Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: Il Cavaliere Nero    29/12/2012    3 recensioni
Quali sono le caratteristiche di un abile detective? Cosa rende un investigatore il migliore di tutti? Un pensatore razionale differisce da un freddo calcolatore quanto una volpe dal fiuto fino da una tigre assetata di sangue, ma talvolta questa differenza sbiadisce e il confine diviene labile: chi è la volpe, chi è la tigre? Qual è il limite? Shinichi Kudo dovrà scoprirlo.
Estratto dal primo capitolo:
“Bene. Di cosa preferisce che io l’accusi, signore? Diffamazione o incitazione al disturbo dell’equilibrio pubblico?”
Ran afferrò Conan per le spalle, presagendo l’esito della conversazione: Kogoro era in trappola. Non aveva a disposizione la collaborazione della polizia, anzi: non poteva aprire le indagini se non deviando dai sentieri della legalità.
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo Quinto

Fiducia

 
 


 
Shinichi abbassò lievemente le palpebre, cullandosi in quella sinfonia notturna di vento tra le foglie. Da quando quel monaco era morto, non s'era fermato un istante: il piano, Haibara, Agasa, l'autopsia, e le ossa che si fondono come ghiaccio in acqua gelida, producendo lo stesso inquietante sibilo.
Non l'avrebbe mai ammesso, ma si sentiva stanco; tanto stanco da percepire una presenza alle sue
spalle solamente quando la figura fu a pochi centimetri da lui.
Preso in contropiede, in un momento di pieno rilassamento d'ogni muscolo, quel dormiveglia per un attimo gli fece dimenticare di trovarsi al sicuro in albergo, e il presentimento che dal giorno prima l'assaliva lo aggredì, parandosi violento tra i pensieri assopiti.
Si voltò di scatto, alzando oltre la testa una mano  mentre ruotava il busto: due azioni in un unico momento, rapido come un felino. Solo quando il braccio destro sollevato in aria caricò il colpo di difesa, scoprì Kyoko scrutarlo intimorita.
“La…la disturbo?”
Sgranò gli occhi, ricomponendosi.
Hattori era tornato in salone, richiamato da Kazuha; uno sguardo riconoscente era stato il saluto della buonanotte, mentre la ragazza con i capelli legati in una coda lo trascinava su per le scale, perché al piano terra le cose prendessero la loro piega.
Ran era avvampata, fingendosi ignara; e lui, sbuffando silenziosamente, si era trattenuto sulla terrazza, i gomiti appoggiati alla ringhiera, la natura a tranquillizzare un po’ l’ansia crescente. Dovuta a cosa, poi? Cos’era quel presentimento?
“N…no.” Rispose, sorpreso: l’aria di quella ragazza impertinente appariva più docile, in un certo senso.
“Mia madre è nella sua stanza.” L’informò, arrestandosi di fronte a lui, piuttosto distante però.
Come a mantenere un limite di sicurezza tra i loro corpi.
“Oh…” replicò, grattandosi la nuca.
-E allora?- aggiunse nella sua testa.
Teneva lo sguardo basso, torturandosi le mani congiunte in grembo.
A Shinichi parve incerta, confusa.
-Combattuta…- capì, riportando alla mente l’alibi, con ogni probabilità falso, fornito dal signor Ikku quel pomeriggio.
Ma ricordò anche le parole dure pronunciate con tono fermo, e l’energia indomita da fiero investigatore spense la scintilla di tenerezza che già sorgeva.
Semplicemente, annuì, incrociando le braccia all’altezza del petto.
Lei emise un sospiro rumoroso, gonfiando le guance. Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio con due dita, poi rivolse attenzione al panorama sottostante.
“Mia madre è nella sua stanza…ad aiutare mio padre con quel vecchio ingranaggio.”
Alcuni credono che il linguaggio tradisca un pensiero, che dalla forma possa trapelare l’essenza: ‘mia madre’, ‘mio padre’, aveva detto; non ‘mamma’, non ‘papà ’.
Il rispetto formale filtrava distacco essenziale?
“…che è poi lo stesso citato nel suo alibi. Si tratta semplicemente di un vecchio orologio a cucù.”
Ammise, gli occhi puntati oltre il balcone.
“Quindi l’alibi era falso.” Decretò il liceale, assottigliando gli occhi: non che avesse bisogno di quella dichiarazione, aveva già capito la bugia. Ma una testimonianza deteneva indubbiamente un valore legale maggiore di un’intuizione.
Pensando che volesse proseguire, aspettò; ma Kyoko tacque, massaggiandosi un braccio con la mano.
“E dov’era allora tuo padre stanotte?” si decise a domandare, professionale.
“Nella valle vicino il bosco.” Rispose sorprendentemente senza obiezioni.
“Dove si trova il tempio.” Precisò Kudo, poggiando il bacino alla ringhiera della terrazza.
Lei annuì:
“Sì.” Disse “Ma mio padre si trovava lì solo perché voleva recuperare la statua del Vecchio!!” dichiarò animosa, alzando il tono di voce, ma non lo sguardo; quello era sempre fissato su ogni punto, fuorché Shinichi.
“Quell’erma?” la voce del giovane tradì sorpresa “Il monaco l’ha lanciata nel dirupo, come pensava di riprenderla?”
“Con una fune e un bastone!” s’affrettò lei, stringendo le mani sul petto. “In cima al bastone aveva legato una specie di uncino, per afferrarla!”
“Per issare quel blocco di marmo, più che a un bastone sarebbe dovuto ricorrere a un tronco d’albero.” Commentò ironicamente, più rivolto a se stesso che alla ragazza in piedi di fronte a lui.
Credette che il detective non credesse al suo resoconto, e prese veemente la parola: “E’ vero, glielo giuro! E’ andato lì per questo, ma ha sentito un rumore provenire dal tempio e ha pensato d’aver svegliato il monaco, perciò  è tornato indietro!”
“E perché non ce l’ha detto, oggi pomeriggio? Perché si è inventato un alibi falso?” le domandò, severo.
Lei non tentennò: “ Perché sapeva che avreste sospettato di lui! E poi perché siete detective.” Aggiunse, e Shinichi colse in quell’ultima parola una vena d’ irriverenza. Ma in quel discorso risiedeva certamente incoerenza; e lui non tardò a rendergliene conto:
“E allora perché tu ora mi stai raccontando questo? Sono un detective.” Imitò il suo tono sprezzante, accompagnando quel nome ad un sorriso orgoglioso.
La ragazza sussultò, permettendo alla frangia di nascondere gli occhi; certo non poteva rivelargli d’averlo spiato durante la conversazione con Hattori. Il discorso rivolto all’amico di Osaka era servito infatti anche ad aprire la mente di Kyoko: le sue parole erano sembrate sincere alle orecchie della adolescente, e la riconoscenza dell’amico tanto spontanea da non lasciare spazio ad alcun dubbio.
Le erano tornate allora in mente le parole di Ran, che le aveva peraltro fatto un’ottima impressione:
 
“E’ un peccato che lui non sia qui. Sarebbe riuscito subito a farti cambiare idea.”
“Di chi parli?”
Ran era riuscita a catturare l’attenzione di Kyoko.
“Di Shinichi Kudo.” Rispose tutto d’un fiato “Ne hai mai sentito parlare?”
La giovane scosse la testa.
“Se è un altro detective, preferisco non sapere chi sia.”
“Sì, è un investigatore…ma credimi, se fosse qui cambieresti subito idea.”

 
E aveva deciso di fidarsi.
“E’ la verità, mi deve credere.” Ignorò la sua domanda, proseguendo con l’apologia. I pugni stretti tremavano lungo i fianchi.
E Shinichi decise d’ignorare la richiesta fatta poc’anzi, per riproporle quella precedente.
Proprio come successo durante la cena, lui le aveva domandato:
“E’ davvero questa la verità?” i muscoli del volto contratti per l’importanza della frase.
Kyoko tentennò per un pò, finchè non si decise ad alzare lo sguardo per incontrare gli occhi blu come l'oceano del detective prima tanto detestato: si perse, credendo d'aver visto un guizzo della sua anima grazie a quello splendore celeste. Si schiarì la voce, prima di rispondergli:
"Sì...questa è la verità."
Lui ricambiò lo sguardo, rimanendo zitto. Quindi l'espressione del volto si distese in un sorriso accondiscendente:
"Va bene. Ti credo, Kyoko."
Abituato nei panni d’un bambino di sette anni, non badò a darle del lei, come faceva la ragazza nei suoi confronti. Infatti allargò leggermente gli occhi, evitando comunque di chiedergli d’usare un certo distacco:
non le parve necessario.
 
§§§
 
Dal suo arrivo a Tokyo, ripensandoci, non aveva potuto fermarsi un minuto: gambe e mente allo stesso tempo lavoravano frenetiche per giungere ad un unico scopo.
Quella sera però era, forse, finalmente giunto un attimo di quiete; se non mentale, almeno fisico. Avrebbe solo dovuto inserire quel dischetto e controllare, per l’ultima volta, i dati scritti sino ad allora  in notti trascorse insonni per le richieste di quell’idiota.
Accese il pc nel sotterraneo, adibito da qualche mese a laboratorio, e sulla schermata s’aprì la spirale genetica utilizzata come modello per gli studi sull’apotoxina 4869; sorrise, pensando che certamente i dati non sarebbero stati cancellati e rimossi in dissolvenza dal virus informatico Night Baron, com’era accaduto invece tempo addietro. Sporgendosi lievemente verso il monitor illuminato, prese a far scorrere rapidamente il cursore del mouse.
 
§§§
 
Quella mattina, a Oki, per Ran il sole sorse in anticipo, affacciandosi sulla scena aerea tra nuvole di zucchero filato: la presenza di Shinichi l’aveva rinfrancata.
Portò le braccia intorno alla testa, dopo aver deciso di rimanere ancora un po’ distesa al calduccio sotto le coperte nonostante fosse sveglia; ripensò al giorno prima, ripercorrendo con la mente l’operato di Shinichi. Aveva dato, persino a lei che lo conosceva da anni, l’impressione d’essere circondato da un’aura di risolutezza simile a quella che aleggia attorno alle sagome degli ispettori: dava ordini con sicura autorevolezza, conduceva l’indagine con mano ferma,  portando ciascuno ad ubbidire alle sue disposizioni quasi senza capacitarsene. Eppure, i suoi modi rimanevano quelli di un detective: non aveva tradito la sua natura neppure per un breve istante.
I poliziotti, tra cui spiccava in negativo Chika, avevano immediatamente mutato atteggiamento dopo un’iniziale strafottenza nei suoi confronti, probabilmente consapevoli di non trovarsi davanti ad una persona comune. Le dispiaceva ammetterlo, ma Shinichi era stato molto più in gamba di suo padre, che alle minacce di Kiichi non aveva saputo replicare.
Aggrottò le sopracciglia: forse non le dispiaceva poi così tanto, ammetterlo.
Dai tratti austeri,  il suo amico d’infanzia non aveva trovato alcuna difficoltà ad assumere invece aria bonaria, confidenziale, quando aveva parlato con Hattori; sapeva di essere arrivata ad origliare a discorso quasi terminato, ma le parole di Shinichi le avevano comunque scaldato il cuore, considerando poi che persino Heiji, tanto sconvolto il giorno prima, in poco meno di qualche minuto era tornato irruento ed estroverso come  non fosse successo nulla.
Shinichi gli aveva porto la mano perché si rialzasse, sapendolo sorreggere con prepotente mitezza:
 
“E poi tu non l’hai costretto a liberarsi della statua, mi pare che sia stato lui con le sue mani a gettarla in quel burrone! E vuoi saperla una cosa? Quando ho esaminato il suo cadavere, ho visionato anche il suo volto: e lui sorrideva. Capisci cosa significa? Nel momento della morte ha capito di non avere scampo, eppure era contento perché sapeva che, con quel gesto, s’era meritato la benedizione eterna, se davvero esiste un aldilà ultraterreno. Non sappiamo come siano andate le cose, forse sarebbe morto comunque; tu gli hai salvato l’anima!”
 
 E con affettuosa severità:
 
“Se davvero vuoi rendere giustizia a quel monaco, scopri chi è il colpevole! Risolvi il caso: a qualunque costo!”
 
A dispetto dell’apparente aria strafottente e sempre seccata, Shinichi celava animosa sensibilità, nutrita poi da una grande altruismo: lo aveva capito da molto tempo. Probabilmente dalla notte in cui l’aveva aiutata a salvare la vita di quel criminale dai capelli argentati*, esprimendo con una semplice frase tutto il suo buon cuore:
 
“Non capisco il motivo che spinge una persona ad ucciderne un’altra, ma salvare una vita…perché ci dovrebbe essere un motivo?”
 
Aveva realizzato allora d’amarlo!
Amarlo…e lui? Lui l’amava? Ripensare agli eventi di Londra le mandavano il sangue alla testa, causandole un battito cardiaco accelerato e confuso: prima si ripeteva le parole del ragazzo, cullandosi nella certezza che i suoi sentimenti fossero ricambiati; subito dopo però sussultava, temendo qualche fraintendimento, presagendo un passo indietro, sicura d’averla costretto alla dichiarazione. Per telefono
non ne avevano più parlato, eccezion fatta per un misero tentativo durante le indagini sull’investigazione del padre, Yusaku, con Sonoko che le suggeriva le parole* –“Ti amo anche io, ti amo anche io!”. Quindi aveva però deciso che una situazione tanto complicata meritasse un colloquio faccia a faccia, non un rapido scambio di battute attraverso la cornetta del telefono, che persino rendeva talvolta la voce di Shinichi tanto gracchiante da darle l’impressione di udire gemiti e versi proprio d’un bambino.
Quell’occasione non era da sprecare: Shinichi si trovava lì, a pochi passi di distanza da lei; sarebbe stato sufficiente approfittare d’un attimo di distrazione degli altri, al limite chiedergli di parlare in privato…gli occhi si tramutarono in due puntini, al solo pensiero di specchiarsi negli occhi di Shinichi mentre gli chiedeva di appartarsi per chiarirsi.
Sbuffò, issandosi sui gomiti per alzarsi dal letto; eppure la sera prima s’era sentita animata da grande coraggio! Aveva atteso pazientemente finchè Hattori non lo avesse lasciato solo, e fortunatamente Kazuha l’aveva afferrato per un braccio per poi trascinarlo al piano di sopra –Fortunatamente? Ran dubitava si trattasse d’un caso, ma lì per lì non aveva dato molto peso ai due amici: c’era qualcosa che le premeva maggiormente!- .
E quando finalmente il detective era sulla terrazza, appoggiato alla ringhiera con i gomiti, aveva inspirato profondamente, facendo per accostarsi a lui. Ma i lineamenti dell’amico s’erano distesi per la prima volta in quella lunga e faticosa giornata, e i suoi occhi s’erano assottigliati placidamente in uno stato di riposata pace dei sensi. Perciò si era trattenuta dietro la tenda, contemplando la bellezza achillea del giovane amico: i capelli scompigliati dalla brezza serale, gli occhi luminosi puntati in un luogo imprecisato dell’orizzonte celeste, il volto reso pallido dal chiarore delle stelle.
S’era incantata a scrutarlo, abbandonandosi ad un flebile sospiro: possibile che l’amasse? Che Shinichi amasse lei, tra tutte? E in quali idee approdava la sua mente, cosa pensava nei momenti di quiete?
Improvvisamente però i muscoli distesi si erano nuovamente contratti, pronti a sferzare l’aria in un mossa di difesa: alle sue spalle era comparsa Kyoko.
Li aveva sentiti parlare ed era rimasta sorpresa dal repentino mutamento della giovane sedicenne; certo le faceva piacere che Shinichi fosse riuscito ad impressionare anche lei, tanto restia a collaborare con la giustizia, ma quel tono di voce le era sembrato fin troppo delicato, i suoi modi di fare rivelano un coinvolgimento inadeguato.
 
“Va bene. Ti credo, Kyoko.”
 
E poi perché l’aveva chiamata per nome?
La distesa autorevolezza cui era ricorso con Hattori prendeva, ai suoi occhi, la forma di dolce accondiscendenza nei riguardi della Kakeshi.
Cercò di cacciare quella sgradevole sensazione dalla testa, lasciando cadere la camicia da notte a terra, rimanendo così nuda;  una doccia le avrebbe restituito la serenità con la cui compagnia aveva aperto gli occhi al risveglio. Non c’era motivo di indispettirsi per un interrogatorio.
-Già…perché quello di Shinichi e Kyoko ieri sera è stato un interrogatorio!- si ripetè mentalmente, cercando inutilmente di convincere se stessa.
Certamente ignorava che, la sera prima, nel momento di ristoro, quando il vento della sera lo accarezzava, Shinichi s’era perso pensando a lei, la sua gelosa amica d’infanzia.
 
§§§

Fiducia.
Esiste parola più ricca di significati, pregna di emozioni sottese, gonfia di speranze spropositate, prodiga d’assensi a priori? Tacito patto sotteso di sguardi rapidi e sorrisi fugaci.
Accordo di promesse ineffabili.
Non è un emozione facilmente gestibile, e solitamente è meglio evitarla accuratamente: fidarsi di qualcuno comporta un ampio numero di rischi, che spesso accompagnano alla rovina con il corteggio d’un sorriso beffardo, proprio della derisione rivolta a se stessi. Come si dice: oltre il danno, la beffa.
“E tutto questo perché? Perché mi sono fidata di lui!”
E’ il primo rimprovero a muoversi nella calma piatta della delusione latente.
Ma in fondo, a ferire il cuore graffiato non è il presunto tradimento, quale infatti non è in realtà, della persona prima fidata, ma la consapevolezza d’essere stati artefici del proprio destino e avere miseramente imboccato la via scorretta. Chi davvero vuol definirsi cosciente, sa che la colpa non appartiene a chi ha tradito la fiducia, ma risiede unicamente in chi ha mal riposto la fiducia. Specialmente se la persona in questione non l’ha neppure richiesta.
Una serie di infinite aspettative deluse spalancano la voragine incandescente della disillusione frustrante, e divorano dall’interno  le pareti dell’anima, aprendo alla via della commiserazione di sé, alla presa di coscienza d’una sedicente ingenuità, precludendo qualunque altra strada al rapporto umano. Ne conseguono sospetto, timore, diffidenza, misantropia in una scala crescente di sentimenti avversi al proprio io, prima che al mondo circostante.
Che cosa significa, infatti, fidarsi?
Trovare la tua anima nel cuore d’un altro, e così riporre te stesso nelle sue mani.
Oltre ogni esitazione, superando ogni tentennamento, ignorando ogni dubbio: aver fede nella completa concordia delle vostre intenzioni, a scatola chiusa.
Sapere di condividere il medesimo parere, senza necessità di verificarlo. E se l’altro pure non avesse la tua stessa opinione, sapere che la perpetuerà con forza maggiore della tua; e seppure tu non avessi la sua stessa idea, sapere che la isserai con più convinzione di quanta ne avrebbe sopportata lui.
Perché se tu nutri quell’opinione, devi avere un motivo valido. Ed è sufficiente per agire.
Perché se lui è impantanato in quella convinzione, devono esserci radici che lo sostengono. Ed è sufficiente per essere d’accordo.
Vicendevole aiuto, difesa reciproca, mutuo sostegno.
Ovvero, salto nel buio: non sai perché stai agendo, sai soltanto che lo stai facendo.
Ti affidi completamente alle sue decisioni, alimentando in te la speranza siano guidate da una stella polare luminosa, ben visibile a distanza e non nascosta dalle tenebre degli arrivismi, dei tornaconti personali, della corruzione, dei giochi di potere. Qualunque scelta prenda, seguirla, condividerla, percorrerla a tua volta senza che la tua sicurezza sia offuscata, anche per un solo istante, dal dubbio dell’incertezza.
Interpretare al meglio ogni sua parola; scovare nelle sue molteplici espressioni vari modi d’apparire d’un’unica sostanza*, che è la sua anima buona. Riconoscere nel suo errore, la volontà d’agire bene: rispondere: “Ha sbagliato, ma almeno ci ha provato…e aveva buone intenzioni.” non come pretesto per giustificare te e la tua fiducia mal riposta, ma come vero pensiero,  dove irrazionalità, logica e speranza coincidono a suo favore. Perché la ragione e la non ragione si equivalgono, e puoi udire chiaramente i suggerimenti della mente accordarsi armoniosamente con gli istinti del cuore, affinché tu lo segua senza neppure conoscere le sue intenzioni; poiché tu già le conosci, in quanto sono i progetti della tua anima tramutate in azioni dal suo cuore.
E se ti fidi di un altro, allora devi fidarti anche delle persone cui lui si rimette: anche se non le conosci, anche se non ne hai la piena convinzione, anche se la tua prima reazione sarebbe quella di interporre indugio. Ti devi lasciare andare, senza esitazione, solo comprensione.
Se lui si fida, devi farlo anche tu.
Buio splendente, luce oscura.
Immobilità dinamica, movimento statico.
E come avere la certezza di potersi fidare? Come scoprire se la persona in questione è degna di fiducia?
Non puoi.
Perciò è un’esperienza rischiosa: perché devi farlo, e basta. Da un momento all’altro potresti scoprire d’aver sbagliato, ed essere costretto a cambiare bersaglio.
E mentre ti fidi, esiti: e mentre ti rimetti all’equilibrio di qualcun altro, barcolli. E mentre assecondi le scelte di un altro, tentenni; e mentre ripeti le parole di un altro, balbetti. E mentre percepisci il cuore di un altro battere, il tuo perde un colpo… Se ti costringi a fidarti:  perché è giusto così, perché meglio, perché così va fatto.
Ma se tu ti fidi: se non sai perché, eppure ti fidi; se sai perché e, nonostante, ti fidi; se non devi riflettere, valutare, ponderare, e solamente ti fidi…Allora, l’altro si solleverà in volo, e tu con lui.
L’altro camminerà, tu marcerai. L’altro aggredirà, tu conquisterai. L’altro si rallegrerà, tu gioirai. L’altro pronuncerà, tu griderai dando voce forte ai polmoni pulsanti.
E la fiducia sarà così l’emozione più bella, esauriente, appagante di qualunque altro sentimento: perché potrai rimetterti nelle sue mani, con la convinzione che tutto andrà bene. Avrai la possibilità di contare su qualcuno ad occhi chiusi:  percorrere una strada già battuta, sapendo che non troverai dirupi ad attenderti, ma solo sentieri lineari.
E Ran non aveva deciso di fidarsi di Shinichi: lei si fidava, semplicemente.
Perciò era convinta che Kyoko avesse detto la verità, perché lui ne era convinto. Eppure, in lei la fiducia spesso prendeva a scontrarsi con la gelosia: e la consapevolezza che il suo amico d’infanzia avesse così facilmente creduto alla giovane, se da una parte la tranquillizzava per il suo buon cuore, dall’altra l’allarmava per la sua complicità.
E le occhiate, gli sguardi, i sorrisi non le piacevano: perché si comportavano così?
Cosa provavano?
In una condizione di scintille scoppiettanti, quale era il camino del suo animo, sarebbe stata sufficiente una scintilla a farla divampare: e fu esattamente quello che accadde.


*°°°°*

 Precisazioni:
 
*(…) criminale dai capelli argentati: In realtà Vermouth, ma Ran non lo sa. Caso di Shinichi a New York, volume 35.
* indagine di Yusaku Kudo: file 813.
* Vari modi d’apparire d’unica sostanza: espressione del filosofo Spinoza.

 
*°°°*

Note dell'autrice:
 
Carissimi!
Mi rendo conto del ritardo, ma devo ammettere che non avrei postato non fosse stato per Roxina! Glielo avevo promesso, e nonostante l’attesa, ho mantenuto il patto (Prrrrr!)
Tuttavia il capitolo è più corto degli altri aggiornamenti, perché il momento non è dei migliori per me: a Gennaio avrò i primissimi esami universitari e, sapete come, dovrei anche studiare xD Perciò scusatemi se sono così frettolosa e se risponderò con un po’ di ritardo alle vostre recensioni ma davvero, il periodo è dei peggiori al momento, causa impegni.
Confido possiamo ritrovarci a Febbraio…e che gli esami abbiano avuto buon esito XD
Un grande bacione!!!
 
Cavy







 
   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: Il Cavaliere Nero