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Autore: Waanzin    26/12/2012    1 recensioni
Una raccolta di momenti passati, presenti e futuri nella vita di Jake Muller/Wesker, tra riflessioni e rabbia, tristezza ed euforia. Uno sguardo da vicino a cosa significa essere il figlio del più enigmatico e complesso tra i personaggi di Resident Evil.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albert Wesker, Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Dopo una pausa ben più lunga del previsto (dovuta in parte alle feste natalizie, in parte a un capitolo più lungo dei precedenti!) torno con il secondo capitolo della mia trilogia "L'Uomo che Annega", una storia nella storia che narrerà un tassello particolarmente vasto e complesso della vita di Jake in questa mia cartella di "missing moments" passati, presenti e futuri. Durante questa pausa ho effettuato alcuni cambiamenti al mio stile di scrittura. Se i cambiamenti dovessero risultare troppo evidenti e/o peggiorativi, fatemi pure sapere nelle recensioni!


Ancora una volta, ho usato una struttura in flashback per narrare le vicende e, partendo dalla situazione presentata all'inizio del capitolo precedente, ho deciso di andare indietro nel tempo anziché avanti per mostrare lo svolgersi degli eventi. Spero la storia si mantenga comunque chiara e facilmente comprensibile... posso assicurarvi che nessun nodo narrativo di questa mini-trilogia verrà lasciato scoperto! 

Prima di cominciare, i dovuti ringraziamenti: ad astarte90 per le sue utilissime recensioni e alla sempre presente fiammah_grace, che ormai considero una vera e propria collaboratrice dopo tutti gli utili consigli e recensioni fatte ai miei lavori. Grazie mille, e grazie anche a murdershewrote per la recente recensione al capitolo 2, "Freddo". Ogni consiglio è il benvenuto!

Bene, spero di non essere stato tedioso e lascio lo spazio alla fanfic vera e propria... per la contestualizzazione ricordo che è rimasta invariata dal capitolo 1, gli eventi si volgono tutti intorno ai 16 anni di Jake e alle sue prime esperienze come mercenario. Al prossimo capitolo!  


Nota: "Manna dal Cielo" è il nome inglese ("Windfall") del famoso calcio "ad ascia" di Albert Wesker, presente in Resident Evil 5 con la traduzione italiana "Zampa d'elefante" e in Resident Evil 4 con il nome originale giapponese "Chikyo Chagi". Ho pensato che il termine inglese "Manna dal Cielo" fosse assai più evocativo degli altri e percò mi sono preso questa "libertà artistica" traducendolo. 





Jake Muller

CONSEGUENZE DI UN PADRE ASSENTE

 
L'UOMO CHE ANNEGA, parte seconda:
Uomini vuoti. 


Oggi. Il motel.
 
Quando riprese conoscenza, la testa pareva sul punto di esplodergli. Si guardò intorno e non gli ci volle molto a capire che si trovava sul pavimento sudicio del motel in cui aveva smaltito la sbronza del giorno prima, ma deglutendo tristezza si decise a non farsi soverchiare ancora una volta.
 
Con un profondo respiro, si diresse alla porta della piccola stanza, fuoriuscendo su di un breve porticato che dava sulla strada deserta. Alla sua destra, dopo una serie di porte tutte uguali, vide la pensilina dove si trovava l'ufficio del proprietario di quella bettola. Più in là, soltanto una vasta zona di nulla post-urbano che conduceva alla periferia della capitale Edone. Un vento gelido gli accarezzava la canotta bianca intrisa del terribile odore del sangue mischiato a sudore, ma Jake lo ignorò.
 
Grattandosi la testa con aria quasi spensierata, cercò di dominare i pensieri che man mano si facevano più razionali mentre il sonno benedetto si allontanava, concentrando la sua attenzione su tutto ciò che poteva costituire anche una breve, fugace appiglio contro il fiume in piena del dolore.
 
Infine, sospirò rassegnandosi, e rientrò chiudendosi alle spalle il gelido inverno. Dentro, raccolse i soldi che aveva sparso e accartocciato la sera prima ammucchiandoli distrattamente in una tasca del grosso borsone nero ai piedi del letto, poi si guardò intorno.
 
Un altro, ennesimo sospiro aprì l'uscio ad ulteriori e più nitidi ricordi...


Il giorno prima. Il funerale.

La pioggia sugli ombrelli del sacerdote e del becchino, che visibilmente poco coinvolti ufficiavano i riti di turno. Al centro del quadretto, attorniata da lapidi umili con tipici nomi dell'Est Europa sbiaditi sopra, una bara di legno anonima veniva calata all'interno di una grossa buca tra l'erba umida e rada.
 
Jake, a pochi metri di distanza, era l'unica altra presenza, ma sarebbe stato difficile distinguerlo dai tristi salici del cimitero Edone in cui si trovava. Aveva rifiutato l'ombrello che il prete gli aveva offerto e se ne stava lì, zuppo nella pioggia scrosciante, a fissare sua madre che scompariva nelle viscere della terra. 
 
Portava sul lato destro del volto delle bende già sporche di sangue, che non avevano l'aria di poter resistere molto, ma nessuno ci faceva troppo caso: in quella città un funerale del genere non era né un caso raro né motivo di sconcerto... fin troppe anime finivano seppellite in tombe anonime con funerali deserti, e chi rimaneva era più interessato a trovare un modo per assicurarsi il prossimo pasto che a piangere i defunti.
 
Dal canto suo, Jake non ascoltava neppure le vane parole di conforto religioso che venivano dette al vento, ne ragionava con pensieri che potessero definirsi coerenti. La sua mente, mentre il corpo lo avvisava di una violenta polmonite in dirittura d'arrivo, non faceva altro che ricordare il momento in cui aveva usato i tanto agognati dollari americani non per guarire sua madre, ma per pagarle quello schifoso funerale. Per evitare un'altra crisi, di tanto in tanto si trastullava pregustando il momento in cui avrebbe sprecato quanti più possibile dei soldi rimasti per pagarsi un biglietto di sola andata verso un coma etilico, in quel momento la cosa più prossima al paradiso che riuscisse ad immaginarsi.
 
Quando tutto fu concluso, quasi gettò i soldi nelle mani dei due, entrambi funzionari a modo l'oro dell'industria del dolore, poi si allontanò nella pioggia senza degnarli di uno sguardo. Completamente inzuppata quanto e più della giacca, una grossa borsa nera ciondolava dalla sua spalla accompagnandone il passo malinconico: dentro, in quello che forse era stato il suo ultimo momento di lucidità vero e proprio, vi aveva messo tutto ciò che possedeva prima di abbandonare la casa e sprangare la porta per sempre. 
 
Non aveva idea di quale bettola avrebbe ospitato la sua discesa tra le braccia di Bacco, ma prima, si ritrovò quasi senza volerlo su di un ponte del dopoguerra che portava nella zona industrializzata della città, una immensa bestia metallica brutta e funzionale come l'industria bellica che l'aveva realizzata. 
 
Fissando le acque sporche del largo fiume sotto di se, estrasse un paio di occhiali da sole scuri mentre la pioggia in diminuzione bagnavano le lenti. Non li fissò a lungo prima di spezzarli tra le dita della mano, concedendosi un solo, tremendo grido di rabbia al cielo plumbeo.
 
«MALEDETTO! CHE TU SIA MALEDETTO!!»

Le sue imprecazioni vennero presto sopraffatte dal brontolio delle nuvole, che già si preparavano alla prossima scarica di pioggia, così che nessuno vide ne sentì il tonfo sordo di ciò che restava degli occhiali mentre questi affondavano tra le onde del fiume. 
 
Poche ore dopo, Jake seguiva il loro esempio, perdendosi tra i flussi della Vodka in una bettola a caso, rifiutando le costanti avance della barista e ignorando lo stomaco che brontolava mentre il naso veniva stuzzicato da un pressante odore di bistecca cotta all'americana. 
 
La mente, annegando, gli tirò un ultimo tiro mancino e finì per fargli ricordare gli eventi che avevano portato a quel disastro, tanto per aggiunger al danno la beffa, mentre la ferita sulla guancia riprendeva a sanguinare per l'ennesima volta.


Settimane prima. La compagnia.

Quella mattina di due mesi prima, nel gelido capannone, Jake non avrebbe mai potuto prevedere quanto quell'uomo burbero e con un solo occhio sarebbe diventato importante per lui. 

Non si faceva segreto del fatto che il ragazzo, a soli sedici anni, fosse il più talentuoso della compagnia, ma in realtà non era solo per quello che passava tutto quel tempo con Shaw. L'uomo, seppure non aveva mai rinunciato ai modi austeri e severi che ne avevano un temibile addestratore, era ormai certo che il ragazzo lo vedesse come un padre e sembrava in realtà voler abbracciare il suo ruolo.
Ogni giorno, Jake passava con lui quasi tutta la sua giornata... mentre padri e figli in tutto il mondo andavano a pescare, o passavano le loro giornate al parco, Jake e Shaw se le davano di santa ragione nei più violenti ed esotici stili di arti marziali che si potessero immaginare.
 
Calci ad uncino e pugni a mano aperta divennero il loro modo di comunicare, un pomeriggio al poligono a testare il tremendo rinculo di una Smith & Wesson M500 divenne il loro modo per rilassarsi. Non si scambiavano che poche parole ma sempre, al termine dell'addestramento, Shaw posava una mano sulla spalla di Jake e guardandolo negli occhi celesti pronunciava stoico: «Bravo, ragazzo.»
 
Due parole. Soltanto due parole. Ma crebbero nel cuore di un quindicenne che non aveva mai assaporato la felicità con la potenza di un milione di soli che esplodono... Jake cominciò a mangiare alla squallida mensa militare con gli altri della compagnia, a raccontare agli annoiati compagni di sventura le sedute di addestramento con la luce negli occhi di un bambino deciso a raccontare il mestiere di suo padre a scuola. 

Gli altri soldati della compagnia, tutti più vecchi di lui, non condividevano il suo entusiasmo e aspettavano soltanto un incarico che provvedesse il tanto agognato denaro, ma lasciavano correre quella bizzarra e tutto sommato allegra situazione... in parte perché Shawn sembrava stare al gioco, e nessuno contraddiva Shaw, in parte perché quel ragazzo prodigio aveva cominciato a mostrare una vitalità e una voglia di combattere che trascinava tutta la compagnia. 
 
Jake aveva finalmente trovato qualcosa per cui valeva la pena combattere che non fosse il disperato tentativo di salvare sua madre. Tuttavia, sconfiggere la malattia non abbandonò il suo cervello nemmeno per un instante e dopo due mesi di bonaccia, si costrinse a interrompere uno degli allenamenti per chiedere a Shaw quando, finalmente, sarebbero arrivati i primi guadagni. L'uomo, senza dire nulla, lo portò in una stanza segreta del vecchio magazzino dove si allenavano, e gli mostrò una lunga serie di valigette rilegate in pelle nera ordinatamente accatastate tra scaffali di alluminio.
 
«Una per ogni membro della compagnia. Mai visto tanto denaro tutto insieme.» Scandì lentamente, un sorriso che andava disegnandosi sulla faccia, quasi seguendo le linee delle numerose cicatrici sotto l'occhio mancante. «Cinquantamila dollari americani, ragazzo. Venticinquemila alla partenza, venticinquemila quando torniamo... molto, molto più del solito, per un semplice lavoro di supporto: una battaglia poco lontana da qui, al confine con la Bosnia.»
 
Jake rimase senza fiato: la soluzione a tutte le sue sofferenze era lì. Avrebbe voluto ringraziare quell'uomo rude con le lacrime agli occhi, ma si costrinse a ingoiare freddo e a esaminare le valige con una sola, tremante domanda sulle labbra: «Q... Quando?»

Un sorriso enigmatico sfrecciò sul volto dell'uomo «Domani.»

-
 
BWAAM! 

All'improvviso, l'inferno.

Rombi cupi di mitragliatori calibro .50 e boati di missili terra-terra sembravano voler ighiottirlo vivo, mentre le macerie del desolato paesaggio urbano sfrecciavano attraverso il campo visivo di Jake.
 
Un compagno esangue giaceva poco distante da lui, un buco in mezzo agli occhi, mentre un altro gli stringeva la spalla intimandogli di stare giù, al riparo dietro quel che restava del muro grigiastro di una palazzina ante-guerra, coperto di fori di proiettile. Dall'altro lato della strada, soldati di una nazione lontana contribuivano alla cacofonia scaricando i caricatori delle loro esotiche armi europee contro di loro.

«Flint è andato!»

Gridò Jake mentre ricaricava l'M16 che portava a tracolla, ridicolmente grosso nelle sue giovani mani, ma per niente fuori posto. Un pezzo di calcestruzzo gli esplose a pochi centimetri dall'orecchio mentre il compagno ancora in vita trafficava con un congegno elettronico del tutto simile a una grossa auto-radio.

«Maledizione, sta andando tutto a puttane! Ma il punto d'incontro non è distante... dobbiamo raggiungere Shawn e il resto della squadra o non ne usciamo vivi!» Il mercenario abbandonò il grosso
cognegno e si azzardò a sporgersi per indicare una palazzina poco distante, l'unica che sembrava avere una porta d'ingresso ancora integra. Di tutta risposta, un proiettile vagante gli mozzò l'indice.

«AARGH!!»

Mentre il compagno si chinava in prede al dolore, Jake decise ch'era il momento di prendere iniziativa. Si sfilò dalla cintura una granata azzurrina e ne staccò la sicura con i denti, sputando il conseguente nodo metallico nel cemento poco distante.

«Ignora quella mano e CORRI!» 

Gridò mentre lanciava la granata Flash. In un lampo di luce accecante, i due sbucarono dal nascondiglio e corsero come mai prima nelle loro vite, attorniati dal fischiare dei proiettili mentre il pavimento cambiava ed esplodeva dietro di loro...

SBANG!

Senza neanche accorgersene, sfondarono con la spalla la porta della palazzina d'incontro e si lanciarono lungo una rampa di scale traballanti senza dire una parola. Il tintinnio degli anfibi sugli scalini metallici fu tutto ciò che accompagnava il loro respiro pesante finché non giunsero nell'ampio salone deserto, senza finestre, dove si supponeva che la squadra li stesse aspettando per volare via da quell'inferno, i soldi e la cura di sua madre ben saldi nelle tasche dei larghi pantaloni militari.

Così non fu.

Sul pavimento, riversi nel loro sangue, tutti i membri della compagnia mercenaria più temuta dell'Edonia erano ridotti a cadaveri in decomposizione, crivellati di colpi e abbandonati in posizioni sgradevoli tra le valigette contenenti la loro ricompensa e le armi un tempo in loro possesso.

Al centro di quel massacro, cou una valigetta nera in una mano e la Beretta nell'altra, li fissava ghignando il volto burbero di Shaw l'orbo. «Ah, bene, hai portato qui anche lui. Bravo ragazzo.»

Affermò l'uomo, prima di piazzare una pallottola in testa al soldato alla destra di Jake che ancora si reggeva la mano dolorante. Mentre il corpo del compagno cadeva privo di vita, il sedicenne rimase immobile in preda allo shock, lo sguardo che continuava a fissare la valigetta nelle mani del suo mentore e la squadra di soldati avversari che lo circondava.

Un secondo colpo della Beretta fece saltare l'M16 carico su cui Jake aveva mantenuto la prese durante tutta la corsa, e il ragazzo cadde in ginocchio disarmato, gli occhi sbarrati di fronte a se e la mente ancora incapace di elaborare.

«Si, ho venduto la squadra. Tutta la squadra.» Affermò quello che un tempo aveva quasi considerato suo padre, come se stesse leggendogli nel pensiero. Mentre parlava, rinfoderò la pistola e poggiò la valigetta a terra, sfilando un coltello dallo stivale. 

«Non credere che mi sia divertito, sia. Tu...» lo indicò con il coltello che oscillava tra le sue mani abili, il ghigno ancora fisso sul volto a indicare la falsità di quei sentimenti: «...tu avevi proprio un bel potenziale. Oh beh, sia quel che sia, così va la vita del mercenario... i soldi sono soldi. Ora 'sta zitto e crepa.» Senza dire altro, calò il pugnale sul volto di Jake, ancora in ginocchio di fronte a lui.
 
In quel momento, qualcosa scattò nella testa del ragazzo. Non un ricordo, ne un vero e proprio flusso di pensieri, ma un istinto animale, un'esplosione che partiva dal centro stesso del suo codice genetico... sopravvivenza con ogni mezzo. E lui possedeva i migliori mezzi possibili.

 Il coltello affondò nella guangia e uno spruzzo di sangue bagnò le mani del mentore, ma prima che potesse raggiungere organi vitali, Jake si era già lanciato di lato, allontanandosi e scattando in piedi. Shawn l'orbo rise, sicuro della propria superiorità, e passò in posizione d'attacco stringendo il coltello bagnato.
 
«Ah! Cosa credi di fare? Non uscirai di qui finché avrò sangue in corpo...» il burbero mercenario abbozzò un ghigno, ma la risata gli si strozzò in gola, perché il viso di Jake non sembrava più nemmeno il suo, ma quello di un predatore pronto all'attacco. Dal canto suo, lui non era neanche più del tutto consapevole di se stesso... contrasse il volto in un ghigno, forzando spavalderia per nascondere la rabbia cieca, e quando parlò fu veleno quello che gli usciva dalle labbra:

«Quindi devo solo ucciderti rapidamente.»

La dansa fu rapida e stranamente silenziosa. Shawn sapeva come usare un coltello, ma la velocità con cui Jake roteava le braccia, deflettendo i suoi colpi e assestando pugni alle costole dell'uomo, sembrava al di sopra delle normali abilità umane. Deviò un affondo e il freddo metallo sfiorò di nuovo il volto sanguinante, poi capì che la sua occasione era giunta.
 
Con un calcio basso, spezzò la rotula dell'orbo gettandolo in ginocchio. Per qualche secondo, un sedicenne si ergeva come un gigante di fronte ad uno dei mercenari più esperti del mondo... l'unico occhio buono del traditore implorava pietà, mentre il tacco di Jake si sollevava verso l'alto oscurandone il campo visivo. 
 
Manna dal Cielo. 
 
-

 
Non seppe mai quanto tempo trascorse in uno stato quasi di trance, mentre fissava il cranio aperto dell'uomo che avrebbe voluto chiamare padre sporcare il fondo del suo stivale di sangue e materia grigia. Quando la sua mente si decise a riprendere il controllo del corpo, i suoni della battaglia all'esterno si erano affievoliti, mentre la guerra si spostava nel suo percorso di distruzione verso l'entroterra.
 
Un solo pensiero lo fece muovere: non tutto era perduto. 

I soldi erano lì, le valigette a portata di mano. La prima stazione dei treni ancora in servizio doveva essere a poco più di un giorno di cammino dal campo di battaglia, e da lì la periferia della Capitale e la guarigione di sua madre sarebbero state a portata di mano.

Con movimenti rapidi e le mani che non volevano saperne di smettere di tremare, prese il borsone più vicino e vi vuotò all'interno il contenuto di due valige, riempiendo poi gli spazi vuoti con alcuni beni di prima necessità che gli sarebbero stati utili durante il viaggio...

Mentre si avvicinava alla scalinata per andarsene da quel luogo di morte, si voltò una sola volta a fissare il mare di cadaveri, il corpo orrendamente sfigurato di Shaw che spiccava al centro come una tremenda rosa tra il sangue. 

Un sospiro soltanto, ma sua madre già riempiva la sua testa, attuendo il suo dolore con la determinazione a perseguire lo scopo per cui si trascinava da sedici anni.

Nessuna lacrima venne versata per la morte di Shawn l'orbo. 
 
 

  
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