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Autore: Vitani    16/06/2007    3 recensioni
Questa è una storia d'amore, di odio, di una carriera musicale ed artistica, di una maturazione, di come gli incontri detti "del destino" possono cambiare la vita. È la storia di due ragazzi in particolare: Mana, un chitarrista, e Gackt, un cantante. Entrambi passionali, entrambi sognatori.
"Simile ad una fiaba è questa storia, dove una dama e un cavalier rincorrono l’amore con solerzia, pronti in nome di esso a dare tutto. Si leggeranno lacrime, amore, risate e fremiti di gelosia, d’angoscia e di paura. Saranno tormentosi i nostri canti, piene di gioia le risate, e se malinconia occuperà il cuore, ci basterà cantare una canzone."
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Gackt, Mana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Mad Tea Party -

- Mad Tea Party -

ATTO PRIMO, SCENA SETTIMA
-
L’Attesa della Rosa

 

 

 

 

Tamburellò, tamburellò e tamburellò impazientemente quelle sue cortissime dita dalle unghie alquanto mangiucchiate sul tavolino di legno, reggendo con la sinistra la cornetta del telefono e continuando con la destra quella nevrotica produzione di rumore.

Fino a qualche istante prima aveva avuto stampato sulla faccia un sorrisetto d’ineguagliabile soddisfazione che avrebbe fatto impallidire – o arrossire – chiunque avesse guardato quel ragazzo senza conoscerlo.

Peccato che dopo aver lasciato trascorrere qualche minuto d’inebetita contentezza il suo cervello sempre in interminabile e costante movimento avesse avuto la stupefacente idea di bloccarsi con un piccolo e quanto mai inatteso tilt.

Lui aveva allargato un poco i lucidi occhi neri e aveva preso a fissare le mattonelle del pavimento, cercando di ricostruire l’ordine logico di quel reticolo di quadrati e non riuscendo a venire a capo di nulla. S’era toccato con mano flebile le vaporose ciocche ondulate di capelli che gli scendevano giù lungo il torace e infine se ne era avvolticchiata una attorno a quella stessa mano, tirando un pochino.

Un’acquosa gocciolina di sudore gli era scesa giù lungo le guance pallide fino al mento, e lui se l’era ripulita coi polpastrelli e aveva serrato le palpebre sospirando e sedendosi sul divano buttando la testa all’indietro, restando così in silenzio ed immobile come una statua.

Eccolo là che rispuntava, quel suo accidenti di stramaledetto nervosismo! Aveva battuto a terra i suoi piedini candidi avvolti dalle pantofole pelose rigorosamente blu e aveva aggrottato le sopracciglia, ascoltandone il ritmico suono soffuso. Doveva calmarsi santo cielo, calmarsi! Non aveva senso essere così ansiosi per un semplice incontro! Si trattava solo di far conoscenza con un amico di Takeshi, in fondo… Takeshi, già!

Era proprio a lui che stava telefonando in quel momento, aspettando alquanto impazientemente che rispondesse visto che come al solito ci stava impiegando ere geologiche intere.

All’ottavo insistente squillo, finalmente, lo sventurato rispose.

« Pronto? Qui Takeshi… »

A Mana, che pure non aveva atteso altro, tremò la mano che reggeva la cornetta e pure la voce, che gli mancò all’improvviso al pensiero di ciò che sarebbe accaduto all’incirca tre ore più tardi.

Dopo un interminabile mezzo minuto buono sentì Takeshi scoppiare a ridere e gli venne da arrossire. Quasi s’arrabbiò. Pure in giro lo prendeva ora?

« Sei Mana-chan? » si sentì domandare.

Avrebbe potuto rispondere di sì, avrebbe potuto farlo e tutto sarebbe finito lì come era giusto che fosse, invece per sua sfortuna l’unica cosa sensata che balenò fuori dalla sua mente intasata furono due lamentose allarmate ed allarmanti parole proferite con un’urgenza che spaventava.

« Taka… aiutami! »

Fu forse la sola volta che a Takeshi capitò di restare a corto di frasi.

« Mana… ti ha aggredito un maniaco? »

Silenzio.

L’unico suono che Takeshi fu in grado di udire dall’altro capo del filo fu uno scricchiolio di colossale potenza, generato dalla mano di Mana che s’era serrata contro il piano del tavolo con una forza e un crack conseguente che avevano dell’abnorme.

« Giuro… che se non fai qualcosa aggredisco io te! »

Ecco, erano quelli i momenti in cui il bellissimo e normalmente tranquillo Mana faceva davvero paura. Erano i momenti in cui dalla regale ugola di quel suo elegantissimo e minuto amico sbucava fuori un vocione di portata monumentale che faceva rabbrividire le spine dorsali di chiunque fosse nelle vicinanze, quello stesso amorevole e disinvolto tono di quando il ragazzino se ne usciva con qualche brano dei suoi adorati Motley Crue.

« Tu spiegami che succede, almeno morirò avendoci capito qualcosa! »

Mana pensò o ci provò con ammirevole coraggio, continuando a scorticare il tavolo con delle unghie che non aveva e producendo ugualmente un sonoro grat grat simile a quello di un cane che scava sul legno.

« Gackt… »

Esalò quella parola come se avesse dovuto sputare un polmone.

« Ah, lo scemotto! Che ha combinato? »

Takeshi pareva essersi notevolmente tranquillizzato, avendo evidentemente notato che la voce di Mana aveva perso la poco rassicurante nota cimiteriale di qualche istante prima ed era tornata normale.

« Viene… »

« Ah sì, quello viene dappertutto! È un suo viziaccio, sapessi quante volte ho provato a dirgli di farla finita… »

L’immensa indescrivibile fortuna di Takeshi fu che in quel momento fra lui e Mana ci fossero il filo del telefono e mezza Tokyo, poiché altrimenti la prima mossa del chitarrista sarebbe stata sfoderare tutta la sua forza e sfracellargli contro la schiena il ben noto e ormai grattatissimo tavolinetto di legno.

« Tu, razza di animale le cui aspirazioni non transitano oltre il suo naso, ora taci e stammi bene a sentire! »

« Io ti starei pure a sentire se tu ti decidessi a sparare una frase sensata. »

Un sospiro spazientito e il ritorno della voce da ruggito furono più che sufficienti ad avvertirlo che Mana aveva veramente i nervi a fior di pelle.

« Dunque… Satoru Okabe, Gackt Camui, lo scemotto, chiamalo come ti pare ma comunque lui… sarà qui a Tokyo fra circa tre ore. »

« Ma dai? Allora sei riuscito a incastrarlo? »

« Ancora no, viene solo a trovare me. »

« E quindi? »

Mana alzò gli occhi neri al soffitto, nel mentre stritolandosi una ciocca di capelli con quella solita mano sudata che di starsene buona al suo posto proprio non ne voleva sapere.

« Quindi ci siamo dati appuntamento a Shinjuku, e al resto penso che tu possa arrivarci perfettamente da solo. »

« Vediamo, ti conosco e ho sentito abbastanza da poter asserire che sei andato nel panico come tuo solito, sbaglio? »

« Il tuo sopraffino intuito animale ha sempre il potere di sconvolgermi. E comunque frena, quando ho intercettato Yu-ki non ero affatto nel panico. »

« Suvvia, smettila con queste tue battutine intrise di venefico sarcasmo, sai che con me non attaccano. E scommetto ciò che vuoi che quando ti sei infilato nel backstage quella volta ti tremavano le ginocchia. »

« Pensala come ti pare, ma devi venire con me. E non azzardarti a fare qualcuno dei tuoi commenti idioti che già immagino che stessi pensando. »

Takeshi sospirò, come se già avesse saputo che sarebbe finita in quel modo.

« Senti, è inutile che sospiri. Io non l’ho mai visto, come lo riconosco secondo te, dall’odore? »

« Quanta gente a Tokyo ha una Ferrari? »

« Che? »

« Ecco, lui ha una Ferrari. »

« Ho capito, resta il fatto che io lì da solo non mi ci  presento! Sono stato abbastanza chiaro? »

« Ma che timidone che sei, te l’ha mai detto nessuno che sei adorabile quando fai così? »

« Piantala. »

E Taka la piantò sul serio, merito dell’amorevole voce cimiteriale.

« Dunque avete appuntamento per le sei di stasera. »

« Sì, sì, sì. . »

« Facciamo così, passo da te un’oretta prima e andiamo a prendere il treno, ok? »

« Ok. »

« E stai calmo, che Camui non ti mangia. Anche se è un mezzo maniaco… »

Takeshi era lì per chiudere la chiamata, tranquillissimo come una colomba felice, quando il mormorio di una vocetta flebile ed incerta dall’altra parte lo trattenne.

« Taka… »

« Che c’è? »

« …che mi metto? »

 

Venti minuti di consigli dopo, Mana mise giù un telefono completamente viscido di sudore. Aveva ormai pochissimo tempo, doveva agire o non se lo sarebbe perdonato finché campava.

In piedi, voltò lentamente il viso pallido dagli occhi neri verso uno degli specchi, scrutando come interrogativamente la figura snella che vi vedeva riflessa, incorniciata fino alle cosce dagli ondulati capelli di ebano.

« Forza, Mana-chan. »

Lo disse a se stesso come se parlasse a qualcun altro, pieno di un’incertezza che a parole non avrebbe mai potuto esprimere. Forse solo con la musica.

D’istinto prese la chitarra e si gettò sul divano accucciandovisi con le ginocchia sollevate, stringendo lo strumento e provando accordi silenziosi a testa bassa, con gli occhi aperti e totalmente adombrati dalla frangia, senza neppure preoccuparsi di collegare il jack al piccolo amplificatore che usava in appartamento. Poco gl’importava di suonare in quel momento, gli bastava sentire fra le mani la chitarra, che gli dava una sicurezza che altrimenti non avrebbe mai posseduto. Alzò lo sguardo, a labbra socchiuse.

« Sappi, Mana-chan, che ci devi provare. Ci devi provare o te ne pentirai a vita, stanne certo. »

Allora s’alzò in piedi con uno scatto, lasciando la chitarra abbandonata ad occupare il divano, e se n’andò in camera da letto quasi correndo.

Il primo passo era decidere cosa indossare: ci metteva sempre secoli e tutto doveva essere perfettamente abbinato, perfino la biancheria. Forse avrebbe dovuto piantarla con tutta quella cura feticista per l’abbigliamento… si poneva problemi che, sospettava, non sfioravano neppure le donne. Però non si sarebbe mai odiato, non più. Aveva passato anche troppo tempo a detestarsi, e non voleva smettere di provare quel po’ d’amore per se stesso che da qualche anno gli scaldava il cuore ogni volta che si guardava.

Scelse un paio di pantaloni neri a sigaretta, femminili e stretti in modo da slanciarlo e dare risalto alle sue splendide gambe tornite dalle quotidiane corse mattutine. S’era comprato un armadio ampio, con un’immensa specchiera nelle ante centrali che gli risultava utilissima quando voleva specchiarsi per intero, per la prova degli abiti.

Aveva il torace sottile e il fisico acerbo come quello di un adolescente, sottolineato dal candore di una pelle che sembrava risplendere tanto era bianca. Era primavera, ma non era ancora abbastanza caldo da andare in giro in abiti estivi, quindi optò per una magliettina color panna a collo alto priva di maniche a cui abbinò un maglioncino di morbida lanetta nera incrociato in vita e allacciato ai fianchi con dei deliziosi nastrini di velluto. Al collo fermò una spilla a forma di rosa nera, pensando che poteva bastare. Dei guanti non c’era bisogno, forse sarebbe sembrato troppo scostante nei confronti di Satoru e non voleva, visto e considerato che si conosceva ed era ben consapevole di essere timido.

Agli occhiali da sole però non avrebbe rinunciato: o si truccava o indossava quelli, altrimenti col cavolo che usciva di casa, e ormai di truccarsi come si deve non aveva più tempo.

Le scarpe, avrebbe messo quelle alte di vernice nera, col cinturino e il tacco color legno e il fiorellino sulla fibbia, che gli arrivavano alla caviglia e nascondevano appena l’orlo dei pantaloni.

Passò a strecciarsi i capelli con somma cura, spazzolandoli ripetutamente fino a farli scintillare d’argento, e li legò in una coda bassa da cui lasciò sfuggire volontariamente qualche ciocca.

Era stato bravissimo: quando Takeshi suonò il suo campanello gli mancava solo un velo di gloss sulle labbra rosa e aveva pure avuto il tempo di farsi una cioccolata calda.

« Splendido come sempre », rise Takeshi quando lo vide.

« Grazie, sei un tesoro, ora andiamo. »

Con una certa fretta Mana lo spinse fuori dalla porta e giù per le scale fino a che non si ritrovarono in strada.

« Aspetta un attimo, » disse Taka mentre Mana inforcava quei discutibili occhiali da sole talmente grandi che bastavano a coprirgli una buona metà del viso « chi era quello che poco fa moriva dal nervosismo? »

Manabu non gli rispose nulla, semplicemente lo scrutò attentamente da dietro le lenti scure e disse pacatamente: « Sappi, animale, che io confido in te. »

Il ragazzo dai cespugliosi capelli scuri rise nuovamente: « Non mi permetterei mai di insinuare che la tua fiducia sia mal riposta, Mana-chan, ma non potrò certo parlare per te in eterno! Sei tu a doverlo conoscere, non io. »

Il suo amico dalle chiome corvine chinò silenziosamente il capo senza replicare, e Takeshi indovinò – indovinò, perché dietro quei giganteschi quadrati neri non si scorgeva niente di niente – che in effetti lo sprovveduto a quel particolare non doveva proprio, minimamente avere pensato.

S’avviarono a piedi verso la stazione più vicina, uno camminando irrigidito e spedito su dei tacchi più alti di lui, l’altro ridendo sguaiatamente e pensando che se ne sarebbero viste delle belle.

Sì, se ne sarebbero viste davvero delle belle.

 

- continua -

 

N.d.A. Spiacente… Mana ha fatto il bastardo, come temevo… ^^;;; e mi ha anche anticipato che probabilmente continuerà a fare di testa sua fino a una fine che è ancora mooolto lontana, visti i tempi dei due principessi qui. In ogni caso, non so voi ma io mi sono divertita come non mai a scrivere questo capitolo e spero che vi divertiate anche voi a leggerlo. Mi ha divertito scrivere di un Mana andato completamente in crisi isterica da pre-appuntamento, e mi diverte parlare con Takeshi che è il mio unico rampino all’ego di due personaggi che altrimenti vanno e vengono per conto loro e come preferiscono. Finora la cosa non mi dispiace, perché la loro vivacità ha solo abbellito la storia infilando certe scene che io da sola giuro non avrei mai pensato. Al prossimo capitolo comunque si incontrano davvero, questo ve lo posso garantire! >_< La pianteranno finalmente di boicottare la loro autrice! Colonna sonora di questo capitolo: assolutamente “Ma Cherie” (ai misciu mi, per intenderci XD). Mi scuso ancora per aver potuto lavorare solo a questo capitolo, ma giugno per gli universitari come molti di voi sapranno è davvero un mese DI MERDA. Sto piena di esami e ancora per un po’ non riuscirò ad avere respiro. Torno a ringraziare i vari lettori (parecchi, ho scoperto XD) e commentatori sia manifesti che in incognito (pochi, ma ci accontentiamo XD) per la loro assiduità nel seguire la fanfiction, fatto che ci sprona (parlo anche a nome dei due principessi e di Taka-chan) a dare sempre il meglio!

Un salutone da

 

 

 

Vitani, Mana, Gackt & Taka

 

 

 

PS. Parlo dei miei personaggi ovviamente, non di quelli veri PURTROPPO :P

 

   
 
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