- Mad Tea Party -
ATTO PRIMO,
SCENA QUINTA
-
Il Giglio Bianco che insegue il Sole
Satoru Okabe detto Gackt Camui se ne stava disgraziatamente stravaccato sul suo letto
in foggia simile più ad una disseccata alga marina che ad una creatura umana.
Stava lì quasi non fosse stato in grado di far altro che guardare il soffitto
dell’appartamento in cui viveva.
Era giorno sì, doveva essere quasi pomeriggio e
questo lo intuiva appena appena dalla luce che gli
filtrava dalle tende scure della camera. Aveva chiuso la porta
dell’appartamento quand’era rientrato? Proprio non ci aveva fatto caso.
Si tastò meticolosamente una faccia che non
sarebbe piaciuta a nessuno, gonfia come se gli ci avessero iniettato del
lievito, e quasi non se la sentì sotto le dita il che era un brutto,
bruttissimo segno.
Si sarebbe quasi alzato e trascinato fino al
bagno se solo il consueto mal di testa post-sbronza gli avesse dato un microbo
secondo di tregua. Solo quello odiava del bere, solo quello.
Tutta colpa d’un pezzo di stronzo
che gli aveva rigato la macchina.
Poi si lamentavano che quand’era ubriaco
diventava violento!
Ebbene sì, diventava violento e adorava fare a
botte e non a caso quello che gli aveva dato addosso quella notte s’era
ritrovato col naso rotto e forse pure con qualcosa d’altro di rotto.
Non badava mai a quanto male faceva, lui, che
di stazza era pure piuttosto robusto. Non ci badava mai, tanto le ferite fisiche
guarivano. Erano quelle del cuore a dar problemi, e quanti problemi!
Ogni tanto gli capitava ancora di pensare a
quella graziosa ragazzetta coreana che era stata sua moglie per così poco tempo
e che gli aveva pure insegnato un po’ della sua lingua.
Ah già, perché lui era stato sposato… anche se
per un periodo così effimero che gli era sembrato un istante. A diciannove anni
aveva fatto il passo, praticamente un anno dopo l’aveva lasciata; le voleva
bene, sì, forse le avrebbe sempre voluto bene, ma fra loro qualcosa s’era
inceppato molto presto. Lei non sopportava i fans che
lui iniziava ad avere ed era sempre più stressata, e lui non poteva sopportare
di sentirsi legato.
E così fine, puff,
tutto svanito e lui non se ne era pentito. Lei sarebbe rimasta un bel ricordo e
nulla più.
Quando provò ad alzare un braccio s’accorse che
formicolava, la cosa gli piacque poco ma non se ne curò poi molto desideroso
com’era d’andare a tuffare la testa nella doccia o anche solo di sbatterla sul
muro. Neppure quei cazzo d’analgesici gli facevano
più effetto ormai, e quasi poteva vederlo il giorno in cui sarebbe passato ai
narcotici dritto e filato come uno shinkansen.
Doveva telefonare a You
e dirgli che quel giorno delle prove non se ne faceva nulla, poco importava
quanto il suo amico ci tenesse a costringerlo; già che c’era avrebbe chiamato
anche Mana visto che, strano ma vero, quel giorno ancora non s’erano sentiti.
Era il caso di mangiar qualcosa?
Di tutte le cose da fare che aveva non ne fece
neppure mezza e se ne rese conto solo quando il sole ebbe cambiato posizione
dirigendo quel sottile traslucido rivoletto luminoso che filtrava dalle tende
giusto sui suoi occhi scuri, costringendoli ad aprirsi con somma beatitudine
mentre il loro padrone tirava giù una bestemmia. Ormai il pomeriggio era finito
e lui l’aveva passato nel niente
quando al minimo avrebbe dovuto fare un po’ di ginnastica salutare.
La fece subito, pregando che gli passasse il
mal di testa. Fortunatamente il suo appartamento era abbastanza largo da
permettergli almeno lo stretching.
Sorrise un po’, tanto quanto glielo permetteva
la sua bocca tumefatta, e pensò che poi avrebbe mangiato qualcosa e chiamato
Mana.
Erano due settimane e più che si sentivano
assiduamente, anche una volta al giorno, e stavano al telefono per ore ed ore
ed ore arrivando a parlare degli argomenti più assurdi, dagli animali domestici
ai manga.
Gackt era stato felice di notare che Mana aveva
perso del tutto con lui quel tono d’affranta timidezza che all’inizio quasi gli
aveva impedito di parlare: sentiva ormai che stavano diventando buoni amici,
anche se non s’erano neppure mai visti e forse non l’avrebbero fatto mai.
Inoltre nell’aria veleggiava ancora intatta quella proposta, ma Mana non gli aveva
quasi più accennato nulla al riguardo e a lui del resto poco importava
d’informarsi. Probabilmente non avrebbe accettato, questo era chiaro, non
poteva permettersi lasciare così i suoi amici e tutta la sua vita. Sarebbe stata
una cosa da veri stupidi, e lui era ben convinto di non esserlo, inoltre You e Ren non gliel’avrebbero
perdonata se mollava ora; nel caso, poi, avrebbe fatto felice solo quell’idiota
di Takeshi… quindi non ne valeva la pena.
Doveva smettere assolutamente di pensarci o
avrebbe finito per logorarsi senza che si fosse giunti a nulla, sempre che a
qualcosa si dovesse effettivamente arrivare e di questo non era per niente
certo. Volle infine fare una doccia e con passi lenti si diresse verso la
stanza da bagno del suo appartamento, arredata semplicemente con piccole ma
graziose piastrellette bianche lucide. Chiuse la
porta alle sue spalle, legno di noce chiaramente, e si spogliò. Aveva un bel
corpo Gackt, dotato di una muscolatura forse fin troppo possente a causa dei
continui allenamenti cui si sottoponeva. Che fosse stato il caso di buttar giù
qualche chilo? Non si pose minimamente il problema, occupato com’era a
controllare le escoriazioni e i lividi che s’era procurato con la rissa di
quella notte. L’ultima di tante tante e tante altre
spossanti ma assurdamente e magnificamente gratificanti lotte che l’avevano
preceduta. Amava le sfide lui, e quello che l’avrebbe battuto ancora doveva
nascere.
L’acqua tiepida gli fece sulle ferite più male
di quel che pensava, ma strinse i denti e tenne duro: desiderava ardentemente
darsi una ripulita dopo che una parte di quella lunga notte l’aveva passata a
vomitarsi l’anima per i calci allo stomaco che aveva ricevuto (ma li aveva
anche ampiamente restituiti).
Gli sembrava d’avere il volto fatto di una
tumida gelatina polposa, ma non emise un gemito e non si lamentò affatto. Erano
tutti cazzi suoi alla fine, e cazzi
soprattutto di quelli che l’avevano provocato dopo averlo fatto bere. Era
andata che al solito aveva bevuto troppo, al solito due o tre avevano trovato
un pretesto qualsiasi per attaccare briga (la sua sacrosantissima intoccabile -
da altri - Ferrari rossa), – va detto che quand’era
sbronzo tosto bastava un nonnulla a mandarlo veramente ma veramente in bestia –
al solito You e gli altri avevano cercato di
fermarlo, al solito era finita in un lago di ossa rotte e sangue che sgorgava
dovunque.
Lui ovviamente non s’era rotto nulla, era
troppo robusto e allenato nel combattimento perché delle mezze tacche di
ragazzini potessero anche solo sperare di spezzargli un dito, ma qualche goccia
di sangue l’aveva persa comunque. Anzi pure parecchio, ma non gliene era
fregato nulla. Aveva solo pensato a filare prima che chiamassero la polizia,
sempre che l’avessero chiamata – nessuno di loro voleva finire il galera, era
chiaro.
Cercò di lavarsi via il sangue dal viso senza
premere troppo, ma visto che non si sentiva la faccia la cosa si rivelò più
impegnativa del previsto. Sputò nella doccia e per un istante fu convinto
d’avere perso un dente, cosa fortunatamente non vera.
Non avrebbe avuto un aspetto decente per
qualche giorno almeno, cazzo cazzo
cazzo e ancora cazzo! Gli
inconvenienti delle lotte, quelli.
Uscì dalla doccia solo molti interminabili
minuti dopo e s’avvolse un asciugamano rosso attorno alla vita.
I capelli lunghi gli gocciolavano sopra le
spalle e fu con passo un po’ malfermo che s’avviò verso la sua camera alla
ricerca di qualcosa di confortevole da infilarsi addosso.
Optò per una semplice maglietta bianca e un
paio di pantaloni di cotone viola scuro.
Fu mentre si frizionava energicamente i capelli
che sentì suonare il campanello più volte, un sonoro ritmo martellante che solo
uno You piuttosto agitato era in grado di tenere.
Ci pensò su e decise che s’era dimenticato di
dirgli delle prove, tra le altre cose.
Si odiò profondamente.
« Come diamine ti sei ridotto? »
Questo
e solo questo gli disse You quando fu salito e
gli ebbe posato sopra i suoi occhi neri un po’ troppo larghi. Gackt fu quasi
tentato di sbattergli in faccia la porta in modo da farlo assomigliare un po’ a
lui, ma alla fine si trattenne ragionando che in effetti doveva essere proprio
conciato male se glielo diceva il suo amico che tutte le sante o quasi notti
che si trovava a vivere lo vedeva ubriacarsi e fare a botte.
« Scusa, ho scordato di dirti che non venivo
alle prove. »
Si sentì una vera merda quando l’altro gli
rispose che era solo venuto per controllare come stava.
« Sei andato a farti visitare da un medico? »
Satoru quasi sputò.
« Nah, sai che odio
gli ospedali e i dottori. »
Meglio che non ci pensasse, meglio che non lo
facesse, già si sentiva salire il sangue alla testa. Quelle non erano cose che
gli piaceva rivangare e che temeva lui stesso e tanto gli avevano fatto
desiderare di morire.
Aveva contratto le pupille e la testa gli
pulsava dolorosamente, ma fece finta di nulla fin quando You
non parlò di nuovo, con la voce preoccupata e gli occhi socchiusi.
« Ti sei almeno dato una disinfettata? »
Poté solo scuotere il capo, allora You lo accompagnò a sedersi e andò in bagno a prendere
l’occorrente per la medicazione. Quelle ferite potevano anche essere roba da
nulla, ma per You era sempre meglio non prenderne
sottogamba nessuna: in effetti, ogni tanto Gackt pensava che quel ragazzo
avesse lo spirito del crocerossino.
Non si mosse e non disse nulla per tutto il
tempo che You fu occupato con la sua faccia, e fu
solo a metà della medicazione che sentì squillare ripetutamente il telefono.
Forse You l’aveva anche avvertito, ma lui era così
perso nei suoi pensieri da non aver sentito.
Corse in camera e sollevò la cornetta, capendo
all’improvviso di chi poteva trattarsi.
« Pronto? Qui Satoru Okabe. »
C’era un velo d’impazienza nella sua voce, e
colui che parlava all’altro capo del filo l’aveva probabilmente colto.
« Ehilà Satoru, ti
trovo bene! »
Era solo il suo datore di lavoro, un signore
con cui tra l’altro aveva un buonissimo rapporto. Quasi ringhiò per la
delusione. Ovviamente lui lo sapeva, del resto aveva avuto la bella idea di
litigare proprio nel parcheggio del casinò.
« Sì ma… se non le dispiace, questa sera
preferirei non venire al lavoro. Sa, non sono in condizioni molto presentabili.
»
« Yukimura-san ha
detto che si accollerà il tuo turno di stasera, a patto che la prossima volta
lo sostituisca tu. »
« Sarà fatto, signore. »
Fu lieto di aver risolto anche quella faccenda,
almeno dal punto di vista lavorativo poteva tirare un sospiro di sollievo e
nessuno dei clienti avrebbe visto che brutta faccia aveva.
You lo raggiunse in camera da letto.
« Era il tuo capo? »
Gackt sorrise, per quel poco che gli riusciva.
« Sì, e per stasera sono esonerato. »
« Molto bene, vedi allora di usarla per
riposarti questa sera, e non per qualcuna delle assurde attività che ti tengono
sveglio. »
« Guarda che io faccio assurde attività proprio
perché non dormo. »
You aveva aperto la bocca per replicare, ma prima
che potesse farlo il telefono suonò di nuovo.
« Pronto? »
« Ehi signor vampiro! Vi trovo piuttosto
avvilito stasera! »
Contrasse la bocca e dopo qualche secondo fu
scosso da una terrificante risata che gli fece incredibilmente male al petto.
Era proprio Mana-chan stavolta.
« Il vampiro oggi fa un po’ fatica a parlare… »
« E come mai? »
« Ecco, ho fatto a botte stanotte. »
« Cielo! E come ti senti? »
Sorrise e quasi gli sembrò di poterlo vedere
portarsi una stupita mano alla bocca.
« Ehm… mi hanno spappolato un po’ la faccia ma
per il resto sto bene. Sono robusto io, ce ne vuole per mettermi ko! »
Ottenne un lungo, interminabile buon mezzo
minuto di silenzio profondo dall’altra parte, quasi che il suo giovane
interlocutore fosse rimasto congelato dall’indefinibile sconcerto.
Infine le sue orecchie captarono un timido sussurrante
mormorio di quella voce maschile e un po’ bassa che così poco aveva da spartire
con le apparenze del suo proprietario.
« …io invece di solito le prendevo. »
Ecco: quello
lo sorprese, per quanto nel tono di Mana vi fosse solo l’aria di una vaga
constatazione.
« Come? »
« Be’, non sono tanto portato per le lotte.
Sono un po’ mingherlino e al liceo quei gruppi di teppisti che non aspettavano
altro che fare guai mi facevano paura. Anche se io stesso sembravo un teppista.
»
E due sorprese.
« Tu?! Ma dai Mana, non scherzare! »
« Non sto scherzando. »
Non ci poteva credere. Che teppista sarebbe mai
stato uno che parlava con quell’eleganza?
« Be’ sai, dalle foto che ho visto sembri
proprio un bravo ragazzo. »
Lo sentì ridacchiare in quel suo tenero e
docile modo sommesso.
« Forse non sono proprio un bravo ragazzo. »
La dissimulata veemenza che colse dietro quelle
parole lo sorprese fino a fargli strabuzzare gli occhi. Comunque rise e
continuò a parlargli, lieto anche solo d’averlo sentito di nuovo.
« Facciamo così: quando ci vedremo ti
proteggerò io! »
« Perché, c’incontreremo un giorno? »
« Un giorno sicuramente! Non so ancora quando,
però. »
Sorrise ancora e non s’accorse di You che lo stava osservando con sguardo preoccupato. Gackt
aveva un’espressione luminosa tutto ad un tratto, e nemmeno lui pareva
essersene accorto. Sapeva con chi stava parlando, sapeva che avrebbe parlato
all’infinito e sapeva anche che di lui s’era completamente dimenticato. Nella
sua mente, You non esisteva più almeno finché avrebbe
parlato con quel Mana.
Tornò allora in salotto in silenzio e lo
aspettò di là, ben consapevole che ci avrebbe messo molto tempo. Passò difatti una
mezz’ora buona prima che Gackt tornasse, una mezz’ora in cui You l’aveva sentito ridere e scherzare col tono gioviale
che aveva solo coi suoi migliori amici, con lui, con Ren.
Quando lo vide arrivare gli offrì uno dei suoi
larghi sorrisi, desiderando intensamente nascondere lo sconforto che l’aveva
preso d’improvviso: il timore, la quasi certezza ormai, che Gackt Camui se ne andasse abbandonandoli per sempre. Per quanto
non facesse che proclamare il contrario, per quanto ribadisse che i Cain’s Feel lui non li avrebbe
lasciati mai.
« Chi era? » gli domandò.
« Era Mana! Sai, quel chitarrista di cui ti
avevo parlato una volta. »
« Ah sì, mi ricordo. Vi sentite spesso? »
« Sì, quasi tutti i giorni. »
Gackt rideva come un bambino, lui tentava
disperatamente di non lasciarsi sopraffare dall’angoscia e, perché no,
dall’odio verso quel chitarrista sconosciuto che il loro Satoru
lo stava portando via, intrappolandolo piano piano
nella sua tela di ragno. Gackt pareva non fare minimamente caso ai suoi
sentimenti, o quantomeno fingeva meravigliosamente di non accorgersene.
« Sai, è molto schivo e timido all’inizio ma se
impari a conoscerlo è una persona molto graziosa. O almeno così mi sembra, non
posso dire di più perché non l’ho neanche mai visto e non so che effetto mi
farebbe di persona. »
« Be’, ma mi sembra che tu sia interessato a
scoprirlo o sbaglio? »
C’era dell’acido, in quelle parole? Gackt lo
guardò; lo guardò come interrogativamente, il sorriso
gli sparì dal volto macellato e alzò le spalle, voltandosi per andare a
prendere qualcosa da bere.
« Mah, penso di averlo detto tanto per dire. »
Sì, l’aveva detto tanto per dire, e due
settimane dopo lo pensava ancora, mentre gironzolava nei dintorni di Kyoto imbarcato senza meta sulla sua Ferrari.
Aveva a dire il vero un paio di giorni liberi, ma visto che You
e gli altri lavoravano tutti, lui non aveva di meglio che quello da fare. Fu
proprio in quel giorno, solo in quel momento e non più tardi, che il telefono
che aveva fatto installare in macchina squillò.
Lo fece ripetutamente per una due e tre volte, infine
lui rispose ed era Mana.
« Che stai facendo di bello? »
Ancora quella strana mescolanza di bambinesca
euforia e pacatezza che sentiva ogni volta che parlava con lui.
Gackt sorrise, torcendo appena le labbra piene,
perché non aveva niente da fare.
Non aveva niente da fare e fu così, solo per
impulso che lo disse, con sul volto un ghigno beffardo che sapeva tanto di
sfida.
« Sto guidando verso Tokyo per incontrare Mana.
»
Ancora e di nuovo, gli apparve negli occhi il
sorriso angelico di quel ragazzo: come se fosse stato lì con lui.
E pensò che, presto, con lui lo sarebbe stato
davvero.
- continua -
N.d.A.
Forse ci siamo. Rullo di tamburi, squillo di trombe, se Mana non mi si mette a
fare il bastardo (come ha ahimè già fatto, ringraziate
lui se siamo al quinto capitolo e questi ancora si parlano solo per telefono!)
al prossimo capitolo si incontranooo!!! Comunque sia,
vedremo come reagiranno i nostri due ragazzi di fronte a questo evento: Gackt
conquisterà Mana col suo savoir faire
o Mana si rinchiuderà come un riccio dietro lo scoglio della sua timidezza?
E ci
sarà di mezzo anche il povero Takeshi… che forse sarà
quello che ai due dovrà dare la spinta! Riuscirà questo povero ragazzo, mia
principale pedina, a uscire vivo dallo scontro di questi due titani(anche se va
detto che al momento non lo sono ancora)? Io prego per lui, povera stella! XD
Ringrazio
tutti i lettori e i commentatori, purtroppo finora questa storia non ha avuto
il riscontro che speravo ma preferisco tenermi questi “pochi ma buoni”! :P Per
fortuna che ci siete! Spero comunque che aumenterete di numero perché qui la
cosa è una landa desolata come poche… XD
Vitani