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Autore: M e g a m i    17/11/2012    12 recensioni
« Cosa diavolo stai facendo?! »
Grimmjow si voltò di scatto, allentando appena la presa sulla camicia del ragazzo, senza però abbassare la mano che era pronta a sferrargli un pugno in piena faccia.
Ecco, ci risiamo...
« Lascialo andare. », la udì scandire lentamente, guardandolo con aria minacciosa.
Lui ricambiò il suo sguardo, con orgoglio.
« ... E se non lo facessi? », sibilò a denti stretti.
« Provaci. Ti prego, provaci. Ho solo bisogno di una scusa per prenderti a calci nel sedere. »
Andava sempre a finire così. In un secondo, si era trasformata in una lotta di sguardi. Il povero ragazzo che non si sa neanche cosa avesse fatto per scatenare le ire di Grimmjow, aveva approfittato della sua distrazione per scappare.
Sì, perché ormai la sua attenzione era totalmente catturata.
Tatsuki Arisawa, diciassette anni.
Capelli: neri.
Occhi: castani.
Abilità speciali... incredibilmente brava a rompere i cosiddetti al re Grimmjow Jaegerjaques, attualmente costretto nei panni dello... studente delle superiori.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Arisawa Tatsuki, Jaggerjack Grimmjow
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NDA: Ve l’avevo detto che non avrei promesso niente riguardo una long! Lo so, sono lenta, lentissima, ma per evitare di scrivere capitoli senza capo né coda ho bisogno dei miei tempi e soprattutto di taaanta ispirazione. Quindi non biasimatemi, vi prego. E vi ringrazio se avete avuto la pazienza di aspettare fino ad ora, e ancor di più se troverete la voglia e il tempo di lasciarmi una recensione anche breve per dirmi che ne pensate.
Faccio solo due considerazioni che mi sono venute in mente mentre buttavo giù questo capitolo, e poi vi lascio alla lettura. Numero uno, quando ho iniziato questa fic era estate, perciò l’ho ambientata in quel periodo, ma adesso mi fa un po’ strano parlare di caldo torrido. Che invidia! xD
Numero due... VI PREGO. Non fatemi notare come nella differenza “mostro” – “umana” questi due ricordino un certo vampirLo sbrilluccichino e la sua musona consorte che al momento stanno al cinema. Ho cercato di non pensarci in tutti i modi mentre scrivevo. O meglio, ci pensavo, e mi rispondevo: “... Naaah, Meg, suvvia, il problema non si pone. Tatsuki ha le palle”. /disse colei che si è letta tutti i libri di Twilight e solo POI si è ricreduta/
Ma bando alle ciance, buona lettura! ♥
 
 
 
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RISPETTO.
 
 
 
Tatsuki Arisawa strappò con forza l’ennesima erbaccia che spuntava dalla zolla di terreno dell’aiuola, per poi asciugarsi la fronte col dorso dell’avambraccio, coperto per metà dalla spessa stoffa del guanto da giardinaggio.
Aveva caldo, caldo da morire, e stare chinata sotto il sole a giocare al pollice verde non era esattamente il modo migliore in cui avrebbe potuto passare il pomeriggio. In  quel momento, avrebbe potuto essere nella palestra del dōjō ad allenarsi per il torneo estivo di arti marziali, sempre a sudare, certo, ma almeno per qualcosa che le piaceva fare, ma che soprattutto, l’avrebbe aiutata a scaricare la tensione nervosa.
E invece no, quel pomeriggio sarebbe stata costretta a scontare quella che non si poteva neanche definire punizione, e a “riflettere”, citando testualmente le parole del preside della Karakura Ichikō, “sulle sue azioni sconsiderate.
   Tsk. In fondo non era successo niente. Per lo meno non era morto nessuno, anzi, nessuno si era rotto niente. Dubitava però di quali fossero al momento le condizioni mentali di quell’idiota già carente in fatto di massa cerebrale, di fronte al quale Grimmjow... Grimmjow aveva perso il controllo. O quasi.
Tatsuki sbuffò, accanendosi ancora contro i ciuffi verdi che crescevano in ogni dove. Almeno aveva le mani occupate, e il sole cocente le impediva di pensare troppo, al contrario di qual’era lo scopo di quello sfruttamento di manodopera minorile che voleva passare per una punizione. E pensare, era l’ultima cosa di cui Tatsuki Arisawa aveva bisogno, dopo tutto quello che era successo.
Voleva solo finire in fretta, tornarsene a casa e farsi una doccia il più lunga possibile. E magari, aiutata dall’acqua che le avrebbe rigato il viso, sarebbe riuscita a sciogliere in silenzio il nervosismo e il nodo che ancora sentiva all’altezza della gola, insieme ai numerosi tra i suoi capelli scuri e spettinati.
Deglutendo per il caldo e la sete, si asciugò nuovamente il sudore che le imperlava la fronte, serrando i denti con forza.
   No, non poteva permettersi di essere così debole. Non quando... lui era sparito chissà dove, lasciandola completamente sola a faticare per entrambi.
Non appena erano usciti e avevano messo piede nel parco della scuola, Grimmjow si era infilato le mani in tasca e si era allontanato a grandi passi, senza degnarsi di dire neanche una parola. E Tatsuki si era odiata come non mai quando una piccola, minuscola parte di sé si era ritrovata a sentirsi sollevata a non averlo più accanto, piuttosto che a mettersi ad urlargli contro per costringerlo a farsi aiutare. Lei stessa non aveva trovato da dire niente, e non era riuscita a fare altro che guardarlo andare via.
Eppure, per tutto il tempo passato a strappare erbacce e a sistemare fiori, non era riuscita a scrollarsi di dosso la sgradevole sensazione dei suoi occhi che la seguivano, chissà da dove, chissà quanto lontano.
   Chissà con quali pensieri.
Non aveva avuto il coraggio di fermarlo. Ancora una volta, Tatsuki aveva avuto... paura. Di pronunciare il suo nome, magari prenderlo per un braccio e bloccarlo, aggrottando le sopracciglia e chiedendogli in modo perentorio dove diavolo credesse di andare. Insomma, come avrebbe fatto normalmente.
Aveva avuto paura, e si era limitata a mordersi con forza il labbro inferiore per impedirsi di dire alcunché, perché dentro di lei sapeva già che in risposta a un suo tentativo di trattenerlo, avrebbe ottenuto solo uno strattone atto a liberarsi dalla sua presa, e uno sguardo freddo e duro come il ghiaccio. Espressione che probabilmente le avrebbe fatto più male di quando quello stesso sguardo si era accesso di sete di sangue nei suoi confronti.
Si sentiva in colpa, come se avesse tradito la sua fiducia. E nello stesso istante in cui lui le aveva dato le spalle, si era sentita in colpa anche per la debolezza che l’aveva bloccata lì, su due piedi. Chissà se Grimmjow si era aspettato di essere chiamato, seguito, se non fermato subito. Chissà se quando lei non aveva fatto niente di tutto ciò, si era sentito deluso.
   Chissà se si era dato dello stupido per aver provato delusione per qualcosa che non avrebbe nemmeno dovuto azzardasi a sperare.
In qualche modo, era come se Tatsuki potesse capire parola per parola, pensiero per pensiero, quello che gli stava passando per la testa. Quell’idiota era così... prevedibile, per lei. Ma anche se era sicura di sapere più che bene quello che stava provando in quel momento, non aveva idea di come poterlo affrontare.
   ... Ma chi voleva prendere in giro. Semplicemente, continuava ad avere paura. Una dannata paura, che non voleva saperne di abbandonarla, anche se adesso si era trasformata in qualcosa di diverso dal semplice timore nei suoi confronti.
Ora aveva paura di essere respinta. Rifiutata, proprio a causa di quell’attimo di debolezza che l’aveva colta alla sprovvista, mandandola nel panico di fronte a lui. E il senso di colpa le attanagliava lo stomaco, oltre che la gola.
Alzandosi di scatto, si sfilò i guanti e li scagliò con forza a terra. Non si era mai sentita così incredibilmente patetica e stupida. Mai. E la cosa che le faceva più rabbia, era come solo Grimmjow fosse in grado di farla passare dalla spensieratezza al terrore più puro, da un estremo all’altro delle sue emozioni. Il modo in cui le stesse si amplificassero a dismisura, quando si trattava di lui, come se già Tatsuki non fosse il ritratto della pacatezza fatta a persona. Odiava tutto questo. Odiava sentirsi così vulnerabile, incapace di controllarsi.
Eppure non riusciva in alcun modo ad odiare lui.
Doveva trovare il coraggio di affrontarlo. Doveva. Per lui, per togliergli dalla testa quei pensieri che sapeva lo stavano divorando silenziosamente, e che la facevano infuriare tanto erano stupidi. Ma anche per sé stessa. Perché non poteva semplicemente permettergli di andare via, di mettere un muro tra di loro, senza dire una parola. Senza provare a trattenerlo al suo fianco.
Mentre si avviava a passo deciso nella direzione in cui Grimmjow si era allontanato, Tatsuki prese nuovamente la scusa del sole che le dava alla testa per non chiedersi per quale motivo sentisse quel bisogno così pressante.
 
 
 
Grimmjow Jaegerjaques fece un profondo sospiro, mentre appoggiava la nuca al duro tronco dell’albero e chiudeva gli occhi. Il caldo era asfissiante, ma almeno, al riparo tra le foglie, su quel ramo abbastanza largo da reggere il suo peso, poteva prendere un po’ di fiato. Lasciò oscillare una gamba nel vuoto, l’altra piegata sotto il suo braccio, e si limitò ad ascoltare il mondo celato ai suoi occhi chiusi.
   Voleva semplicemente non pensare a niente.
Soprattutto non a quel indefinito senso di disagio che gli stava divorando, bucando lo stomaco.
Tese le orecchie, abbandonandosi ancora di più contro il legno brulicante di vita, quasi a volersi fondere con esso. Poteva sentire tutto, o quasi. I suoi sensi da Arrancar erano fini, molto più fini rispetto a quelli degli altri Hollow, figuriamoci di quelli degli esseri umani. Anche dentro quel corpo finto, quel gigai che gli calzava stretto, il suo raggio di sensibilità rimaneva piuttosto ampio.
Rimase ad ascoltare, perdendo la cognizione del tempo, cose a cui  normalmente non dedicava la benché minima attenzione. Poteva sentire il vento che smuoveva ritmicamente le foglie, il frinire delle cicale sovrastato per un secondo dal ronzio di una mosca passatagli a pochi centimetri dal naso, un ramoscello spezzato da dei passi in avvicinamento dalla cadenza familiare, se si concentrava poteva avvertire anche il rombo di quelle scatole di latta con le ruote, chiamate automobili, che gli umani usavano per spostarsi in strada, al di là di cancelli della scuola. Poteva perfino distinguere la musica più disparata provenire dai finestrini aperti delle macchine degli umani, in cerca di un po’ di aria.
E poi ancora il rumore del legno che si spezza sotto il peso corporeo di quel qualcuno che si stava avvicinando. Corrugò la fronte, tornando alla realtà, ma rimase con gli occhi chiusi, a concentrarsi su quel suono in particolare.
Il ritmo di quei passi resoluti era decisamente troppo familiare, quasi inconfondibile.
Erano ancora lontani rispetto alla sua posizione, e ogni tanto si fermavano, facendo una pausa. Come se stessero cercando qualcosa. Grimmjow ritrasse silenziosamente la gamba a penzoloni, quasi a volersi nascondere. Una parte di sé sperava quasi che quei passi, i... suoi passi, passando sotto il “suo” albero avrebbero tirato dritto, senza fermarsi e pensare minimamente a guardare in alto. Eppure, l’ altra parte di lui sapeva benissimo quanto la proprietaria di quei passi non fosse stupida, affatto. Ma soprattutto, quanto fosse ostinata, tanto che non si sarebbe fermata finché non lo avesse scovato.
Grimmjow però non era sicuro di volersi far trovare. Non da lei, non in quel momento in cui si sentiva... incredibilmente vuoto. E il solo pensiero di doverla affrontare, non gli provocava una scarica di adrenalina e rabbiosa eccitazione come al solito, quando si preannunciava una discussione coi fiocchi tra di loro.
Grimmjow Jaegerjaques non aveva minimamente voglia di discutere. Non voleva pensare e basta, né affrontare nessuno, e quell’umana incredibilmente testarda era in cima alla lista di quei “nessuno”.
Forse sarebbe stato meglio che non lo trovasse e basta, lasciando le cose come stavano. Sì, sarebbe stato decisamente meglio, se per un fortunato scherzo del destino lei avesse tirato dritto sotto quell’albero, senza guardare in alto, procedendo per la sua strada. E Grimmjow poi avrebbe preso la propria, senza degnarla ancora della più insignificante attenzione. Meglio così, per tutti e due, ognuno per la sua, di strada, e tanti cari saluti. Bastava che non alzasse lo sguardo. Se non lo avesse fatto, le cose sarebbero andate per il verso giusto per entrambi, e Grimmjow promise a sé stesso che da quel momento in poi la sua, di strada, avrebbe fatto il giro più largo possibile da lei. Ovviamente, per liberarsi dall’enorme scocciatura quale sarebbe sicuramente stata se avesse preso ad ignorarla, e figurarsi, non perché il suo sguardo terrorizzato continuasse ad apparirgli davanti agli occhi, tormentandogli la testa e lo stomaco.
Se non lo avesse trovato, avrebbe semplicemente voluto dire che era così che doveva andare. Ognuno per la sua strada, sì. Quasi ci sperava. Quasi. E quel “quasi” non andava bene affatto.

Tenendo ostinatamente gli occhi chiusi, Grimmjow continuò ad ascoltare il suono di quei passi, sì... dei suoi passi.  Doveva essere davvero spazientita da quella ricerca infruttuosa, visto che avevano la delicatezza di un elefante, ancora più del solito. Gli scappò un sorriso divertito al pensiero di quella che doveva essere la sua espressione, sorriso che però gli si congelò in fretta sulle labbra.
Presto non avrebbe più potuto permettersi di lasciarsi scappare sorrisi ebeti al pensiero di lei, come un povero coglione. Se solo si fosse sbrigata e avesse superato il “suo” albero, se solo-...
   « Cosa ci fai là sopra? »
Tatsuki Arisawa sollevò una mano per schermarsi gli occhi dai raggi del sole che filtravano tra le foglie. Assottigliò lo sguardo cercando di distinguere la sua figura, che aveva cercato per una buona mezz’ora fino a perdere la pazienza. Avrebbe dovuto immaginarlo che i suoi istinti da felino mancato lo avrebbero spinto a cercare rifugio in alto. Come se avesse dovuto nascondersi da chissà cosa. O da chissà chi.
Tatsuki trattenne una smorfia al pensiero di quanto infantilmente si stesse comportando. Da un lato la faceva infuriare il suo comportamento, e il modo in cui, nonostante l’avesse chiamato – e lei era sicura che l’avesse sentita – avesse continuato a tenere gli occhi chiusi, senza degnarsi di dare segni di vita. Dall’altro, invece, sentiva rimordersi la coscienza, perché se non si fosse comportata come una femminuccia niente lo avrebbe spinto ad allontanarsi da lei. Rilassò quindi la fronte con un mezzo sospiro, mentre lasciava cadere la mano, che andò a posare su un fianco.
   « ... Grimmjow? », lo chiamò, con quanta più calma riuscì a trovare. Per un attimo si sentì una mamma che cerca di far pace con il figlio offeso dopo aver esagerato coi rimproveri. Certo è che lei avrà avuto la propria parte di colpa, ma quel gatto troppo cresciuto si comportava davvero come un bambino.
Grimmjow si accigliò sentendole pronunciare il suo nome. Non gli piaceva quanto lo faceva, perché aveva sempre un tono che gli faceva venire una voglia incredibile di guardarla. Si era aspettato di trovarla arrabbiata, il che avrebbe semplificato le cose. Discutere forse sarebbe stato meglio che doverla affrontare quando cercava di essere gentile, perché così rischiava di dargliela vinta. E non poteva permettersi di farlo.
   « Mi vuoi rispondere, almeno? »
   « No. », grugnì tra i denti, proprio come un bambino capriccioso.
Tatsuki lo fissò in cagnesco, facendo qualche passo indietro e studiando da varie angolazioni come avrebbe potuto costringerlo a scendere e a risponderle in faccia. Purtroppo però il ramo su cui era seduto era troppo in alto perché potesse riuscire ad afferrarlo saltando, senza contare il fatto che lei non era esattamente una cima ad arrampicasi, quindi, a meno che non gli avesse lanciato qualcosa...
   « Scendi. », si risolse ad intimargli. « Non lo ripeterò due volte. »
   « No. », replicò lui con più ostinazione, per poi aggiungere, dopo un attimo di esitazione: « ... Vattene. »
Pronunciare quelle parole gli richiese più freddezza di quella che avrebbe immaginato, e che non riuscì a trovare. Il tono della sua voce risultò più rassegnato che risoluto, e inutile a dirlo, non ebbe l’effetto desiderato.
Perché Tatsuki non si sognò minimamente di dargli ascolto. Eppure non riuscì nemmeno a mandar giù, imponendosi di rimanere calma, quel suo rifiuto, quel suo modo di respingerla che tanto aveva avuto timore di dover fronteggiare. Un fremito di delusione percorse le sue braccia, spingendola a fare con più forza e più rabbia quello che impulsivamente si era già decisa a fare, nel caso lui non le avesse dato retta.
Con un rapido riflesso, Grimmjow evitò prontamente la piccola confezione di latte ricomprata da Tatsuki prima di andarlo a cercare, e che ora gli era stata lanciata contro in uno scatto d’ira. Peccato però che nello schivarla finì per perdere l’equilibrio, cadendo dal ramo dell’albero e rischiando di rovinare a terra, se non fosse riuscito ad atterrare facendo peso sulle ginocchia e sulle mani.
Sorpreso e infuriato da quel suo gesto che l’aveva preso alla sprovvista, stava per sbraitarle contro chiedendole cosa diavolo le passasse per la testa, quando l’espressione sul suo viso chino gli fece morire le parole in gola.
   « Stai facendo tutto da solo... », Tatsuki mormorò a bassa voce con amaro risentimento, stringendo i pugni lungo i fianchi. Per qualche motivo, Grimmjow si sentì più colpito che se quelle stesse parole gliele avesse a sua volta urlate in faccia. Imprecò mentalmente, distogliendo di nuovo lo sguardo da lei, mentre lentamente si tirava su e si puliva le mani sporche d’erba sui pantaloni. Non aveva la forza di guardarla. Né, si rese conto, di stare lì davanti a lei così, senza avere niente da dire. Nella sua mente quella scena richiamava troppo quando quella stessa mattina l’aveva vista indietreggiare contro il muro, serrando i pugni con le braccia tremanti analogamente a ora, anche se adesso erano circondati da decisamente troppo verde per poter scambiare il parco per il corridoio del primo piano. Sta di fatto che aveva visto già una volta come quella situazione si era conclusa, e non aveva intenzione di fare niente per ricreare quel déjà-vu.
   « Ti do... così tanto fastidio? »
Stava per girarsi e mettere le distanze tra loro ancora una volta, quando la sua voce richiamò improvvisamente la sua attenzione, cogliendolo nuovamente impreparato, tanto che si dimenticò del suo proposito di tenere lo sguardo posato su tutto tranne che lei.
   « Ah? », se ne uscì, confuso dalla domanda senza senso.
Tatsuki fece un profondo respiro, chiudendo per un secondo gli occhi e cercando di tenere a freno la sua irritazione. Nell’ultima mezz’ora che aveva passato a camminare, cercandolo, nella sua testa si era immaginata tante cose che avrebbe potuto dirgli. Chissà perché, però, tutto il ponderato discorso che si era attentamente costruita, era sparito dalla sua memoria.
   « Rispondimi. Sono fastidiosa? », ripeté quindi di punto in bianco, cercando il suo sguardo.
Grimmjow rimase a fissarla aprendo e richiudendo più volte la bocca, non sapendo bene come replicare. Uno dietro l’altro, gli passarono per la mente tutti i momenti in cui, per un motivo o per l’altro, Tatsuki l’aveva infastidito, se non fatto proprio incazzare, fin da quando l’aveva conosciuta e odiata al primo sguardo, a quando poi quell’odio si era trasformato in desiderio di piegarla, di farsi temere, e poi infine di guadagnare il suo rispetto.
   « ... Sì. », disse, sinceramente. Nessuno, mai, l’aveva infastidito come lei, che gli teneva testa e che gli faceva provare sensazioni sconosciute in grado di fargli perdere il suo già scarso controllo. Come lei, che in quel momento gli fece anche provare il desiderio di ridere malgrado tutto, quando, alla sua risposta, aggrottò le sopracciglia con una buffa espressione contrariata e indispettita.
   « Okay, non era la risposta che volevo sentirmi dire, ma, beh... touché. », incrociò le braccia al petto, spostando il peso da un piede all’altro. « Rispondi a un'altra domanda, allora. Sono... sono talmente fastidiosa che ti viene voglia di farmi del male? »
Grimmjow aprì nuovamente la bocca, per poi richiuderla, affondando i denti affilati nella carne del labbro. Si prese di nuovo altro tempo, ma non tanto perché non sapesse la risposta. Non poteva permettere che la sua voce suonasse nuovamente esitante.
   « ... . », sibilò, fissando gli occhi in un punto imprecisato del verde di fronte a lui. Se l’avesse guardata, temeva che non sarebbe riuscito a darle la risposta affermativa che avrebbe dovuto anche essere quella corretta.
   Quando accidenti era diventato così debole?
Era tutta colpa sua. Tatsuki non era semplicemente fastidiosa, lo mandava in bestia. Bestia docile e addomesticata, però.
   « Bugiardo. Ripetilo guardandomi in faccia. », replicò lei con durezza, cercando di nascondere quanto in realtà quella risposta l’avesse ferita. Si strinse con più forza le braccia al petto, ripetendosi in testa che stava mentendo. Perché Tatsuki sapeva che stava mentendo. Doveva star mentendo, oppure lei era stata una totale idiota ad avergli concesso il suo rispetto e anche qualcosa di molto più importante, di cui si rese pienamente conto solo in quel momento. La sua amicizia.
Grimmjow si trattenne dall’urlare imprecazioni ai quattro venti, tanto dentro si sentiva ribollire il sangue nelle vene. Come riusciva quella piccola umana a leggergli dentro e a dargli una fiducia che nemmeno lui stesso provava nei propri confronti?
   « Vattene. », ripeté ancora una volta invece di ribadire quell’affermazione bugiarda, ringhiando tra i denti e facendo un passo verso di lei, nel tentativo ormai disperato di spaventarla come aveva già fatto poche ore prima. Ma Tatsuki non si fece fregare due volte, concentrandosi su quello che la rabbia che lampeggiava nei suoi occhi chiari, tentava di nascondere.
   « Dammi un buon motivo per cui dovrei andarmene. », si avvicinò quindi a sua volta, chiamando a raccolta tutto il suo coraggio. E gli si avvicinò talmente tanto, alzando il viso per poterlo guardare dritto negli occhi, che quasi fu lui ad indietreggiare.
   « Tu... tu sei completamente fuori di testa, cazzo! »
Grimmjow ormai aveva definitivamente perso il controllo della sua voce, urlandole contro con un tono inferocito quanto quello di un animale ferito. Non sapeva neanche perché avesse il respiro affannoso e il cuore che pompava senza freni, come se cercare di allontanarla fosse difficile quanto combattere per difendere la propria vita. Per la propria indipendenza, la propria forza. Ed era come se lei fosse l’avversario più determinato e deciso a vincere che avesse mai incontrato.
   « Non credere di essere molto più sano di me! », Tatsuki gli rispose per le rime con un tono intriso di amarezza, puntandogli l’indice contro il petto, e facendolo quasi sobbalzare per quel contatto improvviso. Ma non ebbe nemmeno il tempo di reagire, o forse è meglio dire che non ci riuscì. Perché non poté far altro che paralizzarsi su due piedi, quando la mano di lei al posto di ritrarsi si distese, posandosi sul suo petto, mentre faceva un altro passo verso di lui, avvicinandosi tanto che i loro corpi non si sfioravano che per pochi centimetri.
Tatsuki tenne la testa bassa, quasi insaccata nelle spalle, mentre lentamente la mano che ora poteva avvertire ogni singolo battito impazzito di Grimmjow, stringeva con forza la stoffa della sua camicia tra le dita. Ed eccolo ancora, quell’odioso nodo alla gola che si costrinse a ricacciare indietro. Non avrebbe più permesso a sé stessa di mostrarsi così fragile di fronte a lui. E non gli avrebbe più permesso di allontanarsi in quel modo, senza dire niente. Senza darle neanche una minima possibilità. Serrò ancora di più il pugno sui suoi vestiti, come a volerlo trattenere, anche se al momento non stava andando da nessuna parte, e alzò lo sguardo, cercando i suoi occhi, che si dilatarono sconcertati.
   « Sono... », si bloccò subito, cercando le parole adatte. « ... sono stata debole. Mi dispiace, Grimmjow. »
Grimmjow che quasi smarrito rimase a fissare i suoi occhi castani, pieni di un calore capace di sciogliere la sua rabbia in un modo che non avrebbe mai creduto possibile, senza sapere cosa dire, cosa fare. Perché Tatsuki gli stava chiedendo scusa per qualcosa per cui non aveva la minima colpa.
Per quale motivo si stesse sminuendo così di fronte a lui, proprio non riusciva a capirlo. Probabilmente perché Grimmjow non aveva mai chiesto scusa a nessuno, e men che meno si era mai sentito in colpa... come in quel momento, in cui quella piccola umana si stava caricando sulle spalle anche quella che era la sua parte di responsabilità. Esitò, prima di riuscire a vincere la confusione che l’aveva spiazzato,  e allungare le dita a sfiorarle il polso, per poi stringerlo e scostare la sua mano da sé, sciogliendole il pugno che ora lo tratteneva come a non volergli permettere di fuggire di nuovo, così come solo qualche ora prima l’aveva scosso con coraggio, cercando di farlo rinsavire. E guardandola, toccandola, si rese conto di una cosa importante: stava solo scappando, come un codardo. Era lui quello debole, che appena aveva avvertito un cenno di rifiuto nei propri confronti, era fuggito a gambe levate. Forse, per qualcosa di simile alla paura di perdere definitivamente il suo rispetto, la sua fiducia. Ma continuando a tenere le distanze come stava facendo, non avrebbe riguadagnato proprio niente. Anzi.
   Avrebbe finito per lasciarsi sfuggire tutto dalle dita.
   « Sei... umana, Tatsuki. Non debole. Non c’è proprio niente per cui... tu ti debba scusare. »
Per questo le scostò la mano ma mantenne salda la presa sul suo polso, anche lui proprio come a trattenerla, per impedirle di allontanarsi. E Tatsuki non fece niente per cercare di liberarsi dalla sua presa, come avrebbe fatto normalmente con chiunque. Non sopportava di sentirsi intrappolata ma forse, in quel momento, una  parte di lei aveva bisogno di quel contatto anche minimo.
   « Anche tu, se è per questo. », replicò quindi, corrugando la fronte e guardandolo con durezza, e ancora di più quando, inaspettatamente, vide un sorriso dipingersi sul suo viso.
Grimmjow alzò gli occhi al cielo, trattenendo quella che sarebbe stata una risata amara. Avvertì Tatsuki agitarsi nella sua presa, forse turbata dalla sua reazione, ma non si sognò minimamente di lasciarla andare. Le sue dita si contrassero, stringendola più forte.
   « Hai ragione... io sono un Hollow. È la mia natura, non qualcosa per cui mi dovrei... scusare. », replicò, sviando lo sguardo, con un tono di freddo scherno che non gli apparteneva.
Tatsuki non seppe dire se fosse perché lui aveva distolto gli occhi dai suoi mentre stavano parlando, o per il modo in cui aveva frainteso le sue parole, ma le venne spontaneo tendere la mano per girargli il viso e costringerlo a guardarla di nuovo. Peccato però che, trattenuto dalla presa di Grimmjow, quel gesto risultò più una carezza. E proprio sulla guancia sulla quale avrebbe dovuto trovarsi la sua maschera da Hollow.
In fretta com’era comparso, vide il suo sorriso svanire, per lasciare posto a qualcosa che, se non avesse creduto di conoscerlo piuttosto bene, avrebbe definito sconcertato imbarazzo. Ovvero quello che provò lei stessa, ma da cui non si lasciò distrarre, nonostante sentì il proprio viso accendersi e imporporarsi. Invece serrò le dita sul suo mento, bloccandolo per evitare che si girasse nuovamente.
   « Anche tu... sei umano, Grimmjow. Almeno quanto me. », asserì, con una convinzione che aggiunse ancora più forza al suo sguardo, fisso negli occhi di lui. Perché era questa la conclusione alla quale era giunta dopo aver passato così tanto tempo a contatto con lui. Dopo aver osservato il suo modo di comportarsi, le sue reazioni, e soprattutto, il suo modo di porsi con lei stessa, ma non solo. Se fosse stato un mostro senza senno, uno di quegli Hollow che più di una volta avevano attaccato i suoi amici, i suoi compagni, non avrebbe esitato ad agire esattamente come loro, attaccando senza discriminazioni tutti quelli che definiva umani. Eppure, nel modo in cui Grimmjow reagiva a un affronto, oppure semplicemente ignorava quelli che lo circondavano, nel modo in cui si rapportava agli altri, incredibilmente c’era proprio qualcosa di quell’umano dal quale ostinava ad estraniarsi. Quasi qualcosa di infantile, tanto era impulsivo e curioso, come più di una volta Tatsuki aveva notato. E la conferma a questa sua convinzione che ormai si era radicata dentro di lei, gliel’aveva data proprio la sua reazione di quella mattina. Considerando il tutto a mente fredda, Tatsuki poteva benissimo capire che il suo era stato semplicemente... desiderio di aiutarla. Qualcosa che urtava profondamente la sua forte indipendenza, ma che allo stesso tempo le aveva fatto aprire gli occhi su quanto sincera fosse la sua... come definirla?, lealtà nei suoi confronti. E dentro di sé, sapeva altrettanto bene che Ichigo si sarebbe impicciato esattamente nello stesso modo se fosse stato al posto di Grimmjow, come aveva già fatto tante volte quando l’aveva vista in difficoltà. Probabilmente anche Orihime avrebbe fatto la stessa cosa, cercando di aiutarla come meglio avrebbe potuto. E sì, magari anche Asano e Kojima, nonostante il più delle volte la facessero irritare, sarebbero stati dalla sua parte, così come il silenzioso Sado che non si dimenticava mai di farle un cenno di saluto quando la incontrava.
Solo che Grimmjow era come un bambino. E si faceva guidare dall’istinto in mancanza di esperienza in quel mondo così estraneo a lui, diverso da tutto quello davanti a cui si era trovato fino a quel momento. E l’unico modo in cui sapeva farsi rispettare era mostrare a tutti la sua forza. In un certo senso, le ricordava la sé stessa bambina, che quasi ci provava gusto a predominare fisicamente sugli altri, prima che imparasse a frenare in qualche modo la sua impulsività col karate.
Quasi le venne da sorridere a quel pensiero, e la sua espressione involontariamente si addolcì, cosa che disorientò ancora di più Grimmjow, nuovamente smarrito in cerca di una risposta che potesse soddisfare il suo orgoglio colpito dalle sue parole come se gli avesse tirato uno schiaffo.
   « Questa è... questa è la cazzata più grande che tu abbia mai detto. », disse bruscamente, liberandola finalmente dalla sua presa, e infilando le mani nelle tasche, che serrò in un pugno. Non riuscì a definire in alcun modo la frustrazione che si era impossessata in un attimo di lui. Odorava quasi di... incertezza.
   « Ah sì? », Tatsuki gli diede una leggera spinta su una spalla per provocarlo, come se non fossero già sufficienti le sue parole. « Una volta sei stato un uomo anche tu, o sbaglio? Una cosa del genere non si dimentica e basta. »
Grimmjow assottigliò lo sguardo, seguendo quel suo gesto che riuscì proprio nel sul intento di irritarlo, anche se si costrinse a mantenere una rigida freddezza, mentre distoglieva lo sguardo.
   « Io l’ho dimenticato. », replicò sommessamente, la bocca distorta in una smorfia.
   « Tu l’hai voluto dimenticare, è diverso. Ma sai cosa ti dico? », lei attese  con le mani sui fianchi finché lui, controvoglia, non tornò a guardarla con la coda dell’occhio. Dovette trattenere un sorriso soddisfatto al vedere come il filo di quella discussione e le ancora ostinate ma sempre più remissive reazioni di lui, li stessero conducendo proprio dove voleva. « ... Che ho deciso di fartelo ricordare, con le buone o con le cattive. Di farti ricordare... come si fa ad essere umani. »
Grimmjow sbatté più volte le palpebre, mentre la smorfia scettica si accentuò sul suo viso. Scosse contrariato la testa, inarcando un sopracciglio.
   « Rettifico, è questa la più grande cazzata che-... »
   « Non ho chiesto né il tuo parere né il tuo permesso, mi sembra. », lo interruppe Tatsuki, guadagnandosi un’occhiataccia colma di irritazione.
   « Non puoi costringermi a fare proprio niente. Anche perché i fatti  parlano chiaro. Io non sono umano, Tatsuki. », sottolineò in un sibilò, azzerando nuovamente la distanza tra di loro. « Te l’ho già detto, ricordi? »
Sì, ricordava. Tatsuki ricordava benissimo come si fosse sentita schiacciata dalla sua reiatsu, al punto che le ginocchia avevano rischiato di cederle da un momento all’altro, tanto si era sentita tremare. E proprio perché lo ricordava, ora la sua espressione non vacillò nemmeno per un solo istante.
   « Però provi le stesse cose che provo io, no? »
Grimmjow si incupì, serrando i denti e i pugni nelle tasche. Il cuore che gli batteva nel petto come a volerlo sfondare e il sangue che gli ribolliva nelle bene tradirono le sue parole ancor prima che le dicesse.
   « ... Io non provo niente. »
   Adesso è lui a dire cazzate, pensò Tatsuki, corrugando la fronte.
E glielo dimostrò, spingendolo ancora, più forte di prima, ottenendo in risposta un impulsivo ringhio irritato, mentre la mano di lui tornava a serrarsi attorno al sul polso, e la tirava bruscamente a sé, per impedirle ulteriori movimenti.
   « Tu provi rabbia. », gli sorrise compiaciuta, a pochi centimetri dal suo viso corrucciato. « Dolore quando qualcosa ti ferisce, e non provare a dirmi di no. E sai anche ridere di gusto quando qualcosa ti diverte, come chiunque altro. Peggio di chiunque altro, a volte. E sai perché lo so? »
   « ... Perché? », Grimmjow non poté fare a meno di assecondarla, ponendole la domanda che voleva sentire. E dentro di sé sentì di aver già miseramente perso contro quegli occhi scuri fissi nei suoi che brillavano della più dolce vittoria.
Il sorriso di Tatsuki si allargò.
   « Perché la maggior parte delle volte ridi di me, e mi fai venire voglia di prenderti a pugni e farti cadere tutti i denti, quando lo fai. »
E gli occhi di Grimmjow si chiusero, mentre scuoteva e chinava la testa, quasi finendo per sfiorare la fronte di Tatsuki con la sua. E il sospiro frustrato che gli sfuggì dalle labbra si trasformò presto in un mezzo sorriso rassegnato quanto quello della piccola umana di fronte a lui era soddisfatto. [NDA: /prende capocce/ And now, KISS.]
   « Tu sei... l’umana più strana che abbia mai conosciuto. », rise amaramente, tornando a cercarla con lo sguardo, a cui Tatsuki rispose, senza esitazione. All’altezza del cuore, entrambi sentirono come se improvvisamente si fosse sciolto un enorme peso.
   « Strana e fuori di testa, bene. Non mi piace conformarmi alla massa. E adesso muovi quel sedere ossuto che ti ritrovi e vieni ad aiutarmi con la punizione, se no i denti te li faccio saltare sul serio. »
 
 
 
Mezz’ora dopo, Tatsuki si ritrovò ad osservare severamente Grimmjow che si rilassava sul muretto nel retro della scuola, che delineava le aiuole fiorite e finalmente in degne condizioni. Dopo aver finito di aspirare rumorosamente il latte nella confezione miracolosamente intatta, che prima di darsi da fare aveva raccolto da terra, Grimmjow si era sdraiato al sole, in una posizione molto simile a quella in cui Tatsuki l’aveva beccato solo una settimana prima nel campo da calcio. Evidentemente, i suoi istinti felini non si limitavano solo a bere latte e cercare rifugio nei posti alti, ma anche ad oziare pigramente appena se ne presentava l’occasione. Ma almeno Tatsuki doveva riconoscere che, nonostante avesse osservato con un sopracciglio inarcato il paio di spessi guanti che gli aveva premuto contro il petto, la sua parte del lavoro l’aveva svolta, e in metà del tempo che ci aveva impiegato lei, anche se non con eccessiva delicatezza, come testimoniava la terra sparsa un po’ ovunque a sporcare la sua divisa.
Tutto quello che a entrambi rimaneva da fare, ora, era presentarsi in segreteria per comunicare di aver finito di svolgere la punizione assegnatagli, e poi... beh, andarsene ognuno per la sua strada. Per qualche motivo, però, Tatsuki esitava. La voglia di recarsi al dōjō le era totalmente passata, ma anche quella di tornare a casa. Scacciò il pensiero che potesse essere perché così avrebbe dovuto separasi da lui, mentre si sedeva al suo fianco sul ruvido muretto.
E quasi non fece in tempo a farlo, che Grimmjow ne approfittò per appoggiare la testa sul suo grembo, con un teatrale sbadiglio.
   « Ecco cosa mi mancava, un cuscino... », mormorò con voce assonnata, ignorando l’occhiataccia sconvolta e piena di vergogna che Tatsuki gli rivolse per quella presa di confidenza improvvisa e assolutamente indesiderata. Per un attimo la ragazza considerò di alzarsi di scatto, facendolo cadere a terra senza tanti complimenti, ma l’attimo dopo si ritrovò a sviare lo sguardo e a deglutire, cercando di rilassarsi, mentre tra le dita stritolava il bordo del muretto.
Bastava pensare che fosse un gatto. Un grosso gatto in cerca di coccole, sì. Infondo non era molto diverso, valutò, lasciandosi sfuggire un sorriso all’idea di sentirlo fare le fusa se avesse preso ad accarezzargli i capelli.
Con un fremito, Tatsuki si impose di cambiare direzione ai suoi pensieri. Alzando gli occhi al cielo limpido, e strizzandoli per la luce accecante, con la mente ritornò quindi alle parole che gli aveva rivolto solo poco prima, e la domanda le sorse spontanea.
   « Ti ricordi qualcosa? Della tua... vita precedente, dico. Prima di... di... »
   « Morire? », concluse Grimmjow, sentendola in difficoltà, mentre apriva un occhio e piegava la testa all’indietro sulle sue gambe, per poterla guardare meglio. Gli sembrò di vedere le sue guance arrossire di colpo quando incrociò il suo sguardo, ma forse si era trattato solamente uno scherzo del sole.
   « ... Sì. Prima di... morire. », ripeté lei, mentre un brivido le percorreva la schiena.
   Una volta era stato un uomo anche lui, l’aveva detto lei stessa. Un uomo con una vita sua, con una famiglia, con tutta probabilità, e degli amici. Con dei sogni, delle speranze che erano... morti con lui, fin troppo giovane, chissà quanto tempo prima che di lei si cominciasse anche solo a prenderne in considerazione l’idea. Forse non era poi così un bambino come si ostinava a volerlo vedere, rifletté, corrugando la fronte.
   « È passato... beh, è passato un bel po’ di tempo. », replicò Grimmjow, chiudendo gli occhi, come a voler porre fine alla conversazione. Ma Tatsuki non era disposta a lasciar cadere il discorso in quel modo inconcludente.
   « Sei così vecchio da aver perso la memoria? », lo provocò, inarcando un sopracciglio. Sapeva bene che l’età dei cosiddetti Arrancar non era paragonabile a quella umana.
   « E tu sei così piccola da non sapere quando dovresti tenere la bocca chiusa e portare rispetto a chi è più grande di te? »
Tatsuki inclinò la testa di lato, preferendo non replicare alla frecciatina che in fin dei conti si era meritata. La sua curiosità era troppa.
   « Grande quanto? Potresti essere mio nonno? »
   « O magari tris nonno, chi lo sa? », Grimmjow sbadigliò, stirandosi e premendosi di più contro di lei, che ce la mise tutta per non irrigidirsi.
   « Addirittura? »
   « Però li porto bene, i miei secoli, no? », ammiccò, aprendosi in un sorriso furbo che Tatsuki ignorò, così come la sua affermazione. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di rispondergli affermativamente.
   « Quindi non ti ricordi proprio niente? Neanche delle persone che conoscevi quando eri ancora... ancora vivo? »
   « Qualcosa, qualcuno, ma solo vagamente. È come se chiedessi a te se ti ricordi che facevi quando non eri niente di più che una mocciosa. »
Tatsuki si incupì, rendendosi conto che a sua volta anche lui non le avrebbe dato la soddisfazione di concederle una risposta esauriente. Forse gli sarebbe servito ancora un po’ di tempo, come per quando gli aveva raccontato del suo passato da Hollow. O forse, alcune cose non gliele avrebbe dette mai, considerò con un sospiro. In fondo, però, che importava? Abbassando lo sguardo verso di lui, che lo ricambiò in attesa di una risposta, decise che ciò che avrebbe contato veramente da quel momento in poi era la persona che aveva davanti, non il suo passato, qualunque esso fosse stato, e nemmeno il suo futuro. E lo promise a sé stessa, con un sorriso.
   « Io mi ricordo che facevo. »
   « Ah sì? »
   « Sì. »
   « E che facevi? »
   « ... Beh, prendevo a calci Ichigo. »
La risata di Grimmjow sorse talmente spontanea che quasi sorprese lui stesso. Forse perché poteva visualizzare benissimo nella sua testa uno o più episodi del genere, o forse perché l’idea di Tatsuki da bambina, per qualche motivo, lo divertiva più di quanto potesse capire consciamente. Perché era qualcosa che combaciava perfettamente con la forte e la fragile umanità di lei, che pian piano stava imparando ad... apprezzare.
Tatsuki, dal canto suo, si sentì come più leggera a sentire la sua risata sincera, e non provò minimamente la voglia di rovinargli il sorriso a suon di pugni. In realtà, era da molto tempo ormai che non provava più il frustrante desiderio di alzare le mani su di lui. O almeno, non in quel modo.
Avendo solo attimo di esitazione, tolse un filo d’erba dai suoi capelli, soffermandocisi più del dovuto e sfiorandoli appena con le dita.
  « ... In questo mondo però non funziona così, Grimmjow. »
  « E come funziona? », chiese lui, con un tono più rigido di quanto intendesse, dovuto a quel gesto tanto fugace quanto inaspettato, a cui si costrinse a non pensare troppo.

Tatsuki alzò nuovamente gli occhi al cielo, tornando a posare la mano sul muretto, che strinse molto più forte di prima tra le dita.
  « Lo so che detto da me sembra ipocrita, ma devi... devi essere superiore. Fregartene di quello che dice o fa la gente. Non puoi pretendere che tutti ti rispettino. »
A quelle parole, Grimmjow non poté fare a meno di aggrottare le sopracciglia, trovandosi in totale disaccordo, che sottolineò mettendosi a sedere e cercando il suo sguardo.
  « Dovrebbero. Devono. », asserì con tono inflessibile. « E devono... rispettare anche te. »
Guardando l’espressione leggermente stupita di Tatsuki, non seppe dire perché avesse aggiunto quella precisazione. Capì solo che era giusta, mentre ripensava a quando si era sentito ferito nell’orgoglio quando era stata lei ad essere presa di mira. Cosa che non avrebbe più permesso riaccadesse. Mai più. A costo di farla incazzare per essersi intromesso in quelli che aveva definito “affari suoi”. Se quello che la riguardava non era affar suo, allora Grimmjow avrebbe semplicemente fatto in modo che lo diventasse.
  « A me basta avere il rispetto delle persone che io rispetto a mia volta. O meglio, cerco di farmelo bastare, anche se non sempre ci riesco. Se no impazzirei. », Tatsuki si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo verso i propri piedi, che incrociò, dondolandoli appena.
Ma lo rialzò subito, perché quello che ammise Grimmjow dopo un attimo in cui era rimasto in silenzio coi suoi pensieri, la colpì più di qualunque altra cosa avrebbe potuto dirle in quel momento.
  « ... Io ti rispetto. »
Si rese conto di star arrossendo nuovamente, ma non gli diede peso, perché quello che provò, fu un imbarazzo piacevole. E non si vergognò minimamente di mostrarlo davanti a lui, che la guardava con serietà, aggiungendo forza alle sue parole. Non si vergognò di mostrarsi così umana, e timida, e vulnerabile, perchè sapeva che Grimmjow l'avrebbe accettata in ogni caso, come lei avrebbe accettato lui.
  « ... Lo so. », e lo sapeva davvero. « Ma non c’è bisogno di fare l’idiota come prima, per dimostrarmelo. Però... grazie. »
Rimanendo a fissare il sorriso più incredibile nella sua sincerità che le avesse mai visto regalargli, Grimmjow non poté fare a meno di chiedersi se quella non fosse la prima volta in cui qualcuno si scusava con lui e lo ringraziava veramente.
  
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