Crossover
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Autore: Jade MacGrath    31/05/2007    1 recensioni
[Crossover Battlestar Galactica/Stargate SG-1/Stargate Atlantis] [incompleta]Quando il capitano Kara Thrace si è diretta verso l'occhio di quella tempesta spaziale, aveva finalmente compreso che Leoben e l'oracolo avevano ragione: il suo destino l'attendeva dall'altra parte. Ma non aveva idea che includesse un anello di metallo chiamato Stargate, la città di Atlantis, e una guerra per la salvezza di due galassie...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Telefilm
Note: Cross-over, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Con il tempo le lezioni iniziarono a diventare meno frustranti per Kara, che finalmente riusciva a spiegarsi anche se in un inglese ancora un po’ zoppicante. Non era riuscita a identificare altri simboli come quello del museo, e Daniel ne sembrava leggermente deluso. Aveva chiesto spiegazioni, ma Daniel non sapeva come spiegarglielo senza che fraintendesse quel che voleva dire.

“La tua lingua… quella parte della tua lingua… è un linguaggio molto antico e indecifrabile di questo pianeta.”

“Ve l’ho detto, siete nostri discendenti…”

“Se lo fossimo dovremmo sapere cosa quella lingua significa, non ti pare?”

Kara non sapeva come rispondere a questo senza passare per una fanatica religiosa.

“Le mie scritture sono chiare al riguardo.”

“Ma magari non eravate gli unici umani sul pianeta. Le tue scritture dicono che il pianeta era deserto quando la Tredicesima Tribù è arrivata?”

“Non mettere in dubbio la mia fede, Daniel. I Rotoli Sacri mi hanno condotta qui.”

“Ecco, parliamo dei Rotoli Sacri. Tu menzioni Kobol come punto di origine della tua gente.”

“E della tua” aggiunse Kara.

“Kara, io ti posso provare oltre il ragionevole dubbio che quando la tua gente è arrivata su questo pianeta, sulla Terra c’erano altri umani.”

“Niente che tu possa dire mi potrà far cambiare idea.”

“Bene, vorrà dire che allora farò qualcosa.”

Kara gli diede un sorriso di sfida che era il suo marchio di fabbrica, e gli disse di provare a farlo, se credeva di riuscirci.

Daniel uscì dalla stanza di Kara, e dopo aver ottenuto l’autorizzazione da Jack iniziò a preparare la missione su P3X147.

Kobol.

 

Quando il giorno stabilito per la missione venne a prenderla nella sua stanza, Kara era sinceramente confusa. Le era stata data un’uniforme e un giubbotto militare, e a parte la mancanza (comprensibile) di armi non differiva da quella di Daniel, o dell’uomo e della donna che Daniel chiamava Generale Jack O’Neil e Colonnello Samantha Carter.

“Dove andiamo?” domandò Kara a Daniel nella sua lingua. Tra tutte le lezioni e le conversazioni che avevano avuto, si fidava più di lui che di tutti gli altri, anche se non le avevano dato motivi per non fidarsi.

Daniel stava per rispondere, ma Jack fu più veloce. E le disse di parlare una lingua che fosse comprensibile a tutti, visto che la sapeva.

Kara gli scoccò un’occhiata feroce, ma obbedì.

“Dove andiamo, Generale O’Neil?”

“P3X147. Ma tu lo chiami Kobol.”

“Kobol? Daniel mi aveva detto che avrebbe smontato le mie tesi, non che le avrebbe confermate…” commentò ironicamente la ragazza.

“Il come ci andremo sarà sufficiente da solo a smontare la tua tesi” disse Jack, facendo segno a Kara di seguirlo e ringraziando il cielo che gli sguardi non potevano uccidere. Corridoio dopo corridoio, Kara si domandava dove stesse portando lei e gli altri, e una volta a destinazione rimase attonita a guardare quell’enorme anello di metallo al centro dell’hangar.

Si era voltata con aria interrogativa verso Daniel, ma lui le aveva fatto cenno di guardare l’anello con la testa senza dire una parola. All’improvviso l’anello più interno, con dei simboli incisi sopra, iniziò a girare fino a che un simbolo si posizionò esattamente sotto uno dei blocchi, che si illuminò. Man mano che l’azione si ripeteva, Kara sentì delle vibrazioni a terra piuttosto forti provenire dall’anello e guardò le persone accanto a lei, totalmente rilassate, in attesa di qualcosa.

Quando il settimo simbolo andò a posto, Kara fece un passo indietro e sentì il cuore minacciare di saltarle fuori dal petto.

Una gigantesca ondata di energia si era convogliata all’interno dell’anello, esplodendo davanti e dietro di esso e assestandosi poi entro i suoi limiti. Sembrava uno specchio d’acqua, eccetto per la luce che irradiava.

Daniel, Jack e Sam fissarono Kara fissare a bocca aperta lo Stargate attivato, e sorrisero scambiandosi un’occhiata. La prima volta era così per tutti.

Una volta riuscita a distogliere lo sguardo, fissò Daniel e con la mano tremante indicò lo Stargate.

“E questo… in nome degli Dei di Kobol, che diavolo è questo?”

“Questa è la prima prova di quanto dico, Kara. Noi lo chiamiamo Stargate. È un portale che unisce molti mondi in tutta la galassia, attraverso tunnel spaziotemporali chiamati wormhole. Non l’abbiamo costruito noi, ma un popolo che noi chiamiamo Antichi.”

“E che cosa centra con me?”

“Kobol ha uno Stargate, Kara. Significa che è stato colonizzato dagli Antichi, come la Terra.”

“Balle. Non vi credo.”

“Cambierai idea” disse Jack passandole avanti e scomparendo davanti ai suoi occhi dentro il campo di energia.

Kara non capiva dove Jack fosse finito, e a dirla tutta quell’oggetto enorme non le trasmetteva nessuna fiducia. Era un salto nel buio, come quando era volata nella tempesta e, solo gli Dei sapevano come, si era svegliata lì. Quei ricordi confusi di omini grigi e della teca di vetro da cui li guardava continuavano a non avere né senso né una spiegazione.

Si riscosse dai suoi pensieri quando Daniel le mise una mano sulla spalla e le disse che dovevano andare. Sam non era più con loro, doveva aver già passato il portale. Daniel accompagnò Kara fino allo Stargate, tanto vicina da poter toccare le increspature dell’orizzonte degli eventi.

“Stai cercando di spaventarmi?”

“No. Sto solo cercando di farti vedere la nostra versione della storia.”

Kara sfiorò la superficie, che al suo tocco si increspò come uno specchio d’acqua. Il timore di prima era scomparso, ora lo stava fissando affascinata. Come era capitato con la tempesta. Ma che le prendeva ultimamente? Dopo una vita a fuggire da quello che non conosceva e non capiva, ora ne era incredibilmente attratta. D’un tratto non aveva più importanza la meta, quel che avrebbero dovuto fare una volta lì. Il viaggio era l’unica cosa importante ora. Prima che la cogliesse un ripensamento, Kara fece un passo in avanti ed entrò nello Stargate. Quello che successe subito dopo non sapeva come definirlo, ma una volta dall’altro lato si trovò bocconi a terra in preda alla nausea più forte della sua vita.

“Kara, tutto bene?” chiese Carter, avvicinandosi. Kara si sedette a terra appoggiando la testa sulle ginocchia, e le disse di chiederglielo di nuovo entro mezzora. Aveva bevuto fino a perdere conoscenza, volato con ogni condizione atmosferica, e fatto acrobazie in cielo e nello spazio che a detta di testimoni facevano star male chi la stava a guardare, e ne era sempre uscita ragionevolmente bene. E ora un viaggio di neanche due secondi attraverso quell’affare la riduceva così?

“Non credo mi piaccia questo Stargate…”sussurrò.

“La prima volta è traumatica per tutti” disse Carter, inginocchiandosi accanto a lei “Fa dei respiri profondi, passa in fretta.”

Quando si rialzò, tese una mano alla ragazza. Kara la prese e si rimise in piedi. Daniel, arrivato appena dopo di lei, era sceso dai gradini della piattaforma dove si trovava lo Stargate e stava parlando con Jack. Kara si guardò intorno: la sala, decorata con affreschi a prima vista molto antichi, non le diceva niente. Poi vide una cosa che le serrò lo stomaco.

Uno degli affreschi era una raffigurazione della capitale, o almeno lo era stato molto tempo fa. Lo sapeva per certo, perché la parte salvatasi raffigurava il teatro dell’opera, com’era raffigurato nelle Scritture.

Senza sapere come, si ritrovò a correre all’esterno della camera, con Carter, O’Neil e Jackson all’inseguimento che le urlavano di fermarsi. No, non poteva farlo. Doveva vedere con i suoi occhi se davvero era Kobol. Se davvero quello che aveva sempre dato per certo non era vero, o almeno non del tutto.

La luce del sole quasi l’abbagliò una volta fuori, ma una volta aperti gli occhi quel che vide non dava alito a dubbi. Da dove si trovava vedeva le Colonne di Hera, da dove Athena si era gettata per disperazione dopo la partenza delle dodici tribù. La foresta che lei e Lee assieme alla Roslin e ai suoi sostenitori avevano percorso fino alla tomba della dea Athena.

Sentì arrivare alle spalle i suoi compagni di viaggio, ma non osava voltarsi. Daniel fu quello che le venne vicino e iniziò a parlarle.

“Kobol è stata una scoperta recente… anzi, una sorpresa, perché il suo indirizzo è stato cancellato da tutti i database Antichi eccetto uno, l’avamposto che hanno lasciato sulla Terra in un continente ghiacciato chiamato Antartide. Quando siamo venuti qui abbiamo trovato segni di una civilizzazione molto avanzata, compatibile con altri insediamenti degli Antichi che abbiamo scoperto …”

“Che ne avete fatto dei morti?” sussurrò Kara pensando a quanti erano morti durante la loro spedizione.

“Sono stati seppelliti. Ti… Ti ci porterò, dopo.”

Kara annuì con la testa, e Daniel riprese a raccontare. “Come dicevo abbiamo trovato segni di una civiltà, e segni di una recente spedizione di quella che ora sappiamo essere la tua gente. E delle macchine antropomorfe molto avanzate.”

“Cylon.”

“Una volta seppelliti i morti, abbiamo iniziato una campagna di scavi archeologici per scoprire cosa fosse successo alla città e agli insediamenti intorno ad essa. Tu cosa puoi dirci, Kara?”

Kara avrebbe tanto voluto dirgli di andarsene all’inferno. Aveva appena scoperto che la base della sua religione, del suo popolo, non era quella che tutti credevano un dogma inviolabile. Che non erano stati creati dagli dei, ma da altri esseri umani…

“Millenni orsono, Kobol era una terra desolata e senza vita” iniziò a recitare Kara, come la sacerdotessa del tempio di Artemide aveva fatto durante le lezioni di religione quand’era bambina. “Una terra che gli Dei decisero di benedire con la vita umana. La loro benevolenza trasformò Kobol in un mondo verdeggiante e ricco di vita. Gli Dei furono così soddisfatti del loro operato che decisero di eleggere Kobol a loro dimora, vegliando sui loro figli e guidandoli lungo la loro vita. Ma un dio invidioso della loro armonia iniziò a seminare discordia tra gli dei e gli umani, tra le Tredici Tribù e tra le divinità stesse. Fu così che la Tredicesima Tribù, guidata da una visione, decise di lasciare la sua terra natale alla ricerca di una nuova casa e di un nuovo destino. La meta designata dalla visione era un pianeta verde di foreste e azzurro d’oceano, chiamato Terra. Le tribù rimaste cercarono di ritornare all’armonia precedente, ma il paradiso che era Kobol in principio era ormai perduto per sempre. Le divinità iniziarono ad abbandonare il pianeta una ad una, e i loro figli decisero di seguire l’esempio della Tredicesima Tribù. Dodici carri dei cieli vennero approntati, nonostante le suppliche della dea Athena, protettrice di Caprica. Niente fermò l’esodo delle Dodici Tribù di Kobol fino alle loro nuove patrie, le Dodici Colonie. Il cuore spezzato dal dolore, Athena salì su un’alta rupe per guardare l’esodo della sua tribù, e sopraffatta, si tolse la vita.”

Kara ricordava di aver pianto per la dea, da bambina. Pur essendo stata consacrata ad Artemide e Afrodite il giorno della presentazione al tempio, aveva sempre considerato Athena molto affascinante. Una vera eroina tragica. Pregava sempre le due dee protettrici, ma c’erano volte, momenti particolari, un cui chiudeva gli occhi e chiedeva alla dea della sapienza di guidarla. Lo aveva fatto quando aveva deciso di lasciare la casa di sua madre da ragazzina. Quando aveva pianto nella sua stanza d’ospedale dopo che il dottore le aveva detto di scordarsi di diventare una giocatrice di Piramide professionista. Quando al funerale aveva capito che non era davvero innamorata di Zak, quanto di suo fratello maggiore. Quando dopo la notte con Lee aveva capito che non poteva portarlo giù con lei, ed era tornata da Sam. Quando aveva visto quella luce abbagliante nella tempesta e per un attimo le era sembrato di cogliere il volto della dea, come lo aveva sempre immaginato…

Ma niente era vero. Athena, Afrodite e Artemide non esistevano. Aveva pregato per anni la benevolenza di tre fantasmi.

Daniel stava per dirle qualcosa, quando una voce di donna interruppe il silenzio, facendo voltare Kara verso la direzione da dove proveniva.

Era una ragazza di poco più giovane di lei, con lunghi capelli mossi e arruffati nonostante fossero legati in una coda, vestita con un paio di pantaloni pieni di tasche, una canotta e una camicia che dovevano aver visto giorni migliori. La ragazza continuava a urlare saluti nella loro direzione, muovendosi agilmente nella foresta da dove proveniva fino ad arrivare di fronte a loro.

“Ma guarda chi si vede!” esclamò felice abbracciando Daniel. Daniel, un po’ imbarazzato, le diede un paio di pacche sulla spalla, e sospirò sollevato quando la ragazza lo lasciò andare.

“Sono io che ho perso la cognizione del tempo, o è un viaggio non in programma?”

“La seconda che ha detto, dottoressa Crenshaw.”

“Colonnello, ci conosciamo da due anni ormai. River va più che bene. O’Neil, sempre un piacere vederla. E chi abbiamo qui… una recluta? Primo viaggio attraverso lo Stargate?”

“No e sì. River, ti presento Kara Thrace” disse Daniel. “Kara, lei è la dottoressa River Cranshaw, l’archeologa che dirige il campo di scavo di cui ti ho parlato.”

River tese subito una mano a Kara con un gran sorriso “Piacere! Non si vede tanta gente nuova da queste parti, pertanto sono molto felice di conoscerti, Kara!”

Kara non fece il minimo gesto di ricambiare il saluto, e questo smorzò l’entusiasmo di River… per cinque secondi.

“Daniel, devi assolutamente venire a vedere lo scavo. Ho trovato delle cose molto interessanti!”

Jack disse che andava bene, e che quindi sarebbero andati tutti. Sam, Daniel e River procedevano in testa, parlando di materie scientifiche. Kara li seguiva a distanza, assieme a Jack, il quale aveva dichiarato per il suo gesto che le discussioni di quei tre gli davano sempre il mal di testa.

Kara aveva appena annuito a quel che aveva detto, aveva la testa altrove. Dopo vari minuti di silenzio però, Jack non riuscì a tacere oltre.

“Kara, capisco che sia stato uno shock per te.”

“Davvero, signore? Non credo possa.”

“Forse no, ma so come ci si sente quando si scopre che la realtà è un po’ diversa da quello che si credeva.”

“L’eufemismo del secolo.”

“Non significa che la tua religione sia falsa. Non sappiamo niente di cosa o chi adorassero gli Antichi.”

“Non è questo. Non solo, almeno.”

“Allora cos’è?”

“Daniel dice che parte della mia lingua parlata deriva dalla lingua di questi Antichi. Questo Stargate, costruito dagli Antichi, collega la Terra a Kobol. Eppure è la prima volta che li sento nominare.”

“Neanche noi li nominiamo da tanto. All’inizio pensavamo che gli Stargate fossero opera di un’altra razza. Poi abbiamo iniziato a mettere insieme i pezzi del puzzle, anche se non certo grazie al loro aiuto.”

“Perché?”

“Gli Antichi studiavano uno stato dell’esistenza chiamato ascensione, in cui si esiste in forma di pura energia. Molti di loro sopravvivono in questo stato, ma hanno regole molto severe riguardo l’interferenza con le razze non ascese. In pratica stanno a guardare.”

“Come delle vere divinità.”

“In certi pianeti una volta ascesi sono stati scambiati per dei. Forse è quello che è successo qui. Adoravate, non so…”

“Afrodite” suggerì Kara senza guardarlo negli occhi.

“Afrodite… Adoravate Afrodite, avete visto un’Antica ascendere, e bam!, avete pensato che lei fosse Afrodite.”

Kara lo fissò con aria perplessa “Sta forse cercando di consolarmi, generale?”

Jack la fissò un momento, ponderando la risposta, ma fu sollevato dal non doverlo fare quando River annunciò che erano arrivati al campo. Anche Kara si sentì sollevata. Quella conversazione stava prendendo una piega che non le piaceva.

Il gruppo di studiosi accolse la visita imprevista con molto entusiasmo. Come River aveva detto, non si vedeva molta gente nuova, e la cosa meritava di essere festeggiata. Kara però non trovava niente da essere allegra, e scusandosi si allontanò dal gruppo per stare da sola.

River la osservò allontanarsi, e fermò Daniel che stava per seguirla.

“Lasciala stare. Deve digerire quanto ha scoperto. E poi cosa vuoi che capiti?”

“Ne sei sicura?”

“Sì, Daniel, va tranquillo.”

Daniel sembrò crederle, e tornò dagli altri. River fissò Kara sparire nella foresta e sorrise enigmatica.

Lei starà attenta che non le succeda niente.”

 

 

  
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