Un chiarimento
veloce veloce. Questa fic si colloca nel volume 10 del
fumetto, dopo che Roy si è arrabbiato co=n Riza per essersi rassegnata alla sua morte durante il
combattimento con Lust, tanto da desiderare la
morte,
per lui… Secondo me, questo episodio è tra quelli fondamentali
nella loro relazione: se Roy non avesse tenuto
tanto
a lei, non l’avrebbe rimproverata… lo ha fatto anche per
proteggerla da se stessa, e dalla grandezza di quel sentimento di cui lui
stesso cominciava ad essere cosciente… mah, bando alle congetture e ai
miei viaggi mentali! Buona lettura!
Il colonnello riposava nel letto vicino, finalmente addormentato, mentre Havoc fumava la sua decima sigaretta, con lo sguardo perso nel vuoto.
Riza non se la sentì di rimproverarlo per quella sua brutta abitudine, vietata oltretutto nell’ospedale, non se la sentì di negargli ciò che in quel momento era l’unica consolazione dopo la disgrazia.
Inoltre sentiva in qualche modo che la sua autorità sarebbe sembrata fuori luogo, dopo i rimproveri rabbiosi del colonnello.
“Tenente…”
Il sussurro del suo sottoposto la riportò alla realtà, destandola dal torpore che il silenzio e la quiete stavano creando.
“Tenente, lei teme la morte?”
Rimase sorpresa, non tanto per la domanda, ma per il fatto che fosse proprio uno come Havoc a porla. Si corresse amaramente: l’Havoc davanti a lei non era più quello di prima… non sarebbe tornato ad esserlo per molto tempo, forse mai più.
“Non pensa che invece sia una liberazione, quando non rimane più nulla?”
Riza abbassò il capo. Sapeva cosa avrebbe dovuto rispondere, per il bene stesso del suo soldato.
Ma , semplicemente, non poteva farlo.
Non poteva, quando lei stessa sia era arresa a un simile pensiero, a un simile desiderio, meno di un giorno prima. Se non ci fosse stato Alphonse, se non si fosse impuntato nel volerla tirare fuori viva da quel luogo, a tutti i costi, lei si sarebbe arresa.
Si era arresa.
Prima l’incredulità, poi la rabbia cieca, che era diventata un’ira disperata. Aveva sparato tutti i colpi che aveva con se, una pistola dopo l’altra, un proiettile dopo l’altro, inutile.
Inutile il tentativo di uccidere quell’essere, inutile il suo tentativo di alleviare ciò che di lì a poco si ra trasformato in dolore.
Non pensava di poterne provare tanto, tutto in una volta. Straziante, lancinante dolore.
Una piaga nell’anima, come se gliela stessero strappando via a forza, a morsi. Divorata, da quel dolore, divisa in due, in tre, in mille pezzi.
Non pensava, non credeva che una come lei…
Poi era venuta l’apatia, la resa. Le lacrime.
Lei, che aveva pianto solo per il funerale di suo padre. Lei, che non si permetteva mai un simile lusso. Lei che non pensava di esserne ancora capace…
E Havoc aveva ragione, era una sensazione di liberazione, subito dopo il male, subito dopo le urla, la polvere, il rumore assordante del suo cuore impazzito. Subito dopo l’ultimo pensiero razionale che le diceva in tutta la sua crudeltà che non era rimasto più nulla per cui valesse la pena proseguire. Non senza di lui.
Un improvviso e dolcissimo disinteresse per tutto.
“Lasciami qui!” aveva urlato ad Alphonse. Povero bambino… così attaccato alla vita, così pieno di cose, di sogni e... Ma lei era vuota.
Lasciami qui con lui…
Voleva solo scivolare via, con lui. passare oltre quel confine così spietato e labile… così crudele…
No, se avesse temuto la morte, non avrebbe accettato di consacrare se stessa come scudo vivente di un uomo solo, se l’avesse temuta dal profondo dell’anima non avrebbe sparato tutti quei colpi inutili, piangendo, urlando, crollando miseramente… se avesse temuto la morte non le si sarebbe arresa così completamente. Tuttavia…
“Sì, temo la morte...” confessò, mentre con la coda dell’occhio osservava l’alzarsi e abbassarsi regolare del petto di quell’uomo addormentato, dietro di lei.
“…ma non la mia.”