Capitolo
1. I sette
Roma,
01 Giugno 2017
Melissa
stava totalmente ignorando il
libro di filosofia appoggiato davanti a lei. Il suo sguardo continuava
a
posarsi sulla finestra, in particolare fuori dalla finestra, dove una
fitta
pioggia aveva impedito alla quindicenne di uscire: in quel momento
doveva
essere in strada, con le sue amiche, a scegliere il vestito per la
festa
d’istituto della sua scuola. Per colpa della pioggia, però, invece di
scegliere
un abito, doveva scegliere quale filosofo studiare per primo. Anche se
in
realtà non doveva studiare nulla, sapeva già tutto, Mel era una di
quelle
ragazze così fortunate da imparare tutto leggendo solamente una volta.
Sbuffò
sfogliando pagina e continuandola a guardare, anche se in realtà non la
stava
leggendo.
Tutto
poteva aspettarsi tranne quello
che accadde dopo. Iniziò tutto con un urlo. Era la voce di sua madre.
Perché
aveva urlato? Melissa non ci mise molto a scoprirlo: subito dopo la
vide
entrare in casa tenuta dai polsi da due uomini. Gli uomini guardarono
la
ragazza con un sorriso in bocca. «Dov'è il ragazzo? » Chiese un dei
due, mentre
un altro, spuntato all'improvviso, andava verso Mel, immobilizzandola.
«No, non
mi portate via i ragazzi! » Rispose
singhiozzando la donna. «Per favore! » Continuò con le lacrime agli
occhi.
Melissa non capiva. Perché li volevano portare via? Gli occhi si
inumidirono al
pensiero di quello che stava per succedere: gli uomini in nero erano in
superiorità numerica: qualsiasi cosa si fossero messi in testa di fare,
ce
l’avrebbero fatta. Poco dopo sentì un altro urlo in lontananza, era la
voce di
suo fratello, stavolta, sembrava stesse lottando contro quei uomini che
erano
andati a cercarlo. Non era stato difficile trovarlo, tutto sommato era
in
camera sua. « E stai fermo! » urlò uno dei due uomini. Poi silenzio,
prima che
dal corridoio uscissero i due rapitori trascinando Lorenzo. « Cosa gli
avete
fatto?! » urlò sua madre tra le lacrime. « E’ solo sedato, stia
tranquilla,
signora » disse uno dei due sorridendo meschinamente, mentre si avviava
verso
la porta di uscita della casa. « Buon pomeriggio signora! » salutò
ironicamente
uno dei due uomini che tenevano Melissa, incapace di reagire e
soprattutto
conscia che ogni sforzo sarebbe stato vano. Appena fuori dalla casa,
improvvisamente Mel si ritrovò un panno bagnato davanti alla faccia. Cloroformio, ma se ne accorse solamente
quando già lo aveva respirato. Crollò svenuta all’istante.
Barcellona,
09 Giugno 2017
Soledad
era appena uscita da scuola. Il
pensiero di un’altra giornata passata a fare ciò che voleva la
entusiasmava.
Era così bello riuscire a plasmare con alcune frasi ben formulate le
altre
ragazze (ma soprattutto ragazzi) e costringerli a fare cose noiose come
compiti
al posto suo, così da permetterle di non preoccuparsi per niente che
non fosse
il suo divertimento. Esattamente come quel pomeriggio, che avrebbe
passato con
alcuni amici nel lungomare barcellonese. Camminava da sola: a quell’ora
a
Barcellona c’erano parecchio traffico, ma era poca la gente che optava
per
andare a piedi per le strade, quindi le strade erano quasi deserte,
soprattutto
quelle più strette e isolate. Sole ne fu felice. Odiava camminare
quando le
strade erano piene zeppe di persone, cosa che succedeva soprattutto
l’estate,
quando la città spagnola di riempiva di turisti. Purtroppo, però, non
aveva
considerato il fatto che, se ci fossero state altre persone, qualcuno
l’avrebbe
aiutata ad uscire nella situazione nella quale si era appena ficcata.
All’improvviso si ritrovò circondata da uomini. Erano troppo grandi per
essere
studenti. Erano dei criminali, stupratori? All’improvviso si pentì di
non
essere passata per la Rambla, dove non sarebbe stata assolutamente da
sola,
come invece lo era ora. Sole non face in tempo a pensare a cosa fare,
vista la
velocità con cui si avvicinarono a lei. Stranamente non la picchiarono,
Sentì
solamente un fazzoletto davanti alla faccia. Si accorse troppo tardi di
aver
perso i sensi.
New
York, 16 Giugno 2017
Appena
uscita dall’allenamento di
ginnastica artistica, Kath uscì come ogni volta ad aspettare suo padre
che la
venisse a prendere. Come sempre quest’ultimo era rimasto bloccato nel
traffico
della Grande Mela. E quindi Kathleen era costretta a aspettare un bel
po’.
Nemmeno questo, però, riuscì a rovinare la sua giornata: il suo
allenamento era
andato alla grande e il suo allenatore, le aveva confidato che se
avesse
continuato così, avrebbe cercato di farla partecipare alle prossime
olimpiadi. Ripensando
alle parole del suo coach, non si accorse della macchina che si accostò
proprio
davanti a lei. Il modello era come quello del padre, ma essendo buio
non riuscì
a capire se si trattava veramente di lui. Così si avvicinò un po’. Il
finestrino della porta del passeggero si abbassò. « Vuoi un passaggio,
Kathleen
» fu un uomo dal sorriso beffardo a parlare. Kath non lo conosceva.
Indietreggiò. Ma era troppo tardi: era circondata. Provò a scappare, si
abbassò
e cercò di strisciare senza riuscire a farsi afferrare. Nei film i
supereroi
riuscivano a scappare facendo due capriole. Quella sera si accorse di
come
fosse impossibile riuscire a scappare in quel modo. Lo capì quando gli
uomini
riuscirono ad afferrarle il braccio: da lì non ci fu più via di uscita:
cerco
di sbracciarsi, di ribellarsi, ma fu inutile, anzi, attirò ancora più
uomini e
alla fine la immobilizzarono. Subito dopo la caricarono in macchina,
legandole
mani e piedi, che partì ad una velocità folle. Quando si accorse di
quello che
stavano per fare era troppo tardi, sentì il pizzico dell’ago sul
braccio. Poi
pian piano sentì che si stava addormentando, voleva rimanere sveglia,
capire
dove la stavano portando, quello che le volevano fare, alla fine, però,
scivolò
in un sonno profondo.
Sydney,
23 Giugno 2017
3,
2, 1, via! E ancora una volta Hector
fece partire il cronometro del suo i-pod, che sistemò sulla tasca dei
pantaloncini corti, e iniziò a correre. Per lui, trovare una mezz’ora
da
dedicare alla corsa (oltre agli allenamenti a scuola) era
imprescindibile. La
corsa riusciva a farlo sfogare, un semplice scatto liberava una
quantità di
adrenalina indescrivibile. Si sentiva libero quando correva. Era come
se stesse
scappando dai suoi problemi: il divorzio dei genitori, i problemi a
scuola, la
malattia di sua sorella. La sua vita era stata un accumulo di
sofferenze e la
scoperta di quanto lo rilassasse correre, fu un toccasana per il suo
umore.
Sorridendo leggermente, Hector rallentò un po’, stava percorrendo il
tratto di
percorso che preferiva, il lungomare. Scese sulla sabbia e continuò a
correre
lì, le scarpe affondavano e si rialzavano velocemente, e, nonostante
correre lì
fosse molto più complicato, Hec lo amava molto di più. Alla fine della
spiaggia
tornò al marciapiede e continuò alla colta di casa sua. Quando usciva
lui le
strade erano deserte, di solito: era così presto che poca gente usciva
in
strada: quelli che lo facevano era per rinchiudersi in qualche bar, o
che
dovevano iniziare a lavorare presto. Fu proprio per questo che Hector
si stupì
quando vide tutti quei uomini (minimo erano sei) che chiacchieravano da
una
parte della strada. Quando lo videro si ammutolirono tutti, cosa che
insospettì
ancora di più il ragazzo, che però continuò a correre come se non fosse
successo nulla. All’improvviso gli uomini iniziarono a correre verso di
lui.
Hector allora comprese che era lui che stavano aspettando. Cambiò
repentinamente direzione e accelerò il passo. Ma dall’incrocio
successivo uscì
un altro uomo, diretto verso di lui. Ricambiò direzione, ma, nonostante
fosse
molto veloce, ormai era stato accerchiato. Era impossibile scappare,
ora. Si
fermò, e alzò le mani in segno di resa. Era inutile fare qualsiasi
altra cosa.
« Finalmente un ragazzo educato. » Disse uno degli uomini,
avvicinandosi a lui
e legandogli i piedi: non doveva provare a scappare. Poi altri due
uomini lo
presero in braccio e lo caricarono su un auto, infine, come agli altri.
Hector
fu sedato e si addormentò.
Los
Angeles, 30 Giugno 2012
«
Sabato ho da fare, mi dispiace, Alex,faremo
un’altra volta » Per l’ennesima volta Liz cercava di far capire ad
Alexander
che non era interessato a lui. Era assurdo quanto fosse insistente.
Provava a
chiedere alla sedicenne almeno una volta al
giorno se voleva uscire con lui. Liz provava a declinare
gentilmente
l’invito, sperando che, dopo la settima volta che avesse detto no, Alex
avrebbe
capito che Elizabeth non era interessato a lui. Il ragazzo di allontanò
con lo
sguardo triste e con il broncio in viso. Le dispiaceva vederlo così, ma
aimè,
non tutto poteva andare per il verso giusto. Come stava succedendo con
lei: il
motivo per cui non diceva di si ad Alex era perché in realtà a lei
piaceva un
altro ragazzo, che tra esattamente 4 minuti si sarebbe presentato in
spiaggia.
Liz continuava a farsi trovare lì, nella speranza che il ragazzo in
questione
si accorgesse di lei. Eccolo. Con i soliti pantaloncini corti e la
maglietta
sbottonata, proprio con l’aspetto del cattivo ragazzo. A Liz non servì
osservarlo per capire cosa avrebbe fatto, si vedeva dallo sguardo che
aveva
adocchiato qualche giovane turista, con cui intrattenersi massimo due
giorni.
Come non detto, la ragazza era una biondina magra, probabilmente
europea,
russa, avrebbe azzardato Elizabeth, che nel frattempo sbuffò
contrariata. Era
mai possibile che continuasse ad illudersi così per un ragazzo che non
l’avrebbe mai considerata? Come mai continuava ad andargli dietro?
Ormai non lo
sapeva neppure lei. Si alzò e iniziò a vagare senza metà, prima lungo
la
spiaggia, con l’acqua che le bagnava i piedi, poi si allontanò da lì e
si
diresse verso un piccolo boschetto lì vicino. Quello era il posto dove
si
nascondeva quando doveva riordinare le idee o solamente quando non
voleva gente
intorno a se. Ma nel suo rifugio segreto (una piccola radura in mezzo
al bosco)
c’erano delle persone . Erano lì per lei:
era l’unica a conoscere come arrivare in quel posto. Gli uomini la
guardarono,
lei non fece in tempo a girarsi per scappare, che questi, tutti
insieme, corse
verso di lei. Lottò furiosamente contro le loro mani, ma alla fine fu
inutile:
erano troppi, lei una sola: nel momento in cui la immobilizzarono,
sentì
qualcosa davanti alla faccia. Poi si accasciò priva di sensi.
Parigi,
2 Luglio 2017
Da sempre Parigi era sempre stata considerata la città della libertà, sia politica che di espressione. Tutti gli artisti più famosi si erano fermati nella città almeno un periodo. Jack aveva la fortuna di viverci in quel posto. La sua famiglia si era trasferita da Londra a Parigi, un bel cambio dettato dalla carenza di lavoro nella città inglese. Ma Jack era più contento lì in Francia: si sentiva veramente libero, e poi tutti lo consideravano come “l’inglese” e volevano conoscerlo, soprattutto per la sua dote di pittore. Si, lui era come gli artisti che si erano trasferiti in Francia per essere liberi di dipingere ciò che volevano, solo che Jack, scoprì del suo talento solamente dopo essere arrivato a Parigi. Gli piaceva posizionarsi davanti ad una tela e dipingere quello che aveva per la testa: dai ritratti, alle pitture astratte. Provava tutte le diverse tecniche e cambiava costantemente soggetti. La sua testa era un insieme vorticoso di idee, tutte diverse. Però il suo hobby comportava anche un bel dispendio di denaro, che in qualche modo doveva arrivare alle tasche del ragazzo. Proprio per questo aveva deciso di lavorare: faceva il cameriere in un ristorante inglese: lì apprezzavano molto che Jack parlasse perfettamente l’inglese, così da riuscire a comunicare perfettamente con i turisti che andavano a mangiare lì. Come ogni fine settimana, Jack si avviò in bicicletta verso il ristorante. Cercava sempre di percorrere le strade meno affollate: voleva cercare di incrociare il minor numero di macchine possibile. La moto sbucò all’improvviso,in un punto dove era Jack ad avere la preferenza. Frenò velocemente, ma l’unica cosa che riuscì a fare così, fu di perdere l’equilibrio e cadere di lato, sbattendo il gomito per terra. Fortunatamente aveva il casco che attutì la caduta, ma questo non impedì ad ragazzo di farsi male, è ovvio. Rimase steso per un po’, voleva aspettare che il dolore al braccio diminuisse, ma improvvisamente sentì che si muoveva. Anzi, che si sollevava. Era tutto frutto del suo cervello? Jack non ne era sicuro. Sapeva solamente che aveva come l’impressione di essere stato preso in braccio e poi adagiato su quello che doveva essere una specie di letto. Ma era troppo stanco per cercare di capire cosa fosse davvero, quindi preferì addormentarsi.
Nota dell'autrice.
Nel
prologo non ho messo una mia nota conclusiva, tutto per rimanere nel
clima
più misterioso dell'accaduto all'areoporto, ora invece posso benissimo
aggiungere qualcosa di mio (;
Come avrete ben visto, in questo capitolo ho voluto introdurre i sette
ragazzi,
ognuno nella sua normalissima vita. Anche questo capitolo, non è molto
lungo,
non preoccupatevi, presto ci sarà più azione e molto da leggere. Nel
frattempo
spero che comunque apprezziate il lavoro che sta venendo fuori, io ho
molta
speranza in lui! Vi lascio il link del mio profilo facebook, lì potrete
trovare tutte le novità e spoiler sui prossimi capitoli!
Alla prossima settimana!
http://www.facebook.com/silver.onefp