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Autore: fragolottina    30/11/2012    6 recensioni
«Non lo senti?» mormora, tanto vicino al mio viso che non resisto alla tentazione di baciarlo, con le sue parole che vibrano sulle mie labbra. Io non resisto mai alla tentazione di baciarlo. È così bello, ha il viso che ho sognato di trovare per tutta la vita. Ha il naso perfetto. Adoro i suoi dreadlocks castani. Ha gli occhi più grandi e blu che si siano mai visti. E brillano, come la prima neve sotto un raggio di sole mattutino. Brillano di quello che è, nel suo intimo più profondo.
Dio, il ragazzo che mi ama è perfetto.
«Cosa?»
Si appoggia coi gomiti ai lati della mia testa e prende a giocherellare con i miei capelli. «La neve.» solleva il mento ed annusa l’aria intorno a noi. «La prima neve di quest’anno.»
Genere: Commedia, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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profumo di neve
fragolottina's time
secondo capitolo del racconto natalizio, lettrucciole.
allora, mi devo parare un po' il sederino. prima che me lo diciate o che aggrottiate le sopracciglia perplesse davanti allo schermo facendovi venire le rughe, of course, lo so, che di norma le cose non vanno proprio così. ma è una storia fantasy e lui è... LUI!
cmq, ci vediamo più giù!
PROFUMO DI NEVE
II parte

Ci vestiamo insieme davanti allo stesso specchio, la convivenza ha scacciato via ogni imbarazzo.
   
Ricordo ancora la prima notte che ho dormito in questa casa, la nostra casa; ricordo il terrore cieco che mi ha assalita quando ho visto il letto enorme nella camera. Io non avevo mai avuto un fidanzato, quindi, non avevo mai esplorato certi orizzonti. Avevo baciato un paio di ragazzi, quasi per sbaglio.
    «Nick…»
    Lui mi aveva abbracciata da dietro, con il mento appoggiato alla mia spalla. «Ti sentiresti più a tuo agio con una camera tutta tua?» mi aveva chiesto, indovinando i miei timori. «Posso chiedere a Mrs. Tillman di preparartela.»
    «Mrs. Tillman?»
    «La governante.»
    Avevo continuato a tenere gli occhi fissi sul letto. «Abbiamo già dormito insieme.» gli avevo ricordato.
    «Si, ma questa è casa mia, nostra… magari ti rende imbarazzata.»
    Ci avevo pensato. «Tu sai…» avevo lasciato la frase in sospeso per qualche secondo, per dargli tempo di concluderla da solo. «vero?»
    Mi strinse più forte la vita. «Si, lo so, Meg. Per questo non ti ho chiesto niente.» mi aveva girata piano e guardata con un misto di fastidio finto e divertimento. «Se mi dici di no ancora prima che te lo chieda mi scoraggi. Devo presumere che sia venuta via con me solo perché sono un ragazzo facoltoso.»
    L’avevo guardato, avevo scosso la testa e gli avevo buttato le braccia al collo prima di baciarlo. Completamente consapevole che lo volevo, a livello molto teorico in quel momento, ma prima o poi sarebbe stato tutto più concreto. Nick l’avrebbe capito, sapevo che mi avrebbe chiesto solo in quel momento.
    In quel momento io gli avrei detto di si.

«Frustrante.» commenta lui, legandosi tutti dreadlocks.
    Lavora come assistente nel reparto pediatrico di un ospedale, non è un infermiere, è più una specie di maestro. Gioca con loro, racconta favole, li aiuta a fare i compiti. Nick ama i bambini, tutti i bambini. Forse perché una parte di lui è ancora un bambino giocoso, dice sempre che la cosa che odia di più è essere costretto ad essere triste.
    Il problema è che quando lavori nel reparto pediatrico di un ospedale, sei costretto ad essere triste più spesso di quanto vorresti.
    «La prima neve e devo lavorare.»
    «Siamo quasi a dicembre.» lo rincuoro mentre mi intreccio i capelli. «Tra poco potrai dedicarti a quello che ti piace di più.»
    Mi rende un po’ triste sapere che avrà un mese di aspettativa e che non avrà mai tempo per me, ma capisco anche che il suo è un impegno improrogabile.
    Lui incrocia il mio sguardo nello specchio. «Rotolarmi nel letto con te?» mi chiede malizioso.
    Rido arrossendo poco, poco. «Anche.» fisso la treccia con un elastico, poi faccio forza sulle braccia e mi siedo sul piano del lavello.
    Nick si avvicina e si appoggia con le gambe alle mie ginocchia. «Dovremmo fare qualcosa per festeggiare la prima neve stasera.» riflette.
    «Tipo?»
    «Non lo so.» scrolla le spalle e mi da un bacio veloce sulle labbra. «Ne riparliamo a pranzo?»

Come ricordo il nostro primo incontro? Mm… strano, se non altro.

Mancavano due settimane a Natale ed io ero sola a casa. Mio padre aveva il turno di notte e, da quando ero diventata troppo grande per le baby-sitter, mi infilava sotto il letto la sua mazza da baseball, ricordandomi ogni volta che se qualcuno entrava in casa senza il mio invito, non era per mangiare biscotti.
    Così quando sentii un rumorino venire dal piano di sotto, sbarrai gli occhi, recuperai la mazza e mi avviai, tenendola ben salda tra i pugni, in cucina. Cercai di non fare nemmeno un rumore, evitai le assi del parquet che scricchiolavano, mi impedii perfino di accendere la luce. Al buio riuscivo a riconoscere solo un’ombra ed il raggio di una torcia che vagava per la cucina.
    Quando fui abbastanza vicina da colpirlo, il ladro si voltò di botto, gridò un «Aspetta!» e bloccò la mia mazza con un braccio. La sua torcia volò per terra e rotolò fino a fermarsi contro il mio piede nudo, creando strane ombre dietro di lui.
    Per alcuni secondi rimanemmo a fissarci: io con il respiro rotto da tutta l’adrenalina rilasciata, lui con gli occhi sgranati di paura. «Potevi ammazzarmi!» mi rimproverò.
    Io presi un respiro profondo ed allungai una mano, senza smettere di guardarlo, per accendere la luce, poi tirai di nuovo indietro la mia arma improvvisata. «Chi-chi sei?» deglutii. «Che ci fai in casa mia?» domandai con più sicurezza.
    «Non voglio farti del male.» mi disse mostrandomi i palmi vuoti. Era fermo e calmo, non c’era niente in lui che potesse sembrare pericoloso, ma era comunque uno sconosciuto.
    «Che ci fai in casa mia?» ruggii di nuovo, senza abbassare la guardia.
    Lui guardò dietro di sé quattro biscotti, di cui uno mezzo mangiucchiato, e del latte in un thermos. Lo sapevo perché ce lo avevo messo io.
    «Non è presto per lasciare i biscotti a Babbo Natale?» mi domandò curioso mentre si sedeva ad una sedia, evidentemente nemmeno io sembravo gran ché aggressiva.
    «Non sono per Babbo Natale, sono per mio padre, quando tornerà domandi mattina.»
    «Premurosa.» commentò.
    Io scossi la testa. «Fammi capire, sei entrato per rubarmi i biscotti?» chiesi incredula.
    Annuì piano, poi, come ripensandoci: «Non rubarli, io… ehm…» si morse le labbra, sembrava divertito.
    Abbassai la mazza, giacché non sembrava intenzionato ad aggredirmi, ed incrociai le braccia sul petto in attesa di una spiegazione più convincente. «Dimmi perché non dovrei chiamare la polizia?»
    «Perché avevo molta fame?» tentò guardingo.
    Alzai gli occhi al cielo. «Da dove sei entrato?» continuai implacabile.
    Lui recuperò il biscotto mangiucchiato e lo addentò, dopo essersi assicurato che non lo avrei colpito. «Ecco…» masticò con calma, lo sguardo assottigliato, non c’era bisogno di una psicologa per capire che stava cercando di inventare una bugia credibile. «C’era una finestra aperta.» concluse.
    «No, non è vero.»
    Mi fissò. «Si, invece.»
    «Quale?»
    Rise, senza provare nemmeno a fingersi serio. «L’ho chiusa.»
    Sollevai le sopracciglia scettica.
    «Temevo che potessi prendere freddo!»
    Sbuffai esasperata e mi sedetti, tenendo la mazza con me, non si poteva mai sapere.
    Mi osservò attento. «Rilassati. Mangio e me ne vado, promesso!»
    Non risposi, non mi mossi e di certo non mi rilassai.
    Allungò una mano in mia direzione, io indietreggiai di botto, ma lui: «Mi chiamo Nick.» disse soltanto.
    Incerta gliela strinsi. «Io Maggie.»
    Rimasi a guardarlo mangiare, non ero del tutto convinta che fosse entrato per quello, ma nel caso avesse avuto cattive intenzioni sembrava averle abbandonate; se l’unica cosa che intendeva rubarmi erano dei biscotti, non mi sentivo di negarglieli.
    Ora che ci ripenso da parte mia fu stupidamente irresponsabile.
    «Quindi tuo padre non torna fino a domani mattina?» mi domandò dopo aver bevuto un sorso di latte.
    Lo guardai sospettosa senza rispondere, certa che rassicurare uno sconosciuto sul fatto che nessuno adulto sarebbe rientrato fino al giorno dopo, non fosse saggio.
    Mise le braccia conserte sul tavolo e ci si appoggiò con il mento, guardandomi da sotto in su. «Di solito le ragazze della tua età fanno venire il proprio fidanzato per farsi fare compagnia.»   
    «Cos’è stai facendo un sondaggio?» sbottai arrossendo.
    Scosse la testa tranquillo. «No, sono curioso.»
    Sospirai. «Non ho un fidanzato.» ammisi.
    «Perché?» chiese tanto incredulo da sembrare dispiaciuto.
    «Ma la smetti!» lo rimproverai.
    Lui si tirò su dispiaciuto. «Scusa, è che sei bella e di solito le ragazze belle hanno un fidanzato.»
    «Di solito le ragazze ti parlano della loro vita, dopo che ti sei infilato abusivamente in casa loro a mangiare biscotti.»
    Si leccò le labbra, appena imbarazzato anche lui. «Touché.» mormorò divertito, si tirò indietro sullo schienale della sedia. Rimanemmo a studiarci per un po’, poi lui prese a guardarsi intorno. «Non hai l’albero di Natale.» notò.
    Non risposi.
    «E Babbo Natale dove ti lascia i regali?»
    Sbattei le palpebre perplessa. «Ho diciassette anni.» gli feci notare.
    «E allora?» mi domandò tornando a guardarmi sinceramente curioso.
    Mi strinsi nelle spalle. «Non credo più a Babbo Natale.»
    Per alcuni secondi mi fissò e basta, mettendomi anche abbastanza a disagio, poi si chinò in avanti ed avvicinò la propria sedia alla mia. Così vicino che se avesse chiuso le ginocchia si sarebbe scontrato con le mie. Lanciai un’occhiata alla mazza da baseball che avevo finito per appoggiare sul piano della cucina, ma non la recuperai; non so esattamente come, ma avevo finito per fidarmi di lui.
    «Quanta magia riesce a vedere in giro, Meg?»
    «Poca.» risposi piano. «Ma che c’entra?»
    «C’entra.» annuì. «Ce n’è poca e di solito non la vediamo. Passiamo una vita immersi nella realtà più spietata e diventiamo cinici, scorbutici e…»
    «Tristi.» terminai per lui.
    Allungò una mano esitante e, quando realizzò che non mi sarei allontanata, mi sfiorò appena la guancia. Le sue dita erano calde e morbide. Credo di aver iniziato ad amarlo in quel momento, perché in quel momento realizzai che non avrei mai voluto che smettesse di accarezzarmi.
    «Già, tristi.» convenne. «Credere a qualcosa di magico, anche se si tratta di qualcosa palesemente irreale, rende più felici.»
    Assottigliai lo sguardo. «Chi diavolo sei tu?»
    Sgranò gli occhi con enfasi, ridendo. «Babbo Natale.»
    Risi anche io. «Ti immaginavo leggermente più anziano.»
    Lui sorrise intimo. «Io non ti immaginavo più bella.»
    Continuammo a parlare, gli raccontai la mia vita e lui seguì ogni mia parola con la stessa attenzione che un bambino avrebbe dedicato ad una favola meravigliosa. Anche lui mi parlò di sé, del suo lavoro con i piccoli malati, di quanto era difficile a volte giocare e ridere con loro, sapendo che alcuni il giorno dopo non ci sarebbero stati più. Mi chiese, ancora, perché non avessi un fidanzato e questa volta risposi.
    «Ho paura che muoia.» confessai, era la prima volta che lo ammettevo ad alta voce e… dio, lo stavo raccontando ad uno sconosciuto.
    Lui mi studiò senza dire niente, nei suoi occhi non c’era traccia di rimprovero, solo una leggera e incredibilmente rispettosa curiosità. «Spiegami.»
    «Quando mia madre è morta, mio padre è morto con lei. Ho visto il suo dolore, lo vedo ancora.» scossi la testa. «Non riuscirei a sopportare una sofferenza tanto profonda. Non voglio sopportare una sofferenza tanto profonda.» risi amara, cercando di evitare il più possibile il suo sguardo. «Ti sembrerò pazza.»
    Nick mi fissò serio e dispiaciuto, poi scosse la testa e cercò la mia mano, non il mio viso, rispettò il mio volermi celare. «No, non mi sembri pazza neanche un po’.» si voltò e guardò la finestra, era ancora notte, ma c’era un grado di oscurità minore rispetto a quando avevamo iniziato a parlare. «Dovrei andare, non credo che tuo padre sarebbe contento di trovarmi qui.»
    Si alzò in piedi ed io con lui. Lo accompagnai alla porta, come se fosse stato un ospite super gradito e non un potenziale ladro che si era intrufolato in casa mia.
    Quando gli sbloccai il portone e lo dischiusi mi prese una strana ansia. Lo guardai preoccupata, parlare con lui era stato così bello, e se non lo avessi visto mai più?
    «Tu non sei di qui.» dissi piano.
    Sorrise e scosse la testa.
    «Io vorrei rivederti.»
    «Anche io.» rispose semplicemente.
    Deglutii. «Per parlare.»
    Fece una passo verso di me, piano per non farmi spaventare. Staccò le mie dita dal pomello della porta e lo chiuse con delicatezza. Mi prese anche l’altra mano e le congiunse dietro il suo collo, poi mi abbracciò per la vita; era dell’altezza giusta, perché, con quella vicinanza, fossi costretta a sollevare lo sguardo per fissarlo negli occhi.
    «Parlare?» mi domandò, sollevando un sopracciglio.
    Arrossii e slacciai le mani per spingerlo via per il petto. «Se non vuoi rivedermi per parlare, non vuoi rivedermi.» sbottai offesa.
    Nick non mi lasciò andare. «Meg.» mi chiamò. «Parlare è perfetto.»
    Lui era perfetto, avrei voluto dirglielo ce l’avevo sulla punta della lingua. Chinò il viso su di me, stringendomi forte; io spostai le mie mani sulla sua schiena, scivolando sulla leggera infossatura della spina dorsale. Mi lasciò un bacio tra i capelli, un bacio dolcissimo e intimo.
    «Tu sei perfetta.» mi disse prima di andarsene.
    Si, lo amavo già.


come vedete la storia si snocciolerà attraverso i ricordi di Maggie.
dunque, lo so, che ancora non è molto natalizia - non c'è nemmeno l'albero di Natale - ma datemi tempo per farvi capire di cosa stiamo parlando!
spero che vi piaccia...
baci

ps. stavo per dimenticarmi Lamponella - l'amministatrice della mia Fan Page, per chi non lo sapesse - chi la sente poi!



   
 
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