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Autore: MrEvilside    05/11/2012    2 recensioni
[Journey into Mystery]
C’è una storia che i baristi raccontano sul Diavolo e la Dea della Morte.
Ogni notte all’ora di chiusura scelgono un bar e ne varcano la soglia, con tutte le sofferenze del mondo sulle spalle. Un bar. Un pub. O un saloon. Dovunque le persone si intontiscano dolcemente. Non sono schizzinosi.
(Anche se è vero che i baristi hanno una storia simile che si svolge nella confusione della mattina presto, concernente il Diavolo e la Dea con i postumi della sbornia.)

Dedicata a Mendori. Sì, di nuovo.
[ Mephisto/Hela ]
Genere: Commedia, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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A Mendori, senza un motivo particolare, solo perché mi ci sto affezionando. Sul serio.
E poi sono millecinquecento parole contate da Word; Mecchan, se ci pensi bene, tu sai perché. Sì, sono malvagia, un po' stronza, tipo Ikol ma più bella (?) e senza ali.

Il titolo si rifà a una frase di Mephisto all'inizio di JiM #627, la parte in corsivo è la prima pagina di JiM #627 rivisitata (con l'aggiunta di Hela), tradotta interamente da me, è per questo che fa schifo, sì ♥

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About Time I Took The Center Stage
 
C’è una storia che i baristi raccontano sul Diavolo e la Dea della Morte.
Ogni notte all’ora di chiusura scelgono un bar e ne varcano la soglia, con tutte le sofferenze del mondo sulle spalle. Un bar. Un pub. O un saloon. Dovunque le persone si intontiscano dolcemente. Non sono schizzinosi.
(Anche se è vero che i baristi hanno una storia simile che si svolge nella confusione della mattina presto, concernente il Diavolo e la Dea con i postumi della sbornia.)
Poi il Diavolo e la Dea varcano quella porta, e vogliono parlare. Se ascolti e sopravvivi, ti daranno un consiglio. E non dovrai lavorare mai più. Che è il tipo di finale che un narratore può cambiare in bene o in male, dipende dalla sua inclinazione.
La storia non è vera.
Ma, all’occasione, il Diavolo e la Dea si divertono a stare al gioco.
 
***
 
Manca una quindicina di minuti all’ora di chiusura, il locale è vuoto e Bob sta accarezzando l’idea di andarsene una decina di minuti prima del previsto. Se proprio il titolare lo volesse lì fino alla fine, lo controllerebbe, giusto? Giusto.
Copre la bocca con una mano per mascherare uno sbadiglio, l’altra spolvera pigramente il bancone con uno straccio. In realtà non sta pulendo nulla, ma tanto vale fingere di rendersi utile.
È ormai giunto alla conclusione d’aver aspettato abbastanza, nessuno si fa vedere e di conseguenza può chiudere, quando la porta si spalanca e due figure del tutto fuori dal comune fanno il loro ingresso accompagnate da una folata di vento – che Bob è quasi certo non spirasse, quando s’è affacciato alla finestra quindici minuti fa.
Non ha il tempo di soffermarsi sul vento, però, perché quei due fanno passare un brutto quarto di secondo alla sua mascella, che corre il serio rischio di cozzare sonoramente contro il pavimento.
Una è una donna che potrebbe anche apparire abbastanza normale, persino bella, non fosse per il lato sinistro del corpo, grigiastro e tumefatto, sulla cui pelle in decomposizione luccica il candido lucore delle larve di mosca, che spiccano sul nero del sangue secco. Dev’essere la prima volta che Bob non fa alcuna fatica a distogliere lo sguardo da una donna poco vestita.
L’altro non è meno inquietante: non potrebbe apparire comune nemmeno a prima vista, non con quella pelle dalla sfumatura rossiccia, gli occhi fiammeggianti, le basette e il pizzetto appuntito. Nel creativo immaginario di Bob, sarebbe l’ottimo prototipo dell’avvocato. Mancano le corna.
I due si accomodano al bancone con grande disinvoltura, ignari dello sguardo incredulo di Bob e della sua mascella prossima al crollo.
«Allora, come ti trovi all’Inferno?» esordisce amabilmente l’uomo – o quello che è – appoggiando un gomito sul bancone e la guancia sulle nocche. Perché, sì, è normale menzionare l’Inferno come fosse un qualsiasi quartiere di New York.
La donna si irrigidisce, pare non cogliere il lato divertente della domanda, Bob prova un moto di solidarietà nei suoi confronti. Poi però lei scrolla le spalle e replica: «Ho accettato il tuo invito, ma ciò non significa che sia disposta ad accettare anche le tue prese in giro. Se è questo che ti aspetti, allora mi congedo…» E non sembra affatto turbata dall’evidente pazzia del suo compagno.
Fa per alzarsi, ma lui si affretta a blandirla: «Suvvia, mia cara, stavo solo scherzando. Resta, vuoi?»
A metà dell’atto di abbandonare la sedia, lei si accomoda di nuovo con un sospiro velato, picchietta le unghie verdi sul bancone, lancia un’occhiata nella sua direzione. L’uomo dà l’impressione di accorgersi di Bob solo in questo momento e sbraita: «Ehi, barista, due whiskey da questa parte!»
Non ha il coraggio di commentare che in realtà lui starebbe per chiudere, incassa la testa fra le spalle, annuisce e versa tre dita di Jack Daniel’s in due bicchieri. Li fa scorrere sulla superficie lignea fino agli ospiti, l’uomo li afferra e ne porge uno alla donna con galanteria, nel tentativo di fare ammenda per la gaffe precedente.
«Dimmi,» domanda, cordiale e interessato quanto viscido, sorseggiando con calma il proprio liquore «come vanno le cose con Loki?»
«Si sta rendendo utile» è la flemmatica risposta.
Bob segue lo scambio con la coda dell’occhio: non ci vuole un laureato ad Harvard per capire che quel tale ci sta provando spudoratamente, così come non ci vuole Stephen Hawking per arrivare al concetto che lei non è affatto affascinata.
Sono i due individui più pazzeschi che abbia mai visto, è spaventato a morte e non se la fa addosso solo perché poi qualcuno lo scriverebbe su Twitter (lì non c’è nessuno a parte loro tre, ma non importa), però allo stesso tempo è curioso e comincia a chiedersi se per caso la storia sul Diavolo e la Dea della Morte non abbia un qualche fondamento.
«Tu, invece?» L’uomo inarca le folte sopracciglia, palesemente stupito che sia stata lei a fargli una domanda, dimostrandogli per la prima volta qualcosa di diverso dal disprezzo. Bob stesso è talmente meravigliato che quasi dimentica di dover trattenere la propria vescica. La donna inclina il capo di lato e aggiunge: «Ho sentito dire che hai instaurato una relazione con una dei mutanti. Come procede?»
Lui corruga la fronte in un’espressione infastidita. «Ah, quello. Non bene come vorrei. Immagino dovrei affermare che non procede affatto. Mi ha scaricato dopo quello scherzo delle Dísir».
A giudicare dall’ombra di sorriso sulle labbra turgide di lei, l’ha fatto apposta. «Un vero peccato».
Non finge neppure di suonare dispiaciuta. È una donna con le palle e Bob ci proverebbe, se non fosse anche per metà cadavere e una potenziale dea della morte.
Lancia un’occhiata sofferente all’orologio, ormai l’orario di chiusura è passato da un minuto.
«Però ora sono disponibile» si tira su l’altro, aprendosi in un sorriso che rivela una dentatura affilata che chiamare terrificante è dire poco. «Dovremmo uscire insieme molto più spesso, non trovi?»
Lei non batte ciglio, nel vero senso della frase. Non ha nemmeno toccato il Jack Daniel’s. «Ti ricordo che non sono venuta qui per te» osserva freddamente, punta un lungo indice ossuto. Verso di lui, Bob. «Ma per lui».
L’uomo gli scocca un’occhiataccia, Bob ha l’impressione di strangolarsi con la lingua, ma alla fine riesce a parlare e a non far tremare troppo la voce: «Uhm, allora è… è vero? Cioè, la storia? Che se sopravvivo mi darete il consiglio per non lavorare?»
La donna appare divertita, la prima emozione che faccia breccia nella sua maschera di marmo e pelle morta. Non è un vero e proprio sorriso, ma quasi. Lui invece non ha remore, il suo sogghigno mefistofelico si allarga mentre lo guarda negli occhi, pare scavargli dentro e Bob ha l’impressione che gli abbia appena letto nel pensiero e che quel mefistofelico non gli sia sfuggito, perché commenta: «Oh, Bob, non sai quanto hai ragione».
«La parola chiave» aggiunge lei, poco più che un mormorio «è se, caro».
All’improvviso Bob si dimentica del pericolo di finire su Twitter, perché l’assenza di sorriso sul viso di lei e la presenza ingombrante del ghigno su quello di lui sono troppo, troppo per un qualsiasi essere umano. E lui è solo un barista che vorrebbe non dover lavorare mai più e magari anche vivere per l’eternità, se possibile.
La parola chiave è se.
 
***
 
«Riguardo al mio invito a uscire insieme più spesso,» osserva Mephisto, instancabile «è sempre valido, solo perché tu lo sappia. Non puoi dire che non pensi che formiamo una bella coppia».
Ha lasciato il mortale a lei, per fare il galante: un po’ gli dispiace di aver perso del buon inchiostro, ma non se ne pentirà, se riuscirà a ottenere un altro appuntamento con Hela. Per metterla in termini umani, è una vera bomba. Nulla a che spartire con l’insipida biondina mutante – o con chiunque altra.
Ciò che più lo attrae è che Hela lo respinge sempre e al tempo stesso gli dà sempre corda; come questa sera, in cui ha accettato di uscire con lui, nonostante di norma lo tratti come si tratta una macchia di sporco sul vestito preferito, che non si riesce a grattare via e si è costretti a sopportare.
Lei si osserva le mani con un sopracciglio inarcato, il pallore immacolato della destra è sfregiato da una insignificante goccia scarlatta, vicino alla nocca del mignolo. Non si degna neppure di ascoltare le sue parole, ma Mephisto non si scompone, abituato com’è a essere la macchia indesiderata. Tanto all’Inferno c’è solo lui a tenerle compagnia, anime agonizzanti a parte – prima o dopo cederà.
«Ti prego, consentimi» soffia in tono suadente e, senza attendere replica, prende con delicatezza la mano di Hela fra le sue e preme la bocca sulla sua pelle in un cavalleresco baciamano, leccando via il sangue.
Lei storce le labbra, arriccia il naso e affigge lo sguardo da tutt’altra parte, ma non ritira il braccio. Mephisto sorride sul dorso della sua mano.
Hela lo precede di qualche passo, sbuffa in tono magnanimo: «Domani, a mezzanotte. Non tardare».
Lui ghigna.
Lo respinge e gli dà corda. Ah, che donna.
  
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