveva all’incirca due anni in più di lei, in apparenza, lunghi capelli neri e due occhi intensi color ambra. Indossava una felpa blu scura un po’ sgualcita abbinata ad un paio di jeans neri dalle gambe un po’ troppo larghe per lui.


Kagome rimase affascinata all’istante da quel giovane; non sapeva cosa dire. E il ragazzo lo colse.


Fece un sorrisetto che, però, non aveva nulla di ironico o scherzoso.


“Ti piacciono gli angioletti? Sai che questi sono particolari?”


“Eh?” si lasciò sfuggire sorpresa


Il ragazzo non si stupì della sua reazione e continuò


“Ognuno di questo ha un proprio nome, con relativo significato e peculiarità. Ad esempio c’è “Amaryllis”, questo angioletto maschio con i capelli biondi, il cui nome significa fresco, brillante ed è adatto per le persone brillanti ma anche per tutte quelle che hanno bisogno di una spinta in più per cavarsela in situazioni particolarmente importanti, come un esame scolastico o un colloquio di lavoro… per i tipi che hanno bisogno di un supporto morale extra, diciamo!” e rise.


Poi si interruppe e la fissò alcuni istanti in volto. Poi, con lo sguardo, tornò ai pupazzetti esposti e, con le mani, iniziò a rovistare delicatamente per cercarne uno in particolare e, quando lo trovò, lo nascose un attimo tra i palmi delle mani, quasi a volerglielo mostrare “a sorpresa”.


“Dammi la tua mano”


Kagome la porse aperta, con il palmo rivolto verso l’alto, senza esitare.


Il commesso lasciò cadere un angioletto femmina con lunghi capelli neri, due occhi castani e un vestito a fiori color azzurro pastello. Kagome diede un’occhiata fugace al cartellino esplicativo cucito vicino al fianco sinistro del pupazzino.


“Alcina” lesse


Il ragazzo sorrise.


“Che cosa significa?”


“Continua a leggere”


Abbassò timidamente lo sguardo verso il cartellino quasi in segno di obbedienza e iniziò a leggere a voce alta:


“Alcina. Significato: di forte mentalità. Dedicato non soltanto alle persone forti che credono nei loro ideali, ma anche a quelle che stanno affrontando un momento particolarmente delicato o difficile della loro vita e hanno bisogno di una fonte di forza. Alcina è un portafortuna perfetto per chi sta affrontando un grosso cambiamento nella sua vita e non riesce a trovare da sé la forza sufficiente per reagire.”


Rimase di stucco.


Sembrava proprio l’aiuto che cercava lei. Ma come aveva fatto quell’estraneo a indovinare così, al primo tentativo?


“E’ adatto a te?” le domandò.


La ragazza proprio non sapeva come rispondere.


“Sai, ti assomiglia molto di viso. Capelli corvini e lunghi, occhi castani… e poi, se quel vestito fosse della tua misura ti starebbe anche bene, sai?” continuò lui.


“Lo compro!” disse Kagome senza esitare, senza sapere perché.


“Ok” e sorrise ancora “sono 480 yen”


Costa pure pochissimo, cavolo!


“Vuoi un pacchettino?”


“No grazie, lo metto subito all’opera! Lo metto nel mio zaino!” e così fece dopo aver pagato.


“Arrivederci! E grazie per l’acquisto”


“Arrivederci a lei” e uscì.


Come la porta del negozio fu richiusa dietro di lei, Kagome iniziò a correre veloce, veloce come non aveva mai fatto. Quell’incontro fugace l’aveva elettrizzata; quel ragazzo, i suoi occhi, il suo sguardo, il suo profumo reso dolce dalla vaniglia, quella voce così calda, quel senso dell’umorismo e quella pazienza infinita… tutti quegli elementi erano entrati in lei, nel suo sangue, riscaldandola completamente.


Le serviva proprio, dal momento che, fino a qualche minuto prima, tra fisica, la prof zitella, la madre che non avvisa mai in tempo, l’ospedale e tutto il resto si sentiva a terra.


Si fermò, con il fiatone, soltanto quando giunse all’entrata della biblioteca.


Tirò fuori il cellulare dalla tasca.


Lì le regole erano rigide.


Silenzio. Niente cibo. Cellulari spenti.


Ma prima di spegnerlo, mandò velocemente un messaggio alle sue amiche Sango e Kikyo, anche se sapeva bene che una era in piena lotta “familiare-sindacale” – come lei la chiamava – e l’altra era sotto le infinite torture e richieste di un povero vecchietto che non riusciva a tirare avanti da solo un tempio scintoista. Avrebbero entrambe risposto in serata.


“Ma voi ve la ricordate la frase iniziale di quella canzone là, quella del duetto di un ragazzo e di una ragazza? Ma sì, la canzone dell’estate scorsa! Oggi il sole continua a splendere nell’oscurità, diceva! Oggi come oggi, queste parole mi sembrano così vere! Vi Voglio Bene. Kagome”




Nota dell’autrice: ecco il primo capitolo di questa mia storia nata assolutamente per caso qualche mese fa. Inizialmente volevo farla ruotare sulla canzone cantata da Kappei Yamaguchi e Satsuki Yukino (rispettivamente, i doppiatori giapponesi di Inuyasha e Kagome), cioè intitolando ogni capitolo come un verso di essa e trarne spunto circa i contenuti del relativo capitolo. Ma non solo quello. Ma un’esperienza personale che risale ad aprile-maggio 2007 mi ha portata alla stesura del primo capitolo di quanto vedete. E ora la canzone c’entrerà… in un altro senso.^_^ Ah, una curiosità sugli angioletti! La storia dei pupazzetti, dei nomi, ecc… l’ho inventata io. I nomi citati, però, esistono davvero. Sono entrambi nomi greci e significano davvero quanto ho scritto. Bene, mi raccomando commentate!
  
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