Fanfic su artisti musicali > The GazettE
Ricorda la storia  |      
Autore: Morgaine You    22/11/2012    5 recensioni
Si aggrappò al muro portante; un groviglio di sentimenti confusi e di pensieri inespressi gli asserragliava la gola, impedendogli quasi il respiro. Le unghie, già lacerate, stridevano al contatto con la ruvida parete. Gli artigli in frantumi di una tigre morente.
‘Non attaccherà’
Ma la campagna già odorava di morte.
Genere: Drammatico, Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Reita, Ruki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I’ll see you once again, because I promised that I would
 
Takanori si svegliò all’improvviso, scosso dal suono ferroso della vecchia campana del villaggio. Un rumore sordo, cupo, arrivò al suo orecchio, e penetrò fino ai più profondi recessi della sua anima, facendola vibrare. Sentiva freddo.
Si alzò in piedi, avvicinandosi a passi stentati e poco armoniosi all’uscio adombrato della piccola casa di campagna. Quella giornata di fine inverno prometteva un tempo sereno, almeno non avrebbe piovuto. I campi, già saturi d’acqua, non avrebbero certamente resistito ad un’altra tempesta. E’ così delicata, la natura; i fili d’erba, troppo fragili, non reggeranno  allo scorrere incessante del tempo, come l’essenza di ogni uomo si perderà nell’imperscrutabile, quanto imprevedibile, universo, quando il corpo si dissolverà in polvere. Ogni essere vivente, per quanto forte,  è destinato a scomparire.
Gli occhi stanchi di Takanori, arrossati e appesantiti da una notte d’oblio e di lacrime, seguivano ignari il percorso delle placide nuvole che venivano trasportate verso est dalla fredda scia del vento che, invisibile, le guidava, valicando le alte montagne alla spalle del villaggio. Era gelido, ma per il giovane ragazzo era come la carezza di una mano amica, nella solitudine di quei luoghi incontaminati.
Il suo sguardo ora si perdeva nell’immensità secolare del ceruleo orizzonte.
 
‘L’esercito del clan Sanada è in marcia verso i nostri confini’
‘Non attaccherà’
Ma la campagna già odorava di morte.
 
Fu investito dalla fioca luce del nuovo giorno; avvolto nel suo kimono blu troppo leggero, cominciò a torturarsi la sue fragili mani, che ben presto iniziarono a sanguinare. Ma il dolore carnale che sentiva pulsare e diffondersi attraverso le sue dita non l’avrebbe certo distolto dall’oscuro abisso in cui stava lentamente sprofondando il suo cuore, e la sua anima tutta.
Si aggrappò al muro portante; un groviglio di sentimenti confusi e di pensieri inespressi gli asserragliava la gola, impedendogli quasi il respiro. Le unghie, già lacerate, stridevano al contatto con la ruvida parete. Gli artigli in frantumi di una tigre morente.
 
Si maledì. Maledì se stesso, i suoi antenati, la sua beneamata terra natia. Quella terra che, resa prospera dalle millenarie faide tra clan, ancora non era sazia del sangue dei suoi uomini, dei suoi stessi figli. Il Giappone feudale richiedeva sacrifici da ogni famiglia, povera o benestante,  incurante delle conseguenze della già grave carestia che da oltre un anno dilaniava le coltivazioni. E ancora risuonavano gli echi rotti dei lamenti delle donne rese vedove fra le colline dell’ultima battaglia.
Ma questa volta il prezzo da pagare sarebbe stato davvero troppo alto per Takanori.
 
‘Devo partire’
‘No, Ryo, ti prego’
‘Stanno venendo a prendermi’
‘Ascoltami’
‘Ho un dovere, Takanori, lo sai bene;
 devo difendere con onore il nostro villaggio’
‘Scapperemo, ce ne andremo da qui’
‘Ci troveranno’
‘Che ne sarà di noi, Ryo?’
Silenzio.
 
Takanori fissava il vecchio armadio vuoto della piccola stanza da letto. Ricordava perfettamente ogni forma, ogni linea e decorazione dell’armatura vermiglia di Ryo, della forte corazza che gli copriva il petto, della katana da cui non si separava mai; ‘così sarai al sicuro’ soleva dire.
Takanori si rese conto che quel mobile altro non era che una degna rappresentazione della sua vita. Dov’era lui, ora?
Ryo.
Quanta melodia racchiusa in così poche lettere, portate lontano dal primo alito di brezza mattutina.
 
Ryo era il bambino che viveva accanto a lui, nella cittadina di Yedo, e che spesso gli rubava i fiori profumati del giardino, per fargli un dispetto; Ryo era il suo migliore amico, colui che era riuscito a strapparlo da quella famiglia indegna e che con lui si era rifugiato in quel piccolo villaggio protetto da alture.
Ma Ryo era anche il suo amante, l’uomo che lo aveva protetto e che per lungo tempo si era preso cura di lui.
Perché Ryo era forte; combatteva con la sua fedele arma al fianco, prima per difendere le colture, poi le donne inermi, e infine il suo villaggio, nelle vesti di samurai. Aveva ricevuto l’investitura dal daimyo in persona.
E ora lottava tra la vita e la morte per lui, lontano, per la tranquillità di quella fragile creatura che giaceva inanimata a terra, nella stanza da letto, privata da ogni minima ragione d’essere.
 
Il respiro di Takanori si fece nuovamente affannoso; ricordi di violenze dell’infanzia si riaffacciavano puntualmente nella sua mente, precise, inesorabili. Riuscì, a fatica, a rialzarsi; da giorni non toccava cibo. Ma forse non era ancora arrivato per lui il momento di arrendersi  a quello che, alla tenue luce della mattina, sembrava un destino ormai scritto nei cieli. Se fosse tutto illusione, una mera quanto brutale illusione, non ne era certo. Ma il vuoto attorno a se stesso diventava sempre più buio e tetro.
Così corse nel luogo che Ryo preferiva, sotto il grande ciliegio, ora sfiorito, e ivi si assopì, tra spaventosi incubi. In mancanza del giovane, Takanori traeva conforto da quel luogo silenzioso, al lato del giardino; e se anche la natura in quel momento ancora si preparava a sbocciare in tutta la sua bellezza, lo rasserenò. Sì, Ryo sarebbe tornato presto.
Il sole, pallido, era ormai sulla via discendente e gli uccelli, in segno di rispettosa devozione, tacquero. Placide, le acque del fiumiciattolo, continuavano il loro mesto scorrere: quelle acque che, attraversando la campagna, portavano la vita; ma a volte, scendendo dalle dolci alture alle spalle del villaggio, portavano anche i segni della morte.
 
‘Piccolo Taka’
‘Non abbandonarmi ’ disse in lacrime.
‘Ritornerò’
‘Giuralo su ciò che c’è di più sacro a questo mondo!’
‘Lo giuro; e ti rivedrò, amore mio, io ti rivedrò ancora,
perché l’ho promesso’
‘Baciami, e dimmi che mi ami’
‘Ti amo, Takanori’
Takanori non aveva mai visto Ryo piangere.
 
 
Davanti agli occhi di Ryo era disposto lo schieramento nemico. Riusciva a cogliere, a tratti, il luccichio degli occhi di qualche soldato; forse era determinazione, forse era paura. L’esercito Sanada era celebre per la scaltrezza e l’astuzia dei suoi adepti, come pure era nota la loro vigliaccheria. Da millenni, si dedicavano alla sottile arte dell’inganno con particolare dedizione, grazie alla quale risultavano frequentemente vincitori, e dominatori assoluti.
Ryo, spesso, si era chiesto come fosse  possibile che degli uomini, nati nella stessa terra, parlanti la medesima lingua e praticanti la stessa religione, potessero combattere gli uni contro gli altri. La violenza non genera che una catena infinita di atrocità, sangue chiama sangue, e la bramosità dei daimyo era sempre più incontrollabile.
 Il malevolo ardore dei potenti, avidi e ingordi, aveva spezzato ogni equilibrio della Natura, unica entità in grado di creare e distruggere; chi erano loro per poter decidere ciò che era giusto?
Da troppo tempo si protraeva questa eterna lotta tra clan; iniziata per futili motivi, ingigantitisi nel tempo, aveva mietuto fin troppe vittime. Ryo era deciso a porre fine a tutto questo.
Si guardò intorno: i cavalli, scalpitanti, sembravano agognare l’ora fatidica, quando tutto sarebbe stato deciso, quando altre donne avrebbero pianto i loro defunti mariti e figli.
Il soldato alla sua sinistra piangeva; singhiozzava così forte che perfino da sotto il pesante elmo si potevano sentire i suoi singulti. Legato al polso portava una nastro rosso, e tremava. Perché hai paura? Se morirai in battaglia, morirai con onore. E’ tuo dovere sacrificare tutto cio’ che hai per la patria.
Ryo lo fissò, e si accorse che anch’egli stesso tremava; tremava al pensiero del vulnerabile ragazzo che amava, e che ora si trovava esposto a qualsiasi pericolo poco lontano, nascosto dai dolci altipiani alle sue spalle, tremava al pensiero di non poterlo più vedere sorridere, accarezzare quella pelle bianca dal profumo dolce di mandorla.
Si sentì improvvisamente cedere le gambe, già deboli per il lungo cammino; cosa ne sarebbe stato di Takanori se lui…fosse morto?
Represse a stento le lacrime; sii forte. Non aveva mai temuto la battaglia, il giudizio finale di ogni guerriero, ma questa volta era tutto diverso: non combatteva per l’imperatore, lontano, ma combatteva per proteggere la sua casa, la semplice quotidianità della sua vita, e l’uomo che gliel’aveva donata.
Ma di lì a poco l’avrebbe raggiunto. Avrebbe raggiunto Takanori, si sarebbero seduti sulla piccola veranda in legno liscio e avrebbero contemplato il tramonto, e il conseguente sorgere delle stelle, e forse si sarebbe addormentato tra le sue braccia, stremato. Sì, avrebbe vissuto per la luce gentile del nuovo giorno.
Strinse con ferocia la katana che teneva nella mano destra, stretta in pugno, e serrò l’elmo. Una scintilla color del fuoco attraversò i suoi occhi castani. Nessun nemico sarebbe sopravvissuto.
Veloce come il vento, implacabile come la punta della lama più affilata.
 
 
Un urlo roco, selvaggio, ruppe l’immobile silenzio in cui era caduta la campagna circostante. L’ultima battaglia aveva inizio; Takanori aprì gli occhi in direzione delle montagne. Nuove lacrime riaffiorarono sul suo viso. Lacrime di terrore.
 
Ryo non avrebbe saputo enumerare tutti gli uomini che aveva ucciso nella sua lunga vita come guerriero. Per dovere e per obbligo, non certo per sua propria volontà. La sua anima era limpida; un velo leggero la separava da quel profondo abisso nero chiamato peccato. Ma quel velo ero macchiato irrimediabilmente del sangue di decine di altri armigeri, come lui.
Un brivido freddo gli percorse la schiena quando, in una folle corsa, si abbattè sul primo nemico: un affondo, e questi cadde a terra, ai suoi piedi.
Il rumore sordo di lame che si incontravano in un’accozzaglia polverosa echeggiava sino al suo villaggio, dove le madri portavano i figlioletti in casa, al riparo di quel incubo chiamato guerra.
‘Sì, papà tornerà presto’
Ryo affrontava ormai un guerriero dopo l’altro: il sangue formava sul terreno molte, troppo pozze vermiglie dall’odore acre, come lo era quello del mucchio di cadaveri che ora ricopriva il manto erboso. Quella visione ancora lo torturava nonostante la lunga esperienza, trasformandosi in completa rassegnazione al suo destino. Avrebbe sopportato anche questo, l’ennesima prova a cui il destino aveva deciso di sottoporlo per dimostrare se Ryo fosse realmente degno del peso che portava.
Un altro soldato gli si parò davanti: tentò di sbilanciare Ryo, ma non resse l’urto con la sua spada, ed egli stesso finì a terra. Ryo con un movimento agile gli slacciò l’elmo nero e sporco, ferendogli la gola. Lo sguardo totalmente perso e terrorizzato dell’uomo sotto di lui, inerme e spogliato anche dell’ultimo velo d’orgoglio, provocò nel giovane un intenso senso di disgusto per se stesso  da causargli amari conati di vomito. Cos’era infondo questa guerra se non un susseguirsi di orrori senza fine, senza senso, senza onore? Ma non esitò, vinse il ribrezzo che lo dominava. Non esitò per Takanori.
La battaglia continuava, e infuriava negli animi dei sopravvissuti. Ryo sentiva crescere dentro di se un sempre più profondo rancore per se stesso che attanagliava e imprigionava le sue cellule come una malattia, che col tempo logora il corpo fino all’ultimo brandello di tessuto, non lasciando nulla.
Non è il momento per simili debolezze. Combatti, e sarai finalmente un uomo libero.
Uccise un uomo, ferì mortalmente un altro: quanto sarebbe durato ancora? Questo tormento fatto di suoni, odori e sensazioni rivoltanti; per qualunque uomo che vi avesse ceduto sarebbe stata la fine.
Il caldo soffocante lo opprimeva; madido, la corazza che ricopriva i suoi possenti arti temprati da anni di fatiche sembrava aver creato un legame insolvibile con essi. Ryo non era più un uomo; era un insieme caotico di ferro, lacci e cuoio a cui i nemici prestavano ora particolare attenzione. Una minaccia, uno dei loro tanti dei sceso sul campo di battaglia. La maschera dorata che gli nascondeva il volta ruggiva per lui.
Ma il sudore che gli imperlava la fronte gli ricordava quanto fosse vivo.
 
Fronteggiò l’ultimo soldato; i compagni dello sventurato erano caduti senza eccezione alcuna, altri erano fuggiti fra i boschi. Presto lo disarmò, senza difficoltà; l’ennesima vittima assoggettata al volere di Ryo.
‘Inginocchiati’
L’uomo obbedì, senza paura. Sapeva bene ciò che lo attendeva, e abbassò il capo, in segno di resa. Ryo si preparò a calare su di esso la sua fedele spada, ma poi esitò, lasciandola cadere di fronte all’uomo.
‘Ti risparmierò. Farai seppuku, e potrai sfuggire ad una morte così disonorevole per mano mia’
Le voce di Ryo era ferma. No, non sarebbe stato capace di rendersi responsabile di quell’ultimo, definitivo atto infamante.
Allevia questo mi dolore.
Ryo si voltò, in direzione delle montagne, e immaginò la quiete in cui era immersa la sua casa, poteva respirarne l’odore. Cercò con lo sguardo il suo cavallo, il quale però giaceva a terra morto poco distante.
Avrebbe dovuto far attendere ancor di più Takanori; già da qualche giorno non riceveva notizie di lui, ai messaggeri era stato vietato di inoltrarsi nelle colline circostanti, considerate troppo pericolose.
Non importa, tornerò.
Ma un suono secco interruppe i suoi pensieri. All’improvviso, un dolore forte, insostenibile all’altezza della spalla sinistra. Un rivolo di sangue fuoriuscì dalla sua bocca.
 
Ryo iniziò a respirare a fatica; i suoi movimenti si fecero incredibilmente più difficili e pesanti. Il braccio sinistro, paralizzato, si muoveva inerte ad ogni gesto ormai privo di volontà di Ryo, i cui occhi cercavano affannosamente una spiegazione a ciò che stava accadendo. Il tempo sembrava essersi fermato: non un fruscio, non un ronzio arrivava al suo orecchio. Il mondo intero e la natura trattenevano il fiato per lui.
Si girò verso l’uomo che aveva lasciato alle sue intime preghiere qualche minuto prima: era lì, retto in piedi, vivo, e imbracciava un pesante arco di legno chiaro. Era stato lui a scoccare la freccia che aveva ferito Ryo, perforandogli il sottile strato di tessuto che gli ricopriva la pelle. La maschera scivolò, scoprendogli il viso plumbeo.
‘V-vigliacco!’ esclamò Ryo, cadendo sulle propria ginocchia, non riuscendo più a reggere un tale dolore ‘non hai onore..e non avrai mai pace!’
Con un ultimo slanciò, raccogliendo le sue residue energie, afferrò la spada rimasta inutilizzata dal suo nemico e con un movimento fulmineo, e prima che l’uomo si rendesse conto della sua rapidità sorprendente Ryo gli trapassò il ventre con l’arma, sotto il cuore. Maledetti saranno i tuoi figli, e i figli dei loro figli, fino al momento in cui la tua stirpe scomparirà dalla faccia della terra.
Stremato, Ryo si lasciò cadere pesantemente al suolo, trascinato dalla sua stessa armatura. Assaporò il gusto sgradevole della polvere, che si mischiava alle copiose gocce del suo sangue.
‘Takanori… non riesco più a sentire la tua voce’ Solo il vento colse quelle parole a stento sussurrate.
‘Sono qui’
Takanori si inginocchiò di fianco a Ryo, ma quando questi, tremando, allungò la mano verso di lui, non riuscì a toccarlo. Un battito di ciglia, e quella fugace visione scomparve.
E’ solo un brutto sogno, vero? Redimimi, salvami da questo inferno.
Le immagini ai suoi occhi divennero vacue, e sfocate: i morti si rialzavano in un turbinio di movimenti indistinti, accanendosi contro il corpo quasi immobile di Ryo; lo sovrastavano, soffocandolo, e gli fu negata anche l’ultima possibilità di vedere lo scintillio di quella solitaria luna che saliva ora nel cielo.
Prima di perdersi completamente, rivide gli occhi tristi di Takanori. Addio, amore mio. Non dimenticarmi.
Paradossalmente  l’unico testimone della morte del guerriero dalla maschera dorata morì con lui, e nessuno saprà mai il suo nome, ne la sua storia, come nessuno potrà mai raccontare come Ryo rivolse il suo ultimo sguardo verso la sua casa, piangendo, invocando il nome del suo amato, esalando l’ultimo respiro.
 
 
Takanori venne svegliato dal freddo pungente della sera. Si guardò intorno: gli ultimi bagliori lasciavano ora spazio al chiarore delle stelle. Si trovava ancora sotto il ciliegio: la terra umida si era ormai  trasformata in fanghiglia, macchiandogli il kimono. Quel giorno Ryo non sarebbe tornato.
Si alzò, voleva tornare al tepore della sua casa; ma quando si mosse un profondo dolore avvolse in una glaciale morsa la sua spalla sinistra. Si toccò con la mano destra ciò che credeva essere una ferita, però non sanguinava. Si avvicinò lentamente al fiumiciattolo, cercando refrigerio nell’acqua delle montagne, ma quando si chinò, vide che essa era di uno strano e insolito colore. Era scarlatta.
Sconcertato, si rifiutò di cercare una risposta; ma, alzando gli occhi, nel buio della notte vide un luccichio sulla sponda opposta. Una maschera d’oro.
Un grido di terrore gli morì in gola quando capì che Ryo non sarebbe tornato mai più.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Well then.
Ci ho messo mesi. Tra scuola, impegni, patente eccetera sono riuscita a completarla solo ieri sera.
Di fan fiction ne ho scritte tante, forse troppe, soprattutto in quanto ho iniziato a impegnarmi seriamente solo quest’anno . Alcune le ho scritte di getto, altre pensate, metà sgrammaticate, come forse un po’ tutti.
Ma questa, non so. Non dico di essere fiera di me stessa, non lo sarò mai, ma, credetemi, anche se non vi è piaciuta o ci sono errori, o non è abbastanza lunga, qui dentro c’è il mio cuore.
Bhe, i protagonisti li conosciamo, no? Takanori e Ryo, Ruki e Reita. Non credo ci sia molto da dire… lasciatemi nella mia valle di lacrime.
Vi consiglio, per capire meglio, una colonna sonore: Returner – Gackt
Il titolo della mia fan fiction l’ho preso proprio da quella canzone.
Il video è splendido, lo consiglio caldamente. Amate quell’uomo
Detto questo…mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, se vi và. Arigatou Gozaimasu.

 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The GazettE / Vai alla pagina dell'autore: Morgaine You