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Autore: thesunflower    06/11/2012    0 recensioni
E' una storia semplice, questa. Racconta di due ragazzi che s'incontrano, s'intrecciano e s'innamorano. Più banale di così?
Tutto ha un inizio, che in questo caso è anche la fine.
Non so se darò mai un seguito a queste parole, ma lo spero vivamente.
In ogni caso, 'buona' lettura.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sunrise

La radiosveglia si anima all'improvviso, riempiendo la camera ombrosa di una luce metallica e di una voce roca e grintosa. Bruce Springsteen augura il buongiorno a chiunque lo stia sentendo, intonando alcune fra le sue note più famose. Thomas scalcia contro le lenzuola bianche e tiepide che, nonostante i suoi tentativi di ribellione, sembrano volerlo trattenere ancora nel calore materno del letto, allentando la sua già poca voglia di alzarsi. Mugugna, il ragazzo, contro il cuscino macchiato di birra, resoconto di qualche notte o settimana prima, l'odore alcolico ancora impresso nel cotone sgualcito, come un monito all'astemia. Non è mai stato uno dal gomito facile; anzi, in più occasioni è stato bonariamente rimproverato dai suoi amici per essere la mosca bianca del gruppo, quello che ci prova poco, che beve raramente, che fuma quasi mai. Lui ha sempre risposto ammiccando, dicendo che non ne ha bisogno. «Perché usare questi sporchi mezzucci per farmi notare quando Madre Natura mi ha donato questo?», andando poi ad indicare i ricci indomabili e le labbra carnose ed il petto muscoloso ma non invadente e le gambe lunghe e calme. Ultimamente, però, per Thomas la birra ha iniziato ad avere un sapore diverso, un gusto più acido e difficile da dimenticare. D'altronde, l'amaro dei rimpianti e dei ricordi è una droga dalla quale non ti puoi disintossicare facilmente.
Si alza dal letto con uno sbalzo ferino, facendo cadere a terra in un ammasso aggrovigliato e sofferente cuscino, lenzuola e piumino, rosso su bianco sul pavimento, macchia di colore che fa male agli occhi nella luce bianca e polverosa della mattina d'ottobre. Si dirige in bagno, calpestando mutande e sciarpe macchiate e sporche, penne e gomme mai usate, foto sparse senza un album dove andare a riposare. Entra nel cubo della doccia dopo aver lasciato cadere i boxer blu nel bidet; l'acqua fredda che risveglia la sua pelle addormentata, gli fa venire la pelle d'oca, i capezzoli duri, i capelli quasi lisci sugli occhi. Si risciacqua velocemente, muovendo le mani sul corpo affamato di caffellatte e cereali. Passa davanti allo specchio, si fissa per quasi dieci secondi, inarcando le sopracciglia in una smorfia che farebbe invidia ad un bambino capriccioso, poi ritorna in camera, lasciando grosse briciole d'acqua nel breve tragitto. Si asciuga con noncuranza ed indossa la prima t-shirt pulita che trova nell'armadio, ci abbina i soliti jeans scoloriti e le converse nere. Esce dalla stanza senza neanche aprire la finestra per far cambiare aria ad un luogo ristagnante sogni ed umori molesti. La voce di Allison e di sua madre suonano come campanelli nella moderna cucina di casa O'Connell, tutta ingegnosi marchingegni elettronici e profumi di dolci al forno.
«Ehi, Thom, pronto per la grande avventura?» Nemmeno il tempo di entrare nella stanza che già la ragazza gli si butta al collo, i capelli biondi e morbidi che lo circondano come una collana, le labbra che si posano veloci sulla sua mandibola. Un sorriso luminoso è il miglior buongiorno che si possa ricevere: lo aveva letto da qualche parte ed ora ne è sicuro, osservando Allison allontanarsi da lui e tornare vicino al bancone per addentrare la sua brioche ai frutti rossi. Sua madre alza per un attimo gli occhi scuri, come i suoi, e profondi dall'impasto per la torta di mele; flette le labbra in un gesto di saluto, gentile ma distante, e poi torna al suo passatempo quotidiano, non prima di aver lanciato un'occhiata alla ragazza allegra e piena di vitalità che sta finendo la colazione al suo fianco, intenta a fissare Thomas ed i raggi solari fuori dalla finestra con estremo interesse, annuendo di tanto in tanto.
«Mamma, prendo qualcosa da mangiare e scappo ché sono in ritardo, okay?» 
Rossella alza nuovamente gli occhi, questa volta accompagnando il gesto con la mano che si va ad appoggiare sulla fronte già stanca, sporcando i capelli castani con un po' di farina.

«Certo.» Rimane ancora ad osservarlo, come se volesse aggiungere qualcosa alla sua scarna risposta ma sembra ripensarci, muoversi su una linea invisibile al figlio e, forse, anche a se stessa. Torna con il viso e lo sguardo sull'impasto, tirando su con il naso. Allison si alza trotterellando, porta la tazza nel lavandino e saluta Rossella con una stretta al fianco, guadagnandosi un'altra occhiata di lieve disagio. Thomas non sa mai come comportarsi di fronte alla recita della colazione, vorrebbe ridere – o piangere – ma è sicuro che così facendo, l'incoerenza di quella situazione si ripresenterebbe lo stesso, al mattino dopo, aggravata però dall'imbarazzo della sua sincerità.
«Beh, io allora vado. Ci vediamo oggi.» Alza una mano, ridicolo tentativo di normalizzare le cose, di sentirsi parte di una famiglia abituale in una vita familiare. Esce dalla porta della cucina, subito seguito da Allison che, come un cagnolino bramoso del saluto del padrone, gli poggia una mano sulla spalla, costringendolo a girarsi nella penombra già calda delle otto, gli uccelli che abili e vanitosi disperdono canti al cielo azzurro pastello.
«Dai, Allie, faccio tardi. Devo anche parlare con il preside, cercare la classe, presentarmi...» Fa dei vaghi gesti con le mani dalle dita lunghe ed incredibilmente mature per la sua età, alzando le spalle. Lei ride, di gusto, come se Thomas le avesse appena raccontato la barzelletta del secolo.
«Ti lascio andare, allora.» Gli sfiora il naso ancora fresco di bagnoschiuma con la punta dell'indice, la macchia di smalto giallo così vicina agli occhi da sembrargli un'ape selvaggia. Si fissano per un paio di secondi, legati da un affetto che non ha nome né origine, un affetto che si è creato fra gesti ricorrenti ed abusati in anni di noia e maturità. Thomas si gira, sottraendosi allo sguardo e al dito caldo della ragazza e si dirige alla fermata dell'autobus, ricordandosi all'improvviso di non avere nemmeno una penna o un quaderno con lui. Una volta non si sarebbe mai scordato di questi particolari, anzi, avrebbe atteso il primo giorno di scuola con desiderio e meticolosità: gli astucci e lo zaino semiaperti sulla scrivania, pazienti di essere riempiti di matite e speranze e spiccioli per la merenda. Ma ora è diverso, cammina tranquillo verso l'autobus che lo porterà in un edificio nuovo e mai visto, decine di occhi e mani da stringere, nomi da ricordare, sorrisi da contraccambiare. Nonostante tutto, però, mentre si siede sul primo posto libero sul veicolo, Thomas pensa che ha una dannata voglia di buttarsi nella folla scolastica, di prendere appunti che non studierà e di osservare dalla finestra dell'aula le foglie cadere dagli alberi vecchi e stanchi.


«Signorina Welsh, forse non ha ancora capito chi comanda qui!» 
Le parole, rabbiose e forti, rimbombano nel corridoio deserto dell'High School, muri e pavimenti sporchi di scarpe intrepide di ricreazioni sempre troppo brevi. Una mano, probabilmente quella del preside, sbatte contro un piano duro, in grado di amplificare il suono del gesto per parecchi secondi e d'infilarsi molesto nelle orecchie di Thomas che, fin troppo cortese, sta attendendo il suo appuntamento con il signor Bellamy seduto su una sedia scomoda e scivolosa da almeno tre quarti d'ora. Continua a fissare l'orologio blu scuro appeso alla parete a lui di fronte, sotto il quale una scritta dello stesso colore augura agli studenti della scuola 'Una fortunata scalata di sogni'. E' da molto che rilegge quelle parole, un po' per non sentire la litigata che proviene dall'ufficio del preside ed un po' per riuscire ad aspettare diplomaticamente, senza seguire l'istinto di andarsene sbattendo la pesante porta dell'istituto.

«A me non interessa un cazzo di quello che pensa lei. Se io non voglio frequentare un corso non lo frequento e ci sputo pure sopra al vostro stupido emendamento scolastico!» Ecco di nuovo la voce femminile che si alterna a quella più vecchia e seccata di Bellamy, una voce acida e velenosa, che a Thomas fa venire in mente un serpente del deserto, veloce e prepotente.
«Allora sa' cosa le dico? Se non vuole frequentare il corso di Geometria dello spazio, non lo frequenti. Semplice. Io le farò una nota sul registro a cui lei dovrà far ammenda prima del diploma, sempre che le interessi diplomarsi e frequentare un'università.» C'è una nota di sarcasmo evidente nella voce dell'uomo ora, come se stesse prendendo in giro l'alunna attraverso un meccanismo noto solo a se stesso.
«Perfetto.» Si sente una sedia strisciare sul pavimento, gracchiare contro le piastrelle lucide. Thomas immagina le guance paonazze di Bellamy, il fastidio regresso per quel gesto di mancato rispetto per la sua autorità. La porta si apre all'improvviso, lasciando fuoriuscire un rivolo d'aria caldo e pesante, come lo scontro appena avvenuto. Esce fuori una ragazza magra, non tanto alta, capelli rosso ciliegia fino alle spalle, occhi e viso struccati, corpo teso e coperto da una lunga maglia bianca che risalta con l'enormità di gioielli e bracciali scuri buttati sul petto e sui polsi e sulle dita. Thomas si alza dalla sedia senza pensarci, come mosso da un primordiale gesto di educazione. Il caldo gli ha fatto attaccare al sedere i jeans vecchi e fedeli. Si passa una mano fra i capelli e sente del sudore sulla fronte, lo pulisce con il palmo della mano grande. Durante tutti questi brevi e consueti gesti continua a fissare la ragazza negli occhi, senza cercare nemmeno per un secondo di filtrare il suo sguardo con un sorriso amichevole.
«E tu che cazzo vuoi?» Ora che sente la sua voce senza l'ostacolo dei mattoni, si rende conto che non gli ricorda un rettile, bensì un felino, di quelli pieni di macchie e selvatici, che non vivono in branco e tirano fuori i denti non appena qualcuno li intercetta.
«Volevo solo sapere a chi devo la mia attesa di quasi un'ora. Grazie mille.» Si sposta sui piedi e le si avvicina ancora un po', notando con la coda dell'occhio il signor Bellamy uscire dalla stanza, gli occhiali da vista caduti sul naso e le guance bagnate dall'agitazione. La ragazza sembra quasi intimorita da questa improvvisa vicinanza, si sposta verso la parete, gli occhi che corrono verso la porta, l'unica via di fuga.
«Non c'è di ché.» Gli risponde a tono, la voce che esce a salti dalle labbra rosa. Gli occhi si posano sul corpo di Thomas per pochi attimi, indaga la sua t-shirt, le braccia lunghe ed abbronzate, i capelli che catturano i pochi raggi del sole provenienti dalle piccole finestre del corridoio. Sembra disgustata da ciò che vede, o forse è solo la sua espressione d'ordinanza, messa a punto in anni di litigate col preside e chissà chi altro. Se ne va, senza salutare nessuno, le gambe esili coperte da un paio di collant leggeri, i piedi imprigionati da anfibi sicuramente troppo pesanti per il clima attuale. Percorre il corridoio con fermezza, senza mai girarsi o dar prova di interesse verso il ragazzo che la sta fissando da secondi, senza mai sbattere gli occhi.
«Beh, signor O'Connell, direi che potremo iniziare il nostro colloquio di presentazione, ora che l'uragano Rebecca è passato.» Thomas annuisce, seguendo il preside all'interno dell'ufficio. Si siede sull'unica sedia per ospiti disponibile, sente ancora il caldo lasciato dalla ragazza. Si sposta in avanti, leggermente a disagio, ed inizia a fissare il viso vecchio ma bonario di Bellamy intento a spiegargli il regolamento, l'orario, il decoro ed il passato prestigioso della scuola a cui si è appena iscritto. La mente di Thomas, però, va e viene. Si chiede quali corsi frequenti Rebecca, come mai i suoi occhi all'ombra del corridoio siano apparsi così luminosi ed in conflitto col mondo, quante collane portasse al collo e quanti bracciali al polso destro. Dopo una decina di minuti, ringrazia il preside con una stretta di mano ed esce dall'ufficio. Ha fra le dita una mezza dozzina di fogli pieni di mappe e numeri utili, recapiti da telefonare in caso di dubbi o domande. Peccato che nessuno di quelle cifre gli sia d'aiuto ora. Sorride mentre si dirige verso l'aula di italiano, dove entrerà a lezione già iniziata. Poco importa se farà la figura del maleducato o si prenderà una strigliata dal professore il primo giorno di scuola. Thomas sente qualcosa nelle vene che è più denso del sangue e non ha ancora voglia di scoprire con esattezza a cosa sia dovuto.

  
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