Non posso.
Edward's pov.
“Maledizione! Maledizione!
Argh!”
Colpii con un calcio l’ennesimo masso, che si sgretolò di
fronte ai miei occhi in una pioggia di detriti e schegge deformi.
Tremavo, totalmente fuori controllo. Eccitato. Arrabbiato.
Le mie orecchie erano tese nello
sforzo si percepire il minimo suono notturmo ma era il silenzio a
dominare lo spazio intorno a me: gli animali, terrorizzati della mie
grida, si erano dati alla
fuga ore prima correndo o prendendo il volo nella notte scura,
allontanandosi
dalla febbrile pazzia che si era insinuata nelle mie membra rendendomi
un suo semplice
schiavo.
“Merda! Merda! Maledizione!” continuai a imprecare
digrignando i denti, prendendo a pugni il tronco di un enorme abete fino ad
abbatterlo. E continuai a infierire sulla sua carcassa ormai a terra, gemendo e
gridando, furioso con il mondo e con me stesso.
E con lei.
Con quella grandissima... stupida.
“Stupida… stupida! Maledizione, sei un’idiota! Vaffanculo!
Vaffanculo!” le gridai contro allora, sgretolando il legno fino a scavare con le
nocche una buca nel terreno, sporcandomi di terra e fango, mentre le schegge
che nulla potevano contro la mia pelle si infilavano impertinenti nella stoffa
della mia camicia regalandomi solo lievi carezze invece che di graffi.
“Non è giusto… Non è giusto… VAFFANCULO!” urlai a pieni
polmoni, alzandomi e prendendo a calci ciò che rimaneva dell’albero, facendolo
volare verso le fronde di fronte a me e strappando altri rami. Lo osservai
durante il suo breve tragitto, ansante, tremando, fino a che quello non si andò
a schiantare contro il costone della montagna spezzandosi in due grosse amorfe
metà legnose, per precipitare poi al suolo accompagnate da piccole rocce e
verdi aghi.
Osservai lo spazio che avevo creato intorno a me: gli
alberi, i grossi massi, alcuni animali che avevano avuto la sfortuna di
capitarmi davanti… Tutto quello che fino a qualche ora prima si trovava lì era
sparito, distrutto dalla mia furia. Ma dovevo fare qualcosa, dovevo
assolutamente…
Quella rabbia, quell’odio profondo, l’avevo dovuto sfogare.
Preferibilmente su qualcosa invece che qualcuno.
“Maledizione!” sbottai ancora, passandomi una mano tra i
capelli e tirandoli, cercando di rimanere aggrappato a qualcosa, qualunque cosa.
Un ringhio mi risuonò nel petto e compii un giro su me
stesso, le narici dilatate per poter catturare un nuovo odore, una preda
su cui accanirmi. Qualcosa, qualcosa, qualunque cosa… C’erano solo dei maledetti alberi in questa dannata foresta?!
“Perché? Perché?! Che hai contro di lei, eh? Perché la fai
soffrire così, me lo spieghi?!” urlai, colpendo e artigliando rocce e la terra,
distruggendo tutto ciò che avevo dinnanzi. Una patina rossa e nera, d’odio e
rabbia, mi precludeva la vista rendendomi quasi cieco. A caso sceglievo cosa
distruggere, facendomi guidare dai fruscii del vento o dai profumi che mi
giungevano alle narici.
La rabbia era tanta, troppa. Più di quanta ne avessi mai
provata in vita mia. Mi stregava, mi guidava, rendendomi preda e predatore. Forte.
Debole.
Umano.
Le gambe non mi ressero più e mi lasciai scivolare a terra,
scuotendo il capo, negando a me stesso tutto. “Non è giusto. Non è giusto…”
Mi ritrovai singhiozzante, impotente, carponi sull’erba fredda, immerso
in una distesa grigia, marroncina e verde, i resti della mia opera. Afferrai
distrattamente una manciata di quei detriti, polverizzandoli nella mia mano.
“Perché? Perché…” gemetti, sofferente, straziato, senza più
un briciolo di forze in corpo. “Non deve soffrire più… Perché sei ingiusto con
lei? Perché?”
Perché Bella doveva
tornare lì? Perché?
La mia guancia, nonostante fossero passate molte ore, doleva
ancora; un dolore lento, pulsante, tenue, eppure costante, impossibile da
ignorare. Il dolore al viso mi ricordava il suo schiaffo. Mi ricordava lei.
Lei, e tutto
quello che ci aveva rivelato quella sera. Tutto ciò che desideravo dimenticare.
Possibile… possibile che tutto quello che avesse detto fosse
vero?
Che lei dovesse
distruggerci?
Che lei lo… lo
sapesse da sempre?
Chiusi gli occhi, sopraffatto da tutte quelle emozioni. Ero stanco,
svuotato.
Poggiai la fronte sul terreno, grato al refrigerio della brina
che ricopriva l’erba rendendola scintillante al chiarore della luna che,
impudente, faceva capolino di tanto in tanto da dietro le nubi scure.
Il mio cervello non riusciva più ad elaborare tutte quelle
informazioni. Era stanco, io ero
stanco.
Stanco di tentare di capire, stanco di tentare di frenarmi,
stanco di… tutto.
Forse, perfino stanco di lei.
Lei e il suo comportamento… e le sue
parole… e la sua fottuta arrendevolezza, accidenti a lei!
Perché doveva sempre comportarsi così?
Doveva sempre... diavolo! Doveva sempre chiudersi, non dire nulla, ridursi all’ombra
di sé stessa prima di riuscire a parlare?! Non riusciva proprio a fidarsi di me?!
Era rimasta incosciente per un’ora e mezza, (una fottuta ora e mezza!) in cui io,
immobile e terrorizzato, avevo completamente perso coscienza di me. Ero morto,
dentro e fuori, incapace di agire, di essere di alcun aiuto, di svegliarla in
qualche modo. Incapace di prestarle aiuto, mi era limitato a fissarla,
spiritato, mentre tutti gli altri attorno a lei si adoperavano per fare
qualsiasi cosa per farla rinvenire.
E io, invece, ero là. Immobile e agonizzante, le tenevo la
mano, solo questo. Mi aggrappavo a lei per non dovermene separare. Per non
permetterle di lasciarmi. Incapace di pensare a come aiutarla. Incapace di
staccare gli occhi da quel viso che era il ritratto del tormento, e del dolore.
Della morte. Incapace di lasciarla andare. Incapace di aiutarla.
Incapace. Di nuovo.
E quando era rinvenuta, eccola là, finalmente decisa a
parlare, innaturalmente calma, come se non fosse presente, come se avesse
rinunciato a sé stessa. Seduta composta, provata da quello shock che l’aveva ghermita,
il bel volto affaticato eppure impassibile, si era decisa a dirci finalmente
tutta la cazzo verità.
Stupida.
Cosa le era passato per quella sua mente?
Pensava davvero che i legami di affetto, di amicizia, di
amore che ci univano a lei fossero così blandi e deboli? Credeva che l’avremmo
riconsegnata ai Volturi? Che…
Che cosa credeva
quella sciocca? Cosa?
Mi tremavano le braccia. Non riuscii a sostenere il mio peso
e crollai a terra, poggiando la guancia lesa sul manto erboso.
Per un momento mi limitai a fissare il mondo circostante,
prima di chiudere gli occhi, abbandonandomi al buio.
“Vorrei dormire” sussurrai.
Per un momento, solo per un momento, volli cedere alla tentazione di fuggire da quella
realtà.
Non volevo accettare tutto quello. Non volevo accettare
quella… che ci avesse condannato a morte.
Non volevo accettare di essere ormai nella rete dei Volturi.
Non volevo accettare la sua
resa incondizionata a quel che si ostinava a definire “il suo destino”.
Non volevo accettare.
No!
Riuscivo a vedere ancora tutti i dettagli. Nell’aria
risuonavano le urla che ci eravamo scagliati contro. La sensazione di quel
lieve pizzicore (poi trasformatosi in dolore vero) che lo schiaffo mi aveva
fatto provare. L’odore delle sue lacrime che, leste, le scorrevano sulle
guance. E la crudeltà delle sue parole che mi aveva trafitto.
“Vuoi morire. Benissimo.
Muori. Ma non aspettarti che piaga per te, dopo”
“Perché… sei così stupida?”
sussurrai.
Il dolore arriva improvviso, violento.
Lascia boccheggianti, storditi, incapaci di
ragionare o di agire. Ma il dolore permette di capire. Di comprendere il perché dei comportamenti,
dei nuovi interessi, della nuova visione del mondo; permette di capire ciò che
hai perso, o che perderai.
E a quel punto, sopraggiunge la rabbia, per
dimenticare sé stessi e ciò che ci fa soffrire.
La futura mancanza.
Mi rialzai, di nuovo furioso, di
nuovo distrutto dentro. Lacerato, consumato dalle fiamme, non sopporai quello
che mi circondava. Non aveva diritto di essere in pace. Doveva provare il mio
dolore. Doveva soffrire, doveva pagare.
“Perché?! Perché?!” urlai in un
ruggito, riprendendo la mia opera di distruzione.
La rabbia sembra essere una buona cosa, quando si
soffre.
Permette di sfogarsi, di urlare, di
distruggere, compensando quel vuoto che il dolore lascia nel corpo. Riempie,
dona energia, anche più di quanta si pensasse di poter possedere; e questa
energia deve sfociare, abbandonare il tuo essere, prima di distruggerlo
completamente. Dolore e rabbia, rabbia e dolore, un connubio perfetto per
distruggere sé stessi e ciò che si ama di più.
Alla fine di tutto si rimane
sfiniti, esausti.
Vuoti.
Sollevai la testa verso il cielo,
furioso, distrutto. Solo.
E urlai.
In quell’urlo racchiuso tutto il
mio dolore, la mia disperazione, la mia rabbia, il mio...
Caddi in ginocchio, sconfitto.
“Perché?” mormorai.
Ma solo il silenzio di quell’ora
tarda rispose al mio sussurro.
“Però! Non pensavo che sarebbe
arrivato il giorno in cui avrei visto il signor Edward Cullen ridotto… così”
Non mi mossi al suono di quella
voce, né tantomeno riaprii gli occhi. Il buio era così piacevole…
“Buonanotte, buonanotte, fiorellino…” canticchiò divertita “Certo,
dopo quasi quarant’anni di inattività tutto questo esercizio può stancare. Vuoi
che cacci qualcosa per rimetterti in forze, nonnino?”
Tentai di ignorarla nuovamente.
Era solo un rumore di fondo. Un fastidioso
rumore di fondo.
“Forse è meglio nipotino. Io sono
più vecchia, decisamente. Bello della nonna bionda e figa, vuoi che ti cacci un
piccolo Bambi? Non sei in grado di farcela da solo normalmente, figuriamoci adesso. Per
fortuna ci sono io!”
“Va’ via, Tanya” soffiai tra i
denti duramente, certo potesse sentire il mio flebile ordine.
“Scusa? Non ho ben capito: tu stai dando un ordine a me?” finse orecchie da mercante, sbruffona come suo solito “Sei sconvolto,questo si, ma non così tanto da dimenticarti con chi parli”
Allungai una mano sul terreno,
incontrando un sasso grosso quanto il mio pungo. “Ho detto vattene!” ringhiai,
lanciandoglielo contro.
Tanya non si scompose. In piedi
sul ramo di un albero a trenta metri da me, allungò una mano fermando il
misero ciottolo che avevo utilizzato come proiettile a un palmo dal suo naso;
sospirò stancamente sbriciolandolo tra le dita, e lasciò cadere la polvere che
venne trasportata dal vento prima di ritirate il braccio e incrociarlo insieme
all’altro sotto il seno, appoggiandosi al tronco.
“Wow. Devi essere davvero tanto sconvolto” commentò, per nulla
impressionata.
“Volgare e violento nello stesso giorno. Non l'averi mai creduto possibile"
Ignorala, ignorala, ignorala... Staccarle gli arti non risolverà nulla.
Lei non c’entra niente.
Questo continuavo inutilmente a
ripetermi, facendo forza sul quell’ultimo brandello di razionalità che ancora
permaneva nel mio corpo.
Mi rialzai in silenzio, rigido.
Con lo sguardo freddo puntato verso il bosco, cercando disperatamente la mia
unica consolazione nella tasca dei jeans. Alle mie spalle, Tanya saltò giù dal
ramo, leggera e agile, dirigendosi verso di me con passo felpato.
Afferrai il pacchetto aprendolo
con uno scatto rabbioso, prendendo quella maledetta sigaretta e portarmela alle
labbra. Ritrovai anche l’accendino e mi affrettai ad accenderla, inspirando
finalmente la prima boccata.
“Pensavo avessi smesso”
commentò.
“Beh, sbagliavi” abbaiai
arrabbiato.
“Hai fallito anche in questo?” sghignazzò Tanya, sedendosi sull’erba ai miei
piedi.
Ringhiai contro di lei, furioso.
“Ripeti, se hai il coraggio”
Tanya mi lanciò uno sguardo di
sufficienza. Pensi davvero di farmi paura?, commentò annoiata “Sembri un cane” completò ad alta voce.
Allungò una mano con l’intenzione
di toccarmi i capelli, ma mi scansai di botto, mostrando i denti.
Lo riporterai il bastone se te lo lancio, Bobby-Bau?, sghignazzò con
il pensiero.
“Sei qui per quale motivo?”
sbottai facendo un ulteriore passo indietro. Da solo: volevo restare da solo,
non era così difficile, no? Nemmeno una cazzo di sigaretta potevo fumare da
solo? “Vuoi farmi la predica? O preferisci solamente prendermi per i fondelli?
Oppure Alice ti manda a vedere se non sono partito per l’Italia per…”
“L’unica cosa che potresti fare
andando in Italia è farti ammazzare. Immagino che alcuni lo troverebbero senza
dubbio un intrattenimento piacevole, seppur breve” sbadigliò Tanya “Edward, per
quanto il tuo carattere bipolare sia, alle volte, molto divertente, non
dovresti farti arrivare il sangue al cervello così in fretta: sei già rosso
naturale, non c’è bisogno di farti esplodere una vena per pensare così tanto.
Considerando, poi, che sei tu il figlio riflessivo” Scosse il capo con falsa
tristezza. “Ma c’è qualcuno che ancora crede che i maschi Cullen siano
intelligenti? Giusto Carlisle, ma si è giocato la mia stima quando ha deciso di
mettere al mondo figli… in senso lato, ovviamente”
Per non rispondere aspirai. Non
era il caso di scherzare con me, non in quel momento. Avrei potuto seriamente
staccarle la testa. Non capiva, non ci poteva arrivare proprio.
Tanya si degnò, finalmente, di
riportare i suoi occhi su di me, e un sorriso divertito le increspò le labbra
carnose. “Certo, però, vederti fuori di testa è uno spettacolo delizioso” ghignò “Aspettavo da anni
un’occasione così propizia”
“Che. Diavolo. Vuoi” sillabai
lentamente, mal celando la rabbia.
“Ero
curiosa di vedere come avresti reagito a tutte queste emozioni umane” rise. Lei
rise, deliziosamente divertita.
Ringhiai, un suono basso e
minaccioso. Smettila. Smettila! Non sai
di che parli, non capisci! Smettila!
Mi fissò con il sorriso, tranquilla.
Batté il palmo della mano sull’erba alla sua sinistra, invitandomi a
raggiungerla. “Inoltre, vorrei una sigaretta. Le mie sono finite: Kate continua
a rubarmele”
Mi costrinsi a inghiottire un po’
della mia furia per acquistare un minimo di controllo.
“Poi sparisci” borbottai,
avvicinandomi a lei con riluttanza.
“Questo è ancora suolo pubblico”
sghignazzò. Che cosa ci trovasse di tanto divertente in tutto questo mi era
difficile capirlo.
“Allora vado via io”
“Oh, e smettila, prima donna! Hai
un po’ tanto rotto le palle con la storia della crisi!” sbottò lanciandomi
un’occhiataccia, per poi sdraiarsi di schiena sull’erba. “Buttati, che è
morbido!”
Le lanciai il pacchetto e
aspettai che si fosse accesa la sua sigaretta prima di sedermi al suo fianco.
Per un po’ nessuno dei due parlò.
Restammo lì, in silenzio, a fumare.
“Mi piace Bella” esordì infine Tanya, fissando il cielo.
Mi irrigidii, nervoso. No. Quello no.
“Certo, ha leggere tendenze
vittimistiche e un lato drammatico molto accentuato, però si
vede che è un tipetto... interessante” continuò,
intervallando le parole per creare dei cerchi di fumo.
Annuii brusco. Non mi andava di
parlare di lei. Non mi andava di
pensare a lei.
Tanya sollevò un sopracciglio,
fissandomi insistentemente.
“Cosa?” fui costretto a cedere
dopo un po’.
“Tutto qui?” rispose lei “Un
cenno del capo, e basta? Niente urla, scatti di rabbia, crisi isteriche da
teenager? Indifferenza pura? E dammi un po’ di spettacolo, accidenti!”
“Guardi troppa televisione”.
“E tu ti reprimi troppo” replicò
lei “Insomma, Ed, fino a cinque minuti fa eri il numero uno sulla lista nera
della forestale per il macello che hai fatto, e ora non provi nemmeno un po’ di
quella giusta, sana rabbia che avevi in corpo?”
Rimasi in silenzio, scrutandola
torvo per capire cosa realmente volesse da me. la sua mente era silenziosa,
calma. Non aveva realmente secondi fini.
Tanya alzò gli occhi al cielo.
“Ah, gli adolescenti! Sempre alle prese con questioni di cuore!” sospirò infine.
“Non io” replicai, gettando la
sigaretta.
Le mani di Tanya afferrarono le
mie guancie, pizzicandole. “Ma che carino, Edward è diventato un uomo!” mi
prese in giro “Forse è finalmente sbocciato il fiore del tuo romanticismo?”
Scacciai le sue mani con un gesto stizzito, sentendomi profondamente imbarazzato.
“Smettila di sparare stronzate!”
Tanya mi fissò offesa. “Ti
perdono queste volgarità solamente perché sei sconvolto e non capisci ciò che
fai” mi riprese severamente.
“Io so benissimo quello che
faccio!”
Mi tirò uno scappellotto dietro
la testa. “Cafone! Cafone e maleducato!” mi sgridò “Prova ancora a rivolgermi
volontariamente certe parole, e giuro che ti prendo a calci nel sedere”
“Sto tremando di paura al
pensiero!” ringhiai bellicoso.
Tanya scoprì i denti, negli occhi
una scintilla di rabbia.
Quella piccola parte del mio
cervello ancora in grado di ragionare lucidamente mi costrinse a notare che
venire alle mani con la mia cugina fosse un’ulteriore, inutile idiozia;
visto che già ne avevo combinate parecchie, mi imposi di ritrovare un contegno.
“Scusami, Tanya. Non avrei mai voluto
alzare la voce contro di te. Mi vergogno profondamente del mio comportamento incivile”
borbottai controvoglia. Galante e contrito, come etichetta impone, mi sbeffeggiò la mia coscenza così simile alla voce di Emmett, Fiera del Ridicolo, non ti temiamo!
Decisamente Emmett.
“O fingi meglio o ti risparmi
certe frasi da manuale, idiota” replicò voltandosi. Appunto!
“Beh, sei venuta qui tu. Io non
ti ho cercato” replicai acidamente “Sapevi come mi avresti trovato”
Feci per alzarmi ma quella strega
mi arpionò il braccio e mi costrinse a rimettermi seduto.
“Non abbiamo finito di parlare”
disse severa “Comanda al tuo cervellino di mettersi in moto e rispondi alle
domande che ti farò senza tergiversare, mentire o tentare di scappare. Ci siamo
capiti, cuginetto?”
“Tanya, non sono un bambino e tu
non sei mia madre. Non puoi obbligarmi a rimanere qui se non voglio” sbottai
divincolandomi. “Arrivederci”
Stavo giusto per scomparire nel
folto della foresta quando avvertii la sua presa salda intorno al polso. Prima
di capire cosa stesse succedendo, Tanya mi tirò indietro facendomi perdere
l’equilibrio. Sbattei il capo a terra incapace di evitarlo, e lei approfittò
della mia distrazione per sedersi a cavalcioni sul mio petto, imprigionando le
mie mani sopra la mia testa. Il suo sguardo era straordinariamente serio; mi
studiava, attenta, in attesa di una mia prossima mossa. Ma io ero troppo sconvolto
dal pandemonio di quella giornata per capire come avesse potuto sbattermi a
terra così facilmente, figuriamoci fare qualcosa come difendermi.
“Ora noi parliamo” sibilò,
capendo che non avrei reagito.
La sua voce riuscì a scuotermi
dal mio stato di incredulità. Le ringhiai contro, aggressivo, divincolandomi. “Quanto
pensi che ci metterei a spezzarti i polsi?”
“Se veramente non volessi
sfogarti con qualcuno, non ti saresti lasciato atterrare” replicò lei dura.
La fissai senza smettere di
ringhiare, ma lei, impassibile, rimase a osservarmi severa. Tentai di non
piegarmi al suo volere, ma alla fine mi arresi. Ero talmente stanco…
Poggiai il capo sul suolo, sospirando.
“Perché mi comporto così?” mormorai stancamente più a me stesso che a lei.
Non ti abbattere, pensò con dolcezza.
“Se ti lascio scapperai?” chiese,
trasformando la sua presa di ferro in una stretta gentile.
Scossi il capo, senza riaprire
gli occhi. Lei mi lasciò libere le mani, ma non accennò a togliersi dal mio
torace. Anzi, mi costrinse a piegare le ginocchia così da poter avere uno
schienale abbastanza comodo.
“Uhm… sai che non sei male,
Cullen, come sedia?” commentò sistemandosi meglio “Quasi, quasi ti affitto”
“Che vuoi, Tanya?” mormorai,
ormai senza più un briciolo di forze.
Stette un attimo in silenzio,
osservando il mio viso. Io rimasi zitto, ad occhi chiusi, beandomi
dell’oscurità a me congeniale. Avrei tanto voluto dormire…
“Voglio il tuo parere” iniziò
cauta “su tutto quello che ci ha detto Bella stasera”.
Un sorriso amaro piegò le mie labbra.
“Una domanda semplice, eh?”
“Tu rispondi e basta. Ho detto
che non devi tergiversare”
“E cosa vuoi che ti risponda?”
replicai irritato riaprendo gli occhi.
“Quello che davvero hai provato
oggi”
Scattai ancora, ringhiando.
“Perché, eh? Mi spieghi perché dovrei venirlo a dire proprio a te?!” urlai “E comunque, cosa dovrei
dire? Che mi sono sentito una merda quando Bella ha pensato che fossi la sua
nuova guardia carceraria? Che sono stato completamente inutile, oggi, quando
invece lei aveva bisogno di me? Che…”
Chiusi gli occhi per un secondo,
incapace di reprimere la voglia di piangere. Pazzesco.
Io, Edward Cullen, avevo voglia
di piangere. Se lo avessero scoperto i miei fratelli mi avrebbero preso in giro
per il resto della mia già dannata esistenza.
“Che…” deglutii, un fastidioso
magone in gola “per un attimo, ho pensato che non mi sarebbe importato nulla se
la tua famiglia… o la mia fossero
ridotte in schiavitù, purché Bella fosse libera'”
Mi rifiutai di guardarla,
provando un profondo disgusto per me stesso. Come avevo potuto anche solo
pensare, per un attimo, una cosa così orribile?
Volevo vendere la mia famiglia,
la mia intera famiglia, per una ragazzina.
Vendere le persone che amavo di
più al mondo, che avevano fatto di me quello che ero oggi, che mi avevano dato
gioia, amore, sostegno, per una…
Per Bella.
La rabbia sopraggiunse. Ero
disgustato in tal modo da me stesso che non desideravo altro che uccidermi,
farmi più male possibile.
Volevo tradire la mia famiglia.
Ringhiai contro Tanya, sperando
di scatenare la sua rabbia e riuscire così a venire a botte. Chissà, magari
il dolore del mio corpo che lentamente si ricomponeva avrebbe lenito per un po’
la mia mente sconvolta. In quel momento non pensavo a lei come una donna, come
una mia familiare, ma solo come un potenziale avversario. Volevo attaccare ed
essere ferito in risposta.
Ringhiai più forte, sentendo le
mani di Tanya afferrarmi malamente i polsi e inchiodarli ai lati della mia
testa un’altra volta.
Ecco, pensai quasi felice, ora
avrò la mia giusta punizione.
Invece, contro ogni previsione,
mi ritrovai le sue labbra premute con forza sulle mie.
Sgranai gli occhi, trovando Tanya
china su di me. Muoveva la sua bocca lentamente, in modo seducente, tentando di
farmi cedere alle sue lusinghe. Forzò l’accesso alla mia bocca, stuzzicandomi,
provocandomi, prima con brevi suzioni, poi mordendomi le labbra e tirandole
leggermente.
Il suo profumo era buono. Odorava
di spezie orientali, e di sogni, e promesse; il suo corpo sinuoso era
morbidamente premuto contro il mio, i capelli che, lentamente, scivolavano ai
lati del mio viso.
Tanya era una bella donna, senza
alcun dubbio.
Ma non era lei.
Mi liberai dalla sua presa e la spinsi
con forza, facendola volare lontano.
Con molta grazia, Tanya fece una
capriola e atterrò sull’erba, assorbendo l’impatto con le punte dei piedi. I
suoi occhi scintillavano di soddisfazione.
Un profondo ruggito nacque dal
mio petto e rimbombò per il bosco, ma non sembrò impressionarla poi molto. “Che
cazzo fai, eh?” sbottai. Al diavolo l’educazione! Mi pareva che ne avessimo già
parlato!
“Allora? Cos’hai provato?” chiese
sorridendo, eccitata, completamente sorda alle mie parole. “Ti senti
insoddisfatto, vero? Vuoi picchiarmi, giusto?”
“Tanya, se ti sei dato al
sadomaso, la mia risposta è sempre no!”
ringhiai.
“E rispondi, accidenti!” sbottò irritata,
ma senza perdere il sorriso. “Non ti è piaciuto, vero?”
“Certo che non mi è piaciuto!”
gridai “Non ti amo, Tanya! Non sei la donna per me, ficcatelo bene in testa!”
Incredibilmente, lei scoppiò
ridere. Felice, anzi, raggiante. Iniziò a battere le mani con allegria a stento
trattenuta, improvvisando passi di danza lievi e leggeri.
Io la fissai preoccupato, senza
abbandonare la posizione d’attacco. Ma erano tutti improvvisamente impazziti
nella mia famiglia?
Ridendo contenta, Tanya corse
verso di me e mi gettò le braccia al collo, facendomi barcollare.
La strinsi di riflesso,
impacciato, mentre mi trascinava in una sorta di balletto improvvisato.
“Edward!” cinguettò.
“Cosa?”
Scosse il capo con una risata. “Sono
così contenta!”
“Di avermi finalmente rubato un
bacio?”
Lo scappellotto fu abbastanza
forte. “Tesoro, sei troppo megalomane. Lavoraci su, nel tempo libero” mi
riprese.
“Non sei la prima a dirmelo” mi
lamentai massaggiandomi la testa “Si può sapere che accidenti avete tutti oggi?
Ridacchiò frivola, aggrappandosi
al mio braccio. Vi strusciò sopra la guancia, continuando a ridere. “Dai, parliamo un po’!” propose,
trascinandomi verso l’albero da me abbattuto. Spezzò alcuni rami per fare
spazio e mi costrinse a sedermi.
“Parlare? E di cosa?” domandai,
sempre più confuso.
Gli occhi d’oro brillarono.
“Di Bella!”
Il tessuto delicato mi carezzava lieve il collo, scendendo lungo
le spalle.
Il suo profumo era speziato, estraneo alla mia memoria,
eppure così piacevole…
L’unica nota dolce a me concessa, in quel frangente.
Un altro tuono vibrò nell’aria, e mi raggomitolai ancor più
su me stessa. Alzai gli occhi, ripercorrendo per l’ennesima volta l’odore dei
tessuti disposti dinnanzi a me.
Seta. Cotone. Lino. Demin. Ancora cotone…
Cannella. Cannella e
fiori di ciliegio. Casa.
Sentii il cigolio della porta della mia camera, due volte; qualcuno
era entrato e l’aveva richiusa, segno che non volesse uscire. Che cercasse me.
Anche le ante del mio armadio si aprirono; riuscii a
scorgere il fondo della mia stanza da lì, anche se difficilmente. Quel posto era troppo grande, riflettei
con una parte della mia mente. L’altra, era concentrata sulla persona che mi
stava venendo a… controllare.
Il profumo si fece più intenso. Mi stava cercando, ed era
vicino.
“S-sono qui”.
Li dovevo assicurare della mia presenza. Non avevo
intenzione di scappare, glie l’avevo detto. Non volevo che finissero nei guai
per causa mia, ma naturalmente non si fidavano più di me. Non dopo aver scoperto tutto.
No. Non si fideranno
mai più di me.
“N-non… non ho intenzione di sca-scappare”.
Li rassicurai ancora, rannicchiandomi all’angolo. Non si fideranno mai più di me.
Avvertii i passi leggeri sul pavimento farsi sempre più
vicini, finché la figura di Esme non apparve tra le fila di appendiabiti disposti
ordinatamente di fronte a me. Sembrava molto, molto preoccupata. Angosciata.
Avrà paura per la sua
famiglia. Sarà venuta a sincerarsi che il mostro rimanga relegato in una
camera. Sicuramente temerà qualche mio atto offensivo contro la sua oasi di
pace.
Non poteva saperlo, ma io non avrei mai fatto loro del male.
Mai.
“Piccola mia”
La guardai, e sinceramente non capii se i miei occhi riuscirono
a esprimere l’agitazione che provai in quel momento. In verità, non ero molto
sicura che riuscissero a esprimere una qualsiasi altra emozione per il resto
della vita.
Piccola mia? Come…
Come può, come può
chiamarmi così? Come?!
Non si rende conto di
ciò che sono, di ciò che potrei fare, a lei e agli altri?
La vidi fare un passo verso la mia direzione e di riflesso
mi ritrassi ancora di più contro il muro, non permettendomi quasi l’onore di
respirare la sua aria. Il vestito di lino leggero mi calò dinnanzi agli occhi,
mentre scossi febbrilmente la testa, non volendola al mio fianco.
Non posso, non voglio…
non la voglio vicino!
Se ne deve andare!
Via! Via di qui! Come ha fatto… come ha fatto…
Come ha fatto Edward.
Stupidamente, ripensando a lui, le lacrime tornarono a
scorrere lungo il mio viso.
Edward che muore per colpa mia. Edward con una mantella
scura, gli occhi rossi, scuri come il sangue. E accanto a lui, Alice; una Alice
differente, sadica, insensibile.
E piano piano il suo volto si trasforma in quello di Jane.
“Ben fatto, Isabella” dice “Li hai portati tutti qui”.
E vedo Emmett, e Rose… ed Esme e… e Jasper e… Carlisle, disumano con quegli occhi come
braci rosse.
No, no! Non voglio, no!
Scossi il capo ancora più forte, premendo i polsi contro le
tempie, non riuscendo ad accettare di averli trasformati io. Non posso, non voglio! No!
“Sht, sht, Bella! Stai tranquilla, va tutto bene. Ci sono
qua io”
Non mi calmai al suono della voce di Esme. Nemmeno il tocco
gentile delle sue mani sulle mie guance riuscì a placarmi, anzi, mi agitò di
più.
“Via! Via! Vattene!” le inveii contro, tentando di
allontanarla.
Fu estrema, invece, la facilità con cui lei si avvicinò più
a me, evitando i miei colpi e asciugando le mie lacrime. Riuscii a vedere il
tormento nei suoi occhi farsi ancora più evidente, e anche le mie lacrime
aumentarono.
“Va’ via… per favore…” gemetti, stanca. “Vattene!”
“No” rispose semplicemente, mentre con un movimento lento
continuava ad asciugarmi le lacrime.
“Perché resti qui? Devi andartene… devi andare via” mi
lamentai sofferente. Non vedeva che soffrivo? Non capiva quanto mi faceva stare
male?
“Perché?” rispose con la stessa ingenuità di poco prima
“Perché sei un Envrial – qualsiasi cosa sia, poi. Perché vuoi stare da sola? O
per una qualsiasi di quelle stupidaggini che hai detto prima?”
Stupidaggini?
Lei… lei… come poteva… stava per caso giocando con le vite
dei suoi cari? Era un test, o uno scherzo? Voleva… che diavolo voleva fare?
Cosa voleva da me?!
Mi divincolai dalla sua stretta, sentendomi soffocare.
Dovevo allontanarmi. Da lei, dal suo sguardo, da quell’amore che trapelava da
ogni suo gesto. Io… io…
Non era giusto. No, no.
Scossi il capo, fissandola agitata. Sentivo i miei muscoli
contratti, pronti a scattare, a portarmi via. Volevo correre via da lei, e da
tutto ciò che rappresentava. E non potevo.
Esme mi fissò impassibile, sollevandosi lentamente per
tornare in posizione eretta. I suoi occhi non abbandonarono i miei,
sottoponendomi a un esame attento e scrupoloso.
“Ora smettila, Isabella” disse calma.
Scossi il capo. “No”
“Ti rendi conto del livello che ha raggiunto il tuo
infantilismo?” proseguì.
“Infa… infantilismo?” ripetei sbalordita. “Ma che… ma… ma
che ne sai?!”
Fissai furiosa quella donna, che al contrario non mostrò la
benché minima traccia di emozioni sul suo volto di cristallo.
“Come ti permetti di giudicare le mie azioni come
infantili?” urlai contro di lei “Tu non lo sai… non lo sai cos’ho dovuto patire
in tutto questo tempo! Non puoi
capirmi!”
“Potrei provare, se tu me ne parlassi” replicò lei.
“I-io… no! No! Ma come puoi chiedermelo? Io non posso, non
posso dirvi…”
“Allora il problema non sussiste” replicò lei “Non è vero
che non puoi. È che non vuoi dirci
nulla. È differente, come concetto, e la scelta tra questi due verbi ha delle
conseguenze importanti in entrambi i casi. Scegliendo di non volerci raccontare
la verità sei arrivata a questo punto. Credi che ora, visto il brillante
risultato, possiamo ottenere delle risposte senza arrivare al tuo esaurimento
nervoso?”
“Non ti permetto di…”
“No, credo che ora tu mi permetterai un bel po’ di cose”
Non avrei mai pensato che Esme potesse essere soggetta a un
sentimento quale l’ira, eppure era così anche per lei. I suoi occhi facevano
paura: brillavano di un fuoco diverso, intenso, brillante, intimidatorio. I
suoi tratti induriti avevano reso il suo visto ultraterreno; gli dèi
dell’Olimpo dovevano sminuire dinnanzi alla potenza che emanava in quel momento.
Mi sentii piccola, insignificante, vicino a lei: provavo il
forte desiderio di scappare via, nascondermi. Gli occhi iniziarono a bruciare a
causa della mia ostica decisione di trattenere le lacrime che, abbondanti,
volevano scorrere lungo le mie guancie.
“Credi di essere l’unica ad avere una storia triste alle
spalle?” iniziò, arrabbiata “Pensi di essere la sola a preoccuparsi della
felicità e dell’incolumità di questa famiglia? Hai davvero questa superbia,
Isabella? Sei così certa di essere tu
la causa di tutto?”
Annuii, intimidita. Era colpa mia.
“Beh, ho una brutta notizia per te, signorina” replicò
spietata Esme “Non è stata colpa tua.
Non è colpa tua se Aro ci vuole morti e non è colpa tua se abbiamo tutta
Volterra contro. Aro vuole distruggerci già da tempo e cerca un solo pretesto
per farlo. So benissimo che vuole vedere Carlisle morto fin dal loro primo
incontro, perché è l’unico che sia andato contro tutto quello che lui
rappresenta. So perfettamente che Carlisle non ha trovato solo una dieta
diversa, ma ha proposto un radicale cambiamento nel mondo dei vampiri. Ha
permesso loro di scegliere cosa diventare. Non si tratta di bere sangue
innocente o animali, si tratta di un completo cambio di vita. È per questo che
Aro lo vuole morto, e vuole morti tutti noi. Ma, magari mi sarà sfuggito la tua
colpa: dimmi, quando ancora non ci conoscevi, hai fornito molte informazioni,
ai Volturi? E quando non eri ancora al mondo?”
“Smettila!” singhiozzai tappandomi le orecchie “Io n-non ho fatto niente!”
“Appunto!” strillò
la vampira, esasperata “Tu non hai fatto niente! Niente, Isabella! La tua unica
colpa, nei nostri confronti, è stata quella di portarci una felicità che non
credevamo più possibile! Non ti rendi conto di quello che ci hai regalato con
il tuo arrivo, presa come sei nel vedere solo il lato negativo delle cose. Ma
io l’ho visto, Bella, e vedo tutt’ora, in ogni momento. Vedo la gioia, la
felicità, l’amore che hai portato nelle nostre vite. E se sei così cieca da non
vedere tutto questo, te lo mostrerò io”. Mi fissò un secondo, riprendendo
fiato. “Tutti noi, qui, abbiamo storie tristi alle spalle. Tutto noi ci
sentiamo dei mostri. Ma abbiamo il coraggio di chiedere aiuto, quando ne
abbiamo bisogno”
Tacque, in attesa di una mia risposta. Io continuai a
fissarla, piangendo.
Ma cosa… cosa voleva da me? Perché doveva farmi sentire
così?
Voltai il capo, rifiutandomi di guardarla. Strinsi i pugni
lungo i fianchi, reprimendo un singhiozzo.
“Sentirsi in colpa è la strada più facile, Isabella. Puoi
continuare a darti la colpa in eterno, oppure provare a cambiare”
“Tu cosa ne sai?” urlai ancora, tornando a fissarla
“Cosa, me lo spieghi? Mi spieghi cosa cazzo sai di me, eh? Tu non lo sai, non
sai niente! Non sai le vite a cui ho posto fine, le atrocità che ho commesso!
Tu… tu hai qualcuno che… che ti ama… una famiglia… Io ho perso tutto! Tutto! Non
sono altro che una macchina da guerra! E tu… tu vieni qui a parlarmi di scelte…
di futuro… non so a che gioco vuoi farmi giocare, ma non ci sto! Sono già un
mostro per conto mio, e non…”
Non mi sarei mai aspettata una simile reazione da parte di
Esme, ma, ammisi col senno di poi, di aver davvero esagerato.
“Smettila”
Tornai lentamente a volgere il mio viso verso quello di
Esme, incredula; esitando, portai una mano sulla mia guancia destra, dolorate.
Esme Cullen mi aveva appena dato uno schiaffo.
“Smettila di dire tutte queste idiozie” sibilò ancora
furiosa, abbassando la mano. I suoi occhi rilucevano di rabbia repressa.
Sembravano appannati, opacizzati da un velo di lacrime inesistenti.
“Isabella, lo dico oggi per l’ultima volta. Tu sei mia figlia. E in quanto tale, non
ti permetterò più di credere e di ripetere certe cazzate. Non sei un mostro.
Non lo sarai mai”
Edward’s Pov.
Tanya cadde rovinosamente a terra, la sigaretta accesa, la penultima
del mio pacchetto, che scivolò dalle sue labbra rotolando sull’erba umida di rugiada.
Portò una mano sul suo stomaco come per calmarne i sussulti causati dalle risa,
e si raggomitolò su se stessa.
Io tentai di riacquistare una parvenza di autocontrollo, ma
senza molto successo: non ero messo mlto diversamente da lei. “E… e poi…”
singhiozzai tra le risa “Ha gonfiato le guance e… ha afferrato la scopa…”. Le
risate mi impedirono di continuare. Quelle di Tanya erano veri e propri ululati
“E ha cominciato a… a dargliela in testa… gri-gridando "È colpa tua, babbuino decerebrato! Sei un
troglodita! Nella testa hai due neuroni, uno in perenne stand-by, e l’altro che
gira su sé stesso alla ricerca della morte"!”
Fui sopraffatto dalle risate e non potei proseguire, ma il
ricordo di Bella ricopriva Jasper di colpi di ramazza era meraviglioso: troppo
imbarazzata dal comportamento protettivo di lui – solamente perché aveva
terrorizzato a morte Jhonson Stewart che aveva parlato di lei in termini non
adeguati; era comprensibile una sua reazione. Io avrei fatto anche di peggio –
aveva afferrato la prima arma che le era capitata sotto mano e aveva dato
inizio al massacro. Era stato esilarante vedere Jasper indietreggiare parandosi
il volto con le braccia mentre una gnappetta di appena un metro e sessanta agitava acari e polvere contro di
lui.
Tanya tentò di far leva sulle braccia per mettersi su.
“O-oddio!” ansimò, calmandosi “Non avrei mai pensato che Jasper potesse fare
qualcosa del genere!”
“Jasper adora Isabella” risposi con semplicità.
“Si vede” concordò lei “Stasera l’ho visto abbastanza
confuso. Non sapeva chi proteggere, vero?"
Spostai lo sguardo, incupendomi. “Come rovinare il momento”
mormorai, scontroso.
“Edward, non puoi ignorare la realtà” sospirò Tanya. “Soprattutto,
queste realtà”
“E da quando sono molteplici?”
Lei non rispose. E io rimpiansi amaramente l’istante in cui
decisi di voltarmi verso di lei per capire il motivo del suo mutismo.
“Guarda che lo so cosa ti trattiene” mormorò senza guardami
“E di certo non sono le quattro patetiche verità messe insieme da Isabella”.
Fu io, stavolta, a rimanere in silenzio. Ancora con questa
storia, questa maledetta storia…
“Verrai a vedermi, vero?”
“Si potrebbe tentare, tu che dici? Sono sempre punti esperienza”
“Ed-die… fre…”
“SEI SOLO UN MOSTRO, EDWARD!”
Mi passai una mano tra i capelli, reprimendo quelle voci,
quei ricordi. Non era stata… io non…
“C’è sempre lei, eh?”
Sentivo lo sguardo di mia cugina perforarmi la nuca. “È così, vero? C’è sempre quella
stronza!” sbottò battendo il palmo a terra.
“Senti, io…”. Fuggire. Ora. Subito.
“No, senti tu me, Edward! Per una fottuta volta, tappati
mente e bocca e fa parlare me!” ringhiò furiosa. “Sempre, sempre, in ogni
occasione. Le catene con cui ti sei legato per una cosa al di fuori della tua
portata… sei uno schiavo, Edward!”
“Non… questo non è vero” mormorai, nervoso.
“Nega la realtà, se ci riesci”. Tanya stava gettando benzina
sul fuoco, sfidandomi a quel modo. “Nega!”
“Puoi smetterla, per favore?” ringhiai, soffocato dal mio
stesso rimorso. Non adesso, non ancora.
“Vuoi continuare a prenderti in giro e a prendere in giro
tutti gli altri?”
“Taci!” ringhiai alzandomi.
“No, Edward! Non scapperai ancora una volta!” urlò lei,
fermando la mia avanzata con uno strattone al mio braccio.
Con un ringhio mi girai e la spinsi, scagliandola lontano; sbatté
contro un albero, spezzandolo di netto. Il fragore del tronco che crollava
miseramente a terra rimbombò nella notte.
“Non intrometterti nella mia vita!” urlai furioso assumendo
la posizione d’attacco.
Tanya si rialzò, un ringhio sordo nel petto. “E tu non
mandarla a puttane!” replicò.
Con uno scatto mi fu davanti, spintonandomi all’indietro.
“Non ti lascerò nuovamente commettere idiozie perché vuoi assolutamente
prenderti la colpa per tutto!”
L’attaccai, reso cieco dalla furia e dal senso di colpa.
Doveva stare zitta, zitta! Lei, e quelle voci… quei ricordi…
Facevano male. Non lo capiva quanto facevano male?! Perché
aveva tirato in ballo quella storia?
Perché, maledizione?
Le afferrai le spalle, tentando di lanciarla lontano; ma
Tanya l’aveva previsto, così scartò di lato, tentando di aggirarmi. Lessi i
movimenti delle sue braccia pochi secondi prima che mi raggiungessero, così
evitai la sua presa, spingendola invece con forza lontano da me. Si rialzò
immediatamente con un ringhiò sordo, lanciandomi un sasso grande quanto la mia
testa e poi velocemente corse nella mia direzione, cercando di usare
quell’improvvisazione a suo vantaggio; evitai il masso ma il peso di Tanya mi
crollò addosso, facendoci cadere sul manto erboso e rotolare per qualche metro
finché non lasciammo entrambi la presa, separandoci con uno scatto repentino.
Atterrammo lontani, io su un albero, accucciato, pronto a
scagliarmi nuovamente contro di lei. Tanya mi fissava ringhiando dal basso,
pronta ad evitarmi.
“Sei un maledetto vigliacco, Edward Cullen!” sputò rabbiosa,
trucidandomi con lo sguardo.
Ringhiai, feroce.
“Nega, se puoi! Nega!”
mi provocò ancora “Sei scappato vent’anni fa, e
stai scappando ancora. Sempre, sempre lo farai, codardo!”
“Taci!”
“Codardo!”. Con un
balzò atterrò sul ramo sopra il mio, fissandomi con odio. “Non vuoi fare nulla
per cambiare! Non abbracci le possibilità che la vita ti offre! Ti rifiuti, Edward! Tutto per colpa sua!”
“Sta’ zitta, Tanya!” ringhiai furibondo. “Non lo sai, non
sai di che stai parlando! Non sai un cazzo di me!”
“Sono l’unica a cui l’hai detto, mi sembra!” replicò lei “E quindi, mio caro
ragazzino, credo di essermi fatto un’idea piuttosto precisa di quello che è
successo, e di quello che ancora ti succede!”
“Ti sbagli!”
“Ah, davvero?!”. Stavolta fu lei ad attaccarmi, scagliandosi
contro di me veloce come un lampo, mirando istintivamente al collo.
Ritrassi il capo, ma lei riuscì a gettarmi conto il tronco antico che spezzai,
facendo precipitare così me e lei nell’intricata rete di rami secchi. A pochi
metri da terra, le afferrai un braccio e la scagliai lontano da me, atterrando
in piedi dopo una breve capriola. Mi diedi nuovamente lo slancio e mi lanciai
contro di lei, ancora in aria per il forte lancio con cui l’avevo respinta.
“Non sai un cazzo di me! Non sai niente!” urlai furioso,
mentre il dolore che quei ricordi che credevo sepolti tornava a torturarmi.
“Eddie!”
“SEI SOLO UN MOSTRO, EDWARD!”
“Parli di cose che non sai, che noi puoi capire!” urlai
disperato, prendendomela con lei. Le afferrai una caviglia, dandole un secondo
pugno. Lei non fece nulla per difendersi. “Non sai cosa provo! Non puoi
capirmi!”
“Sono l’unica persona a cui l’hai raccontato, Edward!” replicò
ancora lei ringhiando, restituendomi il favore. Colpì il mio stomaco con un
calcio, mozzandomi il fiato, e poi mi lanciò un destro perfetto che mi scagliò
lontano, sull’erba fredda; si lanciò contro di me colpendomi con un altro calcio
nello stomaco. “Questo vorrà pur dire qualcosa!”
“È stato solo uno stupido errore!” ringhiai, scartando il suo
successivo pugno diretto alla mia faccia, prima di contrattaccare.
“Ah, un errore, eh?!” ringhiò lei. I suoi colpi si fecero
più veloci e meno precisi, guidati dalla rabbia che stava prendendo il
sopravvento su di lei. “Sembra che la tua vita sia un susseguirsi di cazzate e
errori! È stato un errore questo, e pure quello! Ce l’hanno tutti con me, che
sono piccolo e nero! E per questo sono autorizzato a lasciare che la mia vita
vada a rotoli, evitando come la peste tutte quelle occasioni che potrebbero concedermi
un po’ di felicità!”. Con l’ultima parola mi sferrò un gancio talmente forte da
farmi perdere l’equilibrio e cadere a terra di schiena.
Prima che potessi rialzarmi me la trovai addosso, intenta a
prendermi a schiaffi. “Beh, sai che c’è? La vita è ingiusta con tutti, Edward,
ma offre anche tante occasioni per essere felici! Ma tu no, tu devi sempre,
sempre, sempre rinunciare! Sempre, costantemente! Sei un fottuto, coglione,
autolesionista del cazzo, che sta per lasciarsi scappare una donna meravigliosa
per colpa del fantasma di una puttana come Ev… Aaaah!”
Non la lasciai concludere. Accecato dalla rabbia, dal
dolore, dalla consapevolezza, bloccai la sua mano e poi tirai, fino a che il braccio
di Tanya non si staccò con un’orribile lacerazione, mentre il suo urlo di
dolore si disperdeva nell’aria. L’unico suono in grado di farmi acquisire un
po’ di lucidità.
Fissai inorridito prima l’arto tra le mie mani, poi lei,
prima di togliermela di dosso e saltare lontano, continuando a stringere il
braccio candido di mia cugina.
“I-io…” balbettai, osservandola impotente, rendendomi conto
solo in quell’istante di ciò che avevo fatto.
“Lascia perdere, Edward” replicò duramente, cercando di
nascondere il dolore nella sua voce. Io riuscivo solo a fissare il sangue scuro
che le imbrattava le vesti. Non mi guardava il viso, e stringeva la mano
intorno alla vita.. “Dammelo, prima che perda troppo sangue e non possa più
riattaccarlo”
Mi avvicinai velocemente a lei, osservando la ferita che le avevo procurato. Mi
strappai velocemente la camicia, e riavvicinai l’arto alla spalle, osservando
come la nostra natura curasse ferite del genere. Tanya emise un gemito mentre
ossa, tendini, cartilagine e arterie andavano ricucendosi, e io mi sbrigai a
fasciare la ferita. Con il resto della stoffa, legai il braccio alla spalla;
prima di un paio d’ore la ferita non si sarebbe rimarginata, e avrebbe dovuto
riacquistare il pieno controllo dei movimenti solo in mattinata.
“Mi spiace” mormorai, mortificato.
Lei alzò le spalle, gemendo. “Sono altre le cose per cui
dovresti dispiacerti”
“Tanya, io…” ritentai, ma lei si alzò, allontanandosi da me
a grandi passi.
“Va bene, d’accordo, ho capito, ti dispiace avermi staccato
un cazzo di braccio!” strepitò arrabbiata dandomi le spalle. Tremava.
“Ascolta…”
“No! No, sono stanca di ascoltare!”. Si girò con un
singhiozzo, gli occhi lucidi. “Ti ho ascoltato fino ad ora! Ti ho ascoltato per
anni! So tutto di te, di ciò che eri prima e dopo di lei! Vedo cosa sei adesso,
e ne sono così felice, Edward, così tanto… tu non puoi immaginare! Però…
cazzo…”. Tirò su con il naso, in balia dei suoi sentimenti. “C’è sempre Eve che
ti ferma! Sempre le sue parole del cazzo! Quella puttana ti ha affibbiato una
colpa sua, e tu… tu te la sei presa senza contestare! E anche se… se te l’ho
detto, che non è stata colpa tua, tu…”
Gli occhi mi bruciavano. Volevo piangere, volevo
disperatamente piangere con lei.
Perché Tanya aveva ragione. Eve, e Ginny (la mia piccola
Ginny) avevano influenzato la mia vita, e sicuramente avrebbero continuato.
Mi avvicinai a Tanya, che singhiozzava ancora, disperata. Mi
afferrò la mano supplicandomi con lo sguardo.
“Dimmi che non rinuncerai a lei” singhiozzò “Dimmi che non
la lascerai andar via. Lo sai che è lei! Lo sai
cazzo! Te lo si legge in faccia!”
L’abbracciai, silenzioso, lasciando che i suoi singhiozzi
divenissero i miei.
“Ti prego…”. Ammettilo.
“Io”
….
“Non posso”
L'angolino che vorrei:
Prima di qualsiasi altra cosa, scusatemi.
So
che non basta a giustificare un'assenza così lunga, ma
concedetemi questa frase di circostanza perchè è
realmente sincera. Il motivo che mi ha spinto lontano da efp
così a lungo non riguarda problemi in famiglia o di salute,
grazie al cielo, ma è stato semplicemente dovuto a una persona
che non sto qui a menzionare, che è riuscita a rubarmi non la
creatività, ma ancor perggio la voglia
di scrivere. Questo
capitolo si è scritto in questi mesi quasi da solo, riflettendo
ciò che ho provato in prima persona. E piano piano, frase dopo
frase, si è scritto da sè, sconvolgendo completamente la
storia.
Ciò che i personaggi fanno, dicono e pensano è qui
più che in qualsiasi altro capitolo la voce diretta della mia
psiche, nelle sue più varie sfaccettature: sono consapevole che
forse sarà oggetto di critiche più che altrove (almeno
fino a che il mio cervello non partorirà qualcosa di peggio), ma
non ci sono stati versi di modificarlo. E' così e basta,
altrimenti la storia così come si è sviluppata in
seguito, non potrà andare avanti. E credetemi, tornare indietro
è impossibile: questo è un punto di svolta non solo per
me, ma per i miei personaggi - qui Edward, Bella nel/i prossimi, The
Cullen's pure.
Ma andiamo a fortnire una giustificazione e una spiegazione alle due parti che compongono questo giro di boa:
a)
Eddish: da autolesionista agonizzante desolato e desolante a mortal
fighter e poi nuovamente a vittima. Credo che l'abbiamo completamente
reso OOC quando ha iniziato ad alzare le mani contro Tanya, e con
questo gesto temo di essermi attirata una valanga di recensioni
negative. Bene, lasciatemi chiarire una cosa: ovviamente Edward
è disgustato da sè stesso per aver alzato le mani contro
Tanya - nel prossimo (o in quello dopo ancora? O in un extra?) vi
mostrerò come ha reagito una volta che Tanya l'ha piantato nel
bosco. Ho lasciato immutato il suo passato da Darkwing Duck - Vigliante Notturno, che
influsisce sui suoi comportamenti a causa di due presenze fondamentali
di quel periodo: ciò che tormenterà Edward da
qui in poi per un po', è essere divetato come coloro a cui dava
la caccia. IO E LUI DISPREZZIAMO LA VIOLENZA SULLE DONNE, ma vorrei che
capiste che se stacca il braccio a Tay-Tay non lo fa perchè in
collera con lei, ma perchè lotta contro qualcuno nella sua mente
di cui proietta l'immagine su di lei. I particolari saranno raccontati
a Bella più avanti (molto più avanti, rende noto il mio Emmy interiore).
b) Bellina: la nostra traggggica Bells ha iniziato la sua transizione. In questo capitolo piange, si dispera, fa la lagna e si lascia sopraffdare da tutto più che negli altri capitoli. Ma sarà l'ultima volta in cui la vedremo proprio così depressa, anche perchè mi ha stufato (poverina, la faccio sempre passare per una povera indifesa fanciulla). Super Bella alla riscossa già dal prossimo capitolo.
c) L'intervento di Tanya e quello di Esme: sono le uniche due in grado di combattere e tirare su i nstri emo-eroi , la prima perchè conosce Edward veramente e ci tiene a lui (sempre i particolari nel prossimo capitolo) e la seconda perchè è già stata provata e temprata dalla perdita di un figlio, e non potrebbe sopportare di perderne un'altra. Per di più, Tanya come capo-clan e Esme come madre devono e sanno mantenere la lucidità quasi in ogni momento, per salvaguardare i loro cari e ciò che sta loro a cuore. Perchè non è intervenuto Carlisle? Perchè primo, sta discutendo con Eleazar, e secondo ci è leggermeeeente rimasto male quando Bella già da detto di non considerarlo padre - se non sbaglio, nel capitolo prima la invogliava a chiarmarlo papà o qualcosa del genere (con tutto che sto rimettendo mano a tutti i capitoli precedenti, faccio confusione nel ricordare se è un'aggiunta o c'era già. Vabbehsivedràpoi) .
Per gli altri, vedrete nel prossimo capitolo, che è in fase di stesura, e mi risulta molto difficile non tanto l'ideazione ma la scrittura, in quanto cerca di coinciliare stili di vita diverssissimi tra loro, e non riesco a rendere l'idea chiaramente come vorrei. In termini temporali, forse intorno al 15 dicembre. Di sicuro non più dopo anni.
Un paio di cose ancora: in questo periodo di assenza ho ricontrollato l'intera storia, e mi sono accorta di una lenta evoluzione in essa; ho sottoposto i capitoli ha una nuova stesura, non muntando sostanzialmente la trama e gli avvenimenti in esso descritti, ma ci tenevo a dire che man mano che aggiornerò posterò un paio di capitoli ritrasccritti, con ulteriori dettagli e particolari. Vi invito a rileggerveli corretti, perchè sicuramente saranno più corposi. Se volete lasciarmi una vostra opinione, fatelo nei commenti ai nuovi capitoli, per piacere.
Purtroppo le recensioni a questo capitolo non sono ancora pronte. Le aggiungerò appena avrò finito di rispondervi.
Grazie mille a tutti voi, che avete scoperto, continuato a credere, amato e seguito "Solo Grazie a Te": questa è la vostra storia.