n.d.a. Questo è l'ultimo capitolo di questa mia prima fanfiction e quindi voglio approfittarne per ringraziare tutti quelli che l'hanno già recensita - grazie Rosy, Rachi e hikary - e tutti quelli che lo faranno in seguito (speriamo siano tanti ^-^). A presto con un'altra storia!
Capitolo 4
«Si, l’hanno
preso ma non è lui l’assassino.» Due paia di occhi sorpresi lo guardarono.
«Quando Bobby e Myles sono arrivati, stava tranquillamente aggiustando l’allarme
ed era disarmato.»
«Ma io l’ho
visto prendere la pistola dal cassetto.»
De negò con
il capo «era un borsello con gli attrezzi.»
«Ma gli hanno
chiesto della pistola? Io l’avevo vista in quel
cassetto!»
«Ha detto che
sì, c’è una pistola in quel cassetto, ma non è sua, è
di…»
«Marc!»
terminò Jack.
«Ma», si
intromise Sue, «chi è questo Marc?»
Jack la
guardò in modo che potesse leggergli le labbra. «E' il cognato di Powell,
il fratello della moglie. Ma certo, come ho fatto a non capirlo prima! È lui che
vuole vendicarsi! Mi ha colpito per liberarsi di me e ora sta andando a casa di
Forbes per ucciderlo.»
De prese la radio e comunicò a Bobby e Myles le novità dicendogli di correre da Forbes. Jack si alzò barcollando e dovette aggrapparsi a Sue per non cadere.
«Dove pensi
di andare?» gli chiese.
«Noi siamo
più vicini, Forbes abita a soli due isolati da
qui.»
«Sarà anche
così ma tu non puoi andartene in giro in queste condizioni»,lo rimproverò Sue
con un tono che esprimeva
però più preoccupazione che rabbia.
«Ho seguito
questo caso troppo a lungo e ho dovuto fare cose che non avrei mai voluto fare»,
la fissò intensamente accentuando la stretta al suo braccio, «perciò non lascerò
certo ora.»
Furono i primi ad arrivare.
La porta della casa era socchiusa e si sentivano dei lamenti provenire dall’interno. Dopo aver messo al riparo Sue dietro una macchina ed essersi fatto promettere che non si sarebbe mossa di lì, Jack, pistola in pugno, si avvicinò guardingo alla casa.
«Marc, lo
sappiamo che sei lì» urlò «e sappiamo cosa vuoi fare. Non hai possibilità di
scappare, lascia stare Forbes ed esci con le mani in
alto.»
La porta si
aprì lentamente lasciando vedere Marc che si faceva scudo di Forbes e gli
puntava la pistola alla tempia. «Non mi importa di scappare, conta solo che lui
paghi, che tutti questi ba....di paghino per quello che hanno fatto, per la
morte di mia sorella. Solo allora io ritroverò la
pace.»
Aveva il viso
stravolto, la mano gli tremava. Jack temeva che stesse perdendo completamente il
controllo. «Non è vero, ci sono altre strade, puoi farti aiutare da un medico e
anche Michael ti starà vicino. Non puoi abbassarti al loro livello, tua sorella
non lo vorrebbe.»
«Tu non sai
nulla di lei, di quello che voleva!»
Jack stava
per ribattere ma qualcuno alle sue spalle lo precedette. «Ma io si, io lo
so.»
Era Powell
che, arrivato con Bobby e Myles, non aveva esitato ad avvicinarsi. «Marc, io
amavo tua sorella e ho sofferto terribilmente quando l’abbiamo persa, per mesi
ho provato una rabbia indescrivibile e il desiderio di vendetta ma poi mi sono
rivolto a lei. Nelle mie preghiere le ho chiesto di indicarmi cosa fare e ho
capito che voleva che continuassi la mia vita perché solo così avrei potuto
onorare la sua vita. Credo, anzi sono sicuro, che vuole lo stesso da te. Ti
voleva molto bene e sperava di vederti sistemato, con una tua famiglia», mentre
parlava continuava ad avvicinarsi, «non voleva certo che diventassi un
assassino. Ti prego credimi.»
Marc iniziò a
piangere, lasciò andare Forbes e abbassò la pistola. Powell la prese subito
mentre gli altri arrivavano velocemente.
Anche questa
volta se la erano cavata. Jack sbuffò per liberare la tensione, poi si sedette
perché le gambe non lo reggevano più.
L’indomani
mattina quando Jack entrò in ufficio iniziarono tutti ad urlare e applaudire per
festeggiarne il ritorno. Lui ridendo si fermò al centro della stanza e fece un
inchino «grazie, grazie a tutti»
«Non credere
però di cavartela così» gli disse Bobby. «Tu e De dovete darci diverse
spiegazioni.»
«Già, non
avvertire nessuno che eri sotto copertura è stato proprio sadico. Come ho fatto
a non pensarci io?» aggiunse Myles.
«Bene, per
fortuna qui dentro è tornata la normalità.» De era appena entrato accompagnato
da Powell. «Il signor Powell voleva salutarci e
ringraziarci.»
Jack si
avvicinò. «Mi spiace averti mentito Michael, ma gli indizi contro di te erano
forti e dovevo fare il mio lavoro perché come tu stesso mi hai detto un’agente
resta sempre un agente.»
«E’ vero, ma
mi dispiace che non lavorerai più per me, te la cavavi bene con gli
allarmi.»
Jack gli tese
la mano. «Chissà, forse un giorno, chi può mai dirlo. Se qui dentro», rise
guardandosi intorno, «non dovessero trattarmi con il dovuto rispetto potrei
anche lasciare veramente e chiederti di nuovo un
lavoro.»
Anche Powell
si guardò in giro. «Non credo che accadrà mai, differentemente da me cinque
anni fa, tu qui hai una vera famiglia e la famiglia non si abbandona. Ora devo
andare, grazie ancora di tutto.»
Quando l’ex
agente uscì Tara riportò l’attenzione sul discorso iniziale. «Allora, queste
spiegazioni?»
Fu De a
parlare. «Beh, la sera stessa in cui abbiamo pensato a Powell come
possibile colpevole Jack è venuto da me dicendomi di voler lavorare sotto
copertura per entrare nelle sue grazie. Ma avevamo paura che ci fosse una
talpa al dipartimento perché il killer sapeva troppe cose sulle vittime, allora
abbiamo deciso di nascondere la verità a tutti per evitare fughe di notizie e ne
abbiamo parlato solo con il direttore. D’accordo con lui ho calcato un po’ la
mano nell’interrogatorio e poi abbiamo inscenato il litigio
nell’ingresso.»
«Cercate di
capire», aggiunse Jack, «non si è trattato di mancanza di fiducia nei vostri
confronti ma di una cautela che andava presa.»
Bobby fu il
primo a rispondere. «Nessun problema amico.»
«Già, nessun
problema. Peccato però che tu sia tornato così presto, avevo messo gli occhi
addosso alla tua scrivania. Mi è sempre piaciuto come è colpita dal sole la
mattina. Peccato!»
«Mi spiace per te Myles ma avevo lasciato istruzioni che la mia scrivania venisse assegnata al miglior agente della squadra. Che ne dici Levi, ti sarebbe piaciuta una scrivania tutta per te?» Il cane si avvicinò e si fece accarezzare.
«Levi,
andiamo, vieni qui», lo richiamò subito Sue che poi seguita dal cane uscì in
corridoio. Sembrava molto contrariata.
«Ti servirà
qualcosa in più di qualche battuta per farti perdonare» disse Lucy a Jack.
«Adesso va da lei e cerca di essere convincente.»
La trovò
nella sala riunioni lì vicino. «Posso parlarti? Mi dispiace » disse con le
parole e i segni «ma rivelarlo a qualcuno poteva mettere a rischio
l’operazione.»
«Questo lo
hai già detto e lo capisco. Quello che non capisco è perché mi hai dovuto
trattare così male e non hai risposto alle mie telefonate. Se mai lasciassi
veramente questo lavoro non saremo più neanche
amici?»
Jack si
massaggiò le tempie e fece un respiro profondo. «Ho dovuto comportarmi così
perché sei l’unica persona alla quale non riesco a mentire. Tu riesci a
leggermi dentro e se non fossi stato così aggressivo avresti finito per capire
la verità. Credi che mi sia divertito a dirti quelle cose? Ma a volte l’attacco
è la miglior difesa e io in quel momento dovevo difendermi da te.»
«Ma io ho
sofferto Jack, ho sofferto, perché tengo a te!.»
“E stai
soffrendo anche ora, lo vedo” pensò lui “e se la colpa è mia forse…” Attraversò
la stanza a grandi passi prima di riprendere a parlare. «Lo so che per te la
nostra amicizia è molto importante, ma non posso garantirti che una cosa del
genere non riaccadrà perciò forse è meglio se cerchiamo di allentare un po’
questo legame.»
Lei rise
amareggiata. «Allentare il nostro legame? Forse riuscirai a farlo tu dato
che dalle tue parole intuisco che mi consideri solo un’amica, ma per me è tardi
Jack. Se voglio sincerità devo essere io la prima a darla: io ti amo Jack, è
giusto che tu lo sappia.»
Di fronte al
suo silenzio si alzò e andò verso la porta dandogli le
spalle.
«Levi,
fermala!»
Il cane saltò addosso a Sue facendola voltare.
Jack si mosse
verso di lei e mentre avanzava disse con le parole e con i segni «anche io ti
amo». Giuntole davanti sorrise, l’abbracciò e la baciò con passione.
Dopo aver
ripreso fiato lei disse «Jack, devo dirti una
cosa.»
«Cosa?»
«Poco fa hai
sbagliato il segno. Questo» fece il segno con la mano «è “ti
amo”»
Lui rise.
«Tre anni che studio il linguaggio dei segni e sbaglio proprio nel momento più
importante!»
«Per fortuna
leggo le labbra.»
«Per
fortuna.» Poi aggrottò la fronte pensieroso. «Mettiamo in chiaro una cosa, puoi
leggere tutte le labbra che vuoi ma d’ora in avanti devi baciare solo le
mie.»
Lei esitò un
attimo tenendolo sulle spine, poi fece una smorfia. «Credo sia un patto che
posso accettare» rise «anzi, voglio iniziare subito a
rispettarlo.»
Jack, felice
come non mai, la prese nuovamente tra le braccia: non aveva certo bisogno di
farselo ripetere.
FINE