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Autore: Oplomacus    09/12/2012    0 recensioni
Ciao a tutti, sono un giovane appassionato di The Elder Scrolls e, soprattutto, di letteratura. Ho sempre amato scrivere e, pertanto, ho deciso di cimentare le mie maldestre abilità in una fanfiction su Skyrim, uno dei miei videogiochi preferiti. Spero che venga fuori qualcosa di leggibile nel primo capitolo, nel caso riteniate che non sia di vostro gradimento eviterò di pubblicare un seguito, ma spero vi piaccia. La storia è ambientata nei giorni in cui si svolgono le vicende di Skyrim e il protagonista è, ovviamente, il nostro amato Dovahkiin. Tuttavia, ho deciso di scrivere per lui una storia diversa da quella che conosciamo tutti, più "umana".
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Karaldin non ricordava quanto Whiterun fosse bella. La vivace città, situata in un punto centrale e nevralgico di Skyrim, era arroccata su un colle a ridosso di Dragonsreach, la residenza dello jarl da generazioni, ed era pervasa da un’intensissima attività commerciale. Non poteva essere paragonata a nessun altro insediamento urbano della regione, poiché aveva in sé un misto tra l’austera eleganza di Windhelm e l’opulenta ricchezza di Solitude. Varcando i suoi cancelli e venendo salutato come Thane dalle guardie, il Legato realizzò che Whiterun gli ricordava molto il quartiere commerciale della Città Imperiale. Erano passate da poco le tre del pomeriggio e le strade erano affollate da gente di ogni razza e professione. Karaldin decise che, prima di andare a compiere la sua odiata missione presso i Compagni, fosse opportuno andare a rendere omaggio allo jarl Balgruuf il Grande, colui che, per ricompensarlo dei suoi servigi, lo aveva nominato Thane. Percorse rapidamente il sentiero che collegava tutti i Distretti della città, quindi imboccò il ponte che conduceva all’ingresso di Dragonsreach.
Una guardia gli si fece incontro davanti al portone.
“Bentornato, Thane! Non le sarò mai abbastanza grato per ciò che ha fatto per me” disse.
Karaldin gli diede una pacca sulla spalla e rispose: “Non serve ringraziarmi, uccidere quel drago è stato un piacere e, in ogni caso, te la saresti cavata anche da solo”.
La guardia aprì il cancello, permettendo al Legato di fare il suo ingresso nella sala del trono.
Balgruuf il Grande sedeva appoggiato su un fianco come era suo costume, mentre in una mano stringeva una coppa di vino pregiato. Accanto a lui, armata di tutto punto, vigilava Irileth, la Dunmer che prestava servizio a palazzo come huscarlo da molti anni. Seduto su uno scranno, infine, il Sovrintendente Proventus Avenicci era intento a scrivere un documento imprecisato. Non c’era traccia dei figli dello jarl, probabilmente erano a zonzo con i cani.
“Karaldin Hammersmark! Credevo che ti fossi dimenticato di me, a forza di prendere botte in testa!” lo salutò lo jarl.
“Non potrei mai, jarl, e lo sai bene! Nonostante la riscoperta delle mie origini e il peso della guerra, niente mi farà dimenticare colui che mi ha nominato Thane e che mi ha protetto nei miei primi mesi a Skryim!” replicò Karaldin, accennando a un inchino.
“Sono io a doverti essere grato, Thane. Senza il tuo aiuto, Whiterun sarebbe stata ridotta ad un tizzone ardente per colpa di quel drago o, peggio ancora, sarebbe divenuta il bivacco di quei cani Manto della Tempesta. Ma veniamo a noi, Karaldin. Sono certo che tu non sia venuto fin qui da Falkreath per una visita di cortesia”.
Il Dovahkiin sorrise, quindi rispose: “E’ il dovere a portarmi qui, purtroppo, ma ti assicuro che questa visita non mi è stata imposta da alcun ordine”.
“L’ho sempre detto, io, che gli uomini d’onore ci sono anche fuori da Skyrim! Prima che tu vada, comunque, voglio farti un regalo” rispose Balgruuf, quindi si rivolse ad Irileth:
“Valla a chiamare”
“Si, mio jarl” rispose l’imperscrutabile Dunmer.
Dopo una manciata di secondi, Irileth rientrò nella sala con al seguito una ragazza vestita con un completo a piastre che le lasciava scoperta solo la testa. Assicurati alla cintura e alla schiena, portava uno scudo e un’ascia d’acciaio temprato. Il suo volto perfetto era incorniciato da una corta chioma corvina, mentre gli occhi erano blu come l’oceano.
“Caro Karaldin, ti presento Kyria. Non farti ingannare dall’aspetto, è dolce e carina quanto letale e scaltra. Non esiste un huscarlo migliore di lei in tutto il feudo” disse Balgruuf, per poi ridacchiare ed indicare Irileth:
“A parte lei, s’intende!”.
“Non so se sia il caso” obiettò Karaldin “L’ultima non ha fatto una bella fine…”.
Alludeva a Lydia, la sua prima guardia del corpo, trafitta da una freccia alla gola durante un assalto nel Rift.
“Lydia era molto benvoluta, qui a Dragonsreach, ma è passata a miglior vita come ogni vero huscarlo vorrebbe fare, difendendo col proprio corpo il suo Thane”.
“E allora, se te la senti di rischiare la vita per me, accetto volentieri i tuoi servigi” acconsentì il Dovahkiin in tono solenne.
Kyria, dopo essersi avvicinata di qualche passo, si inginocchiò di fronte al Legato e disse, con una voce inaspettatamente forte:
“Darò la mia vita per te, mio Thane. Da questo momento, ogni tuo ordine sarà eseguito”.
“Bene, vedo che il rituale è compiuto. Ti lascio ai tuoi impegni, Karaldin Hammersmark, e che gli dei ti proteggano nelle tue battaglie!”.
Karaldin salutò lo jarl, Proventus e Irileth, quindi, seguito da Kyria, abbandonò Dragonsreach.
Mentre si dirigevano verso i Distretti inferiori, il Legato si rivolse al suo huscarlo:
“Posso farti una domanda?”.
“Certamente, mio Thane”.
“Hai i capelli neri come i miei, ma occhi di quella tonalità di blu sono introvabili a Cyrodiil. A quale razza appartieni?”.
Kyria parlò senza lasciar trasparire alcuna emozione:
“Mio padre era un mercante di stoffe di Leyawiin, conobbe mia madre durante un viaggio qui a Whiterun. Lei era una Nord pura, faceva la cameriera in un’osteria che adesso non esiste più. Mio padre la sedusse e, una notte, venni concepita, ma egli rifiutò di sposarla e preferì tornare ai suoi commerci”.
“Il fatto che tuo padre fosse un Imperiale ha fatto nascere in te dei pregiudizi sulla sua razza?”.
“All’inizio, si. Mia madre ha sempre maledetto quell’uomo dai capelli neri spuntato fuori da chissà dove, che aveva fatto i suoi comodi e che, in cambio, le aveva lasciato una figlia da mantenere. Ma poi ho capito quanto fosse inutile lottare contro le mie origini e ho preferito andare avanti. Non sono né una Nord né un’Imperiale, sono solo Kyria”.
“Perché mi hai raccontato tutta la storia? Ti ho solo chiesto quale fosse la tua razza”.
“Perché sei stato tu a domandarmelo, mio Thane, anche se non direttamente. Ho letto nei tuoi occhi una curiosità lacerante”.
Karaldin annuì e guardò davanti a sé. Il profilo guerresco e frastagliato di Jorrvaskr, il quartier generale dei Compagni, si stagliava sul panorama urbano di Whiterun. Percorsero la scala che conduceva all’ingresso, di fronte al quale vennero fermati da un Dunmer dall’aspetto viscido.
“Salute a voi, signori. Desiderate essere iniziati alla Gilda? Legato Hammersmark, non credevo che la guerra fosse  finita… E la signorina chi è?”.
“No, Athis, non sono ancora intenzionato ad unirmi a voi. Quanto a lei, è la mia nuova guardia del corpo, Kyria. Vorrei parlare con Kodlak Biancomanto”.
“Sono spiacente, ma…” Athis venne interrotto da un uomo calvo che era comparso alle sue spalle.
“Athis! Come osi importunare l’uomo che ha salvato Whiterun due volte? Lo perdoni, Legato, ma a volte non sa quel che dice”.
Athis si eclissò in un istante, sibilando non si sa cosa, mentre Skjor riprese:
“Entrate, entrate pure. Vi annuncerò a Kodlak”.
La sala grande di Jorrvaskr era come sempre imbandita da una quantità spropositata di libagioni. Alcuni Compagni conoscevano Karaldin di vista, altri lo avevano semplicemente sentito nominare. Uno di questi ultimi era l’anziano Vignar Manto Grigio, che gli si parò davanti:
“Finalmente ti vedo, cane imperiale. Sei venuto qui a fare propaganda per il tuo signore?”
“No, sono qui per lavoro” replicò Karaldin, asciutto, mentre Kyria accarezzava il manico dell’ascia.
“Quando l’Impero si è arreso al Dominio siamo stati tutti disonorati, ma tu non puoi capirlo, ragazzo, perché di onore non sai proprio niente! Quando Ulfric metterà le mani su di te…”.
“Adesso basta, Vignar! Il Legato Hammersmark è nostro ospite, fatti da parte”.
“Come vuoi, Skjor, ma sappi che non è il benvenuto qui, almeno per me!”.
Il vecchio si allontanò in una sequela di borbottii rauchi.
“Attendete qui, vado a dire a Kodlak della vostra venuta” disse Skjor, sparendo dietro una porta.
“Un cenno, solo un cenno, e quel vecchio domattina non si sveglierà” disse Kyria.
“No!” rispose Karaldin “A volte bisogna dimostrare rispetto anche per gli avversari. Vignar ha combattuto per anni nella Legione Imperiale, se il Concordato Oro Bianco lo ha offeso non possiamo fargliene una colpa. Preferisco lui, che mi dice le cose in faccia, a serpi come Athis o quell’idiota che ho incontrato a Riften”.
“Chiedo scusa, mio Thane”.
“Lascia perdere”.
Skjor riapparve ed annunciò: “Kodlak acconsente a vederla, Legato, ma da solo”.
“D’accordo” accettò Karaldin, incamminandosi dietro Skjor, per poi rivolgersi a Kyria:
“Aspetta qui”.
Skjor guidò il Dovahkiin attraverso un paio di eleganti corridoi, quindi gli indicò una scrivania in fondo a uno di questi ultimi, dove era seduto un uomo anziano.
“Vi lascio soli” disse Skjor, voltando i tacchi.
“Vieni avanti, ragazzo, siediti vicino a me” lo invitò Kodlak.
Karaldin aveva visto l’anziano mentore dei Compagni solo un paio di volte, mai ci aveva scambiato due parole.
“E’ un onore incontrarti, Kodlak Biancomanto” disse dopo che si fu seduto.
“Anche per me, Legato Hammersmark. Le tue gesta riechieggiano in tutta Skyrim. Skjor ha detto che volevi vedermi con una certa impellenza”
“E’ così, sono qui per lavoro. Il mio comandante, il Generale Tullius, richiede la collaborazione dei Compagni per una missione molto delicata”.
Kodlak sospirò: “Tullius sa bene che i Compagni non prendono parte alla guerra, perché insiste?”.
“Non ci sarà nessuna battaglia da combattere, nobile Kodlak. Quello che sto per rivelarti è un segreto militare, ma so che non lo divulgherai a nessuno”.
“Certamente, parola d’onore”.
“Sua Maestà l’Imperatore, Titus Mede II, sta arrivando a Skyrim. Vuole passare in rassegna l’esercito in vista degli scontri decisivi con i ribelli e, come avrai intuito, diventerà subito il bersaglio principale di Ulfric. Abbiamo allestito un imponente sistema difensivo, ma uomini in uniforme potrebbero non bastare. Serve gente che sappia menare le mani senza farsi notare, che riesca a confondersi in mezzo a una folla. Nessuno meglio di voi Compagni può compiere questo lavoro”.
“E cosa avremmo in cambio?”
“Venticinquemila septim a lavoro compiuto, più duemila per ogni uomo o donna che ci fornireste. Inoltre, avreste tutta la gratitudine dell’Imperatore e, credetemi, non sarebbe un privilegio da buttare”.
Kodlak rifletté per qualche istante, quindi replicò:
“Il denaro ci serve per dare da mangiare agli uomini, ma noi non combattiamo per esso come volgari mercenari. La nostra vera paga è l’onore, e, pertanto, combattiamo solo per chi ne è degno”.
“Posso garantire che…”
“Accetto l’incarico, Legato” lo interruppe Kodlak “Ma ad una condizione. Il tuo valore guerriero è arcinoto in tutta la regione, ma i miei uomini non ti hanno mai visto combattere con i loro occhi. Sconfiggi un Compagno in un duello leale ed avrai tutto il sostegno di cui avete bisogno”.
“Ma, Kodlak, non è giusto che scorra del sangue per una cosa del genere! E’ folle”.
“Non è folle” rispose Kodlak con tono altisonante “E’ la legge di Skyrim”.
“Voi siete pazzi” continuò Karaldin, che proprio non riusciva a pensare di dover rischiare la vita per uno scopo così assurdo.
“E’ così, prendere o lasciare”.
Il Dovahkiin si alzò di scatto e fece qualche passo in direzione dell’uscita, ma l’istinto lo fermò. Qual era la sua priorità? Mettere fine alla guerra, uccidere Ulfric e poter riabbracciare Rikke. Per farlo, era indispensabile eseguire gli ordini. Gli ripugnava, ma non aveva scelta.
“Così sia” disse infine, per poi aggiungere “Ma non sono d’accordo!”.
 
 
Nel frattempo, a non molte miglia ad Ovest di distanza, Publius Gallien incespicò per l’ennesima volta e, preso dallo sconforto, imprecò. Vagava attraverso i cunicoli di una delle tante miniere abbandonate del Reach da ore, ma dei Rinnegati non c’era traccia. Maledisse ancora Tullius, che lo aveva spedito a compiere una missione così assurda, e il suo collega Hammersmark, che, secondo il suo modo di vedere, se la stava spassando allegramente a Whiterun. La luce soffusa della torcia illuminava i molteplici anfratti che gli stavano incontro, mentre ogni passo lo faceva addentrare sempre più nei meandri della grotta.
“Non ci posso ancora credere! Io, Publius Gallien, figlio del Conte di Anvil, Legato della Legione Imperiale, costretto a setacciare una miniera abbandonata come un esploratore qualsiasi per trovare una banda di straccioni della malora!” proruppe a voce alta.
“Forse ci hai definiti con un termine sbagliato” echeggiò una voce profonda e sgradevole.
Gallien alzò istintivamente la torcia, rimanendo paralizzato dall’orrore. La faccia tozza e butterata di un orco era ad appena un centimetro dalla sua, puntandogli addosso due occhi fiammeggianti. Fece per arretrare, ma due mani robuste lo afferrarono da dietro, facendogli cadere la fiaccola dalla mano.
Nell’oscurità più totale, l’orco parlò nuovamente:
“Che ne dici, Imperiale? Non ti va di morire qua sotto, al buio, lontano dalla tua bella casina?”.
Gallien era spaventato a morte, ma non perse la sua flemma e rispose con piglio arrogante:
“Provaci, se hai il coraggio, bestia immonda!”.
Sentì un cupo ringhio, ma una voce calma, preceduta dall’accensione di altre torce, lo fermò:
“Ora basta, Borkul. Sentiamo cosa vuole da noi questo giovane”.
A parlare era stato un uomo tarchiato dalla statura non molto elevata, austero ed elegante nonostante gli abiti di foggia tribale che indossava.
“Ti chiedo scusa se Dryston, alle tue spalle, non ti lascia libere le braccia, ma preferirebbe farsi accecare che lasciarmi esposto a qualcuno che non conosce” proseguì, mentre il Legato distingueva a stento i volti di coloro che lo circondavano, una folta schiera di figure dall’aspetto violento e selvaggio, illuminata in modo cupo dal fuoco.
“Sono venuto per parlamentare, non per combattere” annunciò Gallien.
“Lo so, mi sarei meravigliato se avessero mandato un uomo solo ad affrontarci, anche se fosse stato il leggendario Dovahkiin di cui si parla tanto”.
Il Legato, colpito nel vivo, avvampò e sibilò:
“Il Legato Hammersmark non è il solo combattente della Legione! Essa è costituita da molti altri uomini valorosi che lottano ogni giorno per la gloria dell’Impero”.
L’uomo esibiì un sorriso di scherno:
“D’accordo, d’accordo! Io sono Madanach, capo dei Rinnegati e legittimo sovrano del Reach, il territorio natio che ci è stato usurpato con la forza da coloro che definisci amici e commilitoni. Quale messaggio ci porti, Legato Gallien?”.
Il giovane strattonò con violenza le braccia di Dryston e, liberatosene, parlò con voce chiara, deponendo ai piedi di Madanach la sacca che portava in spalla:
“Il mio comandante, il Generale Tullius, ti manda un’offerta generosa di quindicimila septim in segno di pace. Ciò che offre è una tregua”
“Ma senti… Il Generale Tullius ci chiede la pace… E come mai, se ci è dato saperlo?”.
Gallien stava per replicare, ma il ribelle lo anticipò:
“Fammi indovinare: vuole saltare alla gola di Ulfric come un cane rabbioso, ma ha paura che io, da dietro, tiri la catena e gli spezzi il collo. Ho ragione?”.
“Una guerra su due fronti è sempre più difficile”
“Bene, apprezzo la tua sincerità, giovane Legato, ma dimmi: noi cosa ci guadagnamo?”
“Se voi smetterete di attaccare le nostre forze nel Reach, lasciando in pace Markarth…” non gli erano state date disposizioni precise, dunque Gallien decise di improvvisare.
“Nessun reparto della Legione vi cercherà o vi attaccherà, garantisco io. Inoltre, una volta che l’insulsa ribellione dei Manto della Tempesta verrà sedata, tu, Madanach, avrai il privilegio di trattare direttamente con l’Imperatore la spinosa questione per cui vi battete. Sua Maestà non resterà indifferente alla vostra buona volontà, sono sicuro che trovereste un accordo vantaggioso per entrambi e che porreste fine ad inutili spargimenti di sangue”.
Madanach tacque per qualche istante, poi rispose:
“E’ sicuramente un’offerta vantaggiosa. Ho la tua parola che non alzerete un dito contro di noi?”
“Si, Madanach, a patto che voi non attacchiate i nostri possedimenti fino alla fine della guerra contro Ulfric”.
“La tua parola mi basta, Legato Gallien”.
I volti dei Rinnegati si contorsero in sorrisi dalla dubbia interpretazione, mentre Gallien annuì.
“Ora voltati e torna da dove sei venuto” concluse Madanach, per poi aggiungere:
“Ma, nel caso ti fosse venuto in mente di guidare un assalto a questa miniera, sappi che entro un’ora essa sarà deserta, se si esclude qualche skeever. Conosciamo il Reach meglio di chiunque altro, Legato, non dimenticarlo mai”.
Gallien, che si era già incamminato, si voltò e ribattè:
“Lo so, come so che ci incontreremo di nuovo” per poi proseguire a passo deciso verso l’uscita.
 
 
Karaldin, a torso nudo, rabbrividì per il freddo. Kodlak aveva stabilito che i due contendenti si affrontassero all’aperto, nell’area in cui i Compagni si addestravano abitualmente, senza protezioni superiori e con la stessa arma, una spada d’acciaio.
Intorno a lui e a Farkas, il campione che lo avrebbe affrontato, erano radunati tutti i Compagni, visibilmente incuriositi ed eccitati.
“Che il duello abbia inizio! Ricordo a entrambi i contendenti che si tratta di uno scontro al primo sangue, vincerà chi per primo ferirà l’avversario. Battetevi, che vinca il migliore!” decretò Kodlak.
Farkas disse: “Non prendertela con me, io non avevo alcuna voglia di combattere, ma temo che sarò obbligato a farti qualche graffio”.
“Puzzi di cane” rispose Karaldin in tono piatto.
Il guerriero si avventò su di lui e menò un tremendo fendente che colpì in pieno lo scudo dell’avversario.
Il Dovahkiin ebbe l’impressione di essere stato travolto da una mandria di mammuth ed arretrò di molti passi, con il braccio che doleva in modo insopportabile.
Kyria, appoggiata alla staccionata, fremette e toccò il manico dell’ascia, nonostante il suo Thane l’avesse pregata di non intervenire, quindi assistette al contrattacco di quest’ultimo.
I rapidi fendenti del Duca di Skingrad vennero parati senza difficoltà, subendo in risposta una scarica di colpi sullo scudo.
Karaldin imprecò mentalmente. Maledizione, Farkas era forte come un toro, ma non sarebbe mai stato veloce come lui. Per Stendarr, non poteva perdere.
Fintò un colpo sullo scudo, ma deviò bruscamente verso l’addome del Compagno, che parò per un soffio. Approfittando del suo equilibrio precario, il Dovahkiin scattò e gli assestò una poderosa testata, ma Farkas, dopo un attimo di intontimento, reagì stampandogli l’umbone dello scudo sulla spalla.
Il dolore accecante spinse Karaldin ad arretrare e a mettersi in posizione di guardia.
Sul piano della semplice forza fisica non c’era confronto, quel ragazzone dall’espressione mite lo surclassava. Eppure, nemmeno la sua superiore velocità sembrava impensierirlo più di tanto. Comprese di dover giocare d’astuzia.
Dopo l’ennesimo scambio di colpi, il Legato prese la rincorsa e caricò a testa bassa. L’avversario, convinto di avere la vittoria in pugno, gettò lo scudo e brandì la spada con due mani, alzandola sopra la sua testa, ma Karaldin, all’ultimo momento, si gettò a terra e, schivato il colpo, si rialzò con la faccia ad un milliemetro dalla sua.
“Ops” disse, e incise in modo superficiale il suo petto.
Un boato di sorpresa si diffuse tra gli astanti, nessuno avrebbe scommesso un septim sull’ufficiale.
“Le mie congratulazioni, Legato Hammersmark! Poche persone sono capaci di tenere testa a Farkas in questo mondo, ma tu hai dimostrato di essere un guerriero degno della casa di Ysgramor. Dì al tuo Generale che gli uomini sono a tua disposizione” disse Kodlak, facendosi sentire sopra la confusione.
Karaldin, ancora scosso dalla lotta titanica appena ingaggiata, ignorò palesemente il complimento e strinse la mano a Farkas, che commentò:
“Avrei dovuto stare più attento, ma non ho mai visto nessuno battersi come te”
“E io non ho mai visto la forza di un toro in un uomo. I tuoi nemici farebbero bene a preoccuparsi” ribattè il Dovahkiin.
“Nemici? E chi ne ha?” fu la replica sorniona del Compagno.
Esauriti i convenevoli, Karaldin si infilò, seguito da Kyria, nella prima locanda che gli capitò a tiro quando il sole stava già calando.
“Due camere” disse all’oste.
“Due?” si intromise Kyria “Ho il dovere di difenderti, mio Thane, anche di notte”
“Non se ne parla, prendiamo una camera a testa”
“Ma, Thane…”
“No”
“Insomma, quante ne volete?” si intromise l’oste, spazientito.
“Due, e non se ne parla più” concluse il Legato, porgendo all’uomo le monete pattuite.
L’huscarlo continuò a lamentarsi anche mentre saliva le scale, affiancato al suo signore.
“Stai tranquilla, insomma! Cosa vuoi che succeda?” concluse Karaldin, un attimo prima di infilarsi nella propria stanza.
Kyria sospirò e fece altrettanto.
Il Dovahkiin, sfinito dal viaggio e dall’estenuante duello con Farkas, si spogliò e si gettò sul letto. Il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi fu, come al solito, l’immagine di Rikke, bella e fiera come una dea.
Si svegliò di soprassalto e, a giudicare dall’oscurità che avvolgeva l’ambiente circostante, dedusse che fosse ancora notte fonda. Non ricordando cosa lo avesse destato, si voltò sull’altro fianco e chiuse nuovamente gli occhi. Fu allora che udì il rumore, un misto fra un cigolio e uno scricchiolio sinistro. Il Legato ci mise un attimo a capire: qualcuno stava tentando di scassinare la serratura della porta. Evidentemente, il rumore lo aveva svegliato.
Karaldin, teso in ogni centimetro del corpo, rimase immobile e trattenne il respiro. Il cigolio ruppe nuovamente il silenzio della notte, stavolta con più forza. Senza pensarci due volte, afferrò la spada, appoggiata al muro vicino al letto, e la sguainò senza emettere un suono. Non poteva restare immobile, pertanto si alzò e, camminando in punta di piedi, si nascose alla sinistra della porta.
Dopo una manciata di secondi, la porta si aprì lentamente e una figura avvolta dall’oscurità entrò nella stanza. Il Dovahkiin, acquattato nell’ombra, riuscì a stento a distinguerne il profilo, mentre si avvicinava al letto e sguainava un’invisibile pugnale.
Era il momento di agire. Ruggendo come un leone che si avventa sulla preda, Karaldin scattò in avanti e immerse la spada fino all’elsa nella schiena dell’intruso. Il fuoco balenò sulla lama che fuoriusciva dal suo petto ed illuminò il volto squamoso e terrorizzato di un Argoniano, avvolto in un saio nero. Il Legato si liberò del cadavere spingendolo violentemente col piede, ma un rumore alle sue spalle lo spinse a menare un altro colpo alla cieca. Il Dovahkiin fece appena in tempo ad udire il tipo rumore che fa la testa, spiccata dal busto, quando cade a terra, che si ritrovò avvinghiato in un feroce corpo a corpo.
Attaccando il primo assassino aveva commesso un errore madornale, non gli era nemmeno passato per la testa che ad ucciderlo fosse stata mandata un’intera squadra.
La spada gli scappò subito di mano, tentò di riafferrarla nel buio ma le mani dell’aggressore si serrarono intorno al suo collo. Tempestò di pugni la testa del nemico, ma quest’ultimo, pur gridando di dolore, non allentò la presa. Sentendo le forze venirgli meno, Karaldin cominciò a tastare l’ambiente circostante con la mano sinistra, nella disperata speranza di trovare un qualsiasi corpo contundente.
Proprio nel momento in cui l’assassino sussurrava: “Sei morto, Dovahkiin!”, l’Imperiale riuscì ad afferrare il suo pugnale e a piantarlo nella gola del sicario, che si rovesciò sul pavimento.
Karaldin si rialzò e, ansimando violentemente, uscì dalla sua camera.
“Kyria!” chiamò, reggendosi in piedi a fatica.
L’huscarlo, vestito di tutto punto, stazionava di fronte alla porta della rispettiva stanza. Ai suoi piedi altri tre cadaveri, massacrati a colpi d’ascia.
“Lo avevo detto che dovevamo dormire insieme” disse Kyria, senza scomporsi.
“Stai bene?” domandò Karaldin, ancora col fiatone ed appoggiandosi al muro.
“Sicuramente meglio di te” replicò la ragazza.
“Che succede? Cos’erano quei rumori? Lord Hammersmark, va tutto bene?”. L’oste, attorniato dai servitori e da altri ospiti della locanda, era accorso in tutta fretta dalle scale stringendo in mano una lanterna.
Karaldin spiegò l’accaduto, suscitando negli astanti grida di terrore, quindi esortò l’oste ad accompagnarlo nuovamente nella sua camera. Con il corpulento locandiere e Kyria ai suoi fianchi, il Dovahkiin contemplò con disgusto l’orgia di sangue che si era consumata vicino al suo letto. I tre Argoniani, di cui uno decapitato, giacevano in pose scomposte sul pavimento, circondati dalle loro armi. Vincendo il ribrezzo, il Legato si chinò su quello che aveva accoltellato alla gola e lo perquisì. Nella tasca interna del saio trovò un biglietto di carta, che, su esortazione di Kyria, aprì all’istante.
Ciò che lesse lo lasciò esterrefatto…
  
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