Crossover
Segui la storia  |       
Autore: Jade MacGrath    02/06/2007    1 recensioni
[Crossover Battlestar Galactica/Stargate SG-1/Stargate Atlantis] [incompleta]Quando il capitano Kara Thrace si è diretta verso l'occhio di quella tempesta spaziale, aveva finalmente compreso che Leoben e l'oracolo avevano ragione: il suo destino l'attendeva dall'altra parte. Ma non aveva idea che includesse un anello di metallo chiamato Stargate, la città di Atlantis, e una guerra per la salvezza di due galassie...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Telefilm
Note: Cross-over, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
New Page

 

 

Due anni più tardi

 

 

“Attivazione Stargate!” disse il Capo Harriman dalla sua postazione al comando Stargate. Il generale Landry, alle sue spalle, gli chiese se si trattava di amici o nemici.

“Ricevo un codice di identificazione. È l’SG-4.”

“Aprite l’iride!” ordinò il generale, e la squadra fece la sua comparsa dallo Stargate.

“Maggiore! Allora, com’è andata? Avete incontrato gli Ori?”

“No, signore” rispose il maggiore Kara Thrace, facendo passare avanti il membro ferito della sua squadra. “È andato tutto benissimo fino a quando Jameson qui ha pensato bene di offendere la figlia del capovillaggio.”

“Non è colpa mia se sgualdrina e danzatrice nella sua lingua sono praticamente uguali” aveva fatto per giustificarsi il giovane tenente, ma chiudendo subito la bocca appena Landry e Thrace lo fulminarono con lo sguardo.

“Appena Jameson sarà fuori dall’infermeria, vi aspetto per il briefing post missione.”

“Sissignore” disse Kara, e congedata la squadra si diresse verso il suo alloggio. Quasi subito iniziò a massaggiarsi le tempie per cercare di alleviare il mal di testa che le stava arrivando a tutta forza.

Era a metà strada, quando sentì Daniel chiamarla.

“Kara! Bentornata! Com’è andata su P5X-092?”

“Uno spasso fino a quando non ho dovuto scambiare le nostre medicine e il C-4 che avevamo per la vita di Jameson. La tua giornata?”

“Tranquilla. La squadra oggi era a riposo, quindi mi sono dedicato alle mie ricerche.”

“Buon per te. L’unica cosa a cui mi voglio dedicare ora è un letto, fino a quando Landry non mi convocherà per l’incontro post missione. Ho un mal di testa che mi sta uccidendo.”

“Sì, anche Cameron… ovvio, scusa. Non ti trattengo allora. Porta pazienza, andrà via prima o poi.”

Kara fece una smorfia e salutò Daniel, poi arrivò alla sua stanza, e si buttò sul letto. Fatto poi un respiro profondo, prese dal comodino la boccetta di aspirine e ne mandò giù due con un bicchier d’acqua. Rimettendole a posto, fissò le foto che teneva sul comodino. Fotografie che testimoniavano la svolta imprevista presa dalla sua vita in quei tre anni passati sulla Terra. Alcune con Lynn, che aveva convinto a tornare nel mondo militare e che ora serviva all’SGC. Una con Daniel, che appena aveva realizzato quanto fosse veloce ad apprendere lingue antiche aveva iniziato a farle studiare un idioma dietro l’altro nei momenti di calma.

Ne aveva addirittura una col colonnello McNamara. E pensare che lo odiava, all’inizio. Le aveva reso l’addestramento l’inferno in terra. Poi una volta su suolo nemico, le cose erano cambiate. Ora nutriva per quell’uomo un rispetto e una riconoscenza che rivaleggiavano solo con quello che provava per l’ammiraglio Adama, prima che le desse del cancro che andava rimosso e la disconoscesse da figlia adottiva. Sapeva perché Adama le aveva detto quelle parole, ma non cambiava il fatto che le avevano fatto un male d’inferno, soprattutto perché da quel momento in poi il loro rapporto non era più tornato quello di prima. McNamara le aveva ripetuto fino alla nausea che lei poteva essere di più di quello che era o credeva di essere, e l’aveva sfidata a provargli che aveva torto. Kara alla fine aveva ripagato la fiducia accordatale limando qualche spigolo del suo carattere e diventando uno dei cinque piloti migliori del suo corso. Ma le cose erano differenti, ora. Kara lo aveva sentito guardandosi allo specchio appena indossata l’uniforme dell’Aeronautica Militare degli Stati Uniti. Appariva diversa, e si sentiva diversa. Aveva una seconda possibilità, e questa volta avrebbe fatto del suo meglio. I suoi demoni dormivano, e le sue paure erano state ridimensionate. Per la prima volta si sentiva in controllo della sua vita.

Dopo l’anno di addestramento aveva passato sei mesi in Iraq a combattere per il paese che le aveva dato asilo, ed aveva fatto ritorno al comando Stargate con una cicatrice sul lato destro del collo e il grado di maggiore. In tre mesi era passata da componente di una squadra SG periferica al comando della SG-4, e finora nessuno si era lamentato.

Kara si raggomitolò sul letto in posizione fetale, cercando di non lamentarsi. Il mal di testa stava aumentando a livelli esponenziali, e poteva voler dire solo una cosa.

 

Cameron Mitchell bussò piano alla porta di Kara, che fu tentata di mandarlo al diavolo appena percepita la sua presenza al di là della porta.

“Cristo, Cameron, mai sentito parlare di aspirine e antidolorifici?” sibilò Kara, che rimpiangeva di stare troppo male per poter urlare.

Cameron si sedette sulla sedia vicino alla porta, poggiando la testa contro il muro e sfregandosi le tempie.

‘Parlare fa peggio.’

‘Esci. Dalla. Mia. Testa. Mitchell.’

‘Volentieri, Thrace… ah, non posso perché quel maledetto ci ha legati ed è sparito prima che potessimo costringerlo a disfare il link!’

‘Non urlare, mi scoppia la testa… e il mal di testa non è nemmeno mio!’

‘Preparati, perché starai così anche domani. Quando mi prende così forte non c’è aspirina che tenga. Scusa.’

Senza aprire gli occhi, Kara cercò a testoni il cuscino e glielo lanciò contro. Pensò poi alla vendetta perfetta che si sarebbe presa per quella tortura, che se non aveva contato male sarebbe capitata all’inizio della settimana prossima.

‘Ehi, questo non è carino. Ti ho chiesto scusa.’

‘Non me ne faccio un accidente, al momento. Mal di testa, crampi e dolori alla schiena. Solo allora saremo pari, Cam.’

Kara sorrise alla leggera ondata di panico che sentì provenire da Cameron.

‘Benvenuto nel mio mondo. E ora va via, ti prego… ho speranze di stare meglio solo se stai a debita distanza, e devo vedere Landry.’

‘E anche questo tipo di conversazione sta facendo male. Mettiti una borsa di ghiaccio in testa, qualcosa fa.’

Kara fece il segno ok con la mano, e poi si rigirò nel letto mettendosi un braccio sugli occhi. Cameron le inviò la sua simpatia, e Kara per tutta risposta gli indicò la porta.

Erano due settimane che condividevano pensieri ed emozioni, e Kara non ne poteva più. Era iniziato tutto come una missione di routine della SG-1, che avrebbe agito con l’appena costituita SG-4. Poi Vala – ovviamente – era stata notata da qualcuno dei suoi vecchi ‘amici’, che aveva pensato bene di fargliela pagare per essere stato mollato nei casini dopo un colpo andato male. Aveva però confuso il veleno che intendeva somministrarle con una droga nuziale, e poi il caso aveva fatto il resto, facendo bere il vino drogato non a Vala bensì a Kara e Cameron. Con i due leader fuori combattimento, le due SG inviperite erano andate a caccia del responsabile che però aveva pensato bene di sparire nel nulla. Passati i primi giorni in cui combattevano il legame con tutte le loro forze e stavano ad un passo dall’impazzire, si erano arresi all’evidenza che più combattevano, più peggiorava. Con l’accettazione le cose erano leggermente migliorate, ma non cambiava il fatto che ora né Cameron né Kara potevano avere segreti, e questo innervosiva Kara all’infinito. Il fatto che avesse superato i suoi problemi non voleva dire che era pronta a condividerli con qualcuno che conosceva appena. Ma aveva percepito che anche Cameron aveva i suoi. Una volta aveva sentito una sua riflessione relativa a qualcosa di terribile capitato durante una missione in guerra per cui si sentiva responsabile. E una volta che venne menzionata l’Antartide, oltre a sentire un fiero disgusto del continente, aveva visto chiaramente nella sua testa un’immagine di Mitchell ferito gravemente tra le lamiere del suo aereo da combattimento. Avrebbe voluto chiedere qualche spiegazione, ma avrebbe significato aprirsi… ed era una cosa che mai avrebbe fatto volontariamente. Certe volte però sentiva lo sguardo di Cameron su di sé quando pensava di non essere visto, e si domandava cosa lui avesse involontariamente percepito da lei.

Per quando Landry convocò lei e la squadra, il mal di testa era tornato a livelli normali e riuscì a gestire l’incontro senza troppi scatti di nervi. Dopodiché, si fece dare un passaggio e se ne andò a casa. Se voleva dormire, doveva mettere quanta più distanza possibile tra lei e Cameron.

Dopo che era tornata dalla guerra, Lynn l’aveva più o meno costretta a cambiare aspetto alla casa. Kara l’aveva fatto controvoglia, anche se aveva capito che Lynn lo stava facendo con le migliori intenzioni e voleva solo distrarla dai brutti ricordi che albergavano nella sua testa. Avevano comprato mobili che avevano poi montato insieme, dipinto le pareti, cercato coperte, tende, cuscini e ogni altra cosa possibile che rientrasse sotto la dicitura ‘decorazione da interno’.

L’unica cosa su cui non l’aveva spuntata era stato incorniciare la rappresentazione su tela della mandala che aveva dipinto sul muro della sua casa di Caprica, uguale al simbolo che aveva trovato sull’avamposto lasciato dalla tredicesima Colonia, e alla tempesta dentro cui era volata. L’aveva appesa in soggiorno, come ricordo costante della sua illuminazione, di quanta strada aveva fatto per arrivare dov’era, e di dove la sua strada aveva iniziato a divergere da quella della sua gente. La Flotta Coloniale non era ancora in vista, e Kara stava sentendo la speranza di rivedere la sua gente svanire a poco a poco ogni giorno. Carter le aveva detto che la sua stima del tempo era approssimativa e poteva essere stata troppo ottimista, ma Kara non poteva fare a meno di pensare che quella troppo ottimista, forse, era lei. Comunque, neanche i Cylon si erano mostrati, e tutto considerato era meglio così. Con la minaccia degli Ori nella Via Lattea, e quelle rappresentate da Wraith e Replicanti nella Galassia di Pegaso, sinceramente non riusciva a pensare ad un altro nemico da affrontare. Magari gli Ori sarebbero stati felici di spazzare via dall’universo un’altra razza infedele, ma non osava sperare in tanta fortuna.

Come non osava sperare di essere inclusa nella missione Atlantis, prima o poi. Ma appena aveva realizzato che Atlantis era la vera e unica Città degli Dei di cui si parlava nelle sue Scritture, aveva sentito che doveva andare a vederla, anche solo una volta. Sapeva che gli Antichi non erano divinità, ma aveva iniziato a vederli come antenati e condivideva con Daniel una grande curiosità nei loro riguardi. Tentare non costava niente, ma come aveva previsto Landry, O’Neil e McNamara le avevano detto di no. Non aveva abbastanza esperienza, era appena ritornata in servizio dopo un’esperienza traumatica, McNamara le aveva urlato che non l’aveva addestrata perché andasse a fare la balia a una spedizione scientifica in un’altra galassia, eccetera. Rimaneva però il fatto che lei per qualche caso fortuito possedeva il gene degli Antichi, e questo la rendeva d’ufficio eleggibile. E se non fosse stata convinta anni prima dalla missione su Kobol, quella sarebbe stata la prova definitiva e inconfutabile che quanto dicevano i suoi nuovi amici era la verità.

 

Il mattino dopo il mal di testa la colpì come una mazzata alla nuca nel secondo in cui entrò nell’ascensore, e urlò telepaticamente a Cameron quanto lo stesse odiando in quel momento.

‘Ehi, bionda, tu almeno hai dormito stanotte!’

‘Mi pare il minimo, Mitchell. Il minimo!’

Continuarono a bisticciare fino a quando Kara non fu nel suo ufficio, attirandosi occhiate perplesse lungo tutto il percorso da parte di chi non sapeva cosa le fosse successo e fosse stupito dal suo comportamento. Kara mandò giù un’altra aspirina, e pregò che a Cam passasse in fretta.

Chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi, e fece qualche respiro profondo. Non era molto per la meditazione, ma aveva scoperto che qualche tecnica di base era ottima per limitare il contatto. Altrimenti non ci sarebbe stato verso di finire i rapporti post-missione che l’attendevano. Guardò il suo portatile, e inviò un ringraziamento ai suoi dei per quel piccolo agglomerato di tecnologia che le aveva semplificato il lavoro. Per colpa dei cylon computer tanto avanzati erano solo un ricordo nelle Colonie. E ringraziò gli dei anche per FreeCell, con cui perdeva più tempo di quanto fosse disposta ad ammettere.

A metà del secondo rapporto, Kara dovette chiudere il portatile e posare la testa sulla sua superficie fredda. Il mal di testa stava crescendo di nuovo d’intensità a ogni secondo, cosa che significava che Cameron stava venendo da lei. Ma era un sadico o cosa?

“No, non sono un sadico” disse il colonnello entrando. “Ho una notizia che ti farà felice.”

“Hai trovato una medicina che funziona?”

“No. Ho trovato il bastardo.”

Questo fece sollevare la testa di Kara e stringere i suoi pugni con aria bellicosa.

Cam annuì “Abbiamo pensato la stessa cosa. Partiamo tra mezz’ora, ti aggreghi all’SG-1. È un problema?”

“Il mio problema sarà riuscire a non ammazzare quel figlio di puttana se non riusciremo a fargli sputare un antidoto” disse Kara alzandosi. Sopportando il dolore che si stavano infliggendo, i due soldati si prepararono a passare lo Stargate con la squadra di Mitchell. Kara guardò l’indirizzo del pianeta, e notò che era territorio della Lucian Alliance.

“Sarà saggio? Non siamo esattamente benvoluti, soprattutto dopo com’è andata lo scontro contro le navi madre Ori al Supergate.”

“Non è necessario che lo sappiano. Andiamo, lo mettiamo alle strette, prendiamo l’antidoto, e ce la filiamo” disse Carter. Kara e Cameron la fissarono con la stessa occhiata dubbiosa e pensarono che di norma quello che prevedevano e quel che succedeva, raramente coincidevano.

Quando Kara poi afferrò per il collo Thalian e lo sbatté contro un muro per farlo parlare, dopo avergli sferrato uno dei suoi famosi ganci destri, fu lieta che per una volta il piano coincidesse con gli eventi.

“Mi dispiace!”

“Un po’ meno dispiacere e un po’ più aiuto, che ne dici?” ringhiò Cameron a fianco di Kara.

Thalian fissò implorante Daniel, Carter, Vala e Teal’c, ma nessuno sembrava interessato a interferire con l’operato dei due soldati.

Alla fine disse loro che li avrebbe aiutati, e Kara lo lasciò andare, tornando a passarsi una mano sulla fronte. Il ladro tirò fuori dalla tasca due pendenti verdi identici, e glieli fece vedere.

“Sono catalizzatori. Dovete portarli sempre… alla fine faranno svanire la connessione.”

“Quando? Dopo un giorno, una settimana…”

“Questo dipende.”

“Dipende da cosa?” sibilò Kara, facendo indietreggiare l’uomo.

“Da quanto il legame è forte! Non si può stabilire a priori l’intensità, è soggettiva!”

‘Sto seriamente provando il desiderio di ammazzarlo.’

‘Per quanto ti capisca… meglio di no. Abbiamo questi affari… vediamo come va.’

‘E se è una fregatura?’

‘Gli diamo la caccia e lo ammazziamo.’

‘Per me va benissimo.’

“D’accordo” disse Kara dopo il colloquio telepatico con Mitchell “Abbiamo deciso di crederti. Ma se solo tenti di fregarci, giuro sugli Dei di Kobol…”

“e sul mio Dio…” aggiunse Cam.

“… che ti faremo rimpiangere il giorno in cui hai tentato di avvelenare Vala. Non che non ti comprendiamo su questa cosa, comunque.”

“Ehi!” esclamò Vala, mentre Daniel la fermava dall’intascarsi qualcosa di piccolo e prezioso. “Non è molto carino da parte tua, Kara.”

“È maggiore Thrace per te, e francamente da quello che ho letto sui tuoi precedenti…”

“Ah, vedo che avete già conosciuto i molti talenti della signora Mal Doran…”

Thalian si trovò di nuovo contro una parete ad essere squadrato in cagnesco da Kara e Cameron, ma questa volta a loro si era aggiunta anche Vala.

“Chi diavolo ti ha detto di parlare?”

“Hai qualche desiderio di morte?

“Mi hai dato della signora? Non mi sono mai sentita tanto offesa in vita mia!”

Thalian deglutì nervosamente. Alla fine Carter si avvicinò e disse ai tre che era ora di andare. Un’altra minaccia di morte da parte di Kara più tardi, il gruppo ritornò allo Stargate pronto a far ritorno sulla Terra.

Thalian li guardò svanire da lontano, con odio negli occhi. Non si capacitava ancora di come fosse riuscito a sbagliare ampolla, ma meno male si era accorto dell’errore prima di uccidere sua moglie. Tuttavia, l’essere stato messo alle strette a quel modo dall’SG-1 gli bruciava. Parecchio. Ma avrebbe riferito tutto ai suoi capi… e li avrebbe informati che la lista nera si sarebbe allungata di un nome, precisamente quello del maggiore Thrace e della sua squadra SG. Essere stato scovato nel suo nascondiglio e colpito in pieno viso da una donna era un’umiliazione che Kara avrebbe pagato cara, ed era una promessa che Thalian fece ai suoi dei.

 

Ci vollero altri tre giorni, prima che a connessione iniziasse a scemare. Kara ne era oltremodo lieta. Ultimamente stava sognando il Galactica e la guerra, e l’ultima cosa che voleva era che Mitchell le facesse domande a cui non voleva rispondere. Ma alla fine Cameron semplicemente non ce la fece più a contenere la sua curiosità, e di ritorno da una missione trascinò Kara in un ufficio vuoto. Certo, aveva letto il rapporto su come Kara era arrivata sulla Terra, ma un conto era immaginare. Un altro, vedere i suoi ricordi. E  c’erano cose che non riusciva a piazzare… Kara parlava di una tendopoli, durante il periodo che definiva ‘di New Caprica’, eppure sapeva che aveva vissuto in un appartamento dove non le mancava niente, con un uomo e una bimba. Descriveva l’ammiraglio Adama come un padre adottivo per lei, eppure l’aveva ripudiata nel momento più difficile della sua vita dicendole che per lui lei non era niente. I cylon erano nemici, eppure un suo amico era sposato ad una di loro e avevano addirittura un figlio, una deliziosa bambina di nome Hera.

Cam voleva delle risposte, ma più andava avanti a parlare più si rendeva conto che Kara si sarebbe arrampicata sugli specchi piuttosto che colmare le lacune. Allora decise di giocare onestamente, e le disse che per ogni spiegazione che avrebbe ricevuto, lei avrebbe potuto chiederne una a lui. Vagamente tranquillizzata, Kara smise di cercare di andarsene abbattendo la porta e si voltò verso Cameron, che le raccontò della battaglia d’Antartide contro le truppe di Anubis e di come fosse quasi morto. Kara raccontò di quando era rimasta ferita e quasi senza ossigeno in una luna deserta, e di come era riuscita a salvarsi. Arrivata al momento in cui Adama era venuto a trovarla in infermeria, Cam chiese spiegazioni riguardo al modo duro in cui l’aveva trattata in quell’altra occasione.

Prima che Kara parlasse, Cam vide dei flash nella sua testa: di nuovo l’appartamento con quell’uomo e la bambina, Kara ed un uomo più anziano senza un occhio seduti ad un tavolo a bere, ed infine Kara davanti allo specchio, con uno sguardo quasi allucinato, che tagliava i lunghi capelli biondi con un coltello.

Sospirando pesantemente, Kara disse che era un insieme di fattori.

“Quello l’ho capito e visto. Quali?”

“Quando siamo fuggiti da New Caprica… io non ero nella resistenza, come ho detto. Ero una dei prigionieri liberati.”

Cam ripensò all’appartamento monocromatico, alla bambina, e Kara annuì. Il ricordo successivo fu quello in cui Kara uccideva Leoben con le bacchette di metallo e poi riprendeva a cenare, come niente fosse. Gli fece vedere anche che per quante volte lo eliminasse, lui ritornava sempre, e tutto ricominciava da capo.

“Quel Cylon mi ha fatto credere che la bambina, Kacey, fosse mia. Su Caprica…quando cercavo la Freccia di Apollo… loro mi avevano catturata. Avevano tentato di sottopormi a degli esperimenti. Ancora adesso non so se Leoben mi ha mentito del tutto sulla faccenda, mischia sempre bugie e verità quando parla…”

Cameron non riusciva a immaginare come fosse riuscita a sopravvivere ad una tortura psicologica di quel genere, soprattutto considerando che nessuno l’aveva aiutata ad uscire dal disordine da stress post traumatico che chiaramente aveva. Kara replicò che avevano altro a cui pensare che a tenerle la mano, ma il colonnello non era d’accordo.

“Avrebbero dovuto. Avrebbero dovuto capire che qualcosa non andava.”

“Se non fossi finita al limite della mia sanità mentale, non sarei qui. E non penso che tu abbia una storia equivalente da raccontare.”

“Potrei raccontarti la storia della mia interminabile fisioterapia. Anche quella è stata una discreta tortura.”

Kara gli fece un sorriso tirato, e adocchiò la porta.

“Abbiamo finito?”

‘Kara, di cosa hai paura?’

“Non ho paura, Cam. È solo che, come tutti, non voglio parlare di certe cose. E ora che abbiamo appagato le rispettive curiosità, posso sperare di non tornare sull’argomento mai più?”

“Ho letto il tuo fascicolo.”

Kara si irrigidì di colpo, sapendo benissimo cosa significava.

“So cosa è successo in Iraq.”

‘Basta così, Cam. Perché mi stai facendo questo?’

‘Perché stai facendo la stessa cosa che hai fatto dopo New Caprica. Sei in negazione.’

‘McNamara mi ha portato a calci dal terapista della base appena tornata, era la condizione perché potessi venire qui. Lui ha detto che potevo tornare al lavoro. Non è niente come New Caprica… e che ne vuoi sapere tu di New Caprica, eh? C’eri forse?’

‘Ho i tuoi ricordi, tu che dici?’

E prima che Kara potesse protestare, Cam le fece vedere chiaramente che intendeva. La tenda che divideva con Sam, suo marito. Le difficoltà dell’insediamento. Le riserve che erano ad un passo dall’essere definitivamente esaurite. I Cylon che apparvero nel cielo un anno più tardi, e la flotta che se ne andò senza di loro. Leoben.

Kara poteva andarsene, ma non lo fece. E per vendicarsi usò i ricordi dell’Antartide e dell’Afganistan contro Cameron, che sapeva essere i ricordi più dolorosi. Come aveva previsto, Cameron smise, e anche lei fece lo stesso.

“Una manciata di ricordi e un fascicolo non bastano a conoscermi, Mitchell. Chiaro?”

Kara quasi lo travolse quando corse fuori, e non smise fino a quando non si trovò fuori dalla base in sella alla sua moto. Era stata forse il primo acquisto che aveva fatto appena aveva iniziato a ricevere lo stipendio, ed era un surrogato ideale quando voleva andare veloce e non poteva volare. Sentì la presenza di Cameron nella sua testa per un secondo ancora – dispiacere, scuse – e poi la sua testa fu di nuovo sua. Spinse l’acceleratore al massimo, e sparì dalla vista.

 

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Crossover / Vai alla pagina dell'autore: Jade MacGrath