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Autore: Silver_    11/11/2012    4 recensioni
Sette ragazzi.
Non si conoscono, vivono in città diverse, in paesi diversi. Nonostante ciò una data li accomuna. 20 Gennaio 2001, quel giorno che i sette bambini erano nello stesso posto. Gli scivoli del fast-food all'aeroporto. Quel giorno stavano giocando tutti insieme quando il grande signore con la valigetta nera si fermò davanti a loro. Erano bambini, alcuni neanche si accorsero della sua presenza.
Purtroppo, però, la sua presenza lì, fu quella che scaternò tutto.
Genere: Azione, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1. I sette



Roma, 01 Giugno 2017
 

Melissa stava totalmente ignorando il libro di filosofia appoggiato davanti a lei. Il suo sguardo continuava a posarsi sulla finestra, in particolare fuori dalla finestra, dove una fitta pioggia aveva impedito alla quindicenne di uscire: in quel momento doveva essere in strada, con le sue amiche, a scegliere il vestito per la festa d’istituto della sua scuola. Per colpa della pioggia, però, invece di scegliere un abito, doveva scegliere quale filosofo studiare per primo. Anche se in realtà non doveva studiare nulla, sapeva già tutto, Mel era una di quelle ragazze così fortunate da imparare tutto leggendo solamente una volta. Sbuffò sfogliando pagina e continuandola a guardare, anche se in realtà non la stava leggendo.

Tutto poteva aspettarsi tranne quello che accadde dopo. Iniziò tutto con un urlo. Era la voce di sua madre. Perché aveva urlato? Melissa non ci mise molto a scoprirlo: subito dopo la vide entrare in casa tenuta dai polsi da due uomini. Gli uomini guardarono la ragazza con un sorriso in bocca. «Dov'è il ragazzo? » Chiese un dei due, mentre un altro, spuntato all'improvviso, andava verso Mel, immobilizzandola. «No, non mi portate via i ragazzi! »  Rispose singhiozzando la donna. «Per favore! » Continuò con le lacrime agli occhi. Melissa non capiva. Perché li volevano portare via? Gli occhi si inumidirono al pensiero di quello che stava per succedere: gli uomini in nero erano in superiorità numerica: qualsiasi cosa si fossero messi in testa di fare, ce l’avrebbero fatta. Poco dopo sentì un altro urlo in lontananza, era la voce di suo fratello, stavolta, sembrava stesse lottando contro quei uomini che erano andati a cercarlo. Non era stato difficile trovarlo, tutto sommato era in camera sua. « E stai fermo! » urlò uno dei due uomini. Poi silenzio, prima che dal corridoio uscissero i due rapitori trascinando Lorenzo. « Cosa gli avete fatto?! » urlò sua madre tra le lacrime. « E’ solo sedato, stia tranquilla, signora » disse uno dei due sorridendo meschinamente, mentre si avviava verso la porta di uscita della casa. « Buon pomeriggio signora! » salutò ironicamente uno dei due uomini che tenevano Melissa, incapace di reagire e soprattutto conscia che ogni sforzo sarebbe stato vano. Appena fuori dalla casa, improvvisamente Mel si ritrovò un panno bagnato davanti alla faccia. Cloroformio, ma se ne accorse solamente quando già lo aveva respirato. Crollò svenuta all’istante.

 

Barcellona, 09 Giugno 2017
 

Soledad era appena uscita da scuola. Il pensiero di un’altra giornata passata a fare ciò che voleva la entusiasmava. Era così bello riuscire a plasmare con alcune frasi ben formulate le altre ragazze (ma soprattutto ragazzi) e costringerli a fare cose noiose come compiti al posto suo, così da permetterle di non preoccuparsi per niente che non fosse il suo divertimento. Esattamente come quel pomeriggio, che avrebbe passato con alcuni amici nel lungomare barcellonese. Camminava da sola: a quell’ora a Barcellona c’erano parecchio traffico, ma era poca la gente che optava per andare a piedi per le strade, quindi le strade erano quasi deserte, soprattutto quelle più strette e isolate. Sole ne fu felice. Odiava camminare quando le strade erano piene zeppe di persone, cosa che succedeva soprattutto l’estate, quando la città spagnola di riempiva di turisti. Purtroppo, però, non aveva considerato il fatto che, se ci fossero state altre persone, qualcuno l’avrebbe aiutata ad uscire nella situazione nella quale si era appena ficcata. All’improvviso si ritrovò circondata da uomini. Erano troppo grandi per essere studenti. Erano dei criminali, stupratori? All’improvviso si pentì di non essere passata per la Rambla, dove non sarebbe stata assolutamente da sola, come invece lo era ora. Sole non face in tempo a pensare a cosa fare, vista la velocità con cui si avvicinarono a lei. Stranamente non la picchiarono, Sentì solamente un fazzoletto davanti alla faccia. Si accorse troppo tardi di aver perso i sensi.

 

 

New York, 16 Giugno 2017

Appena uscita dall’allenamento di ginnastica artistica, Kath uscì come ogni volta ad aspettare suo padre che la venisse a prendere. Come sempre quest’ultimo era rimasto bloccato nel traffico della Grande Mela. E quindi Kathleen era costretta a aspettare un bel po’. Nemmeno questo, però, riuscì a rovinare la sua giornata: il suo allenamento era andato alla grande e il suo allenatore, le aveva confidato che se avesse continuato così, avrebbe cercato di farla partecipare alle prossime olimpiadi. Ripensando alle parole del suo coach, non si accorse della macchina che si accostò proprio davanti a lei. Il modello era come quello del padre, ma essendo buio non riuscì a capire se si trattava veramente di lui. Così si avvicinò un po’. Il finestrino della porta del passeggero si abbassò. « Vuoi un passaggio, Kathleen » fu un uomo dal sorriso beffardo a parlare. Kath non lo conosceva. Indietreggiò. Ma era troppo tardi: era circondata. Provò a scappare, si abbassò e cercò di strisciare senza riuscire a farsi afferrare. Nei film i supereroi riuscivano a scappare facendo due capriole. Quella sera si accorse di come fosse impossibile riuscire a scappare in quel modo. Lo capì quando gli uomini riuscirono ad afferrarle il braccio: da lì non ci fu più via di uscita: cerco di sbracciarsi, di ribellarsi, ma fu inutile, anzi, attirò ancora più uomini e alla fine la immobilizzarono. Subito dopo la caricarono in macchina, legandole mani e piedi, che partì ad una velocità folle. Quando si accorse di quello che stavano per fare era troppo tardi, sentì il pizzico dell’ago sul braccio. Poi pian piano sentì che si stava addormentando, voleva rimanere sveglia, capire dove la stavano portando, quello che le volevano fare, alla fine, però, scivolò in un sonno profondo.

 

 

Sydney, 23 Giugno 2017

3, 2, 1, via! E ancora una volta Hector fece partire il cronometro del suo i-pod, che sistemò sulla tasca dei pantaloncini corti, e iniziò a correre. Per lui, trovare una mezz’ora da dedicare alla corsa (oltre agli allenamenti a scuola) era imprescindibile. La corsa riusciva a farlo sfogare, un semplice scatto liberava una quantità di adrenalina indescrivibile. Si sentiva libero quando correva. Era come se stesse scappando dai suoi problemi: il divorzio dei genitori, i problemi a scuola, la malattia di sua sorella. La sua vita era stata un accumulo di sofferenze e la scoperta di quanto lo rilassasse correre, fu un toccasana per il suo umore. Sorridendo leggermente, Hector rallentò un po’, stava percorrendo il tratto di percorso che preferiva, il lungomare. Scese sulla sabbia e continuò a correre lì, le scarpe affondavano e si rialzavano velocemente, e, nonostante correre lì fosse molto più complicato, Hec lo amava molto di più. Alla fine della spiaggia tornò al marciapiede e continuò alla colta di casa sua. Quando usciva lui le strade erano deserte, di solito: era così presto che poca gente usciva in strada: quelli che lo facevano era per rinchiudersi in qualche bar, o che dovevano iniziare a lavorare presto. Fu proprio per questo che Hector si stupì quando vide tutti quei uomini (minimo erano sei) che chiacchieravano da una parte della strada. Quando lo videro si ammutolirono tutti, cosa che insospettì ancora di più il ragazzo, che però continuò a correre come se non fosse successo nulla. All’improvviso gli uomini iniziarono a correre verso di lui. Hector allora comprese che era lui che stavano aspettando. Cambiò repentinamente direzione e accelerò il passo. Ma dall’incrocio successivo uscì un altro uomo, diretto verso di lui. Ricambiò direzione, ma, nonostante fosse molto veloce, ormai era stato accerchiato. Era impossibile scappare, ora. Si fermò, e alzò le mani in segno di resa. Era inutile fare qualsiasi altra cosa. « Finalmente un ragazzo educato. » Disse uno degli uomini, avvicinandosi a lui e legandogli i piedi: non doveva provare a scappare. Poi altri due uomini lo presero in braccio e lo caricarono su un auto, infine, come agli altri. Hector fu sedato e si addormentò.

 

 

Los Angeles, 30 Giugno 2012
 

« Sabato ho da fare, mi dispiace, Alex,faremo un’altra volta » Per l’ennesima volta Liz cercava di far capire ad Alexander che non era interessato a lui. Era assurdo quanto fosse insistente. Provava a chiedere alla sedicenne almeno una volta al  giorno se voleva uscire con lui. Liz provava a declinare gentilmente l’invito, sperando che, dopo la settima volta che avesse detto no, Alex avrebbe capito che Elizabeth non era interessato a lui. Il ragazzo di allontanò con lo sguardo triste e con il broncio in viso. Le dispiaceva vederlo così, ma aimè, non tutto poteva andare per il verso giusto. Come stava succedendo con lei: il motivo per cui non diceva di si ad Alex era perché in realtà a lei piaceva un altro ragazzo, che tra esattamente 4 minuti si sarebbe presentato in spiaggia. Liz continuava a farsi trovare lì, nella speranza che il ragazzo in questione si accorgesse di lei. Eccolo. Con i soliti pantaloncini corti e la maglietta sbottonata, proprio con l’aspetto del cattivo ragazzo. A Liz non servì osservarlo per capire cosa avrebbe fatto, si vedeva dallo sguardo che aveva adocchiato qualche giovane turista, con cui intrattenersi massimo due giorni. Come non detto, la ragazza era una biondina magra, probabilmente europea, russa, avrebbe azzardato Elizabeth, che nel frattempo sbuffò contrariata. Era mai possibile che continuasse ad illudersi così per un ragazzo che non l’avrebbe mai considerata? Come mai continuava ad andargli dietro? Ormai non lo sapeva neppure lei. Si alzò e iniziò a vagare senza metà, prima lungo la spiaggia, con l’acqua che le bagnava i piedi, poi si allontanò da lì e si diresse verso un piccolo boschetto lì vicino. Quello era il posto dove si nascondeva quando doveva riordinare le idee o solamente quando non voleva gente intorno a se. Ma nel suo rifugio segreto (una piccola radura in mezzo al bosco) c’erano delle persone . Erano lì per lei: era l’unica a conoscere come arrivare in quel posto. Gli uomini la guardarono, lei non fece in tempo a girarsi per scappare, che questi, tutti insieme, corse verso di lei. Lottò furiosamente contro le loro mani, ma alla fine fu inutile: erano troppi, lei una sola: nel momento in cui la immobilizzarono, sentì qualcosa davanti alla faccia. Poi si accasciò priva di sensi.

 

Parigi, 2 Luglio 2017

Da sempre Parigi era sempre stata considerata la città della libertà, sia politica che di espressione. Tutti gli artisti più famosi si erano fermati nella città almeno un periodo. Jack aveva la fortuna di viverci in quel posto. La sua famiglia si era trasferita da Londra a Parigi, un bel cambio dettato dalla carenza di lavoro nella città inglese. Ma Jack era più contento lì in Francia: si sentiva veramente libero, e poi tutti lo consideravano come “l’inglese” e volevano conoscerlo, soprattutto per la sua dote di pittore. Si, lui era come gli artisti che si erano trasferiti in Francia per essere liberi di dipingere ciò che volevano, solo che Jack, scoprì del suo talento solamente dopo essere arrivato a Parigi. Gli piaceva posizionarsi davanti ad una tela e dipingere quello che aveva per la testa: dai ritratti, alle pitture astratte. Provava tutte le diverse tecniche e cambiava costantemente soggetti. La sua testa era un insieme vorticoso di idee, tutte diverse. Però il suo hobby comportava anche un bel dispendio di denaro, che in qualche modo doveva arrivare alle tasche del ragazzo. Proprio per questo aveva deciso di lavorare: faceva il cameriere in un ristorante inglese: lì apprezzavano molto che Jack parlasse perfettamente l’inglese, così da riuscire a comunicare perfettamente con i turisti che andavano a mangiare lì. Come ogni fine settimana, Jack si avviò in bicicletta verso il ristorante. Cercava sempre di percorrere le strade meno affollate: voleva cercare di incrociare il minor numero di macchine possibile. La moto sbucò all’improvviso,in un punto dove era Jack ad avere la preferenza. Frenò velocemente, ma l’unica cosa che riuscì a fare così, fu di perdere l’equilibrio e cadere di lato, sbattendo il gomito per terra. Fortunatamente aveva il casco che attutì la caduta, ma questo non impedì ad ragazzo di farsi male, è ovvio. Rimase steso per un po’, voleva aspettare che il dolore al braccio diminuisse, ma improvvisamente sentì che si muoveva. Anzi, che si sollevava. Era tutto frutto del suo cervello? Jack non ne era sicuro. Sapeva solamente che aveva come l’impressione di essere stato preso in braccio e poi adagiato su quello che doveva essere una specie di letto. Ma era troppo stanco per cercare di capire cosa fosse davvero, quindi preferì addormentarsi.




Nota dell'autrice.

Nel prologo non ho messo una mia nota conclusiva, tutto per rimanere nel clima più misterioso dell'accaduto all'areoporto, ora invece posso benissimo aggiungere qualcosa di mio (;
Come avrete ben visto, in questo capitolo ho voluto introdurre i sette ragazzi, ognuno nella sua normalissima vita. Anche questo capitolo, non è molto lungo, non preoccupatevi, presto ci sarà più azione e molto da leggere. Nel frattempo spero che comunque apprezziate il lavoro che sta venendo fuori, io ho molta speranza in lui! Vi lascio il link del mio profilo facebook, lì potrete trovare tutte le novità e spoiler sui prossimi capitoli!
Alla prossima settimana!

http://www.facebook.com/silver.onefp

 

   
 
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