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Autore: lady vampira    13/11/2012    0 recensioni
Può un sogno dare la forza ad un'anima piagata da un'esistenza di brutture di andare ancora avanti? Anja ne è convinta. Almeno finché quello stesso sogno, attraversando il confine tra reale e irreale, non muta nel suo peggiore incubo ... saprà continuare a lottare ancora?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2


 
Un nuovo giorno, che però ha ancora tutto di quello vecchio. Dopo aver accompagnato Jasmine a scuola, sono rientrata a casa e ho iniziato a sbrigare le faccende quotidiane. Un’attività in cui riesco a trovare uno sprazzo di quiete. 
Per un momento. Perché ho appena cominciato a dare lo straccio ai pavimenti, che immediatamente, il cellulare preistorico che tengo solo per le emergenze si mette a ballare la break-dance sul piano del tavolo, dato ch’è in modalità vibrazione. 
Guardo il display. E’ Rosalyn. Strano … è uscita stamattina all’alba per andare al lavoro, giù in caffetteria. Che abbia dimenticato qualcosa a casa?
Rispondo. << Ross, tesoro, che succede? >>.
<< Ehm … niente, sono in ospedale >>. 
Il respiro mi si spezza in gola. << Come, in ospedale?! >>.
<< Ehi, calma, respira, sto bene. Solo, ho avuto un attacco di appendicite e adesso devono operarmi. Senti, ho già chiamato Coop, gli ho detto che mi sostituisci tu >>.
Qualcuno a sentire così s’incazzerebbe, direbbe che la mia “amica” è stata un’irresponsabile e prepotente. 
A me si spezza il cuore. Ha pensato subito a me. 
<< Ho una settimana di prognosi >>.
Una settimana di vita normale. Una ventata d’aria fresca. 
<< Santo cielo, Rosalyn … oddio … >>.
<< Non nominare il nome di Dio invano, Anastasia >>.
<< Hai ragione, scusa >>, mormoro asciugandomi la lacrimuccia ribelle che mi si forma all’angolo dell’occhio. << Quando comincio? >>.
<< Se ci vai adesso è meglio. Tra un … be’, diciamo una mezz’ora Cooper sarà nei casini neri, quindi potresti già avviarti >>.
<< Ross >>.
<< Sì? >>.
<< Grazie >>.
Lei fa un piccolo sbuffo, e se la conosco, di certo avrà scosso le spalle. << E di che? >>. 
<< Passo a trovarti dopo il lavoro, okay? >>.
<< Okay, vai. A dopo >>. 
Chiudo la conversazione come un senso di … liberazione. 
Sono sette giorni. 
Abbastanza per riprendere fiato per sette anni. 
Scendo immediatamente, prendo la bici parcheggiata nel sottoscala e mi avvio. Sono appena dieci minuti di tragitto, e appena mi presento sulla soglia, Cooper mi sorride. Spesso, mi sono fermata qui con Jasmine al suo ritorno da scuola, a prendere una cioccolata o un dolcetto. Mi conosce ma non tanto bene da sapere il mio “altro” lavoro. 
<< Ehi, ciao Annie, come va? >>. Lui mi chiama Annie, dice ch’è troppo vecchio per mettersi a imparare novità linguistiche. In realtà ha solo sessant’anni, e non li dimostra neppure, con quella camicia di flanella blu e verde che fa da sfondo ai blu jeans e a un velo di barba brizzolata. 
E’ evidente ch’è preoccupato, ha la fronte aggrottata, e gli occhi chiari si muovono da un angolo all’altro del piccolo, delizioso locale pulito e accogliente, dalle mura azzurre e i banconi splendenti, le vetrine perfettamente tenute e un profumo invitante. Niente tanfo di fumo rancido o alcol passato, dopobarba scadente e … 
Basta. Ora sono qui. 
E devo pensare soltanto a questo. 
<< Bene, grazie. Mi ha chiamato Ross … >>.
<< Come sta? Sarei voluto andare con lei ma non me l’hanno permesso >>.
<< Sta bene, è tutto sotto controllo. Appena possibile la operano … io andrò a trovarla dopo il lavoro >>.
<< Okay. Non serve che ti dica niente, vero? >>.
<< Magari servisse, … significherebbe che finora sono stata a rigirarmi i pollici! >>, sorrido, e lui di nuovo. 
<< Allora, puoi cominciare subito. Le divise sono nell’armadietto nel retro, e dopo puoi fare la doccia nello spogliatoio >>.
<< Okay, grazie mille, Coop >>.
<< Grazie a te, mi hai appena salvato la vita, Annie >>. 
Mi cambio e mi metto al lavoro, l’allegra confusione e il via vai di gente disperata che fugge dagli uffici per concedersi un attimo di pausa non mi disturba. Sono persone “sane”, almeno apparentemente, non applaudono, sorridono gentilmente e mettono le mance nel barattolo accanto alla cassa, non nelle mutande di chi li serve. 
Approfitto di un istante di relativa calma per dare una spolverata al piano della macchina del caffè. E’ così che sento solo la voce del cliente ch’è appena entrato, e non lo vedo. 
<< Salve. Un decaffeinato da portare via, per favore >>.
<< Subi … to >>, biascico, voltandomi e … 
Guardandolo. Ritrovandomi davanti il mio sogno, in carne, ossa e … tutta la sua disarmante, eloquente, inevitabile bellezza.  
A volte la vita sa essere davvero maligna. Ti fa vedere cose strane, che ti fanno prendere un colpo. 
Sento il sangue defluirmi dalle guance, dalle mani, da ogni parte del mio corpo e rincantucciarsi stretto stretto in un remoto angolino del mio essere. Spaventato a morte. 
Il fiato mi esce dalla gola a sprazzi, d’un tratto davanti ai miei occhi vedo solo ombre indistinte che mi traballano intorno. 
Il mondo si ferma per un secondo. E’ un viaggio lungo milioni di anni, in orizzontale; e anni luce, in verticale. Vengo balzata indietro all’istante puro e perfetto in cui la materia è esplosa e ogni suo pezzo di massa incandescente è rotolato via dal centro informe e pulsante ch’era per dar vita a qualcosa di nuovo e completamente diverso. Testimone del Big Bang, della creazione. 
Tornata alle origini. Non potrebbe esistere definizione più adatta di questa. 
Ora ho una vaga idea di cosa siano le “esperienze di premorte“. Perché sono sicura che almeno per qualche istante il mio petto e quello che c’è dentro ha smesso di contrarsi e dilatarsi, l’ossigeno non è più affluito al cervello e di conseguenza, sono andata in blackout. Ma in fondo a questo tunnel non c’è nessuna luce bianca, solo la realtà che ho lasciato un attimo fa dall’altra parte. 
No, non è una cosa strana. Non è uno scherzo della mia immaginazione. E’ lui. E’ reale. E’ … qui, di fronte a me, separato da me soltanto da questo bancone e dallo schermo nero dei suoi occhiali da sole. 
Immediatamente li sfila e con un suo semplice battito di ciglia, riprende a battere anche il mio cuore. Forte. Più forte. 
Ancora più forte. 
Dicono che in modo o nell’altro tutto ciò ch’esiste viene dalle stelle.
Guardando lo splendore di questi occhi mi rendo conto ch’è vero.   
<< Signorina? Si sente bene? >>.
Solo adesso mi accorgo anche dell’espressione con cui mi fissano: sgranati, e stupiti in riflesso ai miei. Infilo con fare noncurante una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sorrido gentilmente, come niente fosse stato. 
<< Ehm, io … sì, naturalmente. E’ solo un po’ di stanchezza, mi scusi >>.  
<< Ma si figuri, ci mancherebbe. Sicura di star bene? >>.
<< Sì, certo. Grazie >>. Preparo immediatamente il caffé sforzandomi di non avere un altro calo di lucidità, e glielo porgo. 
Maledizione. Troppo tardi mi rendo conto che avrei dovuto lasciarlo sul bancone. 
Perché appena mi sfiora le dita ho come l’impressione che mi si apra la terra sotto i piedi. 
<< Grazie, signorina >>, mormora, e inclina dolcemente la testa biondissima, dello stesso colore della luce del giorno. 
<< Prego. Le auguro una buona giornata >>. 
Lui si volta e si dirige alla cassa, aspetto che esca e chiamo un attimo Cooper. 
<< Scusa, Coop, ti spiace? Dovrei … andare un istante alla toilette >>.
<< Okay, cara, vai tranquilla >>. 
Mi asciugo le mani nel grembiule e vado svelta nello spogliatoio. Mi chiudo la porta alle spalle e appoggiandomi al muro, congiungo le mani allo sterno e stringo tra le dita il piccolo crocifisso d’oro sospeso alla catenina, l’ultimo regalo di mia zia Rita, l‘unica che mi volesse bene, lì al paese, e l’unica che abbia tentato di opporsi al mio matrimonio. Ha avuto appena il tempo di vedermi, prima di morire per un attacco cardiaco. Ho sempre pensato fosse stato a causa mia, si è spenta dal dispiacere nel vedermi costretta a sposarmi contro la mia volontà. 
Non riesco a reggere oltre. Due lunghe lacrime roventi mi scorrono sulle guance, scivolano giù fino alla mandibola e s’infrangono sulle pulitissime piastrelle azzurro oceano sotto le mie scarpe da ginnastica bianche e nere. 
Grazie. Grazie. Grazie. 
Grazie, mio Signore, grazie. 
Passo le dita sotto gli occhi ed esco, inspiro a fondo. 
Ho appena vissuto l’istante più bello della mia vita. 
Il resto della giornata va via in un baleno. Mi sembra arrivato fin troppo presto il momento di staccare e andare a prendere Jazz all’uscita da scuola. 
Mia figlia è bellissima, e non lo dico perché, per l’appunto, è mia figlia. La guardo raggiungermi con un sorriso incredibile come i suoi occhi nerissimi, profondi come l’abisso e sconfinati come il cielo di notte. Somigliano molto ai miei, ma sono molto più belli, i suoi. Innocenti. Lei non ha visto quasi nulla, delle brutture che la vita ha presentato a me. Prego Dio ogni giorno che non debba mai vedere nulla. Io faccio del mio meglio … non mi piace mentirle, ma lei non sa niente del mio vero lavoro. M’illudo dicendomi che non capirebbe … ma in realtà so che comprenderebbe benissimo, e lo giustificherebbe anche. 
Ed è questo che non voglio. Che debba credere fin d’ora che l’esistenza altro non è che un compromesso. Lei non dovrà mai scendere a compromessi, mai. 
Mi getta le braccia al collo e mi stringe, i suoi capelli corvini mi solleticano il naso. Ha sette anni ma ne dimostra almeno dodici, uno stelo rigoglioso in boccio. E in questo non mi assomiglia … io sono piccola e nonostante la gravidanza sono rimasta anche piuttosto esile, a parte i seni. 
E’ anche merito di questo se … posso fare il mio mestiere. Se fossi rimasta sfigurata, con una pancia cadente piena di smagliature o con la cicatrice di un cesareo, amen. 
Forse sarebbe stato meglio. 
Ma oggi sono troppo grata al cielo, al destino, alla vita per pensare a queste cose tristi. Ho incontrato il mio angelo. Mi ha parlato, mi ha sfiorato la mano con la sua. 
Ora sto stringendo l‘altro mio bene più prezioso. E ho davanti una settimana di tregua. 
Non c’è altro ch’io desideri.
<< Ciao, mamma! >>. 
<< Jazz, amore! Hai avuto una buona giornata? >>. 
<< Oh sì, mamma! Oggi abbiamo imparato la tabellina del quattro, e io la so già tutta! >>.
<< Sei fantastica, Jasmine. La mia bimba è un genio! >>. L’abbraccio ancora. Santo cielo, persino mia figlia mi sembra ancora più luminosa, tenera e acuta. Tutto intorno a me splende, e vibra, e pulsa, e riecheggia di nuove note. 
<< Andiamo a casa? >>.
<< No, tesoro, dobbiamo andare in ospedale. Zia Ross è stata ricoverata >>.
<< Perché? >>.
<< Un piccolo intervento. E io la sostituisco per questa settimana, quindi la sera posso stare a casa con te >>.
<< Davvero!? Oh, mamma, è bellissimo! >>. 
<< Sì, tesoro. E’ bellissimo >>. Le porgo la mano, e lei la stringe nella sua, piccola e bruna come la corteccia di un giovane albero ma liscissima. << Lo è davvero >>. 
  
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