Fanfic su artisti musicali > Marilyn Manson
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Autore: The queen of darkness    20/12/2012    2 recensioni
Ok, lo so che non dovrei con altre storie in corso, ma non ho proprio resistito. Naturalmente non ho nessun diritto di manipolare le vite di questi stupendi musicisti e so che sarà uno strazio, quindi ci tengo a sottolineare che tali eventi non sono mai accaduti sul serio, ma sono solo frutto della mia mente perversa e malata. Detto questo, spero vi divertiate
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era stata una giornata orribile. 
Fin da quando era arrivato, la signora Harper l'aveva intercettato per informarlo dell'aggiunta di altre due classi alle tre che gli erano state affidate, il che significava il doppio del lavoro in più. 
Aveva vagato fra i corridoi in ogni cambio d'ora per spostarsi da un'aula all'altra e a fine giornata aveva la testa piena di nomi e di facce. Era sempre stato un disastro a ricordare il nome delle persone, una sorta di caso patologico. Ma se messo così alle strette ci avrebbe impiegato mesi solo per riuscire a fare l'appello senza sbagliare l'accento sui cognomi dei laureandi.   
Alla prima ora, aveva fatto in tempo ad arrivare puntuale. Salendo le scale, aveva subito individuato la 307, come la chiamavano tutti ma senza un motivo preciso. Aveva sistemato la cartella mentre i giovani affluivano ai loro posti, pensando amaramente che in circostanze normali quelle persone sarebbero state tutte vestite di nero, truccate all'inverosimile e intente a ballare e scatenasi. 
Ma quei tempi erano finiti. Aspettò che si fossero sistemati; si sentiva bene, dalla crisi di quella mattina, e sperava non ce ne fossero altre in vista. Deglutì sonoramente. Era un po' intimorito dalle ordinate schiere di studenti, tutti sicuramente più preparati di lui. Voleva presentarsi senza sembrare un idiota. 
-Buongiorno a tutti - esordì - Io sarò il vostro professore di arte da adesso in poi. Oggi sarà meglio dedicare la giornata alle presentazioni...per darvi l'esempio, io sono Mr. Brian Warner - Prese un gessetto e tracciò con la sua pessima calligrafia il proprio nome, sottolineandolo con una riga precisa. 
-Ora toccherà a voi, ma invece che dirmi le vostre passioni e cosa fate nel tempo libero da bravi scolaretti che siete -,la classe fu percorsa da una risatina - vi chiedo di dirmi il vostro livello di preparazione, gli studi eseguiti in passato e su che genere siete orientati.
Una mano si alzò subito, lasciandolo un po' perplesso, perchè non si immaginava certo che avrebbero già cominciato con i quesiti. A voler domandare qualcosa era un ragazzo fra le prime file con piercing e borchie. Indossava una canotta nera con sopra una collana fatta a catena. Senza un motivo preciso, contribuì a rendergli il luogo più familiare. 
-Di già?- si lasciò sfuggire, sollevando l'ilarità dei ragazzi. Era piacevole, tutto sommato. 
-Come ti chiami, giovanotto?   
-Charlie-.  
Sorrise:- Bene, Charlie; quali dubbi può averti suscitato questa consegna?
Altra risata generale.  
-In verità nessuno - disse con aria arrogante, - è un dubbio che riguarda lei, più che altro. Non è che in realtà è Marilyn Manson in incognito? 
I ragazzi esplosero in una risata, ma Brian rimase agghiacciato. 
Un fan, proprio nell'università in cui insegnava, che l'aveva riconosciuto al primo colpo. Una cosa che poteva rovinarlo e fargli ricominciare tutto daccapo. Non poteva mandare all'aria mesi di preparazione, non come aveva fatto con la sua carriera, così decise (nei disperati momenti che seguirono la domanda) di mantenersi sul neutro, nonostante al suo interno si sentisse scoppiare. 
Assunse a fatica un'espressione divertita, perché anche volendo non poteva troncare un posto di lavoro iniziato da 24 minuti precisi e un appartamento in affitto, il più comune che era riuscito a trovare. 
-Charlie, apprezzo molto la tua fantasia, essenziale per un corso come questo, però vediamo di dargli un freno, d'accordo? 
I ragazzi risero, lo studente ridacchiò soddisfatto. Per un momento il pericolo era scampato, ma aveva altre quattro classi da seguire quel giorno: giovani ragazzi che potevano essere tutti potenziali conoscitori del genere che aveva abbandonato, nonché del personaggio il cui ruolo aveva abilmente travestito per anni, senza apparentemente stancarsi mai. Un circolo vizioso, una scelta che a rivelava all'improvviso azzardata. 
Ora capiva perché i membri della band non avevano lasciato mollato anche loro; oltre alla passione comune c'era anche la vera e propria impossibilità di non sentirsi braccati ogni giorno, per tutta la vita, col timore di essere riconosciuti o seguiti, ricattati o perseguitati, che le luci della ribalta si accendessero di nuovo sulla sua testa, inondandolo di una pioggia di fredda luce. 
Un istinto da non poter ignorare, lui che non era mai sul serio fuggitivo da qualcosa. E adesso doveva scappare dalla meta più ardua, ovvero se stesso. 
**
Come constatò amaramente, la saletta con scritto "PAUSA CAFFÈ" era una presa in giro bella e buona. 
Innanzitutto, non c'era nessuna sedia. In secondo luogo, quella brodaglia fumante rigurgitata da una macchinetta risalente al secolo scorso non poteva definirsi in generale anche solo potabile. Il contenuto colava pigro in un gigantesco bicchierone di carta che aveva un aria riciclata, con un aspetto assolutamente privo di consistenza. 
Portandoselo alle labbra, scoprì che era inverosimilmente amaro e bollente. Fece molta fatica a trattenere un conato di vomito, prima di integrare l'intruglio con chili e chili di dolcificante, l'unica cosa vagamente salubre nella stanza. Uno spazio freddo e color senape: un pugno in occhio, praticamente, con un moccio appoggiato alla parete rovinata e delle fastidiose piastrelle a scacchi che puzzavano di bagno pubblico. 
Non vedeva l'ora di uscire, ma per contratto doveva stare lì un'ora di più dopo la fine delle lezioni, rintanandosi in sala insegnanti a scartabellare fra documenti di cui non aveva mai capito un accidente. Sentì all'improvviso un suono che aveva imparato a riconoscere, grazie al suo orecchio che di suoni ne conosceva e analizzava tanti in ogni momento grazie all'esperienza: era il ticchettare delle scarpette di Miss Harper, la quale si stava avvicinando inesorabilmente alla stanza. 
Posò subito la bevanda, in quanto non poteva impedire al disgusto di trapelare dal suo viso al solo contatto con il contenitore sudicio, e si girò già prevedendo la sua entrata. 
Non fu deluso. Sbucò come suo solito, repentinamente e con un gesto secco, lasciando uno spiraglio aperto dietro di sé. A differenza di molte vecchiette, Miss Harper non aveva affatto l'aspetto indifeso, nonostante il maglioncino grigio tenue e la gonna a pallidi motivi scozzesi. Forse era colpa degli occhiali, la presenza di quell'espressione arcigna, o forse era solo incattivita per motivi suoi. 
Fatto sta che cominciò a palare mentre lui era ancora assorto nei suoi pensieri, dando continuazione alla precedentemente iniziata catena di brutte figure: -Oh, mister Warner, cercavo proprio lei. Sa, ci tenevo a presentarle una sua collega, anche se insegna in un'altra scuola. Una ragazza laureatasi da poco,estremamente brillante che ha trovato lavoro quasi senza difficoltà.
L'ex cantante non poté che annuire: il tono, come al solito, non ammetteva repliche. 
La preside si voltò a richiamare il soggetto in questione. La ragazza, oltre che giovane, doveva essere senz'altro un genio per suscitare l'ammirazione della vecchia strega, e quindi di aspetto poco gradevole. Solitamente le pupille del genere di persona incarnato da Harper, erano socialmente disadattate e fissate solo su determinati concetti, dalla mente poco elastica e, per giunta, incazzate col mondo. Le tipiche insegnanti giovani che riuscivano a sopravvivere senza tentazioni nelle scuole superiori grazie al nascondere peli sotto calze scure e pesanti, indossare gonne lunghe e di lana, leggere l'Odissea in lingua originale per divertirsi, e cose di questo tipo. Insomma, coloro che hanno il destino segnato dalla derisione di ragazzi in età adolescenziale. 
Meglio affrontate la prospettiva di una conversazione noiosa con una bella sorsata di caffè, perché nulla avrebbe potuto sembrargli peggio di ciò che stava bevendo. E invece, a sorpresa, dalla porta spuntò una ragazza bella come poche: una chioma rossa che lo stordì per la sua unicità, accompagnata da un viso sottile e graziosissimo, assolutamente privo di lentiggini e qualsivoglia bruttezza. E quel corpo, così...perfetto: gambe snelle fasciate dai jeans, un maglione bianco candido che ne metteva in risalto il busto modellato e un sorriso gentile, venato appena di stanchezza di una tipica persona che termina un turno di lavoro. 
-Piacere - disse sorridendo, bellissima e letale, -sono Jessy.
Un fascino innocente ma anche provocante, un cervello vivacemente intelligente celato da occhi scuri. Miss Harper aveva fissato la scena senza dir nulla, ma Brian a stento ci fece caso, incuriosito com'era dal nuovo incontro. Indubbiamente una bella donna, niente da dire, ma sapeva che lei sarebbe stata, nella sua vita, una presenza davvero interessante.
  
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