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Autore: lady vampira    16/11/2012    2 recensioni
Cosa succede se una ragazza approdata a Berlino da un paesino di montagna si ritrova coinvolta nell'equivoco più emozionante della sua vita con l'uomo dei suoi sogni? Scegliere tra sincerità e amore non è semplice, e se di mezzo ci si mette anche un coinquilino moooolto particolare con i suoi saggi consigli ... fate voi!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7



Sei mesi dopo. 
<< Sì, arrivo! Dannazione, Kosta, quante volte ti ho detto di controllare se avevi preso le chiavi prima di uscire! Possibile che devi rompere sempre quando sono sotto la doccia! >>. Vera si asciugò frettolosamente i capelli ora corti sulle spalle, sfrangiati e intervallati da qualche ciocca rosso rame. 
E non erano cambiati soltanto quelli. 
L’ultima casa editrice cui aveva inviato il suo manoscritto, ovvero l’ultima estrema speranza era stata anche quella giusta, e aveva deciso di pubblicarlo. 
E tutto il suo mondo si era capovolto nuovamente. 
Aveva potuto permettersi un nuovo appartamento, con un nuovo padrone di casa cortese e sorridente. 
Aveva potuto permettere a Kosta di sceglierle qualcun altro di quei vestiti che gli piacevano tanto, anche se a malincuore, perché le ricordavano qualcuno che avrebbe preferito dimenticare. Anche se sapeva che non sarebbe mai potuto accadere, se non per un forte trauma cranico. E non era troppo disposta a scommetterci. 
Aveva potuto mandare un gruzzoletto su ai suoi perché si potessero permettere quel viaggio di nozze che trent’anni prima non si erano concesso. Fare dei regali ai suoi nipotini, e alle sue sorelle. Non si era mai resa conto di quanto contassero davvero per lei … finché non aveva capito cosa si provava a perdere qualcuno che si amava profondamente. E aveva compreso che se a volte le nascondevano le cose, non era perché non si fidassero di lei … ma perché in qualità di “piccola di casa” volevano soltanto proteggerla. 
Aveva inviato un raro bulbo di vero tulipano nero olandese al signor Roth, e un paio di nuovi occhiali da sole a Saki, per il Natale passato, senza ovviamente dar nome del mittente.  
Aveva fatto pace con Sylvie, che si era “redenta” e adesso stava con Stefan. Erano usciti tutti e quattro assieme appena qualche sera prima ... E avevano invitato anche Carol, che si era un tantino ammorbidita adesso che stava con Algot, uno svedese trapiantato a Berlino che faceva il disegnatore e che aveva incontrato grazie al romanzo di Vera, per l’appunto.  
Sarebbe stato tutto perfetto … quasi, perfetto. Se non fosse stato per un piccolo, “trascurabile” dettaglio. 
Le mancava qualcosa. Una cosa che nemmeno se avesse posseduto cento volte tanto la cifra che aveva ora in banca avrebbe potuto comprare. 
Però, aveva avuto modo di estinguere il suo debito. Gli ultimi cinquemila euro, rimasti nella scatola degli orecchini erano tornati indietro intatti. Ma tutti gli altri glieli aveva restituiti a mezzo assegno … a nome di Kosta, sperando che lui non capisse di chi si trattava - improbabile - e anche per un altro motivo. 
Il suo ultimo segreto. O poteva anche considerarla l’ultima bugia … anche se non era proprio tale.
Avvolse il grande telo di spugna blu e verde attorno al corpo snello fresco di doccia e andò ad aprire, ciabattando scocciata. << Ma io non so come accidenti fai, puntualmente esci e lasci le chiavi dentro … sei fortunato che non ero ancora andata a dormire, sennò dormivi sul pianerottolo, dormivi … >>. Tirò con forza la maniglia e si voltò di scatto come un giocattolo a molla, tornando indietro; solo in un secondo momento, a metà corridoio, non udendo passi calzati che seguivano i suoi nudi si girò di nuovo e alzò lo sguardo su quello che credeva essere il suo coinquilino … ma non lo era. 
<< Perché sei qui? E come hai fatto a trovarmi? >>, domandò subito, dura, inflessibile, a mò di saluto. Il visitatore tardivo e inatteso schioccò la lingua e appoggiandosi di taglio all’architrave, sollevò la mano che stringeva tra due dita inanellate un rettangolo di carta stampata e firmata. 
<< Che domande. Mi hai lasciato un assegno nella cassetta delle lettere, quando sono andato al tuo vecchio indirizzo e non ti ho trovata mi è bastato fare un salto in banca >>.
<< Avrei voluto fare un bonifico, ma non avevo gli estremi del tuo conto bancario. E lasciarli in contanti mi pareva un po’ eccessivo. Come hai capito ch‘ero io? >>.
<< Semplice. Non conoscevo nessun Konstantin Schelder … ma avevo sentito parlare di un certo Kosta. E guarda caso, da una persona cui avevo dato esattamente la stessa cifra segnata nell’assegno. Non sono ancora così rimbambito, sai? >>. 
Lei tacque. 
<< Posso entrare? Non per niente, ma sono rientrato giusto stamani da un tour mondiale ho tutte le ossa a pezzi e quindi stare in piedi come uno stoccafisso sulla porta non è proprio il genere di attività che mi vada di fare adesso >>.
Vera si scostò a malapena, aprendogli il passaggio. Lui entrò e si guardò attorno nel corridoio dai muri color pesca, arricchito di piccoli dettagli in una gamma cromatica dal dorato all‘arancio, i colori dell’alba … per ammirarli meglio sfilò gli occhiali. << E così, ora abiti qui … è davvero carino. Congratulazioni. E … mi è giunta voce anche del tuo primo successo letterario. Congratulazioni anche per quello >>.
<< Grazie >>.
<< Sono curioso di leggerlo. Neanche quella è una delle mie attività preferite, ma per te farò volentieri un’eccezione >>.
<< Che gentile. Ma ancora non hai risposto alla mia prima domanda. Perché sei qui? >>.
<< Per restituirti questo. Davvero credi che possa volere i tuoi soldi? >>, le chiese, smettendo i convenevoli e guardandola dritta negli occhi. 
Lei accusò il colpo, ma resse quello sguardo. Santo cielo, quegli occhi … quanto le erano mancati. In sei mesi, non aveva trascorso una sola notte senza rivederli in ognuno di quelli istanti in cui li aveva incrociati con i suoi, ora seri, ora brillanti di malizia, ora dolcissimi, ora aperti su una dimensione inconoscibile ai più, dove esistevano solo loro due. Sei mesi di quella tortura, ogni notte. << Non sono miei. Sono tuoi. Te li dovevo >>.
<< Non mi dovevi nulla. Io ho acquistato qualcosa. Ho pagato l’illusione di aver trovato una persona che finalmente fosse sincera con me, e con cui potessi esserlo io. Qualcuna che si meritasse la mia fiducia. Peccato che alla fine mi sia costata cara … Mi è costato qualcosa che non potrò più avere indietro >>. 
Lei non rispose. 
<< Pensi forse che se mi avessi detto subito ch’era un equivoco, non avrei voluto più vederti? >>.
Ancora silenzio. 
<< Okay, a quanto vedo è inutile parlarne >>, sospirò, arreso, sedendosi sul divano in morbida alcantara azzurro vivo, l‘unica nota di colore assieme al tappeto nello spazioso living - room tutto nei toni del panna e del bianco. 
<< Non hai nessun diritto di dirmi nulla >>, sbottò lei di colpo, punta perché lei non l‘aveva invitato a sedersi. Sperava di mandarlo via il prima possibile data la situazione ma ... Così le aveva reso le cose più difficili. 
Almeno secondo lui. Perché se lei avesse voluto davvero buttarlo fuori quello non sarebbe stato un problema. << Io avrò anche sbagliato, ma tu? Mi hai preso per una puttana, non pensi che debba sentirmi offesa più io, di te? >>.
<< Tesoro, eri ad un festino dove tutti gli individui di sesso femminile praticavano la più antica professione del mondo, cosa potevo pensare? >>.
<< E io che ne so? Mica me l’hai detto, cosa pensavi! Hai dato tutto per scontato e basta, non mi hai lasciato nessuna possibilità di replica! Io neanche mi ricordo cos‘è successo! >>.
Lui inspirò a fondo, giocherellando con uno dei pesanti anelli alle sue dita. << Mio fratello e i suoi degni compari mi avevano organizzato uno scherzo ignobile … e io capita l’antifona stavo appunto per andare via quando ho visto te … ed è stata una spinta più forte di ogni buon senso. Ho rivisto me stesso seduto ad un bancone a bere per cercare di non pensare ai miei guai … e mi sono avvicinato. Mai avrei pensato che finisse così. Ti eri addormentata quando ti ho riaccompagnato … non sapevo dove abitavi, e chiaramente non potevo portarti con me; così ho pensato di portarti in albergo. Ma non me la sono sentita di lasciarti da sola, così ho preso una suite con l’intenzione di andare a dormire nell’altra stanza. Ma appena ti ho posato sul letto mi hai tirato giù con te, e mi hai abbracciato. Credendo stessi dormendo non mi sono mosso, ma poi tu … hai aperto gli occhi … erano vivi. Gli occhi di una donna lucida, presente … ardente. Mi volevi e io …  non ho potuto resistere. Forse avrei dovuto >>.
<< Ti rendi conto che così avrei dovuto essere io a pagare te, e non il contrario >>, fece lei, non ancora placata. Bill sorrise appena. 
<< Te l’ho detto. Non ho potuto resistere. E questo già prima ancora che … sì, insomma, arrivassimo al dunque. Mi hai dato tutto quello che ci si aspetterebbe da una ragazza che fa quel mestiere … >>. Vera si sforzò di non arrossire, ma vide ch’era inutile, tanto l’aveva fatto anche lui e capì che stavano pensando la stessa cosa. 
Quella era stata la sua prima volta. E se lui ci aveva creduto davvero, ch’era una di quelle … “signore”,  in fondo era un bel complimento. 
O forse non era lei ad essere brava. Solo, era lui ad essere molto ingenuo. 
E questo pensiero la fece arrossire ancora di più.
Oh, dannazione.   
Cavallerescamente, Bill giunse a salvarla riprendendo il discorso. << Quella notte e tutte le altre volte. Mi hai dato tutto, e anche di più, davvero. Mi hai dato la speranza che fosse vero >>.
<< Era vero, Bill, accidenti! Perché non mi credi? >>. Vera sospirò. << Ti giuro, io non capisco. Quando credevi che fossi una escort, non ti sei mai fermato a pensare che forse fingevo quei sentimenti per spennarti meglio … e quando invece hai scoperto la verità, invece di esserne felice e perdonarmi una piccola bugia di fronte alla sincerità del resto delle mie azioni te la sei presa neanche ti avessi sterminato i tuoi adorati cani. Cazzo, sei davvero assurdo >>, sbottò, cambiando tono: da afflitto ad accusatore. 
E anche lui cambiò espressione: da mesta ad attenta. << Io? >>.
<< Sì, tu! Non te l’hanno mai detto? Sei assurdo, e sei un idiota egocentrico e narcisista, e anche un po’ stronzo, sinceramente! >>.  
<< Ah, bene … e sentiamo, potresti dirmi il perché di tutti questi complimenti? Illuminami, coraggio >>. 
<< Devo spiegartelo io? Da solo non te ne rendi conto?  Mi gioco la testa che ti interessavo perché finché ero una di quelle come minimo coltivavi il sogno di potermi redimere, o magari peggio ancora perché nel tuo piccolo universo maschilista e sciovinista, per non dire nella tua piccola mente malata eri un amante di una bravura tale che eclissavi tutti gli altri e io rinunciavo a tutto e tutti perché ero folle d’amore per i tuoi begli occhi, la tua meravigliosa voce e le tue indescrivibili doti amatorie e volevo solo te, il migliore, il nonplusultra! Poi hai scoperto che non era così, la tua bella favoletta pseudo-moralista ai limiti della misoginia è andata in frantumi e allora non ti interessavo più, ero solo una delle tante e il pensiero di avere una ragazza così … porca, diciamoci la verità, ti ha mandato in paranoia e paradossalmente, allora hai cominciato a vedermi davvero come una poco di buono >>.  
Lui la guardò attonito, a bocca aperta, travolto da quella corrente impetuosa di parole proferite senza sbagliare una sola virgola; poi, smaltito lo stupore, scoppiò a ridere. Una risata spontanea, argentea, cristallina. << Sapevo di averci visto giusto, quando ti dissi che avevi una meravigliosa vena creativa … i fatti mi hanno dato ragione. Se scrivi nello stesso modo in cui parli, hai davanti a te una luminosa carriera, tesoro >>.
Lei non stette al gioco. Ridusse gli occhi a due fessure e sbottò: << Vaffanculo, Bill, vaffanculo. Questa te la sei meritata tutta. Se impazzivi per me quando credevi di dovermi dividere con un sacco di altri uomini, e non sei riuscito a renderti conto di quanto fosse infinitamente più importante il fatto che tu sia stato per me il primo ed unico, evidentemente non sono stata la sola a raccontare bugie >>. Fece per girare sui tacchi ma lui glielo impedì, tendendosi in avanti e afferrandola per un polso con uno scatto così improvviso che lei dovette tener su il telo che la copriva con l‘altra mano.
<< Chi l’ha detto che non me ne sono reso conto? >>.
<< Il fatto che mi hai piantato, forse. Oltre a quello che non mi hai creduto >>.
<< Lo so, e mi spiace, sono stato davvero uno stronzo, su questo. Ma vedi … >>.
<< Ti prego, risparmiami la pietosa spiegazione del “ma io non ho visto sangue, generalmente quando una donna perde la verginità dovrebbe esserci del sangue, dovrebbe far male, bla bla bla, bla bla bla” perché non per tutte è uguale, sai? >>
<< Lo so >>, sbottò lui avvampando, cercando però di mantenere un certo contegno. << Però siamo onesti, se c’è qualche prova evidente c’è anche una certezza in più. Così avevo solo la tua parola e … data la situazione, mi sembrava un po’ dura da mandar giù. Ma te lo giuro, ripensandoci mi sono dato dell’imbecille. Non avresti mai potuto mentirmi su una cosa tanto importante >>. 
<< Mhmm, okay, te lo concedo. Forse non è proprio tutta colpa tua. Magari hai frequentato ragazze che ti hanno dato a bere ‘sta storia sperando di farti perdere la testa, poi hai scoperto che non era così e sei rimasto un po’ prevenuto, hai anche ragione >>.
<< A dir la verità no, e se vuoi proprio saperla tutta, la colpa è tua >>, sbottò lui, ricoprendo a sua volta il ruolo dell’accusa. E toccò a Vera difendersi.  
<< Colpa mia? Anche?! >>.
<< Certo. Non eri credibile come vergine. Eri dannatamente brava. Lo sei stata ogni volta che siamo stati insieme. Lo sei stata la prima, lo sei stata di più la seconda, la terza sei stata fenomenale, l’ultima come da copione ti sei superata … >>. Vedendo che lei non era troppo convinta, rincarò la dose e, arrossendo come sotto la sferza del sole e del vento, aggiunse: << Vera, santo cielo, la prima volta mi hai bendato gli occhi con la tua sciarpa e legato i polsi con gli slip! Come potevo pensare che non avevi mai fatto sesso prima, quando mi hai fatto cose di cui io stesso avevo soltanto sentito dire, accidenti? >>. 
Vera invece di arrossire sbiancò, e inarcò entrambe le sopracciglia aggrottando la fronte come se non volesse farsi scappare gli occhi dalle orbite, semplicemente sgranandoli. << Oh, mamma … >>.
 << Anche se in tutta onestà, per quanto eccitanti fossero non sono stati quei giochini, ad attirarmi sempre più verso di te … è stato quando ti lasciavi andare completamente, restringendo le distanze che tu stessa provavi a stabilire, avvicinandoti sempre di più a me a tua volta, che mi facevi perdere il controllo e desiderare di tenerti così per il resto della nostra vita. Quando … ho … avuto  … quell’orgasmo dentro di te … io … ho creduto di dover morire così, tra le tue braccia. E’ la prima cosa che rivedo ogni giorno appena mi sveglio e ogni sera prima di addormentarmi … Ancora adesso non riesco a togliermi quegli istanti dalla testa … temo che non potrò farlo mai più. Ma, a parte questo … come ti ho detto, non hai mai dato l’impressione di non sapere cosa stessi facendo  >>.
A Vera occorse qualche secondo per riorganizzare i pensieri. Quelle ammissioni sconvolgenti erano vere e proprie granate, ma che cazzo, erano vere e proprie palle di cannone sparate contro la muraglia innalzata dalle sue difese.
Davanti a tanta sincerità, non si poteva opporre che altrettanta franchezza, lo sapeva. Fu così che lanciò la sua sassata sperando che ricordasse anche quello. << Magari era la persona che avevo davanti ad ispirarmi quello che sentivo, che dicevo, che facevo. Non c’hai mai pensato? >>.
<< Sì, certo che sì. E ho pensato anche ad un’altra cosa >>.
<< Mhmm. Sarebbe? >>.
<< Quando ho capito che avevo fatto la cazzata più grande della mia vita, lasciandoti così, facendomi trascinare dalla rabbia per la mia fiducia tradita e non pensando al fatto che rischiavo di perdere per sempre te e tutto quello che mi avevi dato, sia a livello sentimentale che emotivo, e fisico … ho avuto il terrore che davvero fosse tardi. E che tu magari … >>.
<< Io, cosa? >>.
<< Che … tu … >>. Prese fiato, e la guardò. << Vera, hai detto che sono stato il primo e l’unico … >>.
<< Sì >>. 
<< Lo sono ancora? L’unico per te, intendo >>. 
Vera deglutì a fatica, e lui interpretò quell’esitazione in senso negativo. 
<< Okay, lascia perdere, non sono affari miei >>. 
<< Sì >>, ammise lei subito, resa senza lotta. << Sì. Lo sei ancora >>.
Lui sorrise piano. 
<< Ma hai solo la mia parola come prova. Devi decidere tu se vuoi fidarti di me o meno. Però ti avviso subito: se scegli di farlo non esiste che poi un giorno te ne vieni col dubbio, perché allora ti prenderò a calci nel sedere, e ti darò anche quelli che ti saresti meritati l’altra volta >>. 
Bill si passò le mani tra i capelli, pensieroso. Poi d’un tratto la attirò a sé, issandosela addosso e serrando le sue ginocchia ai propri fianchi; le passò una mano dietro il collo e avvicinò il suo volto al proprio, schiudendole la bocca con la propria mentre lei gli si abbandonava contro, la morbidezza della sua carne nuda che aderiva alla durezza vellutata di lui tenuta a freno dalla cerniera chiusa dei jeans. 
<< Penso che rischierò … >>, le sussurrò sulle labbra, ponendo appena la distanza di un respiro dalle proprie.  
<< Mhmm. Ma ancora non hai risposto alla mia domanda. Perché sei qui? >>. 
<< Sinceramente? Boo ha seri problemi d’insonnia … non riesce a dormire senza te >>, mormorò ancora, prima di insinuarle di nuovo la lingua in bocca, assaporandola con cura prima di farle reclinare la testa e scendere nell’incavo tra gola e orecchio, le dita che risalivano lungo la nuca, s’infilavano tra i capelli bagnati, massaggiavano il cuoio capelluto con dolcezza. 
<< Ah ah >>.
<< Io non sono un buon compagno di letto … >>, mormorò mordendole la gola, e Vera trasalì premendosi ancora più addosso a lui … che le fece scivolare la mano lungo la colonna vertebrale fino alla base della schiena. << … non quanto te … >>.
<< Ah ah >>.
<< … così te l’ho riportato … >>, mugugnò infine con la bocca contro il suo sterno, le dita che scioglievano il sommario nodo che tenevano uniti i lembi del telo e lo lasciavano cadere, inutile barriera di spugna umida. 
<< Ah >>, rispose lei, un verso a metà tra l’assenso e il gemito, che spostò il confine a favore di quest’ultimo non appena Bill planò a raccogliere tra le labbra uno dei seni che aveva appena scoperto … risucchiando l’aria tra i denti e inarcandosi tra le sue braccia, mentre stringeva ancora più forte le gambe attorno a lui. 
<< E sai … >>, riprese ancora, spostandola da sé per metterla giù sul divano, prima di strisciarle addosso con fare da felino, sinuoso, elegante, e baciarla appena sotto il plesso solare. << Boo non è l’unico ad avere di questi problemi … >>.
<< Mhmm … >>, fece lei, ormai priva di qualunque connessione con l’esterno, catturata unicamente dallo scorrere di quella bocca tanto amata sul suo corpo e dal suo inevitabile incedere verso il basso, lasciandosi dietro una scia rovente dove si era posata in un bacio incendiario, un morso incandescente o un lieve tocco caldo.
Fino in fondo.  
<< Non vorresti aiutarci? >>, le domandò suadente, appena prima di affondare nella più buia, infida e affamata parte di lei. E Vera tornò su di scatto, come un corpo galvanizzato, scossa dagli stessi spasmi muscolari di quelli causati da una potente scarica di corrente elettrica ad alto voltaggio. 
<< Sì … >>, ansimò, mordendosi poi un labbro mentre intrecciava le dita alla seta dei capelli di lui che le accarezzavano il ventre. Tornò giù solo per dargli quanto più possibile modo di sondarla. La morbidezza bagnata della lingua contro la stessa morbidezza bagnata della sua carne. Il solo pensiero era più che sufficiente a farle fiorire di boccioli roventi il sangue nelle vene. 
Ma non riuscì a permettergli di arrivare fino alla fine. Lo afferrò per le spalle e lo tirò su, armeggiando con la fibbia della cintura e la chiusura lampo dei jeans senza smettere di guardarlo. 
<< Sei cattiva però, non mi hai lasciato finire di baciarti … >>.
<< Sei tu che sei troppo bello. Resistere a lungo è impossibile … >>. Gli liberò le gambe lunghe e snelle e sorrise di quel ricordo, mentre lui tornava a baciarla, stavolta sulle labbra, le mani impazienti che si addentravano tra i suoi capelli. Gli sfilò la maglia e artigliandogli con le unghie la pelle chiara della schiena, l’unica curiosamente ancora sgombra di disegni, lo tirò a sé e scese a prendere in bocca il piccolo cerchio argenteo sul suo petto. 
Lui fremette, senza smettere di giocare con i suoi capelli si sdraiò a sua volta e si affidò alla generosa mercé delle sue labbra, che un centimetro dopo l’altro si avventurarono giù, fino all’altra meta dell’ombelico segnata da un altro anellino d’argento e poi giù, al traguardo contrassegnato dall’ultimo cerchietto … Vera lo baciò con un trasporto pari alla mancanza che aveva sentito di lui in quei sei lunghi mesi, e allungò una mano sopra la distesa marmorea dell’addome di Bill, dai muscoli appena rilevati, a cercare le sue dita mentre quella libera si muoveva con grazia assecondando il ritmo imposto dalla bocca, lento, misurato ma profondo. 
<< Vera … tesoro … >>, mormorò lui a denti stretti, aggrappandosi alla mano di lei che serrava la propria come se fosse l’unico appiglio con la ragione, con la realtà. E quasi come se si stesse servendo di quel mezzo per misurare appunto il livello di lucidità di Bill, si staccò da lui nell’istante esatto in cui stava per toccare il minimo e gli salì addosso. 
<< Aspetta >>, la fermò lui, improvvisamente vigile. Vera attese, credendo volesse recuperare dai suoi jeans un profilattico … sarebbe stato anche logico. Per lei era ancora l’unico, ma … lui cosa aveva combinato, in quei sei mesi?
Una fitta divenutale fin troppo familiare le attraversò lo stomaco. Gelosia. Era gelosa da morire anche se non lo avrebbe mai ammesso. Il pensiero di lui con un’altra … che le faceva le stesse cose che faceva a lei … che si lasciava toccare da quell’altra come da lei … quanta parte avevano avuto quei pensieri tremendi, in ogni sua notte?
Più saggio domandare quanta NON ne avevano avuta. 
Restò perciò stupita, quando quella fitta molesta venne spazzata via da una altrettanto familiare ma di genere molto diverso, che arrivava sempre e comunque allo stomaco dopo essersi diramata lungo il ventre partendo da giù, dove la generavano le dita di lui che le affondavano dentro con lentezza, impregnandosi dei suoi umori fluidi e roventi …  
<< Dopo sei mesi potrebbe far male >>, spiegò, entrando e uscendo da lei con lentezza, prima con il solo indice, poi anche con il medio. << Diamoti il tempo di abituarti >>. 
<< Sette mesi fa non credo tu ti sia preoccupato di questo, o no? >>, domandò lei con un filo di voce spezzata, ogni parola intervallata da un ansito. 
<< Non me ne hai dato il tempo. Sei andata a fondo immediatamente, tanto che hai fatto sussultare persino me. Possibile tu non abbia sentito dolore? >>.
<< Non ne ho idea. Ricordo … degli sprazzi … ma … niente … di doloroso. Però se è così … forse non avevi tutti i torti …  >>. Il ritmo delle sue dita aumentò percettibilmente, tanto che Vera chiuse le dita ad arpione sul torace di lui, il respiro sempre più affannoso, basso, irregolare. << … ad avere … dei dubbi … >>. 
<< Probabilmente sì … però è anche vero che non eri del tutto in te … perché stavi bevendo? Cattivi pensieri? >>.
<< Ad essere sincera … pessimi pensieri … ma … probabilmente … se non fosse stato … per quello non sarebbe mai finita così … >>.
<< Vuoi dire che se non fossi stata sbronza non saresti mai venuta con me? >>, domandò lui. 
<< No ma … >>. Le spinse le dita a fondo, fin quasi a toccare il limite estremo tra esterno e interno, facendola gemere. << … non per cattiveria. Non … ne avrei avuto il tempo, mi sarei preso un … ah …  un infarto prima … >>. 
<< Perché? >>.
<< Scherzi? Dio mio, tu non … hai idea di quanto ti adorassi prima di conoscerti … >>.
<< E dopo? >>.
<< Ancora di più … ah, Bill, per favore … Ma è proprio necessario parlarne adesso? >>. 
<< Nahh, solo mi piace sentirti parlare sotto l’effetto delle mie dita >>. 
Vera si bloccò di scatto, guardandolo negli occhi. 
<< Che doppiogiochista infame >>, sbottò. << Te ne approfitti perché io non posso farli con te, certi giochetti >>.
<< No? >>.
Lei alzò le braccia, lasciandole ricadere lungo i fianchi. << Be’, certo, potrei sempre provarci, ma dubito che possa buttar fuori qualcosa di comprensibile se … ho la bocca occupata >>.
<< Così? >>. La fece scendere su di sé e baciandola intensamente, la liberò dalla presa delle dita perché potesse aderire con il suo nucleo morbido e raccolto a quello più duro e istintivo di lui. 
<< Anche. Ma non solo >>, lo punzecchiò lei, iniziando a muoversi piano sopra di lui, ansiosa di sentirlo penetrare fin nei suoi recessi più intimi ad ogni istante. 
Ma lui invece non sembrava avere alcuna fretta. Posandole una mano dietro la schiena si rizzò a sedere, e affondò il volto tra i seni di lei, baciandoli, succhiandoli, mordendoli, sfregandovi le guance per stuzzicarli con l’eccitante carezza pungente della barba. Vera lo strinse a sé, planando di tanto in tanto a dar tregua al proprio petto sostituendolo con la bocca.  
 Finalmente, quando lui si decise, fu lei a fermarlo. 
<< Non vuoi … mettere niente? >>, gli domandò, timida. 
<< Perché? Forse hai paura che dopo sei mesi di pausa non sappia più quand’è il momento di farmi indietro? >>. Sorrise sornione. << O forse temi che Boo possa avermi attaccato qualcosa? >>.
Lei fece una smorfia. << Non sei divertente >>.
<< Infatti non era una battuta >>, replicò, penetrandola senza lasciarle il tempo di stupirsene, o rallegrarsi di quell’ammissione. Si fece strada in lei scivolandole dentro come se quei sei mesi non fossero mai trascorsi, come se non esistesse altro posto per lui nel mondo, nell’universo oltre quello. 
Vera lo guardò, il respiro sospeso. I suoi occhi erano immensi, profondi, il loro ipnotico calore bruno sembrava essersi espanso all’infinito in ogni direzione, per ogni dove, perfino dentro i suoi; come se il castano suo proprio altro non fosse che un riflesso, o un’estensione di quello degli occhi di lui. 
Gli passò un braccio attorno alla spalla, sfiorando con le dita la morbida peluria alla base della nuca, e senza staccare gli occhi dai suoi riprese a muoversi dolcemente sopra di lui, addosso a lui, la sua pelle candida e uniforme contro gli sprazzi di colore vivido e acceso e i riflessi argentei di quella di Bill. 
Era … così bello. Lui, i suoi tratti da ragazzino che nonostante tutto non cambiavano mai, e quella sensazione di pace, di pura perfezione cosmica … come se tutti i pianeti dentro di lei si fossero perfettamente allineati, le stelle avessero ricominciato a brillare, lo spazio vuoto e freddo tra di esse a riempirsi di nuovo di luce, di tepore che si diffondeva dal sole nel fondo del suo ventre in cerchi concentrici, allargandosi al buio circostante e spazzandolo via.
Altrettanto dolcemente venne e quando fece per scostarsi, lui la riportò giù. << Neanche adesso è un problema, Vera >>, le sussurrò svolgendole le ciocche tra le dita. Il profumo del suo respiro, della sua pelle erano come una ventata d’oceano notturno, di sabbia lunare e fiori tropicali; Vera chiuse gli occhi e lo accolse a fondo, in ogni parte di sé, sprofondandolo nel suo essere con spinte sempre più decise, mirate e quando lo sentì tremare, lo abbracciò forte. 
<< Piccola mia … >>, mormorò lui, affondando il volto nella sua spalla, tra i suoi capelli ancora umidi e profumati di miele. Inspirò e si leccò le labbra, quasi fosse un sapore nella sua bocca e non un aroma nella sua gola. << Santo cielo, quanto mi sei mancata … >>. 
Lei si lasciò andare contro di lui, a riprendere fiato. Ma appena Bill raccolse il plaid sul divano per avvolgerglielo addosso, rialzò la testa. 
<< No, Bill, no … Kosta potrebbe tornare da un momento all’altro … e non mi pare il caso di farci trovare così, nudi come due vermi … >>. 
Anche lui rialzò lo sguardo, mordicchiandosi un labbro. << Ehm … vabbè, tanto vale che te lo dico. Kosta non torna, è andato a farsi una mano di poker col resto dei Tokio … >>.
<< Che? Eravate d’accordo? >>.
<< E certo. Sai com’è … a volte è utile un coinquilino gay che sbava per la tua guardia del corpo personale … >>.
<< Quel bastardo venduto! >>.
Bill scoppiò a ridere. << Già. Chi la fa deve sempre aspettarsela, Vera … anche a sei mesi di distanza >>.
<< Mhmm … okay, spero soltanto che non abbia chiesto nulla in cambio della sua collaborazione … >>.
<< Ah certo che sì. Che tu fossi felice >>.
A questo punto Vera cambiò gioco. Fece un gran sospirone e si passò la mano sulla fronte. << Meno male. Per un attimo ho pensato che avessi obbligato il povero Saki a fare chissà cosa! >>. 
<< No, non potrei mai! Anche se forse ne sarebbe capace. Sono sicuro che si beccherebbe anche una pallottola per me >>.
<< Appunto, una pallottola, Kaulitz, non l’intera pistola … >>.
<< Vera! >>. 
Lei scoppiò a ridere. << Scusa, questa mi è proprio venuta spontanea … >>. 
Lui le scoccò un’occhiata di rimprovero bonario, e le prese la mano sfiorandole il palmo con la punta delle unghie, mentre lei tornava ad accoccolarsi contro il suo petto, l’orecchio sul cuore. 
<< Bill >>, riprese Vera, accarezzandogli il tatuaggio al centro del torace con l’altra mano. 
<< Cosa c’è? >>.
<< Adesso te lo chiederò per l’ultima volta, ma voglio che tu mi risponda seriamente >>, disse lei, puntandogli il mento nel plesso solare, per guardarlo in volto. Lui piegò la testa per incrociare il suo sguardo.  << Perché sei qui? >>.
<< E’ molto semplice. Per un solo motivo, lo stesso di sei mesi fa >>, rispose, posando la mano sulla sua. << Perché ti amo. E non voglio lasciarti mai più, Vera, mai >>.
Lei annuì, si tirò su e planò a baciarlo, trattenendo il carnoso labbro inferiore tra le sue, mordicchiandolo piano. 
<< Risposta esatta >>.
Lui inarcò un sopracciglio, quello col piercing, prima di trafiggerla con un‘occhiataccia. << E’ tutto quello che hai da dire? >>. 
<< Mhmm. Sì. Anzi, no, a pensarci bene … avrei un paio di cosette >>.
<< Ah, ecco … mi pareva strano … >>. 
<< Già. Cominciamo dalla prima. Innanzi tutto, non voglio che pensi che sono recidiva a nasconderti le cose, ragion per cui ti spiego subito il motivo per cui non te l’ho detto prima: nessuno qui a Berlino conosce il mio vero nome a parte un paio di persone fidate e al paese nessuno mi chiama più così da quando ho compiuto quindici anni, neanche i miei genitori >>. 
<< Aspetta. Mi stai dicendo che … non ti chiami Vera? >>.
Lei scosse la testa. << No >>.
<< Aha. E … l’hai cambiato perché … ? >>. 
<< Ecco, io vengo da un minuscolo paesino tra le cime innevate dei Vosgi e … be’, da quelle parti vanno forti certe tradizioni. Una di queste è dare ai figli i nomi dei nonni e dei bisnonni, o comunque risalenti a quell’epoca >>.
<< Mhmm mhmm >>.
<< E all’epoca dei nonni, andavano fortissimo i nomi di fiori, di piante … soprattutto se montane. Due mie zie, le sorelle di mia papà si chiamano Althea e Genthiana, per cui capirai bene che c’è un po’ di tutto >>.  
<< Mhmm mhmm >>.
<< Le mie sorelle maggiori sono state più fortunate. Margareta, Orthensia, Edelweiss … sono tutti nomi bellissimi, e anche piuttosto comuni. Io … non sono stata altrettanto fortunata. Vera è il diminutivo più naturale che ho trovato per il mio nome >>.
<< Okay. Quindi ti chiami …? >>.
<< Mi prometti che non ridi, se te lo dico? >>.
<< Certo. Promesso >>. 
<< Va bene >>. Sospirò, esitando. Poi si risolse, e lo guardò di nuovo, buttando fuori in u unico fiotto di fiato il suo segreto. << Vergissmeinnicht. Il mio nome di battesimo è Vergissmeinnicht >>. 
Bill strinse gli occhi, inclinò il volto, perplesso. << Davvero? >>.
<< Sì, davvero>>, sospirò lei di nuovo, rassegnata ad un’esplosione d’ilarità. 
<< Ti chiami … Nontiscordardimè?>>.
<< Già. Si vede che i miei non erano troppo felici di avermi dopo altre tre femmine, eh? >>.
<< Ma stai scherzando? Ora si spiegano tante cose! >>, sbottò lui, illuminandosi di uno splendido sorriso. << Sfido io che non riuscivo a farti uscire dalla mia testa! Ce l’hai nel nome … potevi anche dirmelo prima, però, no? Così non ci avrei nemmeno provato, a scordarti … avrei evitato di sprecare tutto il tempo che ho impiegato per smettere di pensarti >>.
<< Davvero? Che sarebbe? >>.
Lui finse di rifletterci seriamente, mordicchiando l‘angolo della labbra un tempo segnato da un cerchietto. << Be’, saranno stati almeno due secondi buoni, eh … forse anche tre >>. 
<< Addirittura? >>, fece lei ridacchiando. 
<< E sì, eh >>.
Vera assunse un‘espressione seria. << Mhmm … hai ragione peccato, quanto tempo sprecato … avresti potuto utilizzarlo in modo molto più costruttivo … >>.
<< Già. Potevo togliere il tappo ad una penna, o la suoneria al mio cellulare … >>.
<< O magari, potevi stare ad ascoltare me che ti dico l’altra cosetta in sospeso … Ti amo >>, gli disse.  
<< Ma così è un secondo soltanto >>, disse lui sornione … ma aveva gli occhi lucidi, notò Vera. 
<< Ma posso sempre ripetertela più volte no? Ti amo … >>, mormorò, baciandolo a fior di labbra. << … ti amo … >>, e lo baciò ancora. << … ti amo … >>, e ancora. << E sono tre. Allora, pensi di aver recuperato? >>.
<< Sì, posso dire che in fondo ne è valsa la pena, perdere quei tre secondi. Adesso grazie a loro ho guadagnato tre vite. Ogni volta che mi dici ti amo, vale quanto una vita >>. La scostò da sé, s’alzò e iniziò a rivestirsi, quasi di corsa, osservò lei.  << Senti, ma non è che ti va di venire con me in un posto, no? >>.
<< Adesso? >>, chiese stupita, alzandosi a sua volta e iniziando a vestirsi anche lei. 
<< Sì, adesso, è un mio amico che non mi dirà di no. E’ una cosa che devo fare immediatamente … meglio se ci sei tu a tenermi la mano e darmi coraggio >>.
Vera impallidì. << Oddio, cos’è? >>.
<< Niente. Solo … dopo tanti arrovellamenti, ho finalmente deciso cosa tatuarmi sulla schiena >>.
 << Cioè, cosa sarebbe? >>.
Lui le andò vicino, le infilò la mani tra i capelli e scese sulle sue labbra, gli occhi fissi nei suoi, le palpebre che si abbassavano al richiamo di quella lenta discesa. << Il nome del mio fiore preferito … >>, le sussurrò piano.  
E la baciò, come ad imprimersi per sempre il nome di lei, il suo fuoco, la sua dolcezza sulle labbra, prima che sulla sua pelle.
Per sempre. Indelebilmente.  
  
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