Celato
È noto che
l'occhio di
un Assassino guardi più lontano, come se egli fosse un
gigante di
terra irto sui solidi bastioni dell'Ordine,
ma Altaïr
Ibn-La'Ahad
guardava più lontano di tutti gli Assassini.
Era
un gigante, un gigante che, non accontentandosi dell'orizzonte, si
alzava in punta di piedi per vedere cosa c'era oltre, per cogliere in
anticipo il sorgere del sole o il mutare delle maree.
Un'aquila
destinata a diventare una stella, una stella destinata a diventare
una guida.
La
più rivoluzionaria e saggia che gli Assassini ricordino.
Le
sale di Masyaf pullulavano di adepti indaffarati, la luce grigia del
tramonto illuminava a malapena l'atrio austero. Il cielo autunnale
era gonfio e tumido di pioggia.
Altaïr
correva tra i corridoi di pietra fredda, i suoi occhi saettavano in
ogni angolo. Il suo stato d'animo era inquieto, ma non poteva essere
più contrastante con le condizioni atmosferiche che
imperversavano
all'esterno.
«Fratello,
dove corri? La battaglia è vinta! Ora è il
momento di assecondare
le distrazioni!»
«Abbiamo
vinto grazie a te fratello, unisciti a noi!»
«Fumiamo
e beviamo alla tua salute Altaïr!»
Con
il capo faceva segni di dissenso, con gli occhi ringraziava e con le
mani rifiutava gli inviti che gli venivano rivolti.
«No...
no. Abbas, hai visto Malik?»
Abbas
lo guardò stranito e ripose accanto al focolare la spada che
stava
affilando, Salah lo scrutò con occhi truci e
scambiò uno sguardo
confuso con altri tre confratelli.
«No,
nessuno l'ha visto».
Altaïr
soffiò vistosamente e si dileguò alla svelta da
quella sgradita
compagnia.
«Fayyad
hai visto Malik?» chiese poggiando una mano sulla spalla del
vecchio
studioso. Da sempre la famiglia di Fayyad si occupava di raccogliere
e restaurare manoscritti antichi di enorme pregio, nessun altro
conosceva meglio di lui i perduti codici e le lingue remote. Solo
annusando le pagine di un volume, solo guardandole, saggiandole,
poteva constatarne la provenienza. Non vi era Assassino che meglio di
lui si prestasse a tener dietro a una biblioteca ricca e intricata
come quella del santuario di Masyaf.
«Figliolo,
nulla sfugge alla mia vista», iniziò guardando
Altaïr con occhi
vitrei e sfuggenti, «lo sai, ero intento proprio ora a
revisionare
questi dimenticati frammenti di versi grechi... Confrontandoli con
testi precedenti e successivi, non mi sfugge nemmeno se il grafema θ
abbia
affinato l'eleganza o se sia divenuto tarchiato, come tu ben sai
segno diverso si porta dietro suono diverso...»
Altaïr
inclinò la testa e, chiacchiere esibizioniste di Fayyad a
parte,
vide quel che cercava tra le file di scaffali, sotto la finestra.
«La
tua vista si è perfezionata ma si è accorciata di
molto amico mio,
non va oltre il giallo delle tue pagine». Detto questo
superò il
vecchio scrittoio del libraio e corse, corse come un cavallo che
impugna il vento sul fianco favorevole.
Malik,
intento ad archiviare alcuni vecchi tomi, fece appena in tempo a
guardare con occhio sprezzante l'Assassino che gli correva incontro
che questi lo travolse, lo afferrò per le spalle facendolo
urtare
contro la libreria, lo portò nella penombra lontano dal cono
polveroso di luce che proveniva dalla finestra e gli afferrò
il
viso, baciandolo come se dovesse rubargli ogni briciolo d'aria
rimastogli in corpo, come se non dovesse fare nient'altro per il
resto della sua vita.
Malik,
impossibilitato a ribattere a parole, gli afferrò i polsi
con forza,
ribadendo il suo disappunto ma anche - e forse soprattutto -
l'inebriante sensazione che lo pervadeva.
Le
sue unghie raschiavano contro la pelle ruvida e fredda di
Altaïr, in
bocca sentiva il sapore amaro di quel bacio improvviso. Le loro
labbra screpolate dal freddo si sfioravano e si aggredivano, bramose
di unirsi quanto di ferirsi.
Un'esplosione
di sale umido che durò per dieci infiniti secondi.
Altaïr
ne riemerse annaspando, come quella volta in cui, da bambino, era
caduto nella spaventosa voragine nera del pozzo nel cortile interno
di Masyaf. Allora Al Mualim aveva temuto per la sua vita vedendo quel
corpicino sussultare frenetico alla disperata ricerca di aria, ma poi
ecco cos'era diventato Altaïr
Ibn-La'Ahad: un uomo, forte, privo d'ogni timore, privo di paura, con
una buona dose di arroganza addosso e...
«Malik»,
disse con labbra tremanti prendendo le sue mani riluttanti,
«sono
stato nominato Maestro Assassino».
E
non seppe trattenere un sorriso.