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Autore: Usagi    25/12/2012    0 recensioni
Seguito de "Il Richiamo della Terra". Per Hitomi è l'inizio di una nuova vita insieme all'uomo che ama, tuttavia tra responsabilità e una Gaea da ricostruire, il suo destino si intreccerà ancora una volta con quello dell'antico popolo di Atlantide. « E' giunto il momento di sperimentare le potenzialità della Macchina di Atlantide. » Storia revisionata al 05/2017 e attualmente in prosecuzione.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merle, Millerna Aston, Nuovo personaggio, Van Fanel
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Cieli di Gaea '
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The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo paradiso»


2
L’Uomo Camaleonte

« Un essere dai mille volti
condannato a celare il proprio,
un uomo illusore costretto a vivere e morire in battaglia.
Tale è il crudele destino della nostra razza.
»

 

Un lampo squarciò il cielo e si abbatté prepotentemente presso il cortile interno del castello.
Hitomi si svegliò di scatto, con il cuore in gola.

Non era stata solo la paura, qualcosa l’aveva turbata nel profondo della sua coscienza. Si volse verso la sua destra rimpiangendo di non aver avuto Van al suo fianco.

Fuori, la pioggia aveva cominciato a scendere subito dopo il rombo del tuono e sembrava non avesse intenzione smettere tanto presto. Sarebbe stata l’alba a momenti, riconobbe Hitomi, muovendosi per raggiungere la finestra. Quando l’aprì una folata di vento le scompigliò i capelli e la bagnò di pioggia. Era freddo lì fuori.

La sua finestra dava direttamente sul cortile interno del grande castello, non era molto lontana dalla stanza del sovrano. La pioggia scrosciava e oramai il davanzale era stato completamente inzuppato. Hitomi restò qualche minuto lì, con la finestra aperta, osservando attentamente fuori, come se cercasse qualcosa. Tra le ombre della notte oramai quasi trascorsa, Hitomi vide qualcosa e spalancando gli occhi incontrò uno sguardo che stava fissando il proprio. Trattenendo il fiato, la fanciulla corse fuori dalla sua stanza per raggiungerla.

 

Il lampo caduto a pochi passi dal palazzo aveva svegliato anche lui, o meglio, aveva interrotto il tentativo migliore di addormentarsi che lo stava portando all’abbandono fra le braccia del sonno.

Sbuffò infastidito, muovendosi con la schiena per volgersi dall’altro lato e appoggiarsi su un fianco. Era quasi mattina e non aveva chiuso occhio. La mente del sovrano di Fanelia ripercorse con stanchezza gli eventi che si erano succeduti il giorno prima. Nonostante Hitomi avesse fatto di tutto per nascondere la propria preoccupazione, lui non l’aveva vista un solo istante totalmente tranquilla da quando avevano smesso di danzare. Accolse l’arrivo della pioggia improvvisa con l’ennesimo sbuffo: quel suono sanciva che non avrebbe proprio dormito, quella notte.

Cercò nuovamente di rilassarsi, facendo leva sulla stanchezza accumulata per poter cercare di sgombrare la mente da quei pensieri che lo preoccupavano. Richiuse gli occhi, decidendo di lasciare nella propria mente l’immagine della donna che amava e immaginò la meravigliosa sensazione che provava ogni volta che la stringeva fra le sue braccia. E poco dopo la pioggia sembrò davvero sparire. L’ennesimo tuono, troppo vicino. Van riaprì gli occhi: aveva cantato vittoria troppo presto.

Forse era per il silenzio rotto solo dalla pioggia e dai lampi, forse era perché pensava ad Hitomi, udì distintamente dei passi lungo il corridoio, passi veloci, concitati. Restò in attesa, sforzando maggiormente il suo udito. Si aspettava che quei passi ritornassero nuovamente qualche minuto dopo. Quando ciò non avvenne, Van Fanel era oramai completamente sveglio.

Non seppe spiegarsi l’origine di quella sensazione che poco dopo provò, eppure un diffuso sentore di pericolo s’impossessò del suo animo, facendolo sollevare in piedi e abbandonare definitivamente il suo letto. Che sta succedendo!?

Deciso a comprendere che cosa stesse succedendo all’interno del suo palazzo, si avvicinò alla finestra dov’era riposta la sua fidata spada. Fu proprio il fatto di avvicinarsi al vetro che gli consentì di vedere cosa stava succedendo fuori. Sbarrando lo sguardo di sorpresa e comprendendo al contempo il pericolo che si profilava pochi metri sotto di lui, afferrò la spada quasi furioso e si gettò fuori dalla porta.


Quello non era... l’uomo camaleonte? Lo stesso che tanti mesi prima aveva popolato i suoi incubi?

Davanti a lei si profilava l’essere avvolto per intero da un mantello scuro, che quasi si celava con gli alberi e le fronde vicine. Solo il viso era visibile, dipinto con tatuaggi che già aveva visto sul volto di quegli esseri, gli occhi grandi ed inespressivi, la bocca lunga, sottile e scarlatta, il pallore mortale che sembrava classificarlo come una creatura demoniaca.

Hitomi, oramai completamente fradicia sotto la pioggia, non era riuscita a resistere al richiamo muto di quell’individuo. Tutto era successo molto velocemente, nel momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli dell’uomo camaleonte, che sembravano osservarla da chissà quanto tempo, come se sapesse che da un momento all’altro lei si sarebbe affacciata dalla finestra e lo avesse trovato. Il silenzio era palpabile, animato solo dalla fitta pioggia. Gli occhi di Hitomi si spalancarono quando vide uscire dal mantello un esile braccio, lungo e ossuto, bianco, verso di lei. Chiaro invito ad avvicinarsi.

« Chi sei?! Che cosa vuoi da me?! » domandò Hitomi a voce alta, sentendo la schiena contrarsi in un brivido. Quando lui allungò anche la mano verso di lei, fece un passo indietro. L’assurdità di quella situazione la convinse di star sognando.

« Il mio padrone. Egli ti desidera, più di ogni altra cosa. » la voce che ne uscì da quelle labbra, ebbe il potere di farla terrorizzare ancora di più, se possibile.

« E chi sarebbe, il tuo padrone?! » domandò Hitomi, cercando di farsi coraggio.

« Egli vuole riportare in vita la stirpe divina di Gaea, e per farlo, ha bisogno di voi. » riprese l’uomo camaleonte.

« Venite con me, » esortò muovendosi di alcuni passi, « in questo modo non vi sarà fatto alcun male. »

Hitomi continuava ad indietreggiare, oramai spaventata. Sapeva che se avesse urlato Van o chiunque altro l’avrebbe di certo udita, ma prima di tentare la fuga, riaprì di nuovo le labbra per parlare.

« E cos- » si trovò le spalle bloccate da una stretta potente, che le mozzò il respiro. Gli occhi di Hitomi si dilatarono prepotentemente quando l’uomo camaleonte la fissò.

Aveva visto cosa accadeva a coloro che venivano privati del loro corpo e della loro identità dagli uomini camaleonte e cercò di scuotere l’intero corpo, senza alcun risultato. Eppure, l’uomo camaleonte riprese a fissarla, stringendola fortemente, per nulla turbato dal suo tentativo di liberarsi. Per qualche istante Hitomi cercò di aiutarsi con le mani, divincolandosi con le braccia e afferrando quelle ossute che la stringevano.

« Lasciami!! » sussurrò, con la voce ridotta ad un soffio. Presto realizzò quello che le stava accadendo. L’uomo camaleonte non voleva prendere la sua identità ma intorpidirla nell’incoscienza. Hitomi comprese che presto non avrebbe avuto più controllo sul suo corpo e non era nemmeno stata in grado di urlare, un vago senso di torpore cominciò a diffondersi giù per il torace, intaccando già le gambe, sollevate di qualche centimetro dal suolo. Tentò con tutte le sue forze di emettere un urlo, un richiamo, ma non riuscì a schiudere le labbra. Gli occhi, sempre più pesanti, minacciavano di chiudersi. Non avrebbe resistito a lungo.

Si ritrovò a pregare.

Che qualcuno mi aiuti! Van!


« Togli quelle disgustose mani da lei! » Esclamò, abbastanza vicino da poterlo infilzare con un colpo solo. I nervi contratti ed i muscoli tesi. Hitomi davanti a lui, sembrava non aver reagito, probabilmente era svenuta, pregò che fosse solo quello, dopotutto l’aveva udita parlare solo pochi istanti prima.

Si mosse di un passo verso l’uomo camaleonte che tornò ad osservarlo con i suoi occhi penetranti.

Che cosa diavolo ci faceva un uomo camaleonte all’interno del castello di Fanelia?

« Giovane sovrano di Fanelia, non intralciate l’esecuzione del mio dovere: questa donna è per il mio signore. » parlò lui, con calma, lasciando Van di stucco e al contempo aumentando la sua ira.

« Non ti permetterò di portarla da nessuna parte! » e con uno scatto si mosse per raggiungere l’uomo camaleonte che, prima di essere colpito, abbandonò la presa su Hitomi e salì sul ramo di un albero, sfuggendo al fendente che altrimenti avrebbe lacerato ben oltre che le sue vesti.

« Maledetto! » esclamò Van, avanzando di qualche passo, poi venne attratto dalla caduta di Hitomi sul selciato, lì vi rimase. « Hitomi! Stai bene?! » domandò lui, abbandonando per un momento la spada, inginocchiandosi accanto a lei, ancora con gli occhi chiusi, ancora incosciente.

L’uomo camaleonte rimase diversi metri in alto sopra di lui.

« Van Fanel, il mio padrone non si fermerà per così poco! Se ci tenete alla sopravvivenza del vostro popolo che ha appena ricominciato a vivere, dateci l’incarnazione della Dea, affinché ella riporti sul nostro mondo la stirpe di Atlantide. »

« Che tu sia maledetto! Non è ancora giunto il tempo di abbandonare la stirpe di Atlantide nel ricordo che commemora la loro grandezza?! » riprese Van, sollevando la spada verso l’uomo camaleonte.

« Non per il mio signore! Ancora c’è tempo per determinare ciò che può essere cambiato! »
E l’uomo camaleonte, spiccò un balzo e si confuse nell’oscurità, oltre la foresta.

Van digrignò i denti, tenendo ancora Hitomi appoggiata al suo braccio, venne riscosso dallo spasmo del corpo della fanciulla che riprendeva conoscenza.

« Hitomi...! Stai bene...?! » domandò, sollevandola in braccio, mentre lei riapriva gli occhi, nonostante la pioggia le battesse sugli occhi e sul viso.

«Van... » mormorò lei, e il sovrano di Fanelia non ebbe alcun bisogno di sentire altro. Con la spada rinfoderata, rientrò all’interno del palazzo.

 

« Calmatevi, Signorino Van! » esclamò Merle vedendo con quanta foga il sovrano di Fanelia si stava scagliando contro il fantoccio imbottito nella sala che fungeva d’armeria e al contempo sala d’allenamento. Era di pessimo umore e il modo migliore per sfogare la propria rabbia, sembrava proprio esser quello di infilzare il  manichino adibito ad avversario durante gli allenamenti. Di questo passo, l’avrebbe di sicuro sganciato dal suo piedistallo.

« Signorino Van, vi prego: adesso basta! È tutto il giorno che vi allenate! »

Van con uno slancio delle braccia, bloccò il proprio fendente all’altezza del collo dell’immaginario nemico, fermandosi di colpo, lasciò che una singola goccia di sudore scivolasse lungo la sua guancia. Sbuffando ritornò in posizione eretta, abbandonando la postura da combattimento e rinfoderando l’arma, fece sorridere lievemente Merle.

« Bene Signorino Van, adesso andate a farvi un bel bagno e dopo sarà pronto il pranzo. » esclamò Merle, fingendosi sinceramente rallegrata, mentre muoveva un passo indietro, verso l’uscita della grande stanza, lasciando il sovrano di Fanelia, solo.

Egli restò fermo per qualche istante, riprendendo fiato, la stanchezza accumulata durante l’estenuante allenamento continuato, gli aveva tenuto occupato la mente dalla sofferenza che aveva provato solo qualche ora prima, vedendo Hitomi priva di conoscenza fra le sue braccia. L’aveva riportata nel castello e svegliato le domestiche affinché pensassero a farle un bagno caldo. Tremava ancora quando l’aveva lasciata nelle loro sapienti e delicate mani, nonostante fosse priva di sensi.

Dopo qualche ora non aveva potuto fare a meno di ritornare nuovamente nella sua camera, accertandosi che stesse bene e che fosse ancora lì, dove l’aveva lasciata.
Con sua sorpresa, Hitomi era sveglia, seduta su una sedia ad osservare fuori dalla finestra: quell’immagine lo colpì nel profondo del cuore e per un momento ebbe la sensazione di aver già rivissuto un momento simile. La sorpresa si trasformò in sincero sgomento, quando riconobbe l’immagine di sua madre, che osservava la finestra alla stessa maniera, abbigliata con le vesti tradizionali di Fanelia.

« Van... così presto? » le aveva detto lei, voltandosi, con una voce bassa e tranquilla, come l’alba che sorgeva dietro di lei, gentile come la luce che le bagnava il volto, così calda e soave. Lui sorrise, rapito ancora una volta dalla presenza fisica che esprimeva la donna che amava.
L’aveva baciata sulle labbra e accarezzato il suo volto prima di decidersi a rispondere che era stato troppo preoccupato per lei da non riuscire a dormire. Eppure, in fondo, erano trascorse così poche ore.

Avevano deciso di non parlarne per il momento, ma Van aveva compreso ben presto che Hitomi era sinceramente preoccupata e non aveva lasciato la sua stanza, dicendo che sentiva il bisogno di riflettere su quello che aveva visto e doveva cercare di comprendere le parole che aveva detto l’uomo-camaleonte. Per la prima volta, dopo tanto tempo, avevano rischiato di litigare: lui aveva ribattuto che dovessero discuterne insieme, che sarebbero stati una famiglia ora, e che ciò che sarebbe accaduto riguardava tanto lei quanto lui. Con sua sorpresa, Hitomi aveva annuito e Van, andando oltre la propria angoscia fu in grado di vedere quella di lei e comprese che non poteva addossarle anche la propria.

L’avrebbe protetta e sarebbe stata al sicuro, era solo questo ciò che contava. Se quello era l’inizio di una nuova, ennesima minaccia ad entrambi, lui sarebbe stato pronto ad affrontarla.
Sfiorandogli la mano con le labbra, si era ripromesso di tornare presto da lei e che nel frattempo avrebbe dovuto mangiare qualcosa. Ricevuta la sua approvazione si sentì d’intralcio, fra lei ed i suoi pensieri, perciò non trovò alcun buon motivo per rimanere ulteriormente.

Il turbamento che aveva cercato di calmare si era trasformato in rabbia per l’insuccesso dei suoi sforzi e così aveva finito per allenarsi, investendo le sue energie in qualcosa che non fosse l’arrovellarsi su poche parole che non avevano molto senso. Tuttavia, adesso che aveva concluso, madido di sudore, i nervi si erano sciolti e la sensazione di stallo era passata, sentendosi motivato e più tranquillo.

Rabbrividì, quando sentì il getto dell’acqua tiepida scorrergli lungo le spalle e percorrergli per intero la schiena. Quello stesso brivido lo ritemprò e fortificò i suoi muscoli brucianti dopo l’allenamento. Doveva tornare da Hitomi, voleva abbracciarla e rassicurarla. O forse, doveva rassicurare se stesso. L’idea che potesse di nuovo essere in pericolo e l’oggetto di qualche nemico lo rendeva inquieto.

Aveva perso chissà quanto tempo, seduta davanti a quella finestra. Ed era tornata indietro, ai suoi giorni sulla terra. Doveva essere passato oramai più di un anno da quando era stata portata via dal suo luogo natio. Per la prima volta, sentiva la mancanza della sua famiglia. Sentiva la mancanza dei suoi amici. Li aveva rivisti in sogno, proprio quando aveva perso i sensi, intorpidita dal potere psichico dell’uomo camaleonte. Evidentemente, si disse, anche questa volta i suoi poteri la rendevano un bersaglio. Non c’era alcuna spiegazione più logica, glielo aveva detto quello stesso individuo.

Egli ti desidera, più di ogni altra cosa.

Le parole che gli aveva detto l’uomo camaleonte ebbero l’effetto di farle venire la pelle d’oca anche al sicuro all’interno della sua stanza. Era stato chiarissimo. Volevano lei. Perché? Perché i suoi poteri erano aumentati negli ultimi tempi? E cos’è che cercavano esattamente di ottenere?
Tutti quei quesiti che le assillavano la mente avevano trovato necessario ricorrere ad un piacevole diversivo, ripensare alla sua terra, alla luna dell’illusione.

Hitomi sollevò lo sguardo, riscuotendosi. Aveva ricordato qualcosa del sogno che aveva fatto, era qualcosa di importante ma che tuttavia risultava inafferrabile, come se fosse appena a portata di mano.

Il bussare alla porta la distrasse. Si drizzò in piedi lasciando che la morbida veste sfiorasse il pavimento di legno. Senza aver bisogno di pronunciare parola, vide Van schiudere l’uscio.

« Hitomi.. come stai? » aveva domandato, osservandola da capo a piedi, mentre si avvicinava.
Hitomi sorrise, avvolta da una piacevole sensazione di tranquillità che la sua sola presenza era stata in grado di suscitare immediatamente. Si avvicinò anche lei di un paio di passi, giusto per dimezzare le distanze e cercare il conforto per i suoi dubbi fra le sue braccia.

Van ricambiò la stretta, con gentilezza e forza e per un lungo momento restarono così, silenziosi. Si godettero l’uno la presenza vitalizzante dell’altro.

« Stai bene? » domandò lui, affondando il viso fra i suoi capelli, essi profumavano piacevolmente.
Hitomi annuì, stringendosi al suo petto. « Se non ci fossi stato tu.. » mormorò lei, chiaramente riferendosi alla notte appena trascorsa. Van sollevò appena il capo, cercando i suoi occhi.

« Hitomi, tu sai chi era quella creatura...? Che cosa voleva da te...? »

Domande che si aspettava, indubbiamente e a cui doveva dare una risposta. Senza trovare la forza di separarsi da lui, Hitomi guardò Van con aria preoccupata e angosciata,  il non riuscire a dirgli quello che neanche lei sapeva. « Van.. non lo so. Ma.. è stata colpa mia. Io... io sono andata a cercare l’uomo camaleonte, lui.. era lì fuori. » rispose, dando solo però una spiegazione confusa. Quando Van se ne accorse, le prese le mani e la fece sedere su quella sedia che aveva occupato per troppo tempo il suo corpo turbato dai suoi pensieri, inginocchiandosi davanti a lei, l’osservò.

« Spiegami con calma: hai detto di averla.. sentita? Forse ti stava chiamando per mezzo dei suoi poteri mentali? » domandò con calma.

Hitomi scosse appena il capo. « Non saprei dirti.. non era una voce. Era come.. in un sogno. Quando mi sono svegliata avevo la sensazione di essere stata chiamata e lui.. era lì, oltre la finestra, che mi fissava.. E poi, è stato impossibile resistere all’impulso di seguirlo. »

Fece una pausa, solo per cercare negli occhi di Van tracce di rimprovero.

« Scusa, non avrei dovuto essere così sciocca e seguirlo e avrei dovuto urlare quando potevo, sono stata troppo ingenua. » riprese, cercando con lo sguardo la sua veste, e poi le mani di lui, ritenendo che fosse meno imbarazzante che guardarlo negli occhi. La mano di Van si mosse per sollevarle con un gesto delicato il mento e chiedere il contatto visivo, Hitomi non scorse uno sguardo arrabbiato o risentito.

« Non hai motivo di incolparti, gli uomini camaleonte possono plagiare anche la mente più forte e tu, appena sveglia, eri una preda troppo facile. » il tono però era stato grave, notò Hitomi.

Van si alzò, mettendosi di fronte a lei. Aveva abbandonato il tocco della sua mano.

« Hitomi, quando sei svenuta ho parlato con lui.. Ha nominato il Popolo Atlantide. »

« A-Atlantide? » si riscoprì con la voce tremante ed il suo cuore ritornò con la mente a momenti precedenti lo scontro finale, quando riusciva a vedere la distruzione dal centro del palazzo di Zaibach. Quelle parole, scivolarono sulla ragazza dandole lo stesso effetto che un pugno allo stomaco avrebbe dato ad un lottatore.

 « Ha detto che chi lo mandava, aveva bisogno di te per far rivivere la Stirpe di Atlantide. » Van parlava come se lei stessa conoscesse il mezzo per far avverare quanto appena detto. Eppure, lo sguardo che gli mandava, doveva essere eloquente. Non capiva come avrebbe potuto far avverare una simile promessa.

« Perché io? » si fece forza e la sua voce apparve più sicura e risentita alle sue orecchie. Van scosse il capo, tranquillo nei modi ma confuso al contempo nell’esprimersi.

« Non lo so e non intendo scoprirlo. Non finirai nelle sue mani o in quelle di di chiunque altro. » asserì lui, con decisione.

« Aumenterò la guardia e riarmeremo gli eserciti e, se sarà necessario, faremo appello alle antiche alleanze. » Hitomi si sollevò in piedi a sua volta, sconcertata.

« Van! Stai parlando di iniziare una guerra! » si oppose come se dovesse lei stessa bloccare la furia di quei pensieri, che non dovevano diventare in alcun modo azioni.

« Gaea è in pace così come lo sono i suoi popoli. Non c’è alcuna ragione di temere un’altra guerra! » Hitomi guardò Van, cercando in lui una risposta, il sovrano di Fanelia aveva volto lo sguardo da un’altra parte senza rispondere.

Hitomi lo guardò disorientata. Cosa non le stava dicendo?

Appellandosi a quelle maniere che aveva appreso sulla terra e che non sarebbero mai cambiate in lei, lo afferrò per un braccio, scuotendolo.

« Van! Devi dirmelo! » ripetè, con forza, stringendogli il braccio maggiormente.

Van finalmente si volse a guardarla, rivolgendole uno sguardo grave.


« Il regno di Basram ha di recente interrotto ogni forma di commercio con Asturia e Fanelia e sembra, inoltre, che le carovane di alcuni nostri mercanti e anche quelle che viaggiavano con gli stendardi del Re Aston siano state bloccate e costrette a non poter lasciare quei luoghi. »

Hitomi continuò a guardare Van, senza però trovare un nesso logico alle sue parole.

« E questo cosa c’entra con l’uomo camaleonte? » domandò, quindi, dando voce ai suoi dubbi.

Van scosse le spalle. « La guerra contro Zaibach ci ha insegnato che si può lottare su molti fronti. Nessun paese di Gaea è in lotta con un altro ma sono proprio queste scintille che danno avvio alla guerra. E tu... potresti essere un obiettivo. Non mi sorprenderei se lo fossi diventata ancora di più, dopo quello che è successo. » asserì Van, poggiando le mani sulle spalle di Hitomi, senza tuttavia caricarne del loro peso. « Per Zaibach cominciò in modo diverso, partì tutto dall’ingente quantità di metalli importati e dagli scienziati richiesti per lo sviluppo di quella che poi definirono “esperimenti”. La sorella di Allen ne fu un esempio. Io ero troppo giovane per ricordare tutto, a quel tempo non riuscivo a capire le faccende di stato, per quanto mi sforzassi. » Hitomi si accorse della piega che aveva assunto il discorso. Abbandonò la presa sul braccio, solo per portarla dietro la schiena di lui e stringerlo.

« Ho capito, adesso. » tacque solo per qualche istante, il tempo di sentirlo rilassarsi, poi tornò ad osservarlo dritto negli occhi.

« Quindi, da oggi sono ufficialmente la tua fidanzata. »

L’effetto delle proprie parole fu quello desiderato, Van riuscì nuovamente a sorridere. La cinse nuovamente fra le braccia e chinandosi sfiorò le sue labbra con quelle di Hitomi.

« Lo sei da ieri sera, in effetti. Abbiamo anche ballato un po’, ma forse il vino ha ottenebrato i tuoi ricordi! » si meritò uno scappellotto sulla spalla.

« Non è vero! » rispose, piccata. Quindi si voltò da un lato, sciogliendo l’abbraccio, fintamente offesa. Van le circondò i fianchi con le braccia e l’avvicinò a sé.

« Hai ragione. » rassicurò lui, sfiorandole il collo con un bacio. Hitomi si riscosse a quel tocco, era stato così piacevole ed intenso, come una scarica elettrica. Senza muoversi approvò silenziosamente che Van continuasse a restare in quella posizione.

« Ieri sera sembravi strana. » disse, senza provare a nasconderle la tacita domanda di fondo. « Avevi cominciato ad avvertire qualcosa, non è così? »

Hitomi si trovò per un momento sorpresa, poi si ritrovò ad annuire.

« Credevo che fosse solo l’agitazione per i festeggiamenti. » cercò intimamente di giustificarsi, una parte di sé si sentiva in colpa per non essere stata in grado di parlargliene subito.

« Se dovessi risentirti allo stesso modo, sappi che me ne accorgerò così come l’ho notato ieri. Te lo dico perché, così non avrai bisogno di chiedere aiuto, perché io sarò già pronto. »

Hitomi sentiva il proprio cuore battere forte nel proprio petto. Van la fece voltare nuovamente e i loro occhi s’incrociarono per un lungo istante. Il contatto delle labbra che successivamente crearono riappacificò i loro animi per il tempo che restarono unite, in un modo profondamente giusto e senza fretta alcuna. E per quei momenti, sembrò non esistere la minaccia di nuova sofferenza all’orizzonte.      

Il pranzo si era rivelato anche più sontuoso del banchetto della sera precedente, almeno per lei. Si era dovuta intrattenere più del dovuto con le gentil donne che erano giunte insieme ai mariti che non facevano che parlarle del suo matrimonio. Non era abituata ad essere al centro di troppi discorsi e sentir discutere sulle proprie nozze l’aveva messa a disagio più di quanto lei stessa potesse sopportare. Eppure, non aveva potuto ritirarsi prima che il pomeriggio fosse inoltrato. Il fatto che la discussione avesse riguardato temi di così poca rilevanza le fece pensare che nessuno fosse venuto a conoscenza di quello che le era accaduto la scorsa notte. Evidentemente, le cameriere che l’avevano soccorsa avevano mantenuto il silenzio su quello che Van gli aveva rivelato, a meno che, egli avesse trovato una storia più adatta e meno allarmante della realtà. Si rammentò di dover chiedere spiegazioni in merito.

Decise di andare a passeggiare per il bosco che si trovava ai margini del palazzo reale. Non conosceva passatempo migliore: inoltrarsi in quella natura incontaminata, diversa in tutto quello che aveva mai visto sulla terra, la rendeva felice e gioiosa come raramente riusciva ad essere. Sapeva che era tutto merito del legame che aveva stabilito con la terra, grazie alla vita ricevuta da Gaea. Ancora una volta il pensiero tornò alla sua amata Terra, lì gli uomini non avevano ancora capito ed apprezzato le potenzialità del proprio pianeta e Hitomi sperò che un giorno non troppo lontano, potessero armonizzarsi con la natura nel miglior modo possibile.

I suoi pensieri erano stati così intensi che i suoi passi l’avevano spinta troppo in lontananza e per un momento non riuscì più a raccapezzarsi; aveva abbandonato il sentiero principale per andare dove più il corso delle sue riflessioni – o meglio – dell’avanzare dei suoi piedi, la portavano.
Si fermò quindi, guardandosi a destra e a sinistra, cercando di orientarsi. Si morse il labbro, anche se non era particolarmente preoccupata: aveva attraversato anche troppe volte quei boschi per sentirsi a disagio e veramente in pericolo di non ritrovare la via del ritorno. Oltretutto, non erano boschi poi così grandi. Certo, la prima volta che aveva visto Fanelia non aveva capito che il regno non era arido come se lo aspettava, nonostante fosse costruita in una vallata circondata dalle montagne, era estremamente semplice raggiungere la boscaglia.

E perdersi all’interno di essa, evidentemente.

Hitomi si volse di spalle, riprendendo a camminare dalla direzione opposta, avrebbe di certo ritrovato il sentiero se avesse ripercorso fedelmente i suoi passi.
Non seppe se fu la sensazione a scuoterla o il suono che udì dopo qualche istante.

Un ramoscello spezzato, proprio dietro di lei. Non se ne sarebbe curata, se solo il suo sesto senso non l’avesse allertata. Si voltò rapidamente, cercando con lo sguardo la cosa che aveva provocato quel rumore così vicino a lei. Quando non vide nulla, il suo cuore cominciò ad accelerare, sempre più intimorita. Si diede mentalmente della stupida e con la mano prese a sollevarsi la veste, della cui lunghezza non si era ancora abituata. Riprese a camminare, con passi lenti, come se non volesse curarsi della tensione crescente.

Poi un ramo cadde esattamente davanti a lei.

Urlò e con un balzo si spostò indietro, mentre si sollevava terra e foglie.
Quando il drago della terra emerse dal fitto della boscaglia e spezzò con il semplice suo avanzare il tronco che era caduto a pochi metri da lei, Hitomi restò immobile, senza fiato.
Il drago finalmente la vide e lei si domandò come avesse fatto a non udirlo prima.

Di ghiaccio, Hitomi non ebbe il coraggio di muoversi di un solo passo.

Il drago della terra focalizzò il suo sguardo verso l’elemento che aveva seguito per tutto quel tempo. L’urgenza che brillava nei suoi occhi non poteva essere compresa dalla fanciulla da cui era stata attratta.

Hitomi aveva dimenticato di respirare e mentre la paura e l’istinto di sopravvivenza lottavano contro i suoi muscoli irrigiditi per farla fuggire, non riusciva a muoversi. La creatura era alta, quasi cinque metri – unità di misura che avrebbe usato se fosse stata sulla terra – e la grandezza non riusciva a stabilirla, visto che era in parte nascosta dal fitto della boscaglia.
La creatura non si mosse ma continuò a fissarla, restando immobile, esattamente com’era lei, il cui cuore batteva così forte da farle temere, quasi, che la creatura potesse udirla e per istinto, attaccare non appena il prossimo battito le sarebbe mancato.

Senza staccare il contatto visivo, Hitomi tremò, cercando di resistere all’irrefrenabile impulso di urlare e scappare.

Tutto era confuso. Dapprima un turbinio che le scompigliava i capelli, poi le voci attorno a lei.

« Il tramonto di quest’era sta per giungere al suo termine, con l’arrivo dell’abitante della luna dell’illusione e la sconfitta del Manipolatore, un nuovo futuro avrà luogo e dalle ceneri dei draghi, la Stirpe di Atlantide rinascerà! »

Hitomi, comprese, che le voci che udiva erano in realtà una sola, eppure, la tonalità androgina la confondeva, incapace di comprendere se fosse uomo o donna.

« Ferma tutto questo o il destino di Gaea è destinato a ripetersi! »

Hitomi si voltò, cercando di capire dove si trovasse quella voce che aveva udito, questa volta era maschile, ne era certa, e familiare al tempo stesso.

Nell’incubo generato dalla sua stessa visione, si alzarono le fiamme, circondandola.

« Che qualcuno mi aiuti…Van! » incominciò a correre, avendo nuovamente addosso la sua uniforme scolastica e le sue scarpe da tennis. Eppure, nella frenesia della corsa, non riusciva ad avanzare di un solo metro mentre le fiamme sembravano non darle tregua.

« Sta per cominciare.. e sarai proprio tu, il principio della fine del vostro mondo! »

Riaprì gli occhi proprio in quel momento, trovandosi nella sua stanza, al palazzo di Fanelia.
Era in piedi e per poco non si sbilanciò quando tentò di muoversi.
Allungò un braccio, appoggiandosi alla fredda parete di legno che percorreva la sua stanza cercando di comprendere che cosa fosse successo.

Fino ad un momento prima era nel bosco e adesso..?

Profondamente confusa ed ancora scossa, arrancò verso il letto, sedendosi. Le mani in mezzo ai capelli, a sostenere il capo diventato improvvisamente luogo di dubbi e d’incertezze.
Lunghi minuti trascorsero ed il silenzio si fece meno pesante: gli uccellini, all’esterno, cantavano ancora. Hitomi, sollevando il capo, si trovò ad osservare la finestra.

Il cielo splendeva sereno nel mezzo del pomeriggio. Sarebbe stata una di quelle giornate perfette da passare insieme a Yukari dentro qualche pasticceria a mangiare torte e bere frappé al cioccolato. In quei momenti di pace assoluta, dove la stretta dei suoi impegni e dei suoi doveri – che presto sarebbero diventati ancora più soffocanti – la portavano ai giorni spensierati di quando viveva sulla terra. Sentiva la mancanza dei suoi amici e della sua famiglia, dopotutto, anche se sapeva come avrebbe potuto contattarli. Nei sogni e nelle visioni avrebbe potuto raggiungere chiunque, se i suoi sentimenti fossero stati forti e sinceri. La vita sulla terra le mancava quando non c’era Van accanto a lei. In quei momenti si sentiva perduta in quel mondo che aveva conosciuto così inaspettatamente. Sentiva la mancanza anche dei suoi amici su Gaea, il Signor Allen e la Principessa Millerna ed anche il Signor Talpa.

Hitomi sorrise, pensando a come la prima volta che si era ritrovata davanti l’assurdo uomo dai sensi come una talpa: l’aveva preso per un maniaco, comprendendo poi che l’interesse era stato rivolto solo verso il suo scintillante ciondolo. Quella volta aveva anche incontrato Allen e i suoi modi cavallereschi - oltre che per la sua tremenda somiglianza con il senpai Amano - le avevano fatto letteralmente perdere la testa. Era stata fin troppo ingenua allora, nel pensare che fosse Allen la persona giusta per lei, era stata una bambina che aveva visto nell’affascinante Cavaliere Celeste di Asturia un principe azzurro uscito direttamente dalle fiabe.

Colta da un improvviso pensiero, Hitomi sollevò il capo e spalancò brevemente gli occhi: avrebbe potuto scrivere sia ad Allen che a Millerna. Con quest’ultima intesseva già una fitta corrispondenza, però prima d’allora non avevano mai parlato del passato, forse perché per entrambe, non era stato un periodo facile e Millerna le aveva confidato di essersi sentita impotente nell’aver appreso il tutto solo molto dopo; le aveva detto che avrebbe potuto fare qualcosa per alleviare i suoi dolori o essere utile in qualcosa. Hitomi aveva trovato il modo per consolarla, dicendole che nel suo dovere di reggente, Millerna aveva fatto la cosa più giusta anche in virtù del suo dovere verso il popolo e adesso Hitomi ne poteva comprendere il senso di quelle parole.
Avevano promesso di rivedersi quando il tempo avesse concesso ad entrambe un po’ di respiro e fino ad allora le loro lettere non avevano contenuto un accenno ad una rimpatriata.

Si sollevò in piedi, dirigendosi verso lo scrittoio. Doveva scrivere ai suoi migliori amici e fare in modo che venissero per il suo matrimonio.

Già, presto si sarebbe sposata. Anche quella era una cosa che aveva imparato ad accettare solo perché il contesto lo permetteva.

Sulla terra, sarebbe stato assurdo che una ragazza della sua età fosse già promessa in sposa. Aveva solo sedici anni – che in certi momenti le erano sembrati cento – e il matrimonio sembrava essere una cosa così lontana. Eppure, su Gaea, non esistevano strani pregiudizi. Anche in Giappone, durante il periodo Edo non doveva essere poi così diverso. I suoi sentimenti per Van erano assoluti e lo sarebbero stati fino a che entrambi avessero avuto vita. La consapevolezza era arrivata quando aveva potuto sentirne la voce nella terra e nel suo cuore. Ed era stato così anche per il padre e la madre di Van, lo aveva visto nelle visioni.

Seduta sulla sedia di legno prese piuma e calamaio ed incominciò ad intingere il pennino nell’inchiostro nero. Apprendere il linguaggio usato su Gaea non era stato troppo difficile.
Tutto derivava da Atlantide e Atlantide proveniva dalla terra. Aveva trovato una certa assonanza nei diversi linguaggi che aveva avuto modo di osservare. Nonostante i suoi numerosi errori però, Millerna e Allen avevano sempre compreso tutto e le risposte che le inviavano contenevano sempre parole che sapeva riconoscere.


« HITOMI!! »

Sobbalzò, sulla sua sedia, mentre la squillante voce di Merle sovrastava tutto il silenzio dapprima raggiunto, irrompendo all’interno della stanza.

Hitomi si voltò, sorpresa, aveva riconosciuto l’entusiasmo da parte della ragazza gatto.

« Merle, che succede? » domandò, restando ancora seduta ma appoggiando il pennino dentro il calamaio.

« Devi assolutamente venire a vedere! » esclamò lei, prendendola per un braccio, strattonandola. Hitomi si lasciò convincere, gradualmente più curiosa, si sollevò in piedi e accolse la stretta amichevole e non costrittiva della giovane gattina facendosi condurre fuori dalla stanza.
Attraverso i corridoi di legno così somiglianti alle antiche costruzioni giapponesi, Hitomi avanzò a passo svelto, seguendo Merle che faceva strada.

« .. E così non ho potuto fare a meno di venire a farvi un saluto, visto che è da un po’ che non ho il piacere di incontrarvi. »

Hitomi si bloccò prima ancora di entrare all’interno della stanza dove Merle aveva già spalancato le porte scorrevoli e tutta felice aveva annunciato che Hitomi era arrivata.

« Signor Dryden!? » mormorò avanzando a passi lenti, incredula.

Lui si voltò e le sorrise, avvolto nei soliti abiti da mercante, con lo stesso sguardo cerchiato da un paio di occhialini e la barba lievemente incolta.

« E’ un piacere rivederti Hitomi! Vedo che nonostante tu abbia cambiato modo di vestire, i tuoi occhi sono sempre gli stessi. »

Hitomi venne colta da un misto di felicità e sorpresa, era così felice di rivedere il reggente di Asturia che le venne voglia di abbracciarlo, tuttavia si contenne per quanto possibile e gli prese semplicemente le mani. « Signor Dryden! Sono così felice di rivederla! »

Dryden sorrise e ricambiando a sua volta la stretta amichevole parlò « Dovevo vedere la nostra futura regina di Fanelia, Van mi ha detto che celebrerete il mese prossimo: congratulazioni! »

Hitomi arrossì lievemente annuendo poi convinta, « La ringrazio Signor Dryden! Che sorpresa vederla qui! E’ insieme alla sua flotta mercantile? » domandò, quindi, immaginando una risposta affermativa, che non tardò ad arrivare.

« Esattamente! Stavo proprio dicendo a Van che, trovandomi a passare da qui, non ho potuto fare a meno che venire a salutarvi, dopo tutto quello che è successo, il minimo era fermarsi e ringraziarvi di persona. » e dicendo questo chinò lievemente il capo in direzione di Hitomi.

« Non ci sarebbe stato più un futuro per Gaea se non fosse stato per te, sei una ragazza dall’animo forte. Noi tutti ti dobbiamo molto, sin da quando sei arrivata sul nostro pianeta. »

Hitomi si sentì in imbarazzo per i brevi istanti di silenzio che seguirono. « Non occorre ringraziare, Dryden. Chiunque avrebbe fatto il possibile per salvare Gaea. » rispose Van « Noi ci siamo limitati a fare ciò che era in nostro potere » concluse quindi, volgendo lo sguardo verso Hitomi.

Lei annuì « Van ha ragione.. ma ora non pensiamo al passato, Signor Dryden si trattenga a Fanelia quanto tempo desideri! » Dryden sorrise ma fece un cenno di dissenso con il capo.

 « Resterei volentieri per tutta l’estate ma domani devo far rotta per Asturia, Millerna non può fare a meno di me! » asserì ridendo, per calmarsi subito dopo. « In realtà è che devo comunque tornare presto ad Asturia per riferire riguardo i movimenti sospetti del regno di Basram, ho sentito che anche con voi ha tagliato ogni forma di attività commerciale. »

Van si fece serio in volto ed annuì lievemente, « Si, è tutto vero. So anche che alcuni dei vostri mercanti non hanno potuto far ritorno, avete ricevuto notizie? »

« Sfortunatamente ancora nessuna, ed è per questo che devo tornare ad Asturia, bisogna comprendere la natura dell’imposizione di questo fermo. Non vorremmo che fosse una sorta di ricatto o peggio, che i nostri mercanti siano tenuti in ostaggio. »

Hitomi ascoltava silenziosa, percependo una strana sensazione dentro di sé. Quando era sulla terra, non era mai stata una cima nello studio della storia però sapeva che il commercio e l’economia in generale, erano fattori che più volte erano stati causa di conflitti anche di grosse proporzioni. In effetti, la situazione, poteva riproporsi anche su Gaea.

« Non credo che ci sia qualcuno che voglia fare la guerra, in tempi così pacifici. » intervenne, cercando la conferma negli occhi dei due uomini accanto a lei.  Fu Dryden a parlarle per primo.

« Quello che dici è vero, ma è proprio nei tempi di pace che si costruiscono i fondamenti per l’inizio di una guerra. »

Van annuì, concordando. « Dryden ha ragione, oltretutto non dimentichiamo che Basram, insieme all’Impero di Zaibach, aveva incrementato la richiesta di metalli e nuove tecnologie. »

Hitomi deglutì, sentendosi in dovere di esprimere la sua preoccupazione « State dicendo che potrebbe ricominciare una guerra? »

Dryden sorrise e le mise una mano sulla spalla. « Forse non è niente di tutto ciò, non vi è ancora motivo di preoccuparsi seriamente. »

Hitomi annuì, trovando incertezza nelle parole dell’uomo.


La cena trascorse con tranquillità e non si toccarono argomenti gravi, si discusse principalmente delle vicine nozze e di tutti i convenevoli del caso. Hitomi non era stanca, ma era desiderosa di parlare con Van di quello che aveva visto quel pomeriggio e dei dubbi che l’attanagliavano.
Quando la cena finì, il sovrano di Fanelia non aveva detto nulla riguardo alla notte precedente e all’uomo-camaleonte che aveva cercato di farle del male. Hitomi non se ne sorprese: era nel carattere di Van proteggere da solo quello a cui teneva, quell’aspetto del suo carattere non era mutato sin da quando lo aveva conosciuto. Il combattere strenuamente contro il nemico, anche nella situazione più pericolosa lo aveva reso fin troppo spavaldo, e aveva avuto da ricredersi solo quando l’intervento di alleati preziosi si erano rivelati più che necessari. Se Fanelia era rinata dalle ceneri era grazie a tante persone e alla fiducia dei suoi abitanti, Van lo sapeva bene e non ne aveva mai dubitato, ma aveva anche compreso che spesso chiedere aiuto agli altri non era sintomo di debolezza. Il fatto che non avesse detto niente a Dryden poteva significare quindi che aveva deciso di valutare la situazione prima di agire, il che era una mossa saggia, considerando che non potevano fare altrimenti e non avevano altri elementi su cui arrovellarsi.

Hitomi si sollevò dal tavolo solo qualche istante dopo che Dryden aveva lasciato la sala da pranzo, osservò distrattamente Merle che sembrava soddisfatta della cena e sembrava piuttosto stanca.
Van seguì i suoi movimenti e le venne vicino con fare premuroso

« Mi sei sembrata stranamente silenziosa a cena, è forse successo qualcosa? » a quel punto anche il viso di Merle si fece curioso, e osservò i due restando ancora seduta, con le orecchie appuntite rivolte verso di loro.

Hitomi scosse il capo e sorrise lievemente. « Ma no! È tutto a posto, sono solo un po’ stanca. »

Van la guardò senza dire nulla, quindi sorrise lievemente.

« Ahh! Questi piccioncini! Siete troppo, troppo per me! » sbottò Merle, infastidita, alzandosi dalla tavola. Quindi li guardò entrambi arrossire fino alla punta delle orecchie e ridacchiò. « Certo che ogni volta fate sempre la stessa faccia! Penso proprio che fra qualche tempo mi stancherò di punzecchiarvi! » continuò poco dopo, vedendo che i due erano rimasti nella stessa posizione di prima. « Ah..! Siete davvero esilaranti! » e cominciò a ridere, muovendosi verso la porta. « Coraggio, vi lascio soli, così potete amoreggiare in pace..! » uscì dalla porta, accompagnando i suoi movimenti ad un abbraccio improvvisato e a delle labbra contratte in avanti  impegnate a baciare invisibili amanti.

Il silenzio che cadde quando la porta venne chiusa, lì lasciò piacevolmente risollevati. Merle certe volte sembrava davvero una peste.

Van prese la mano di Hitomi, scrollandola da quel torpore fastidioso e si mosse verso un’altra porta, quella che conduceva verso le rispettive camere da letto. « Andiamo... »

Hitomi annuì lasciandosi trasportare fuori dalla sala da pranzo, inoltrandosi nei corridoi del castello di Fanelia che oramai conosceva molto bene. In quel momento si ritrovò a riflettere a cosa sarebbe potuto accadere quella notte, se avesse nuovamente sentito il richiamo irresistibile della notte precedente. Van aveva detto che avrebbe messo dei soldati vicino alla sua porta per qualsiasi emergenza, inoltre anche la sua camera era molto vicina alla propria, quindi sarebbe stato avvertito. Ciò che turbava Hitomi però, non erano le intenzioni di quei nuovi ed inaspettati nemici – se poteva cominciare a considerarli così – ma erano le motivazioni. La guerra contro l’impero di Zaibach le aveva fatto riflettere molto sulle motivazioni di ognuno, arrivando a comprendere persino quelle dell’imperatore Dornkirk.

Fu quando Van si fermò d’innanzi la porta della sua stanza che il flusso dei suoi pensieri venne a tacere. Hitomi sollevò il capo, osservando Van negli occhi. Era così... bello. Non era la stessa bellezza che aveva visto nei modi gentili di Allen o nella cotta che aveva preso per il senpai. La sua era una bellezza più, mascolina ma addolcita dagli occhi che le sapevano comunicare gentilezza e dolcezza in ogni occasione. Forse Van aveva intuito qualcosa, perché le si avvicinò sorridendo in un modo decisamente malizioso che la fece arrossire, timorata d’esser stata scoperta anche nei pensieri. Si trovò ad appoggiarsi contro la parete mentre le labbra di Van calavano sulle proprie, con dolcezza. Lui la strinse a se, intrappolandola fra il muro ed il proprio corpo, approfondendo il bacio. Hitomi rispose con la stessa intensità e si strinse maggiormente a lui, sfiorando i capelli con le mani che, già alzate, avvolgevano il suo collo e accarezzavano le sue spalle. Quando un suono di passi lontani raggiunse le loro orecchie smisero entrambi nello stesso istante, con i cuori palpitanti e l’urgenza di continuare. Van fece scivolare la sua mano in quella di lei ed in brevi passi raggiunsero la porta della sua camera che con un veloce e quanto mai repentino gesto della mano contro la maniglia della porta, la quale si aprì facendo un lieve rumore e si richiuse altrettanto velocemente quando entrambi vi entrarono all’interno, al sicuro.

Raggiunta la stanza Hitomi ebbe difficoltà a mettere a fuoco, visto il buio all’interno. Van invece, sapeva orientarsi benissimo grazie anche all’unica finestra grande quanto quella che si trovava nella propria camera che dava sull’esterno, nonostante fosse chiusa, le imposte di legno che impedivano la luce d’entrare erano aperte, così nonostante le tenebre, la luna e la Terra mandavano i loro bagliori riflessi gettando una pallida luce argentea all’interno della stanza.

Prima che Hitomi potesse muoversi di un solo passo, Van la circondò nuovamente fra le sue braccia e discese nuovamente sulle labbra. Trattenendo un gemito di sorpresa e approvazione, Hitomi non rifiutò quel contatto che anzi sembrava desiderare e respingere al contempo stesso. Il calore che batteva fortemente, sembrava accenderla ad ogni istante che sentiva le sue mani lungo i suoi fianchi e la sua bocca premere contro la propria.

« Van... » la voce ridotta ad un sussurro, mentre riprendeva fiato. Solitamente a quel punto Van si fermava, quando si rendeva conto che stava andando troppo oltre, ma questa volta fu diverso: quando lui le rivolse uno sguardo, Hitomi vide una strana luce brillare nei suoi occhi. La strinse maggiormente a sé, affondando il viso nell’incavo del suo collo, sfiorandolo con le labbra. 
Ad interrompere quel momento le porte della finestra si aprirono improvvisamente facendo un rumore così forte da far sobbalzare entrambi.

L’agitazione per le carezze sparì come neve gelida al sole quando entrambi si volsero e videro una lunga figura stagliarsi davanti a loro. Alta quasi due metri e avvolta da un mantello, solo il volto pallido e smunto e irrealmente lungo a fissarli.

Il silenzio che si generò per quei lunghi istanti in cui entrambi gli stomaci si aggrovigliarono per la sorpresa, diede il tempo a Van di infilare una mano sull’elsa della spada e frapporsi davanti ad Hitomi.

« Ancora tu. Che cosa vuoi?! » esclamò, con tono udibile, la voce non tremava ma sentì le mani di Hitomi appoggiarsi alla sua schiena, lievemente.

L’uomo-camaleonte restò immobile senza muoversi di un passo mentre l’aria entrava dalla finestra, facendo gonfiare le tende.

Van fece un passo e il contatto con Hitomi venne meno. « Rispondi! »

L’uomo camaleonte sembrò finalmente osservarlo e Van si rese conto che fino ad allora aveva guardato solo Hitomi, ignorandolo.

« La ragazza della luna dell’illusione non può unirsi con un mezzosangue. »

Van digrignò i denti e assunse uno sguardo più che ostile. « Che cosa intendi dire? »

« Che quella creatura sarà l’origine della nuova stirpe. E voi non sarete il suo compagno. »

 

  
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