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Autore: peaceloveanddream    05/01/2013    1 recensioni
"The Kill è una canzone che riguarda la relazione con te stesso. Riguarda il confrontarti con la tua paura e confrontarti con la verità su chi sei realmente.''
Scrisse quel brano da adolescente ponendosi mille dubbi su chi fosse realmente, ma decise di non scoprire mai la verità costruendo castelli di sabbia che verranno abbattuti dal suo vero essere.
Genere: Romantico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5.
-Jared, tutto bene?
Annie, la mia segretaria, si sta preoccupando per me.
Prende piano il palmo ferito ed osserva quella medicazione primitiva. Sento che mi sta ponendo mille interrogativi, ma quel semplice gesto mi ha riportato alla memoria, lei.
Scuoto appena il capo e cerco di tranquillizzarla.
-Annie, stai tranquilla non mi sono mai sentito meglio.
“Falso!”
Inarco un sopracciglio e la osservo sorridendole, so che anche a lei non la darò facilmente a bere, ma almeno devo tentare.
La mia segretaria mi volge un’ultima occhiata, apparentemente tranquilla, ma so perfettamente che quello sguardo è come una fotografia che si sarebbe studiata in un secondo momento.
- Seguimi, gli altri ti stanno già aspettando.
Mi sorride cercando di nascondere, così, la sua preoccupazione e mi fa cenno di seguirla.
Inizialmente esito: anche Adele mi aveva chiesto di seguirla.. e se avessi commesso nuovamente quell’e(o)rrore con Annie? Se già non mi perdonavo Adele, che conosco da quarant’otto ore sì e no, figuriamoci con Annie!
Ma poi una vocina nascosta in qualche remota periferia della mia mente mi sussurra di stare tranquillo, il cervello non commette mai due volte lo stesso errore, o almeno cerca di avvertirti.
Così la seguo fra le vaste sale di quel teatro dove avevamo deciso che si sarebbero svolti i provini.
Shannon e Tomo sono già seduti in prima fila e parlottano fra di loro, li raggiungo e, dopo averli salutati, mi siedo fra i due.
Cala il silenzio più assoluto e i provini hanno inizio, non si sente nient’altro se non la voce della ragazza che stiamo mettendo alla prova e i leggeri passi di Annie che sta venendo verso di me per portarmi il caffè che le ho chiesto.
Non presto molta attenzione hai provini, ho ben altro a cui pensare, così lascio, mentalmente, il mio lavoro al co-regista che siede alla mia destra e al mio uomo delle telecamere che, invece, siede alla mia sinistra.
Questa notte quando tornai all’albergo ero sconvolto, distrutto sia fisicamente che mentalmente: cosa avevo fatto?
Proiettai l’immagine di quel corpo esile, scosso dai continui singhiozzi nella mia mente una, due, tre, mille volte, ed ogni volta che riproiettavo il tutto, un particolare, raccapricciante a mio viso, si faceva più evidente: la paura pura disegnata nei suoi occhi assieme al mio riflesso dipinto, da lei stessa, come un mostro; il dolore corporeo di quando ho separato il mio corpo dal suo temendo di non riuscire a fermarmi se non mi fossi slacciato da lei; la sua pelle bianca, profumata, liscia divenire viola sotto la pressione dei miei baci quasi come se mi ripudiasse.
Non riesco a far altro che a pensarla e una lacrima, incosciente del solco che sta disegnando lungo il mio viso, scivola via al mio controllo.
Mi asciugo frettolosamente la guancia, sperando che nessuno si sia accorto di questa debolezza argentea, ma né Shannon né Tomo fanno domande.
Sorseggio un altro goccio di caffè.
“E’ forte!”
Penso, ma in fin dei conti dovevo immaginarmelo da Annie: le mie occhiaie non passano inosservate, soprattutto ad un occhio attento e vigile come il suo!
Emetto un lungo respiro e inizio a concentrarmi sul mio lavoro cercando così di dimenticare, almeno per un po’, Adele.
 
Finalmente la mattinata è terminata.
Nessuna delle ragazze che si sono presentate mi ha davvero colpito, forse una certa Cynthia, o forse mi ha colpito solamente perché è stata la prima (e ultima) ragazza che ho davvero ascoltato.
Mi avvicino alla sala dove è allestito il buffet per il pranzo, ma qualcuno mi afferra per il braccio e mi tira via dal pasto tanto desiderato.
-Non ti lascio andare a mangiare finchè non mi dici cosa ti prende.
Shannon mi osserva attentamente con un’aria seria e le braccia conserte.
Lo guardo stralunato: sa perfettamente che non bisogna mai, e sottolineo mai, disturbarmi quando sto per nutrirmi eppure lui è qui davanti a me ad ostacolarmi.
-Non ho nulla, perché?
“Fingi, non hai altra via di uscita.”
Non posso far altro, come giustamente suggerito dalla ragione, eppure sento che a lui posso dirgli tutta la verità: è mio fratello, ma la vigliaccheria in queste circostanze fa da padrona.
Shannon non è convinto, oh no se non lo è: mi toglie con un movimento netto gli occhiali, tanto da farmi male, e inizia ad indicarmi l’occhio, poi la fasciatura.
-Ah, no? L’occhio? Non provare a dirmi una rissa perché te sei sempre scappato durante una rissa! - Non posso mentire a qualcuno che ha vissuto con me per tutta la vita. – E la mano? Perché vogliamo parlare della lacrima di prima?
Voglio controbattere, fuggire, ma inizio ad essere stanco della mia ignavia.
Emetto un lungo sospiro e abbasso lo sguardo.
-Shannon, io..
Balbetto queste due parole con fatica, quando improvvisi terremoti si impossessano del mio corpo: scoppio a piangere davanti a mio fratello e, come un fiume in piena, racconto tutto, dalla prima serata in discoteca, al palo, fino alla serata scorsa, senza omettere alcun particolare.
Ascolta il tutto senza pronunciarsi, pesando ogni singola parola, come un giudice imparziale sente il suo imputato.        Non so cosa stia pensando e questo mi turba ancora di più, ma quando termino il racconto, io, mi sento molto più sollevato.
Alzo lo sguardo verso il mio giudice che non fa altro se non abbracciarmi.
Rimango di stucco. Inizialmente esito a stringerlo a me, ma poi crollo, crollo come una casa di paglia durante un terremoto e lo stringo forte, mentre le lacrime continuano a scorrermi lungo il volto.
-Mi spiace Jared, ma ricorda che tutto si sistema.
Si stacca da me e mi da una pacca sulla spalla, il momento di amore fraterno è finito.
Apprezzo il suo comportamento, il suo consolarmi, ma questa volta non trovo altra via di uscita se non quella della vergogna.
-E come? Come posso rimediare? – Lo guardo fisso negli occhi: lui è il fratello maggiore, quello più saggio, quello che dovrebbe rimediare agli errori del minore! – Shannon, ti prego: aiutami.
Rimane in silenzio per qualche istante, puntualizzando il fatto che non ci sono rimedi, quando un lampo di genio lo trafigge.
-Portale dei fiori e spiegale, come hai spiegato a me, il perché del tuo comportamento e mi raccomando di una cosa. – Questa volta la sua faccia non era soltanto seria, ma anche spaventosamente minacciosa. – Sii onesto, se lo merita.
- Non credo che dei fiori possano mettere tutto a posto.
Gli faccio notare che non devo chiederle di uscire, ma mi devo far perdonare qualcosa che io stesso non perdonerei a nessuno.
Ride.
“Beato te che te la ridi.”
Penso, urtato da quella risatina di scherno.
-Non sottovalutare la potenza dei fiori e in fin dei conti non hai più nulla da perdere. – “Il ragionamento non fa una piega.” - e ora con il tuo permesso, vado a pranzare.
Sto per controbattere, come mio solito, ma la sua figura si è già dileguata nel buffet.
 
Avevo fatto prenotare un mazzo di calendule con qualche anemoni bianchi: lessi da qualche parte che le calendule sono dei fiori che si schiudono al mattino e si richiudono alla sera, tradizionalmente si pensa che piangono la partenza del sole ogni giorno; mentre gli anemoni bianchi significano desolazione, infatti, nella mitologia, si credeva che le lacrime di Venere, quando giungevano a terra, facevano spuntare questi fiori.
Inspiro il profumo di questi fiori sentendomi un po’ più fiducioso di ciò che sto per fare.
Mi sono preparato un discorso e l’ho provato tutta la serata davanti allo specchio.
“Neanche quando sei stato nominato all’Oscar.”
Rifletto, ma lei vale molto di più di quello!
Sono di fronte all’entrata del locale e io non devo entrare, ma devo solo trovare un modo per farla uscire.
Cammino su e giù in cerca di una soluzione, attirando su di me gli sguardi dei curiosi, quando un buttafuori si avvicina a me:
- Posso aiutarla?
Osserva i fiori che tengo in mano, non credo che molta gente si presenta all’entrata di una discoteca con delle calendule ed anemoni.
Guardo i fiori e poi lui,nuovamente i fiori e di nuovo lui.
-Si che può.
Affermo con un filo di voce, sperando che non mi avesse sentito così da poter scappare.
-Sono tutto orecchi, mi dica.
Sembra gentile e spero lo rimanga visto la stazza.
-Dovrebbe chiamare qua fuori una delle due bariste, si chiama Adele, la conosce?
Appena sente quel nome sgrana gli occhi, stupito dalla richiesta e se prima lo avevo delineato come una persona gentile, beh, mi sbagliavo di grosso.
-Non posso, se ne torni da dove è venuto!
Volta le spalle e sta per ritornare verso l’entrata della discoteca, ma gli afferro il polso, lo costringo a voltarsi e, una volta faccia a faccia, lascio cadere la mia mano nel portafogli dandogli una,due o più banconote di valore.
Il denaro corrompe tutto e tutti, mi sarei stupito solo se non avesse corrotto un buttafuori di una discoteca.
Conta i soldi con avidità e, appena terminato di fare due più due, mi chiede di attendere.
Sono impaziente: come avrebbe reagito?  E se non mi avesse voluto vedere? E se mi avesse urlato contro? O se peggio mi umiliasse davanti a tutti dicendo ciò che avevo fatto la sera precedente?
Ora le preoccupazioni aumentano, come la pressione e il battito cardiaco, sto per andarmene quando compare all’entrata: rimango estasiato nel vederla.
Avevo proiettato così tante volte quel corpo fragile contorcersi dal dolore, che avevo distorto la realtà.
Forse io stesso avevo creduto di aver fatto un gesto riprovevole: creduto, non fatto.
Una nuova gioia mi assale il cuore: forse non è più arrabbiata con me, ma quando si avvicina e rimane paralizzata nel riconoscermi, queste piccole speranze si infrangono come il mare contro gli scogli.
-Che ci fai qui, Thomas?
Mi osserva e poi sposta lo sguardo sui fiori.
Rimango paralizzato anche io per qualche istante, ma poi, a testa bassa le porgo il mazzo di fiori.
-Sono delle calendule e degli anemoni, significano desolazione e richiesta di perdono, Adele, io.. – Faccio un lungo respiro e tengo a mente solo un pensiero: sii il più onesto possibile. – Sono desolato, dispiaciuto, mortificato per ciò che ho fatto ieri, non ho scusanti, lo so perfettamente, ma se sono qui è perché voglio cercare di appellarmi al tuo perdono. Lo so non è semplice, ma vedi, ieri non ero in me: sono tre notti che non dormo, e ti assicuro che due le ho passate soltanto a pensarti e non faccio altro da quando ti ho vista l’altra sera in discoteca. Te non ti ricordi di me, ma io sì, e anche molto bene.
Mi hai fatto capire che la mia vita è una farsa, che vengo sfruttato da tutte le donne che mi si avvicinano. – La guardo appena: mi ascolta attentamente, rimanendo stupita di quanto le sto confessando. – ecco perché ruppi la bottiglia della birra, non fraintendermi, non l’ho fatto apposta, ma la rabbia che mi assaliva era così forte da farmi fare gesti che io stesso non farei mai. – Emetto un altro sospiro, l’ultimo di questa serata spero, - Adele, ciò che sto cercando di dirti è che non ti farei mai del male, perdonami ti supplico.
Alzo appena lo sguardo che subito si posa sul suo collo e su quei leggeri lividi che le ho procurato io con i miei baci, mi sento uno schifo, così fisso un punto neutro, vacuo, sperando che lei si accorga di questo disagio interiore che si sta manifestando in me.
-Thomas, ti ho già perdonato.
Mormora piano poggiando la mano sulla mia spalla.
Provo dolore e un’immensa gioia nel sentire quelle parole, mi sento come se nessuno può fermarmi e al contempo sono in pugno di una persona.
-Allora dammi modo di farmi perdonare meglio! – Le prendo la mano che aveva posato sulla mia spalla e la stringo con delicatezza, guardandola negli occhi con euforia. – Dammi la possibilità di invitarti domani a pranzo, te ne prego. – Era titubante, come darle torto? Così presi una decisione abbastanza azzardata. – Facciamo così, ti aspetto per l’una davanti a questo hotel se non ti presenti, giuro che non mi rivedrai mai più, altrimenti ti offro un pranzo.
Scrivo il nome dell’hotel dove alloggio su un pezzo di carta e glielo porgo, assieme a tutte le mie speranze e a tutta la mia gioia.
Lo prende fra le mani e lo infila in tasca frettolosamente.
-Ora devo tornare a lavoro, grazie per i fiori.
Fa un leggero sorriso e la vedo allontanarsi, riesco ad urlare solo dopo che è rientrata un ‘ci conto, davvero!’.

Note dell'autore: può sembrare un capitolo innoquo, ma credo che sia uno dei più importanti. Grazie di leggermi. : )
  
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