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Autore: Cathy Earnshaw    29/11/2012    4 recensioni
"Era una calda serata estiva, di quelle che restano incollate addosso con il loro profumo di fiori e di rosmarino, con il frinire delle cicale, con le risate degli amici. Tutta la popolazione della piccola cittadina di Pothien si era riunita nella piazzetta principale. La musica colorava con le note eteree dell’arpa le serate del Nord della Terra dei Tuoni, e i cantori narravano le loro storie affascinanti a chiunque le volesse ascoltare."
Non è un'introduzione, lo so..ma credetemi se vi dico che è ancora tutto troppo vago anche per me per poter scrivere un'introduzione coerente ;) Vi piaciono i racconti con maghi, elfi, duelli e lunghi viaggi in terre desolate? Benvenuti nella Terra dei Tuoni, amici!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Liam si assicurò che il suo bagaglio fosse ben fissato alla schiena di Baio e guardò Oliandro negli occhi blu.
«Grazie, amico. E grazie anche al tuo popolo, per l’ospitalità che mi ha dimostrato.»
Oliandro sorrise.
«Spero davvero che vada tutto bene, Liam.»
Il mago accarezzò meccanicamente il muso lungo del cavallo, che lo guardava con quei suoi occhioni liquidi. Gli era mancato. Niente da fare, Baio restava sempre il migliore compagno di viaggio.
«Il sole è tramontato» mormorò tra sé e sé.
Oliandro annuì, osservando il cielo che si faceva sempre più scuro.
«C’è qualcosa che devo riferire a Ruben?» domandò.
Liam scosse il capo.
«Digli quello che riterrai opportuno. Buon viaggio, Dodo.»
Gli assestò una pacca amichevole sulla spalla e si incamminò, con le redini strette in pugno, lungo il sentiero che gli elfi gli avevano indicato.
«Anche a te, amico!» gli rispose l’elfo, mentre sua sorella gli si affiancava e commentava a mezza voce:
«Riposato e con lo stomaco pieno è quasi sopportabile…»
Liam trattenne un sorriso e salutò con la mano, senza voltarsi.
 
Glenndois aveva, con poche, precise parole, distrutto il suo piano di viaggio. Gli aveva spiegato che sarebbe stato preferibile evitare la fascia centrale del Bosco, quella che si estendeva in prossimità del fiume Morgael. Ne avevano perso il controllo da decine di anni e avevano tentato una sola volta di recuperarlo, ma si erano resi immediatamente conto che non ne valeva la pena: la natura era troppo selvaggia, gli animali troppo feroci, e il numero degli elfi troppo esiguo per poter sperare di mantenere l’ordine. Si erano, quindi, trasferiti a Nord del fiume, e solo qualche temerario era rimasto a Sud. Era sfumata, così, la sua speranza di poter intercettare il fiume e seguirlo fino alla Cascata. E dato che nessuno si era offerto di accompagnarlo – non che desiderasse la compagnia di un elfo moralista o di un Unicorno dal nome ridicolo – aveva dovuto studiare un percorso alternativo per filo e per segno. Non poteva uscire dal territorio degli Unicorni per colpa di Caleb, la sua unica possibilità era attraversare il Bosco Lossar in diagonale, per raggiungere in punto in cui il Morgael emergeva dalle piante per nascondersi nel Canyon. A detta di Oliandro, quel sentiero conduceva dritto dritto là, ma Liam non era così tranquillo. Se si fosse perso in quell’inferno di rami…
«Quante storie, Li’, ti basterà seguire l’umidità del fiume» si disse.
«Certo. E finire come niente in pasto ad un ippopotamo gigante. Bell’idea, mago! Meglio non perdersi, magari» si rispose.
Il sentiero si allargò abbastanza da permettere a Baio di trottare. Liam montò in sella e lo sferzò.
 
Irthen era certo che avrebbe ricordato quel crepuscolo come uno dei peggiori della sua vita. Attraversare incolumi la palude lo aveva letteralmente spossato, con la continua necessità di prestare attenzione ai piedi propri, della propria compagna di viaggio, e della povera Luce. Quando finalmente era riuscito a convincere Abby a fermarsi per mangiare qualcosa, era notte fatta. E mentre la ragazza riesumava quei pochi avanzi che avrebbero consumato al freddo e al buio per evitare ospiti inattesi – ospiti con le testoline deformi e le braccia lunghe -, lui guardava la distesa di acqua putrida che si erano faticosamente lasciati alle spalle. Luci fioche, in lontananza, denunciavano la presenza di un accampamento. Il vento soffiava tra le canne, facendole ululare, e un rospo, ogni tanto, gracidava. Irthen rabbrividì. Il pericolo corso nella traversata e la concentrazione che gli era stata necessaria, gli avevano tenuto la mente meravigliosamente occupata, ma ora che era al sicuro, per quanto la desolata Piana di Thann potesse permetterlo, non poteva fare a meno di crogiolarsi nella tragica assurdità della sua situazione: aveva incontrato una ragazza, che gli aveva salvato la vita svariate volte, che aveva scelto di seguirlo, che lo aveva istupidito e che gli aveva confessato il suo interesse per lui. Ma che subito dopo gli aveva detto di girare alla larga. Di più, gli aveva detto di farlo anche se lei l’avesse cercato! Scosse il capo, sconsolato. Come poteva pretendere che fosse lui ad allontanarla? Sarebbe andato contro natura! E poi, con tutte le decisioni cretine che aveva preso negli ultimi tredici giorni, quella di continuare a provarci con lei non sarebbe certo stata la peggiore.
«È pronto, Ir» disse Abby alle sue spalle.
Prese un bel respiro, prima di voltarsi verso di lei, e cercò di assumere un’espressione rilassata. Si avvicinò lentamente, controllando l’impulso di scappare a gambe levate, e le si sedette accanto. La ragazza lo guardò per un secondo con sospetto, poi gli posò un pezzo poco invitante di carne fredda in mano.
«Non hai un bell’aspetto» commentò.
«Sarà che non mi lavo decentemente da una settimana…» rispose con un sorrisino forzato.
«Può essere. E di certo tutta la polvere che ci è piovuta addosso stamattina non è stata un toccasana. Però non mi riferivo a quello.»
Inclinò la testa di lato, osservandolo con attenzione, poi si strinse nelle spalle e tornò ad occuparsi della sua cena. Irthen, invece, continuò a fissarla. Ancora una volta, l’ennesima, si domandò quando avesse iniziato a vederla con occhi diversi, ma non riuscì a risalire al momento preciso. Di colpo, puf!, aveva scoperto che era diventata qualcosa più che “Abby”. Non aveva un bell’aspetto, aveva detto. Bella faccia tosta…
Un rospo particolarmente vicino gracidò, ricordandogli terribilmente il suo sogno. Non riuscì a trattenere una risata.
«Posso ridere anch’io? In mezzo a tutte queste cose putride ne ho bisogno!» disse Abby.
«Non credo che ti farebbe ridere. Non più.»
«Sorprendimi.»
Irthen chiuse un momento gli occhi.
«Ricordi quando ho sognato che eri stata trasformata in rana?»
Abby ghignò.
«…che è una perifrasi per dire “ricordi quando mi hai sfottuto e sfidato a baciarti”.»
Irthen arrossì, sentendo lo stomaco accartocciarsi su sé stesso.
«Ehm…sì.»
«Mi ricordo. Anche perché sono passati solo tre giorni, la mia memoria non è ancora così malridotta» rispose. «Anche se continua a sfuggirmi cosa ci sia di divertente.»
«In realtà proprio niente, solo che qui c’è pieno di rane. Oh, Dei, Abby! Avevi degli occhi assurdi!»
Abby scoppiò a ridere.
«Ho come l’impressione che non sia un complimento.»
Irthen sorrise, ma si rabbuiò immediatamente.
«Che cosa avresti fatto se ci fossi stato?» domandò.
Abby aggrottò la fronte.
«Ero sicura che non l’avresti fatto.»
«Perché?»
«Perché sei un bravo ragazzo» disse alzando le spalle.
«E se invece ci fossi stato?» insistette.
Abby sbuffò.
«Che ne so, Ir! Probabilmente ti avrei baciato davvero! Di solito non rifletto molto prima di agire…»
Irthen sospirò. Facendo violenza al proprio stomaco, ingurgitò la cena e si alzò.
«Dove vai?» domandò Abby, alzando gli occhi.
«A cercare una rana da baciare. Con te me la sono giocata» disse con un mezzo sorriso.
Colse l’occhiata preoccupata della ragazza, prima di allontanarsi velocemente.
Per qualche minuto girovagò in mezzo a felci e canne di bambù, poi si fermò, nascosto alla vista dell’accampamento, e si prese la testa tra le mani. La verità era che non riusciva a stare fermo. Una parte di lui si rimproverava per aver mosso quel vespaio, che non gli consentiva più di starle vicino con la leggerezza di prima, l’altra parte ripeteva che prima o poi avrebbe dovuto comunque affrontare il problema.
“Ormai siamo in ballo, Irthen. Tanto vale che balliamo” si disse.
Doveva trovare il modo di reprimere l’impulso di fare l’ennesima figura infelice. Per quanto l’istinto gli dicesse di insistere, il cervello non poteva non ripetergli di ritirarsi e salvare quel minimo di dignità che gli era rimasta.
«Coraggio, bello…è solo una ragazza! E di ragazze è pieno il mondo!» mormorò a sé stesso.
Si ravviò i riccioli e si volse. Fece un passo, a testa bassa, e sentì con orrore il piede affondare in uno strato di melma appiccicosa. Cercò di ritrarre il piede, ma il fango oppose resistenza. Si sbilanciò e finì nella pozza anche con l’altra gamba, evitando per miracolo di cadere di faccia.
Quando fu certo di essere stabile, tentò di divincolarsi dal pantano, ma più si muoveva più affondava. In preda al panico, cercò un appiglio. In un batter d’occhio, la melma l’aveva avvolto fino alla vita, e l’unica foglia di felce abbastanza lunga si strappò, ferendogli la mano. Imprecò e cercò di calmarsi, invano. Non riusciva a fare a meno di pensare a che morte idiota sarebbe stata, quella. Ridicola, come ridicolo era lui! La situazione peggiorava rapidamente, il panico gli impediva di stare fermo e ragionare. Quando ormai il putridume gli arrivava allo stomaco e la situazione era sempre più disperata, una mano gli afferrò il polso. Stralunato, roteò gli occhi. Abby si era legata una fune in vita, l’altro capo era tra i denti del cavallo.
«Non chiamarmi, eh!» sbottò la ragazza, trascinandolo faticosamente fuori dalla palude, aiutata da Luce.
Quando, finalmente, Irthen fu al sicuro sulla terra asciutta, Abby si lasciò scivolare per terra. Il ragazzo la imitò. Le gambe non lo reggevano, il cuore sembrava sul punto di esplodergli.
«Fanculo, Irthen.»
«Grazie» mugugnò.
«No, sul serio, sei un vero idiota! Che cosa aspettavi a chiedere aiuto? Di finirci dentro fino alle orecchie?!»
«Non lo so, io…sono andato in panico…»
«Se non mi è venuto un infarto oggi, non mi verrà mai più.»
«Come facevi a sapere che stavo per morire sepolto da strati e strati di schifo?»
Abby lo guardò storto.
«Ti ho seguito.»
«Cosa?!»
La ragazza sbuffò.
«Volevo vedere se avresti baciato sul serio una rana…»
«Non sono così disperato, Abby!»
Abby sorrise.
«Sei coperto di fango, Ir. Ce l’hai un cambio? Sul mio cavallo, così, non ci sali…»
Irthen annuì. Si trasse in piedi e si incamminò verso l’accampamento, facendo bene attenzione a dove metteva i piedi. Frugò tra i bagagli ed estrasse il necessario. Si sfilò la camicia sporca, ringraziando che quel fango fosse tanto gommoso da non passare nemmeno attraverso i vestiti.
«Mi vuoi risarcire per il disturbo di averti ripescato?» domandò Abby, alzando le sopracciglia.
Irthen arrossì, la maledisse mentalmente e la guardò storto.
«Non credo proprio. Anzi, girati per favore» sbottò.
Abby mise il broncio e gli voltò le spalle, coprendosi gli occhi con le mani.
«Nemmeno una sbirciatina?» insistette.
«No. Smettila, non è divertente.»
Si cambiò il più velocemente possibile, senza verificare che la ragazza onorasse l’accordo. Decise che preferiva non saperlo. Quando fu pronto, iniziò a raccogliere le loro cose.
«Possiamo ripartire, sì?» domandò Abby.
«Dobbiamo ripartire» corresse lui.
 
Ancora agitato per aver sfiorato la morte per annegamento nel fango, Irthen aveva scelto il primo turno di veglia. Convinto che, comunque, non sarebbe riuscito a chiudere occhio. Abby si era avvolta nella coperta, come la notte precedente, e si era accoccolata contro di lui, rannicchiata come neanche un gatto avrebbe saputo stare, sfidando ogni legge umana e divina per stare in equilibrio precario su un cavallo in movimento senza cadere. E lui, facendosi forza, si era concentrato sulla strada. Ogni tanto, incrociavano ancora qualche pozza putrida, ma Luce era un cavallo sveglio.
“Più sveglio di me” pensò Irthen con un sospiro affranto.
Se Abby aveva ragione, e “Abby non sbaglia mai i calcoli”, come amava ripetere, entro mezzogiorno avrebbero raggiunto i margini del Bosco Lossar, e a quel punto sarebbe stato meglio fermarsi fino all’alba. Infatti, da quanto aveva detto Ged, il Morgael scorreva abbastanza vicino al confine del bosco, e se avessero proseguito avrebbero dovuto accamparsi in mezzo alle piante oppure navigarlo di notte. Irthen sbuffò. Anche quella storia del navigare il fiume non lo convinceva per niente, Ged aveva parlato di coccodrilli e ippopotami…non sarebbe stato meglio costeggiarlo a cavallo?
Perso nelle proprie elucubrazioni, non si accorgeva nemmeno dello scorrere del tempo. Ormai, la meta era vicina, vicina come non avrebbe mai osato sperare. E poi, che cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornato a Pothien, ovviamente. E…lei, invece?
«Smettila di farti delle paranoie, tesoro» mormorò Abby.
Irthen si irrigidì.
«Che cosa vuoi dire?»
«Che sento il cigolio delle rotelline nel tuo cervello. Non pensare troppo, non ne vale la pena. Vivi quello che la vita ti offre giorno per giorno, fidati di me.»
Il ragazzo sospirò.
«Non ti sembra di chiedermelo un po’ troppo spesso?»
«Cosa?» domandò Abby, soffocando uno sbadiglio.
«Di fidarmi» rispose Irthen.
«Hai ragione, non dovrei» disse senza esitazione.
«Mi stai confondendo…» borbottò Irthen.
Abby rise e si raddrizzò un pochino, quel tanto che bastava per consentirle di posare la testa sulla sua spalla.
«Non manca molto all’alba» sussurrò.
Il ragazzo non rispose. La notte gli era scivolata via tra le dita senza nemmeno che se accorgesse.
«Vuoi il cambio?»
«No. Mi piace stare…così» disse arrossendo. «Che cosa troveremo, nel Canyon, Abby?» aggiunse, cercando di ricomporsi.
«La sirena. Conosci la storia della sirena?»
«No. Vorresti raccontarmela?»
Abby chiuse gli occhi, e prese a raccontare, cantilenando le parole, modellandole su una musica che Irthen non conosceva, e facendogli correre brividi caldi lungo la schiena.
«Quando gli Dei crearono la Terra dei Tuoni, si domandarono se gli uomini sarebbero stati capaci di mantenere puro il loro cuore, incorrotto dalle infinite opportunità che si offrivano loro. Qualcuno propose allora di creare una prova, superata la quale l’uomo virtuoso avrebbe ottenuto in premio l’immortalità e grandi poteri. Gli altri Dei la trovarono una buona idea, e il Dio dell’Acqua creò la Cascata del Potere. A custode posero una vestale, la sirena Kore, che è vincolata da un giuramento: valutare il cuore dei candidati e consentire a chi abbia un cuore buono di bagnarsi nelle Acque magiche. Sempre che questo non comporti un danno per l’equilibrio della Terra dei Tuoni. Da allora, Kore esamina i candidati in vece degli Dei. Chi si dimostra degno, può passare; chi non supera la prova, perde i ricordi inerenti alla Cascata, e torna alla sua vita precedente» concluse.
«Una prova? Ged non ha mai parlato di una prova!» disse Irthen, sentendosi invadere dal panico.
«A quanto pare, ci sono parecchie cose che il buon Ged ignora…»
«E se io non la superassi? Dimenticherei tutto: la Cascata, il viaggio…dimenticherei te!» farfugliò.
Abby sorrise ad occhi chiusi.
«Non sarebbe un male. E comunque la supererai.»
Irthen sbatté le palpebre per schiarirsi la vista. Il cielo iniziava a tingersi di rosa.
«Ho paura, Abby. È da deboli, avere paura?» domandò.
«No, tesoro. È da pazzi non averne» rispose voltando il viso verso di lui.
Irthen guardò per un lungo secondo in quegli occhi così verdi, stordito, e per un momento fu consapevole solo del battito furioso del proprio cuore e del sangue che gli bruciava nelle vene. Per quel lungo secondo, si sentì come sospeso in un limbo di semicoscienza, in cui niente era come doveva essere, prima di realizzare che, dopotutto, non era davvero la sua decisione più cretina.
«Quello che la vita offre giorno per giorno» mormorò, prima di obbedire all’istinto e posare le labbra su quelle morbide di Abby.
 
Al sorgere del sole, Liam era ancora abbastanza riposato da poter evitare la sosta-colazione. Aveva passato giorni senza dormire e senza mangiare decentemente, qualche ora di relativo riposo nella bella casetta che Glenndois gli aveva messo a disposizione gli aveva fatto bene. Il Morgael non era lontano, l’umidità giungeva fino a lui, rigenerandolo. E lo rendeva sicuro circa la direzione seguita. L’unica cosa di cui doveva preoccuparsi era di non avvicinarsi troppo al corso d’acqua.
Allora perché si sentiva così male? Perché quel freddo che gli attanagliava il cuore, e i brividi che non lo abbandonavano? Perché si sentiva vuoto?
Liam sapeva bene perché, nel suo autocontrollo, qualcosa era andato in frantumi. Era quella stessa sensazione che lo aveva abbattuto, sfiancato, spezzato dall’interno quando la famiglia, che aveva sempre considerato un qualcosa di certo e indistruttibile, era svanita nel nulla. Il dolore e la paura lo avevano prostrato, ma la responsabilità di badare ad Irthen e i suoi occhioni verdi lo avevano spinto ad andare avanti. E come tutte le ferite, anche quella si era rimarginata. Lentamente, magari, ma era guarita.
Possibile che avesse fatto una cosa tanto orribile? Possibile che avesse commesso un errore, e che Syra…non riusciva nemmeno a concepire l’idea.
“No, non è possibile, Liam. Lo sai anche tu. Certo, eri sconvolto, eri disperato, non eri lucido. Ma c’era Chloé! Lei è la razionalità, non avrebbe sbagliato! E poi, c’era anche Daria, era guaritrice da molti anni. D’accordo, poniamo che questa Ophelia le somigli…che le somigli molto! Non è una cosa inverosimile. Può succedere che due persone si assomiglino. E che abbiano la stessa età. È vero che è strano che abbia il potere della Terra e che stia con una fazione di guerrafondai, ma se è così giovane, magari è stata allevata da uno degli affiliati di Micael, oppure quel pazzo ha qualche rapporto con la sua famiglia…”
Sospirò. Come poteva trattarsi di Syra? Se fosse stata viva e fosse riuscita a salvarsi, sarebbe tornata a casa. A meno che non si fosse persa, o avesse avuto un’amnesia. Ma anche in questo caso, qualcuno avrebbe notato la terra smossa al cimitero. Anche se per via dell’epidemia in pochi frequentavano quel luogo, allora. E pioveva. Pioveva moltissimo. Sospirò di nuovo.
«Basta, Liam!» sbottò. «Tutte queste paranoie non ti porteranno da nessuna parte! Adesso smettila di pensare a futilità, quando sarà il momento verificherai la fondatezza dei tuoi timori, ma adesso concentrati. Se perdi il fiume, sei nei casini. E non puoi sprecare tempo a pascolare per questo luogo ameno.»
Si stropicciò gli occhi e schivò per un soffio un ramo basso che stava per colpirlo in faccia. Per quanto potesse amare la natura, non si sarebbe mai abituato a viaggiare a cavallo nei boschi…
«Ancora un piccolo sforzo, Baio, solo qualche ora. Ormai è l’alba, se Dodo ha fatto bene i conti, intorno a mezzogiorno saremo fuori da questo inferno di rami!»
 
Il sole era sorto, e Irthen fingeva di dormire. In realtà, la luce, la scomodità e l’agitazione gli rendevano difficile anche solo tenere gli occhi chiusi. Si limitava a tenere la testa bassa, nella speranza che Abby non sospettasse nulla.
L’aveva baciata, ottimo. E lei, alla faccia della coerenza, ci era stata! Aveva risposto al bacio, si era aggrappata alla sua nuca e gli aveva lasciato sperare che, una volta nella vita, avesse fatto la scelta giusta. Purtroppo, poi, l’aveva allontanato da lei e, in perfetto “stile Abby”, gli aveva detto:
“Non farlo mai più. Sappiamo benissimo entrambi che, ogni qualvolta tu mi bacassi, io ti lascerei fare, salvo poi incavolarmi e non rivolgerti la parola per ore. Perciò, mettici una pietra sopra, sì?”.
Irthen non aveva ribattuto. Non era ancora riuscito a decidere se avesse incassato così passivamente perché, infondo, si aspettava una reazione ben peggiore, oppure perché per un brevissimo momento aveva osato sperare davvero. Ma l’instabilità di Abby non era certo una novità. Oramai, ci era abituato. Avrebbe sopportato il nuovo cambio di rotta.
La stoica sopportazione iniziale, però, era degenerata velocemente, sprofondandolo in uno stato di insofferenza  e di angoscioso senso di colpa. Per cosa, poi? Nemmeno si era disturbata ad alzarsi, quell’approfittatrice! Si era accoccolata di nuovo, come niente fosse e aveva preso a canticchiare una specie di ninnananna bassa e dolce, che sembrava uscire da una favola. Così, quando non era più stato capace di sopportare quella situazione, aveva chiesto di poter riposare un po’. Abby aveva sorriso e gli aveva ceduto il posto, senza fare storie.
Ed eccolo lì, a fingere di dormire per non dover mostrare la tranquillità che era ben lungi dal sentire.
Il dondolio uniforme del passo di Luce era, in qualche modo, rassicurante.
Abby sussurrò qualcosa in una lingua che Irthen non aveva mai sentito, e Luce nitrì sommessamente. Il ragazzo aggrottò istintivamente la fronte.
«Guarda che lo so che sei sveglio…» aggiunse a voce più alta.
«Certo. Sua Signoria sa sempre tutto» sbottò Irthen in tono un po’ più acido di quanto avrebbe voluto.
Abby si irrigidì appena. Il ragazzo si raddrizzò e si stiracchiò, strofinandosi gli occhi. La giornata nuvolosa metteva tristezza.
«Possiamo mangiare qualcosa, sì?» domandò.
Sul viso della ragazza si dipinse un sorriso divertito e lui si morsicò la lingua. Maledetto intercalare.
«No, non possiamo, tesoro. Abbiamo dato fondo ai viveri. Ti pare che ieri sera avrei mangiato quella cosa schifosamente gelida e molliccia se avessi avuto qualcos’altro?»
Irthen sgranò gli occhi.
«C-c-cosa?!» balbettò.
«Oh, non fare quella faccia! Non è la fine del mondo, sei magro, ma puoi sopravvivere qualche ora senza mangiare. Quando saremo in prossimità del Bosco Lossar, potremo accamparci, riposare e, finalmente, fare un pasto decente! Riesci ad immaginare quanto mi senta ansiosa di poter fare tutte queste cose, sì?»
Il ragazzo mugugnò tutto il suo dissenso e Abby ridacchiò.
«Lo so che devi crescere, ma la vedi quella linea nera?» disse puntando il dito davanti a sé. «Quella è la nostra meta!»
Irthen strizzò gli occhi. In effetti, all’orizzonte si stagliava una linea scura e frastagliata.
«Sei certa che lo raggiungeremo entro mezzogiorno?» domandò perplesso.
«Tu, Luce, che cosa dici?» disse con un sorrisino malizioso.
Il cavallo nitrì e si lanciò al galoppo attraverso le ultime propaggini della Piana di Thann. Con lo stomaco che brontolava, Irthen non poté fare altro che affidarsi nuovamente alle zampe buone dello strano cavallo di Abby.
 



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Io, Irthen lo adoro. Ve lo dico :b
   
 
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