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Autore: oOLeylaOo    07/07/2007    1 recensioni
La storia di una maga che viaggiando per il mondo cerca il vampiro che uccise sua sorella maggiore più di sedici anni prima
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 33
-Ritorno a casa-



Una volta Nanson Mandela disse “Niente è come tornare in un luogo rimasto immutato per capire i modi in cui abbiamo cambiato noi stessi.”, ma per tornare nel mio luogo immutato ho dovuto attraversare un paio di stati…alla fine quando sono arrivata ero distrutta. Il viaggio è durato due giorni, tra treni e autobus, alla fine ho noleggiato una moto e sono andata con quella fina a casa. Non ho preso aerei perché non mi piacciono, ti impediscono di viaggiare davvero perché tutto quelle che puoi fare è stare seduto e aspettare di atterrare. Un vero viaggio si fa guardandosi intorno, vedendo quello che ci troviamo davanti… altrimenti l’esperienza che vivi non significa niente.
Arrivai davanti all’enorme cancello che circondava la villa immersa tra gli alberi, la cittadina era vicina al Mississippi, il clima era fresco e umido, il sole splendeva caldo in un terso cielo azzurro e filtrava tra gli alberi. Il cancello di metallo davanti a me comunicava freddezza e mi faceva sentire ancora più fuori posto: non ricordo di essermi mai sentita a mio agio in quel posto dopo la morte di mia sorella.
Il citofono era a lato dell’entrata del cancello, su una colonna di mattoni su cui spiccavano i cognomi Rolands e MecCallister scritti con lettere dorate. Premetti il tasto e una voce familiare e gracchiante rispose, distorta dal microfono del citofono.
-Buongiorno, come posso aiutarla?- era strano sentire parlare il nostro maggiordomo dopo tanto tempo, il suo forte accento inglese mi sembrava ancora più strano di quanto lo trovavo da bambina.
Sorrisi e scossi la testa, poi dissi. -Sono io Award.- chissà perché tutti i maggior domi hanno nomi simili.
-Lei...chi, di grazia?- domandò risentito.
Scoppiai a ridere, il modo in cui lo aveva chiesto mi risultava troppo comico.
-Sono io, io! Ester! Ti ricordi? La ragazza che ha distrutto il tuo prezioso vaso antico…- dissi scherzando, non lo avevo fatto apposta, era che avevo perso il controllo dell’incantesimo.
Il cancello fu aperto con uno scricchiolio, non capii se Award fosse ancora arrabbiato con me o gli fosse passata, dopo sedici anni avrebbe dovuto averla superata…
Entrai camminando e trascinando la moto, attraversai in silenzio il grande piazzale deserto, girando attorno all’aiuola ben tenuta al centro del piazzale, c’era anche un albero che sembrava un alce.
Scossi la testa pensando che era tipico di mia madre essere così megalomane e puntigliosa. Parcheggiai la moto davanti al portone di casa e salii di corsa i tre scalini che mi dividevano dalla porta trovandomi davanti a una strana sensazione… da un lato mi sentivo nostalgica, dall’altro avevo solo voglia di fuggire. Feci un respiro profondo mentre la porta si apriva e mi trovai davanti a un uomo alto, mingherlino, vestito con un completo nero e una gravata intonata, sotto la giacca indossava una camicia bianca. I capelli biondi erano ordinatamente pettinati all’indietro e lo sguardo che mi rivolse era allegro e misurato, però esprimeva calore.
-Bentornata signorina.- disse con un sorriso gentile, era fermo nella sua posa rigida, era tipico da parte sua.
Lo abbracciai rivolgendogli un sorriso che non ho idea di come fosse, ma penso che ricordasse molto quello che avevo da bambina. Anche lui ricambiò per un attimo il mio abbraccio prima di allontanarmi: aveva gli occhi lucidi.
-Signorina Ester…abbracciare un domestico…- mi rimproverò con voce rotta.
Mi trattenei a stento dal ridere, Award e le sue stupide regole di etichetta, era davvero un inglese!
-Come stanno Dora e Andrew?- domandai.
Dora era la nostra governante, una donna alta la metà di Award e al contrario di lui aveva una caratterino tutto pepe, era energica, vitale e molto allegra, io e mia sorella venivamo sempre travolte dalla sua esuberanza. Andrew era il loro figlio, era nato quando io avevo cinque anni, era un amore, da piccola mi divertivo sempre a fargli i dispetti, ma solo perché era lui il primo a farmeli.
-Stanno molto bene.- rispose con un sorriso.
-Award? Chi è arrivato?- domandò una voce dolce e squillante, Dora venne avanti, indossava un vestito con sopra un grembiule bianco, era sporca di farina e in mano aveva una teglia di biscotti che lasciò cadere a terra non appena mi vide. -Oddio! ODDIO! ESTER!- strillò felice, correndo ad abbracciarmi.
Ricambiai l’abbraccio senza dire niente, ero molto felice di vedere le persone con le quali ero cresciuta, strano che fossi cresciuta con loro e non con i miei, almeno dal punto di vista di un osservatore esterno.
-Ciao Dora, sono tornata… momentaneamente.- le sussurrai. -Dove sono i… “signori”?- chiesi a voce alta quando ci separammo.
-Ester!- mi sgridò amorevolmente Dora.
Scossi la testa, che ci potevo fare se non potevo in alcun modo considerarli i miei genitori?
-I signori sono fuori.- rispose cerimoniosamente Award.
Sospirai, sentendomi più tranquilla. -E quando tornano?- fa che non tornino, fa che non tornino!
-Tra tre giorni.- rispose di nuovo Award.
Feci un salto esclamando un <> mi venne spontaneo.
-Ester!- rimproverò di nuovo Dora.
Sorrisi. -Poso la borsa in camera mia, Dora puoi prepararmi qualcosa da sgranocchiare? Ho una discreta fame.-
Lei mi guardò sospirando. -Certo, tesoro. Dammi dieci minuti e poi scendi.-
Corsi di sopra alla velocità della luce, dopo una rampa di scale, in fondo al corridoio che era a destra c’era una porta, sempre sulla destra. Ci arrivai di corsa e la spalancai, poi buttai il borsone davanti al mio vecchio armadio di selce bianco, mi diressi verso l’ampio letto a baldacchino e mi lasciai tranquillamente cadere sul morbido materasso a due piazze. Chiusi gli occhi e mi lascia sprofondare, mille ricordi emersero dall’oblio, i ricordi di quando la notte mia sorella mi leggeva le storie, i ricordi dei tempi passati suoi libri, degli incantesimi, delle cose imparate e poi dimenticate, dei giochi, dei sogni… di mia sorella… soprattutto di mia sorella.
Mi alzai e decisi di farmi una doccia veloce, quando uscii mi asciugai velocemente e mi vestii ancora più in fretta: una maglietta doppia, rossa e grigia e una minigonna di jeans, mi infilai anche un paio di stivali neri che arrivavano fino a metà gamba e mi ributtai sul letto: dovevo scendere. Ma in quella stanza aleggiava ancora il profumo di mia sorella e mi mancava…tanto. Mi ritrovai a piangere senza sapere come fosse successo, mi coprii la faccia con le mani cercando di calmarmi.
Qualcuno entrò senza bussare mentre in silenzio fissavo il soffitto.
-Ehy maschiaccio! È una vita che non ci si vede, è?- disse una voce profonda e allegra: Andrew.
Mi misi a sedere sul letto e gli sorrisi: era cambiato, era cresciuto. I capelli biondi e mossi gli arrivavano alle spalle e alcune ciocche gli finivano sul viso incorniciando i begli occhi grigi che aveva preso dalla madre, la testa era squadrata e i lineamenti mascolini, non aveva più quella bellezza fanciullesca che lo caratterizzava da bambino. In passato sembrava quasi una ragazza da quanto era carino, ma ora l’ampio petto e le braccia muscolose, non che il fisico tonico e asciutto evidenziato dalla canottiera sembravano non lasciare adito a dubbi al fatto che quello che avevo davanti era un ragazzo.
Lui però mi fissò a bocca aperta, come se per la prima volta si fosse accorto che era davanti a una ragazza. Scoppiai a ridere, era impossibile trattenersi davanti alla sua espressione.
-Ciao inglese!- dissi andandogli incontro e abbracciandolo, lui rimase rigido come un palo. -Come stai? Non ti vedo da un infinità di tempo.- mia allontanai e gli misi le mani sulle spalle sorridendo. -Perché mi fissi in quel modo?- chiesi, stavo di nuovo per scoppiare a ridere.
Lui scosse la testa e puntò occhi a terra -Gia…quanto tempo.- bisbigliò imbarazzato.
-Il pranzo è pronto?- domandai affamata, il mio stomaco gorgogliava.
-S…Si! Io…io devo andare.- rispose fiondandosi fuori dalla porta.
Evitai di ridere e scesi a mangiare con un sorriso sulle labbra… che accidenti gli era successo? Però…era davvero buffissimo, in questo non era cambiato.
Scesi la rampa di sale e andai nella sala da pranzo dove mi attendevano degli ottimi manicaretti cucinati da Dora, il profumo mi raggiunse gia all’inizio delle scale. Scesi a corsa i restanti gradini e mi precipitai a tavola dove ad aspettarmi c’era un allettante spezzatino di carne! Uno dei miei piatti preferiti…dopo la pizza, la torta al cioccolata, le caramelle gommose, lo zucchero filato e qualunque cosa sia ricoperta di caramello. Okay, mangio per la maggior parte schifezze, ma ho 25 anni, me lo posso permettere!
Mangiai in silenzio, mentre Dora mi guardava con un sorriso soddisfatto per il modo in cui assaporavo il cibo che aveva cucinato.
Quando ebbi finito posai ordinatamente le posate nel piatto e mi voltai a sorriderle.
-Era tutto ottimo!- mi congratulai -La tua cucina è esattamente uguale a quando ero piccola!-
Lei mise un istante il broncio -Vuoi dire che non sono migliorata?-
Scoppiai a ridere -Non si migliora la perfezione!- le dissi guadagnandomi un immenso sorriso.
-Che cos’ha Andrew? Prima mi saluta normalmente, poi sembra che gli abbiano mangiato la lingua!- il mio tono era vagamente petulante.
Lei mi sorrise comprensiva. -Prima è sceso balbettando qualcosa sul fatto he eri una ragazza… Era molto in imbarazzo.-
-Forse mi ha visto le mutandine quanto ero stesa sul letto.- scherzai alzando gli occhi al cielo, perché i ragazzi erano sempre incomprensibili?
-No, credo si sia semplicemente accorto che sei una ragazza.- rispose Dora con un sorriso materno, tipico di lei.
-Lo sono sempre stata.- replicai confusa.
-Si, ma… non sei mai stata così.- disse facendo un cenno con la testa.
Incrociai le braccia e mi lasciai andare contro lo schienale. -Che vuoi dire? Ti riferisci per caso alla minigonna e agli stivali?-
-Tesoro non è per l’abbigliamento, è perché sei una ragazza e sei bellissima, ma soprattutto perché lui non se ne era mai accorto. Per lui eri una bambina, non c’erano davvero delle differenze tra vuoi due quando eravate piccoli. Per lui sei sempre rimasta quella bambina, una sua amica, ma ora tesoro, ora sei una donna.-disse riavviandomi una ciocca di capelli umidi dietro l’orecchio. -E lui non ha saputo come comportarsi, non era pronto a colmare il divario tra ciò che eri e ciò che sei.-
Scossi la testa rimpiangendo Asher… sempre rimpiangendo Asher.

Passai il pomeriggio a rovistare tra la soffitta piena di polvere, dovevo trovare qualcosa, ma non avevo idea di che cosa fosse. Da piccola per me la soffitta era il regno delle meraviglie, piena di misteri e di magie, mi piaceva un mondo andarci a curiosare. C’erano vecchi vestiti, vecchie cose, anche mie e di mia sorella, e c’erano quadri, alberi genealogici, fotografie varie, a colori e in bianco e nero, quadri grandi e piccoli, a olio o ad acquarello, libri soprattutto, un infinità, il tutto chiuso in grandi bauli o in librerie protette da una teca di vetro. Non trovai un tubo e rovistai fino a tarda sera, fu divertente, non credevo che in quella casa ci fosse tanta roba: presi tre libri che ovviamente parlavano di magia, erano rilegati in una copertina rigida di pelle e con il titolo stampato in lettere d’oro, un paio di antichi gioielli che avevano proprietà mistiche e possedevano una propria magia: una collana d’argento con una pietra acquamarina come ciondolo, la pietra aiutava l’equilibrio e a esprimere i propri sentimenti, decisamente utile, senza contare il fatto che era una pietra appartenente alla luna. L’altro gioiello invece era un braccialetto con vari pendenti a forma di farfalla che al posto delle ali avevano delle pietre di Luna, che favoriscono il cambiamento, il gioco di colori delle pietre con la luce era meraviglioso, mi affascinavo a guardarlo. Presi anche un vecchio paio di stivali in pelle che sicuramente mi sarebbero stati bene, erano molto belli e sembravano davvero morbidi, indipendentemente dal fatto che erano usati mi piacevano un mondo.
Alle dieci di sera scesi in camera mia e mi buttai sul letto, completamente esausta, forse dopo tutto non sarei riuscita a trovare qualcosa in tre giorni, anzi me ne rimanevano solo due. Ma in realtà Morgana non aveva parlato di un vero e proprio oggetto, aveva detto che avrei trovato una nuova via, ero io che pensavo che un oggetto, un libro o qualunque altra cosa in quella casa me la avrebbe indicata… Ma forse non si trattava di un oggetto, forse dovevo semplicemente incontrare le persone che erano li e loro mia avrebbero indicato una via… La cosa suonava troppo assurda perfino per me! Tutto era così strano, così confuso, non ci capivo un tubo! Perché non poteva essere più chiara? Maledetta Morgana! Le costava tanto dire: cerca quel libro o quella cosa o qualunque altra informazione untile potesse dare? O almeno dirmi dove! Nella casa c’erano almeno dieci stanze escluse la cantina e la soffitta, ovviamente potevamo escludere la mia stanza, quella dei miei genitori, la cucina e penso anche la sala della musica… ma forse era meglio darci un occhiata… che stanchezza! Mi sentivo sfinita al solo pensiero delle stanze da esplorare! Se Morgana mi fosse di nuovo capitata a tiro le avrei insegnato il vero significato della parola “Sofferenza”!
Sospirai stancamente buttandomi sul mio vecchio letto, così morbido, e sprofondai nel cuscino. Qualcuno bussò alla porta e senza muovermi di un millimetro e bisbigliai stancamente -Avanti.-
Andew entrò con passo esitante, indossava una maglietta nera aderente che rivelava chiaramente che faceva palestra, un paio di jeans neri e una giacca di pelle, i suoi capelli erano pieni di gel.
-Io vado con alcuni amici in un pub… ti va di venire?- chiese tentando di darsi un tono. Aveva cinque anni meno di me ma era molto più alto e sembrava più grande, però guardarlo mi faceva tenerezza.
-Certo, se mi dai in tempo di farmi una doccia veloce e di cambiarmi.- risposi, sorridendogli con gentilezza e un po’ di stanchezza, molto più che un po’ veramente… -Sono ancora piena di polvere.-
Sorrise, vagamente timido. -Certo.-
Mi alzai e andai in bagno mentre lui usciva dalla stanza, mi spogliai velocemente e feci la doccia e poi mi asciugai alla velocità della luce. Usando la schiuma per capelli e il fon li feci diventare mossi, poi indossai un paio di jeans neri e una maglietta asimmetrica argentata, poi misi degli stivaletti con il tacco alto e una vecchia giacca di jeans. Afferrai una borsetta e ci infilai dentro il portafogli, il cellulare super attrezzato, le chiavi di casa e della moto e un libro, non si sa mai potevo annoiarmi. Un filo di trucco ed ero pronta.
Corsi al piano di sotto e Andew mi osservò alzando un sopracciglio e sorridendo. -Stai molto bene.- commentò sorpreso.
-Perché sei sorpreso? E che ti era preso stamattina?-
Lui arrossì -Ecco… come dire… ero sorpreso… ho sempre pensato che in realtà fossi un ragazzo!- mi prese in giro.
-Grazie, gentile!- ribattei -Io invece ho sempre pensato che tu fossi un idiota!-
Lui mi scompigliò i capelli mentre io protestavo e uscimmo di casa ridendo e scherzando. Salii sulla sua macchina senza commentare: non avevo mai capito niente di automobili.
-L’hai comprata tu?- domandai mentre l’auto usciva silenziosa dal cancello.
-Gia. I miei non avevano nessuna intenzione di comprarmela- raccontò -Così mi trovai un lavoretto e misi da parte i soldi fino ad averne abbastanza per comprarla.-
-Accidenti, che ragazzo giudizioso… o forse sarebbe maglio responsabile?-
Lui scoppiò a ridere. -Nessuno dei due aggettivi è adatto.-
-Gia, ma non so come definirti.-
-Un ragazzo con una missione.- fece con finta voce solenne.
Scoppiai a ridere. Passammo il resto della strada ascoltando musica e scherzando, quando arrivammo al pub lui mi presentò ai suoi amici, quattro ragazzi e tre ragazze, non ricordavo il nome di nessuno.
Passammo la serata a bere e a chiacchierare, cercai di non bere troppo, non volevo ubriacarmi! Mi divertii molto, era bello stare con delle persone della mia stessa età, passare una giornata tranquilla, senza demoni o mostri, senza problemi.
Uscimmo dal pub che erano le due del mattina, quando mi misi a sedere nel sedile dell’auto mi addormentai, ero sfinita e non troppo lucida, due pessime combinazioni di per se, eppure mi sentivo del tutto felice.
Non so dire quanto tempo passò prima di riaprire gli occhi, ma quando li riaprii mi trovai davanti Andrew e non riuscii ad evitare il suo bacio.

  
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