Crossover
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Autore: Jade MacGrath    31/05/2007    1 recensioni
[Crossover Battlestar Galactica/Stargate SG-1/Stargate Atlantis] [incompleta]Quando il capitano Kara Thrace si è diretta verso l'occhio di quella tempesta spaziale, aveva finalmente compreso che Leoben e l'oracolo avevano ragione: il suo destino l'attendeva dall'altra parte. Ma non aveva idea che includesse un anello di metallo chiamato Stargate, la città di Atlantis, e una guerra per la salvezza di due galassie...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Telefilm
Note: Cross-over, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Kara era ritornata fino allo Stargate, desiderosa di guardare di nuovo la pittura parietale della camera. Tracciò con le dita la sagoma del teatro dell’opera, e di quel che rimaneva del Tempio e del Foro. Seguendo i resti, vide che sulle colline che sovrastavano la città c’era un altro insediamento. Una città bellissima, che le ricordava Caprica City… no, ancora più bella. Stava contemplando l’affresco, quando un rumore la fece voltare di scatto. Non c’era nessuno, ma per un secondo le era sembrato che ci fosse un’altra persona nella stanza con lei, anzi, accanto a lei. Quella strana sensazione passò in secondo piano quando Kara vide l’altro affresco sulla parete opposta. Anche se era altrettanto rovinato, mostrava chiaramente la distruzione della Città degli Dei. Mostrava anche…

Kara dovette guardarle da vicino per crederci. Certo, sapeva che per giungere fino alle Colonie i suoi antenati si dovevano essere serviti di navi spaziali, ma non aveva mai visto niente di simile. Se l’artista era stato fedele alla cosa reale, si trattava di navi enormi e dall’aspetto molto avanzato. Anche la più moderna Battlestar sarebbe sparita al confronto.

Se le Dodici Tribù erano partite con navi così avanzate, perché c’erano voluti secoli prima di riappropriarsi della tecnologia necessaria?

E che cosa aveva provocato la distruzione?

Kara di nuovo si voltò di scatto. Di nuovo la sensazione di essere osservata da molto vicino. Ma continuava a essere sola.

“Andiamo, Kara… i fantasmi non esistono.”

E le anime dei morti su Kobol non sono perse per sempre, checché se ne dica in giro, pensò per rincuorarsi. Ma finì col pensare a Crashdown, Socinus, Elosha e a tutti gli altri. Al momento in cui la flotta si era riunita e tutti insieme erano andati alla Tomba di Athena, dove avevano trovato la mappa olografica che li avrebbe condotti alla Terra. E in effetti, anche se aveva subito rimosso quei pensieri blasfemi dalla testa, si era domandata come fosse possibile che ci fosse una mappa olografica per la Terra se la Tredicesima tribù aveva lasciato Kobol duemila anni prima delle altre tribù. E soprattutto perché fosse dalla prospettiva terrestre. Come se qualcuno fosse tornato e l’avesse creata, ma era impossibile…

O no?

Sentì qualcuno ridere piano alle sue spalle. Stavolta ne aveva la certezza, c’era qualcuno!

“Ti sei divertito abbastanza! Fatti vedere!”

Dall’oscurità emerse una ragazza dai capelli lunghi e scuri, vestita in jeans e maglietta. Una degli archeologi, di sicuro.

“Scusami, è solo che li fissavi ad un modo… gli affreschi, intendo” disse indicando la parete accanto a Kara. “Credevo di essere l’unica.”

“A quanto pare no. Spero però che con te non ti arrivino alle spalle a tradimento.”

“Scusa, non volevo. Una brutta abitudine dura a morire. Io sono Althea. Tu sei Kara, giusto?”

“Le notizie viaggiano veloci.”

“Siamo in venti qui, direi proprio di sì” disse Althea avvicinandosi a Kara e agli affreschi. “Affascinanti vero?”

“L’altra parete di sicuro. Questa non so come leggerla.”

“La parete di destra rappresenta Kobol come paradiso, dove gli Antichi e gli umani vivevano in completa armonia. L’altra rappresenta la caduta di quel mondo perfetto e l’esodo dei sopravvissuti.”

“Avete teorie sull’accaduto?”

“Dimmelo tu” disse Althea fissandola attentamente con i suoi occhi verdi. “Mi sembrava fossi intenta a riflettere proprio su questo.”

“Forse loro… forse questi Antichi un giorno hanno deciso che non volevano più giocare a essere divinità e hanno distrutto la civiltà che avevano creato.”

“Forse c’erano altre ragioni, dietro quel gesto. E se volevano realmente spazzare via quella civiltà, perché hanno permesso che quelle dodici navi partissero?”

“Svista.”

“O speranza. Forse speravano che qualsiasi orribile gesto i loro simili avessero compiuto, loro avrebbero fatto in modo di non ripeterlo.”

“Di che diavolo parli?”

Althea sembrò tentennare “Ecco… abbiamo trovato dei resti umani. Credo che in una certa fase della loro storia, gli abitanti di Kobol abbiano praticato il sacrificio umano rituale per ottenere il favore degli dei.”

“Non ci crederò mai.”

“Vivere è più facile se si tengono gli occhi chiusi.”

Kara lanciò un’occhiata piuttosto dura alla ragazza “E tu che ne sai, eh? È la tua vita che è stata appena sconvolta?”

“No. Ma so quel che dico. Ignorare quello che vedi funziona fino a un certo punto. Oltrepassalo, e non ti sarà più possibile far tornare le cose come prima.”

La voce di Althea era diventata così triste che Kara si domandò per un istante che cosa intendesse davvero. Stava per chiederglielo, quando la ragazza si ricompose e ricominciò a parlare degli affreschi.

Le espose anche una sua teoria un po’ folle su come queste pitture fossero in realtà opera di un Antico.

“Insomma, non mi credono molto, ma ha un suo senso… sappiamo che i superstiti sono fuggiti su navi lantiane, e che gli Antichi o sono morti o ascesi. Ma se uno o più di loro sono rimasti a testimoniare l’evento di persona, forse hanno anche voluto documentare la cosa, usando poi lo Stargate per raggiungere la Terra dove gli altri Antichi si erano rifugiati dopo l’evacuazione di Atlantis. Spiegherebbe la presenza della mappa olografica nella Tomba di Athena, no?”

“Navi lantiane? Atlantis? Ma di che parli?”

“Partiamo dall’inizio. Atlantis è la città degli Antichi, e un tempo si trovava sulla Terra. In lingua antica il pianeta si chiama Atlantus. Atlantus, Atlantis. Poi gli Antichi partirono lasciando sulla Terra un avamposto, e trovarono una nuova dimora su un pianeta quasi totalmente ricoperto d’acqua. Lantea. Non tutti però lasciarono quella che consideravano la loro galassia natia, e rimasero nei pianeti che avevano eletto a loro patrie, a proteggere le popolazioni che si erano insediate sotto di loro. I contatti venivano mantenuti, e così gli Antichi rimasero uniti nonostante le distanze enormi tra le due galassie. Così vennero anche a sapere della minaccia dei Wraith, forse l’unica forza in grado di sconfiggere la razza Antica. Impossibilitati ad aiutarli più di quanto già fatto, gli Antichi rimasti ascesero o raggiunsero la Terra, dove i profughi di Atlantis erano giunti dopo aver inabissato la loro città su Lantea.”

Althea scrollò le spalle “O almeno è quanto penso io. Forse però dovrei limitarmi a studiare gli affreschi, è molto più semplice...”

La ragazza sorrise a Kara, ma lei continuava a fissarla in modo strano.

“C’è qualcosa che non va?”

“Sai molte cose su Kobol. E sugli Antichi.”

“Sono un’archeologa e un membro del progetto Stargate, è il mio lavoro.”

Kara però aveva la netta sensazione che ci fosse dell’altro. Prima che potesse parlare, Althea – di nuovo – la anticipò, dicendole che era meglio che facesse ritorno al campo.

“Non vieni?”

“No, sono di turno qui. Gli affreschi potrebbero dirmi ancora molte cose. Quando si smette di parlare e si inizia ad ascoltare, non c’è limite alle cose che si possono apprendere.”

Kara le lanciò un’occhiata che voleva dire ‘Come ti pare’, e salutata l’archeologa fece ritorno al campo. Subito si trovò davanti River. Kara dovette fare del suo meglio per non stralunare gli occhi di fronte alla studiosa.

“Meno male, stavo per mandare qualcuno a cercarti! Visto cose interessanti mentre eri in giro?”

“Ho parlato con un’archeologa… mi ha mostrato gli affreschi nella camera dello Stargate.”

“Chi? Ti ha detto il nome?”

“Althea.”

River annuì “Sì, Althea è forse la persona più qualificata qui su Kobol a parlare di quegli affreschi e degli Antichi che vivevano qui. Strano che ti abbia parlato. Non parla con chiunque.”

“Striscia alle spalle di chiunque, però.”

“Brutta abitudine, ma dopo un po’ ci si abitua. È stata lei a trovare la Tomba di Athena, sai?”

“E la mappa per la Terra.”

“Già. La mappa. Una bella sorpresa. Forse puoi dirci anche tu qualcosa” disse passando all’improvviso alla lingua di Kara. Kara la fissò stupita, e River le spiegò che aveva trovato il testo che lei chiamava Rotoli Sacri di Pythia durante le esplorazioni del territorio.

“Sono un genio e un’autodidatta, combinazione pericolosa quando alla sera non si ha niente da fare a parte tentare di decifrare una lingua sconosciuta.”

“Forse puoi aiutare Daniel. Abbiamo ancora qualche piccola difficoltà.”

“Sta scaricando i miei appunti in questo preciso istante. Appena ha fatto, andremo alla tomba.”

 

Andare alla tomba per Kara fu come camminare nei ricordi. La scoperta che Adama non aveva la minima idea di dove fosse la Terra. La delusione che aveva provato, e che l’aveva spinta più delle parole di Laura Roslin alla sua defezione durante il volo di prova del Raider cylon entrato in loro possesso. Il ritorno in quella terra radioattiva e distrutta che una volta era Caprica. Il ritrovamento della Freccia di Apollo dal museo di Delphi. Il bacio di Lee al suo ritorno.

Lee…

Non riusciva nemmeno a immaginare cosa stesse passando. Sicuramente credeva che fosse saltata in aria con il Viper. Di sicuro, le avevano reso gli onori militari. L’ammiraglio probabilmente aveva fatto un discorso sul suo coraggio e sul suo personalissimo codice di condotta. Magari c’erano state anche lacrime. E sicuramente un sacco di sbronze in sua memoria. Chissà come se la stava passando Sam. Se fosse riuscita a rivederlo, gli avrebbe chiesto perdono per avergli sconvolto la vita per colpa della sua paura di amare Lee. Dove l’aveva portata? Per salvare l’uno, aveva sacrificato l’altro, incastrandolo in un matrimonio che non doveva essere celebrato in primo luogo…

“Kara?”

“Eh?” disse la ragazza riscuotendosi dai suoi pensieri. Daniel evidentemente si aspettava una risposta, quindi doveva averle chiesto qualcosa…

“Ti ho appena chiesto come siete arrivati su Kobol, tu e la tua gente.”

“È stata una catena di circostanze. Abbiamo scoperto Kobol mentre cercavamo fonti di sostentamento per la flotta. Dopo che un nostro Raptor è stato abbattuto dai Cylon, che ci avevano teso una trappola, Laura Roslin, la Presidente della Flotta, mi ha convinto a non andare per la missione di salvataggio concordata. Mi ha detto di ritornare su Caprica per ritrovare un oggetto che nelle scritture era indicato come il primo indizio per trovare la Terra.”

“Una freccia d’oro?” chiese River, che camminava di fronte a loro.

“Noi la chiamiamo Freccia di Apollo. Messa in posizione, attiva una mappa olografica.”

“Sì, è quanto mi ha detto” disse River, non sentita dagli altri. Ad alta voce disse che la tomba si era conservata in modo superbo, ma che era un attimo sconcertata dalle dodici tombe vuote. Kara si fermò di colpo.

“Vuote? Ma non è possibile, nella Tomba sono sepolti i dodici capostipiti delle Tribù di Kobol!”

“Spiacente, Kara. Tutte vuote. Non hanno mai ospitato nessuno, e fidati, ne sono certa.”

Un altro colpo alle certezze del suo passato. Kara non aveva più la forza di protestare oltre. D’un tratto provò il moto improvviso di correre allo Stargate, passarlo, tornare sulla Terra e non uscire dalla sua stanza alla base per il resto dei suoi giorni.

La tomba era esattamente come la ricordava, con le tombe e le statue a raffigurazione delle Dodici Tribù. Daniel l’aveva guardata incredulo quando lei gli aveva detto i loro nomi: Aerelon, Aquaria, Canceron, Caprica, Gemenon, Leonis, Libris, Picon, Sagittaron, Scorpia, Tauron, Virgon. Elaborazioni dei nomi delle costellazioni zodiacali visibili dalla Terra. Era uno dei pochi punti su cui erano pienamente concordi quando si veniva ai Rotoli Sacri, l’unico che non sarebbe mai stato contraddetto. River tirò fuori dal suo zaino la Freccia di Apollo, avvolta in un panno di stoffa, e la mise in mano a Kara.

“Direi che l’onore spetta di nuovo a te.”

Kara strinse le mani intorno all’oggetto, e camminò verso la statua che rappresentava Sagittario, l’arciere. Appoggiò la freccia tra le mani della statua, e come la volta precedente questo fece chiudere la porta d’ingresso della tomba, facendo sobbalzare chi non lo sapeva. E dopo un momento di totale oscurità, Kara si ritrovò sullo stesso prato di due anni prima a guardare nel cielo le dodici costellazioni che avevano sempre identificato le Colonie.

Daniel era senza parole. Aveva già visto tecnologia Antica in azione, ma quella mappa era straordinariamente realistica e molto ben eseguita.

Kara con il braccio indicò una nebulosa “Noi la chiamiamo Nebula Ionia. È l’unico corpo celeste che abbiamo riconosciuto. Stiamo… Stanno viaggiando in quella direzione.”

“Per noi quella è NGC 6523. Cinquantamila anni luce di distanza dalla Terra” disse Carter, staccando solo allora gli occhi dalla nebulosa e fissando Kara.

“Non sono una distanza impossibile… rimane il fatto che con la tecnologia hyperdrive che ci hai descritto, Kara, non saranno qui ancora per un po’. Almeno un paio d’anni, forse di più.”

“Un paio d’anni, forse di più” ripeté Kara, cercando di non pensare al peggio. Ma anche se non includeva i Cylon nell’equazione, sapeva come le risorse della Flotta erano strettamente razionate. Aveva provato sulla sua pelle il rischio di morire di fame perché le macchine per la preparazione degli alimenti avevano prodotto cibo contaminato. Il tylium, che alimentava i motori delle navi, era sempre più difficile da reperire man mano che si andava avanti. Bastava anche solo un altro guasto ai serbatoi dell’acqua, o ai sistemi di depurazione, e nessuno sarebbe mai arrivato a destinazione…

Improvvisamente sentì di nuovo quella strana presenza, come nella camera dello Stargate poco prima. Si guardò intorno, ma nessuno sembrava aver percepito niente. Kara scosse la testa, dandosi della stupida. Dopo l’incontro con Althea, ora ogni rumore strano la faceva innervosire.

Usciti dalla tomba, la squadra decise di ritornare sulla Terra. Daniel ringraziò River per gli input che gli aveva dato sulla lingua di Kara, e le assicurò che appena possibile sarebbe venuto a darle una mano. River sorrise serena, e li salutò con la mano mentre varcavano a uno ad uno il portale.

Chiuso il wormhole, sospirò e mise le mani sui fianchi con un’aria seccata.

“Non avevamo deciso che te ne saresti stata buona in disparte, accidenti a te?”

L’avrebbero presa per matta, ma avrebbe di nuovo avuto un’altra bella discussione con quello spirito che nessun’altro a parte lei vedeva, e che a quanto pareva dopo quattromila anni aveva scordato il significato del verbo ‘attendere’.

 

Una volta tornati all’ SGC, Kara fece quello che si era ripromessa di fare, ovvero si rannicchiò in un angolo della sua stanza in completa negazione. Ma quella condizione non durò molto, sostituita da un sentimento di impotenza che le serrava lo stomaco e la faceva sentire inutile. Due, tre anni, forse di più. Per una flotta in quelle condizioni, praticamente una vita. Aveva cercato di convincere Carter e O’Neil che dovevano aiutarli a trovare la strada, e che non potevano lasciar fare al caso o agli Asgard (così aveva capito si chiamavano gli alieni che l’avevano salvata), ma nessuno dei due aveva capito lo stato di bisogno in cui si trovava la Flotta Coloniale. O’Neil l’aveva zittita definitivamente usando l’argomento Cylon contro di lei, dicendole che se era vero che inseguivano la flotta, quel segnale se captato da loro li avrebbe condotti diritti alla Terra. E tra Replicanti e quel che rimaneva dei cosiddetti Signori del Sistema, non si potevano permettere un’altra minaccia incombente.

La cosa che più la faceva arrabbiare era che, sentito chi erano questi nemici, dava loro ragione. I Cylon non ti rendevano schiavo all’interno del tuo corpo, e non ti infilavano le dita nel cervello per sondare la tua mente e usare poi le loro scoperte per distruggere la galassia. No, i cylon volevano solo loro, e a parte testate nucleari e navi non schermate non avevano altre forme di offesa. Non avevano detto che non avrebbero offerto aiuto quando sarebbe arrivato il momento, ma avevano messo in chiaro con Kara che anche loro avevano nemici che desideravano solo annientarli.

Arrendendosi all’evidenza e a quella che aveva tutta l’aria di una leggera depressione, Kara lasciò che Carter si occupasse di aiutarla a inserirsi nella nuova società. Questo significava trovare un lavoro e magari un posto dove stare. La lingua ora le permetteva di farlo, cosa che non era pensabile nove mesi prima. Carter le spiegò che sarebbe stata in prova per un mese, per vedere come se la cavava, ma che se c’erano problemi poteva tornare alla base in qualunque momento. Kara, una volta messo piede fuori il complesso di Cheyenne Mountain, iniziò a pensare che magari le cose non sarebbero andate male. Era viva, era sulla Terra. E un futuro sereno e luminoso forse non era così da sopravvalutare.

Tale stato d’animo durò esattamente il tragitto da Cheyenne Mountain all’appartamento che una volta era stato del gigante di colore di nome Teal’c, che aveva intravisto alcune volte mentre era all’SGC. Anche lui non era della Terra, e da quanto aveva capito da Sam, il suo tentativo di vivere fuori non era andato granché bene. Di sicuro il marchio che aveva in fronte non aiutava. E a proposito di marchi, aveva deciso che prima possibile si sarebbe liberata del tatuaggio che aveva sulla spalla e prima ancora del cerchio alato che aveva sull’avambraccio. Se la spiegazione sul primo era stata abbastanza semplice, anche perché non aveva un significato vero e proprio, Sam l’aveva fissata stupita quando aveva spiegato che quel tatuaggio era, in un certo senso, la sua vera nuziale.

“Mio marito porta l’altra metà. L’idea era quella di avere qualcosa che simboleggiava la nostra unione… quando ci abbracciavamo il disegno si completava.”

“E che è capitato ad Anders, Kara?” chiese Sam senza staccare gli occhi dalla strada.

“Io, Sam. Gli sono capitata io. Ma immagino che sposare qualcuno per tutte le ragioni sbagliate non sia esattamente la ricetta della felicità. Dista ancora molto?”

“No, non molto” rispose il colonnello, che decise di ignorare il cambio di discorso di Kara. Il capitano non aveva avuto problemi a parlare di quanto successo fin da quando i Cylon avevano distrutto il suo pianeta, di fornire quante più informazioni possibili sui suoi nemici e qualche dato sulla flotta militare e civile che avevano permesso di stimare quell’ipotetica data di arrivo. Ma appena si accennava a lei come persona, si arrivava ad un muro invalicabile. La dottoressa Lam aveva parlato di varie fratture risalenti all’infanzia e compatibili con una situazione di abuso domestico, e di un ginocchio che aveva subito la cosiddetta ‘triade infausta’, ovvero la rottura dei legamenti collaterale tibiale e crociato anteriore e la lesione del menisco mediale. Lam aveva ipotizzato che Kara una volta fosse una dedita a qualche disciplina sportiva a livello agonistico. Un paio di volte Sam aveva dovuto volgere lo sguardo altrove perché si era ritrovata a fissarle le dita delle mani, che Kara muoveva e fletteva quando era nervosa e che lei sapeva spezzate di netto sotto la seconda falange. Ancora una volta si domandò che cosa celasse Kara nel suo passato, e se mai si sarebbe fidata a parlarne.

L’arrivo all’appartamento interruppe le sue riflessioni, e parcheggiata la macchina aiutò Kara con i suoi pochi bagagli e la accompagnò fino alla porta della sua nuova casa. Sam le sorrise incoraggiante, e Kara aprì la porta dell’appartamento. Era spartano, ma in un certo senso le ricordava l’appartamento di Delphi. E decise di considerare quel ricordo una cosa buona, almeno per il momento. Sam aveva iniziato a spiegarle le regole di quell’esperimento, come contattarli se c’erano problemi, e un minimo di punti di riferimento per iniziare a girare nei dintorni. Kara la ascoltava distrattamente, intenta a guardare fuori dalla finestra. Case. Alberi. Gente che andava e veniva. Bambini. Un mondo in pace, che non sapeva niente della guerra.

Sam se ne andò qualche minuto più tardi, dopo essersi assicurata che Kara stesse bene.

Sam ancora non aveva la minima idea di quanto buona fosse la faccia da poker di Kara.

 

 

  
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