Capitolo II
Frammenti dal passato
Appartamento
del Tenente
Colonnello Sarah MacKenzie
Georgetown
Mac stava
facendo la valigia, sarebbe partita l’indomani
per le Hawaii con Clay per una quindicina di giorni. Non era stato
difficile
farsi dare quelle due settimane dall’Ammiraglio, aveva un sacco di
licenze in
arretrato da smaltire.
In sottofondo
Michael Bublé cantava “Feeling
Good”, una
canzone che si addiceva perfettamente al suo stato d’animo attuale.
Aprì
l’armadio e prese la scatola di stoffa dove erano
conservati i costumi da bagno. Per come la stava trattando Clay le
sarebbe
bastato partire con il solo beauty case del bagno, anzi a ben pensarci
nemmeno
quello! Avrebbe potuto andare all’aeroporto l’indomani in divisa e lui
le
avrebbe acquistato tutto ciò che le serviva, e anche qualcosa di più. E
naturalmente si sarebbe trattato di capi della miglior qualità. Per
Webb o il
meglio o niente per la sua donna.
Tuttavia non
voleva approfittarsene, anche se le piaceva
da matti come lui la stava viziando e coccolando, pertanto avrebbe
fatto la
valigia come se nulla fosse.
Era felice.
Aspettava con ansia quella vacanza da tre
settimane prima, quando lui gliel’aveva proposta. Sospettava che stesse
preparando qualcosa solo per loro due, ormai lo conosceva bene, ma non
riusciva
a capire cosa fosse. Da bravo agente CIA aveva mantenuto il più
assoluto
riserbo.
Ad ogni modo
era impaziente di partire e si sentiva bene
come non le accadeva da tempo.
Fischiettando
il motivo principale della canzone, aprì la
scatola e ne estrasse i costumi disponendoli sul copriletto per
scegliere quali
portarsi via e come abbinarli ai pareo e ai copri costumi. A tal fine
prese un
altro contenitore dal fondo dell’armadio e lo aprì estraendo, appunto,
i
coordinati ai bikini.
Passò poi
agli abiti estivi, e al resto della biancheria.
Quando fu
certa che tutto fosse pronto, aprì la porta del
ripostiglio, in corridoio, e prese il trolley, ma nell’estrarlo le
rotelle si
incastrarono in qualcosa e un mucchio di scatoloni cadde a terra
sparpagliando
il contenuto. L’occhio le cadde su una foto scattata tempo addietro da
Benzinger’s.
C’erano
tutti: lei, Bud, Harriet, Sturgis, l’Ammiraglio,
Mickey, Jennifer e Mattie. E naturalmente Harm. Tutti erano in alta
uniforme e
Mattie indossava un abito da cocktail davvero stupefacente. Era la sera
in cui
avevano festeggiato la promozione di Harm a Capitano…
L’Ammiraglio
li aveva convocati tutti in sala riunioni, e
a tutti era parso strano. Di solito non teneva briefing lì e gli ordini
li
comunicava nel suo ufficio.
“Ci sarà un
grosso cambiamento all’interno del JAG” esordì
AJ guardandoli uno ad uno. Non aveva aggiunto altro e aveva consegnato
un
foglio ad Harm.
“Procura
Militare, Forze Navali, Europa” lesse lui ad alta
voce. “Che vuole dire Signore?” chiese perplesso.
“E’ stato
assegnato a Londra, Comandante, partirà fra tre
giorni.”
“Come? Cosa?”
Harm era frastornato, nessuno gli aveva
parlato di un trasferimento. Non fino a quel momento.
“E’ un posto
da Capitano.
Mac si era
accorta che sotto il tono burbero
dell’Ammiraglio si celava una profonda tristezza. Perdeva il migliore
dei suoi,
il suo pupillo, il figlio che avrebbe voluto, il suo erede. Ma gli
ordini erano
ordini e andavano eseguiti senza discussioni. Se Harm era destinato a
Londra, a
Londra sarebbe andato.
E lei? Lei
che avrebbe fatto? Meglio non pensarci per ora.
“Sarà
l’avvocato con maggiore grado di anzianità di
servizio in Europa Comand… Capitano. È un trampolino di lancio verso il
JAG”
era intervenuto entusiasta Bud.
“Non ho
intenzione di dimettermi, Comandante Roberts, non
ancora per il momento” l’aveva redarguito brusco AJ.
Bud era
battuto in ritirata, scusandosi per la gaffe.
“E’
autorizzato a scegliere il suo staff. Solo, per
favore, cerchi di non fare a pugni in pubblico con il Colonnello per
decidere
chi dovrà restare e chi, invece, dovrà partire con lei. Certo sarebbe
qualcosa
cui siamo tutti abituati, ma evitatelo. Intesi?”
Harm e Mac si
guardarono, ancora increduli.
“Sì Signore”
risposero poi.
“E’ tutto,
potete andare” li congedò l’Ammiraglio, la voce
ferma, ma non troppo.
Si
ritrovarono fuori dalla sala riunioni.
“Cos’è
accaduto?”
“Credo che il
nostro mondo si sia rovesciato” le rispose
Harm.
“Capitano…”
lo squadrò lei. “Non avrei mai pensato che ti
avrebbero promosso, specialmente dopo il Paraguay.”
“Non me
l’aspettavo nemmeno io” rispose. “Non ti
preoccupare il tuo turno arriverà presto.”
“Non essere
condiscendente per favore” rispose piccata,
“non lo sopporto.”
“Non volevo
essere condiscendente, cercavo di essere
solidale.”
Mac tornò
alla propria stanza e si sedette pesantemente
sulla poltrona. Tre giorni e poi lui se ne sarebbe andato a Londra per
sempre e
ancora fra loro tutto era come prima.
Londra…
Non era
accaduto nulla, anzi le cose erano peggiorate a
tal punto che, alla fine, Mac aveva benedetto la partenza di Harm.
Raccolse gli
oggetti e li rimise a posto, ma trattenne
ancora un attimo in mano la foto.
Aveva tanto
sperato che dopo quel bacio tutto sarebbe
andato a posto! E invece Harm aveva, come suo solito, male interpretato
la
situazione che si era creata con Clay dando così un calcio alle sue
speranze.
Al tempo lei
non aveva nessuna intenzione di far entrare
Webb nella sua vita. Voleva il suo marinaio dallo sguardo di mare,
voleva le
sue braccia intorno a sé, le sue labbra per sé, e quando Clay si era
nuovamente
affacciato alla sua esistenza, Harm non le aveva dato il tempo di
spiegarsi.
Era l’ultima
sera che Harm avrebbe trascorso negli States,
si sarebbe aspettata che organizzasse un qualcosa con tutti gli altri,
e invece
lui non aveva detto o fatto alcunché, per cui, nella speranza di in
colloquio
chiarificatore definitivo, si era risolta ad invitarlo a cena a casa
sua.
Voleva
mettere un punto fermo alla loro non-storia, e
forse la scadenza definitiva che quel trasferimento rappresentava
l’avrebbe
fatto decidere.
Radunò le sue
cose e uscì dall’ufficio. Avrebbe voluto
uscire prima, ma all’ultimo minuto un contrattempo l’aveva bloccata e
adesso
era un po’ in ritardo. Desiderava preparare una cena degna di questo
nome. Se poi
era l’ultima che avrebbero consumato insieme…
Meno male che
Harm era un ritardatario cronico!
Sulla via di
casa si sentiva triste. Un pezzo della sua
vita, un pezzo importante, se ne stava andando. Un capitolo si
chiudeva, ma Mac
non voleva che si chiudesse, desiderava giungere ad un inizio con Harm,
anche
se lui sarebbe stato lontano. In qualche modo avrebbero fatto.
Sì, quella
sera, a cena, gli avrebbe parlato, gli avrebbe
aperto il cuore, gli avrebbe confessato tutto senza giri di parole,
senza fronzoli.
Presa quella
decisione si sentì meglio.
Parcheggiò
sotto casa e salì. La sua previdenza l’aveva
spinta a riempire la dispensa il giorno prima, anche se la decisione di
invitarlo a cena l’aveva presa solo quella mattina.
Girò la
chiave nella toppa e aprì la porta. Il profumo di
centinaia di rose la colpì in pieno. Frastornata entrò
nell’appartamento
pensando per un attimo di aver sbagliato. Ma dopo aver acceso la luce
si
accorse che quella era proprio casa sua, completamente invasa da rose
rosse.
Ce n’erano
ovunque, in salotto, in corridoio, in camera,
in bagno e persino in cucina! Tornò verso l’ingresso, sperando di
trovare un
biglietto che le dicesse chi fosse il folle che aveva speso
un’autentica
fortuna per mandarle tutti quei fiori, ma non c’era nulla. Alla fine
rinvenne
una piccola busta posata con cura sul tavolo da toeletta in camera da
letto. La
aprì.
‘Per la più bella delle rose’
c’era scritto. Non era
firmato, ma aveva intuito da chi provenissero tutti quei fiori: Clay,
non
poteva che essere stato lui.
E adesso? Che
fare?
Guardò
l’orologio. Non le restava molto tempo a
disposizione se voleva sgomberare il più possibile l’appartamento e
preparare
la cena.
Prima di
tutto si ficcò sotto la doccia per togliersi la
stanchezza della giornata. Dopo dieci minuti era fuori e stava mettendo
l’acqua
per la pasta a bollire. In attesa che bollisse avrebbe cercato di
sistemare i
mazzi di rose in stanze dove era certa Harm non avrebbe messo il naso.
Che
imbarazzo! Ma cosa era venuto in mente a Clay?!
Purtroppo
l’impresa si rivelò una fatica di Sisifo, perché
Harm arrivò puntuale all’orario prestabilito. E lei non era ancora a
metà
dell’opera!
Una parte dei
numerosi mazzi li aveva sistemati sul
balcone, disponendoli nel maggior numero di vasi possibile, altri erano
finiti in
camera da letto, altri ancora nel piatto doccia, nondimeno ne restavano
ancora
alcune decine in salotto, e Mac non sapeva più da che parte metterli.
La cucina
era impraticabile, fra padelle, piatti, posate e tutto il resto.
Stava
decidendo dove mettere le dannate rose quando il
campanello suonò e contestualmente la porta si aprì.
“Harm?!”
esclamò incredula.
“Per una
volta tanto sono in orario e tu ti lamenti?” le
aveva risposto lui divertito. Poi aveva annusato l’aria della casa
percependo
l’aroma dei fiori e, entrato, aveva dato una lunga occhiata al salotto
notando
i numerosi mazzi di rose.
“Cosa è
accaduto Mac? Il fioraio qui sotto non aveva più
spazio nella sua serra?” le chiese.
“Già… il
fioraio. Magari fosse stato questo” rispose.
“Cosa è
successo allora? Sembra di stare in una giungla di
rose rosse” disse spostando un mazzo e facendo posto sul divano.
Mac era
imbarazzata. Non sapeva cosa dirgli, una bugia le
avrebbe evitato guai, conoscendo la naturale ‘simpatia’ che Harm
provava per
Webb, ma quella era la sera della verità per cui decise di essere
sincera.
“Sono un
regalo di Clay” buttò lì.
“Ah” si
limitò a rispondere lui alzandosi.
“Guarda che
non è come pensi.”
“Io non penso
nulla. Vedo.”
“Harm per
favore non ricominciamo. Io neanche lo sapevo,
sono tornata e c’erano… queste” disse indicando i fiori, “sparse per
tutta la
casa.”
“Però ti ha
fatto piacere.”
“Sì, cioè no.
Non lo so.”
E davvero non
sapeva che pensare. Tutto quello che le
stava accadendo era meraviglioso, ma arrivava dall’uomo sbagliato. E
Harm non
comprendeva il suo disagio, così anziché aiutarla le dava addosso.
“Forse è
meglio che prima ti schiarisci le idee, poi ne
potremo parlare” disse avviandosi verso la porta.
“No aspetta,
non te ne andare!” esclamò Mac quasi
sull’orlo della disperazione. “E’ l’ultima sera… poi…”
“Forse è un
bene Sarah.”
Erano le
ultime parole che le aveva detto. Poi aveva preso
la porta e se ne era andato.
La valigia
era pronta e Michael Bublé era passato ad
un’altra canzone.
Si sedette
sul divano e accese
Era stato
senza dubbio un bene, sì, Harm aveva avuto
ragione.
Squillò il
telefono e Mac prese la conversazione.
“Ciao amore”
la salutò con voce dolce Clay.
Harm
scomparve dalla mente di Sarah: “Ciao” rispose al
saluto con altrettanta dolcezza.
“Pronta per
domani?”
“Sì, non vedo
l’ora.”
“Vedrai che
sarà una vacanza speciale. Passo a prenderti
al JAG alle 18 ok?”
“Va bene.”
“Ti amo
Sarah.”
“Anche io.”
Mac chiuse la
conversazione con la sensazione di aver
trovato il suo posto nel mondo.
Casa di Lady
Sarah Montagu
Brook Street, Londra
Aveva
lasciato la festa in tutta fretta ed era
rientrata nell’appartamento londinese, che di recente aveva acquistato
proprio
con il compenso pagatole da Francesco Giuseppe. Per come si erano messe
le cose
al suo rientro in Inghilterra, aveva deciso che, se doveva tornare a
fare vita
mondana, era ora che avesse nuovamente una casa nella capitale. Andare
avanti e
indietro da Londra a Beaulieu era impensabile.
Si
gettò sul letto, senza neppure togliersi
l’abito, e finalmente diede libero sfogo alle lacrime. Pianse a lungo,
sentendosi più sola che mai.
Non
era abituata a sentirsi così; di solito era
combattiva e reagiva con grande forza alle avversità della vita. Ma
dalla notte
in cui aveva lasciato il suo cuore sulla Medea era molto
cambiata: si era chiusa
ancora più in se stessa ed era diventata molto taciturna.
Ballare
e divertirsi al ricevimento di Lady
Belhaven credeva potesse essere un nuovo inizio, un segno che il suo
animo a
poco a poco stava guarendo.
Ma
lo sconosciuto nel giardino l’aveva
sconvolta e lei si era ritrovata al punto di partenza, esattamente a
poco più
di un anno prima, alla notte in cui aveva deciso di lasciare l’uomo di
cui si
era follemente innamorata.
Aveva
scritto poche frasi e poi aveva chiuso il
diario.
Si
era alzata e si era avvicinata al letto, per
osservarlo un’ultima volta. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma non
era
riuscita a trattenersi: con la mano gli aveva sfiorato il volto e si
era
chinata a baciargli le labbra.
Era
stato un errore… lui, nel sonno, aveva
socchiuso la bocca e lei si era ritrovata ad assaporare ancora la
dolcezza di
un suo bacio, che l’aveva lasciata insoddisfatta e più tormentata di
prima.
Si
era costretta ad allontanarsi quando aveva
percepito un altro movimento di André: temendo un suo risveglio
improvviso si
era staccata da lui, aveva preso la propria borsa e, con le lacrime che
le
rigavano il volto, era scesa dalla “Medea”, che nel frattempo era
attraccata al
porto di Southampton.
Se
avesse atteso un solo secondo ancora, non lo
avrebbe fatto mai più.
Il
giorno stesso, in serata, era finalmente
giunta a Beaulieu.
Sua
madre, felicissima di rivederla dopo tanto
tempo, l’aveva abbracciata, ma aveva capito immediatamente che le era
successo
qualcosa e aveva cominciato a farle delle domande. Lei aveva raccontato
parte
della vicenda, tralasciando gli aspetti più tremendi, come l’aver
ucciso un
uomo, e soprattutto sorvolando sul fatto che si era perdutamente
innamorata del
Conte francese che era fuggito assieme a lei e che l’aveva protetta per
tutto
il tempo.
Lady
Montagu l’aveva ascoltata senza dire nulla,
domandando solo alla fine del racconto dove si trovasse il Conte. Lei
aveva
risposto che ognuno era ritornato a casa propria, senza aggiungere
altro.
Nelle
settimane successive aveva cercato in
tutti i modi di dimenticare André, trascorrendo tutto il tempo a
cavallo oppure
in biblioteca. Sua madre l’aveva vista taciturna e malinconica, ma non
aveva
fatto altre domande.
Poi
era successo qualcosa che l’aveva scossa
dall’apatia in cui il senso di vuoto per la mancanza di André D’Harmòn
l’aveva
fatta sprofondare: era arrivata una lettera di Marie, una sua carissima
amica
alla corte di Napoleone III, ad informarla che Cedric Hewitt si trovava
in
Francia.
Finalmente,
dopo mesi, sapeva di nuovo dove
trovarlo!
Quando
aveva lasciato Bath, circa cinque mesi
prima, per svolgere l’incarico alla Corte di Vienna, non era riuscita a
parlare
con John Taylor per sapere dove Hewitt si trovasse, anche se
probabilmente non
era troppo distante da lei, poiché era stato certamente lui ad uccidere
l’ex-socio in affari. Cedric Hewitt era uomo capace di quello e altro.
E la
polizia stessa le aveva detto che Mr. Taylor era stato ucciso da
qualcuno che
conosceva, poiché non vi erano segni di effrazione sulla porta della
camera
dove alloggiava.
Erano
anni che Lady Sarah stava dando la caccia
a Cedric Hewitt; da quando suo padre, Lord David J. Montagu, si era
tolto la
vita, oppresso dai debiti, lasciando i suoi familiari in balia del
proprio
destino.
Per
secoli i Montagu furono una tra le famiglie
più ricche dell’aristocrazia inglese, citata nell’Almanacco di Gotha,
il
catalogo veridico che assegna con enorme scrupolo, ad ogni casato
nobile, la
posizione occupata in seno ad una delle gerarchie più complesse. Pur
non
essendo imparentati con la famiglia reale, frequentavano
Tutto
cambiò nel 1844 quando Lord David conobbe
Cedric Hewitt, allora trentacinquenne, un “parvenu” facente parte della
nuova
aristocrazia, ossia un borghese che aveva ottenuto il titolo di barone
di Wiltshire
solo grazie alle sue ricchezze. Fidandosi del consiglio di Hewitt, il
padre di
Lady Sarah investì moltissimo denaro nell’acquisto di svariati acri di
terreno
in Irlanda per la coltivazione delle patate, poiché il barone di
Wiltshire gli
aveva detto che si potevano fare affari d’oro con il prezioso tubero,
ancora
poco conosciuto sulle tavole dei ricchi inglesi, ma comunque molto
ricercato.
L’anno
successivo, nel 1845, una malattia devastò
le colture di patate in Francia, in Belgio e in Irlanda, provocando una
grande
carestia che mandò lentamente in rovina Lord Montagu. Egli s’indebitò
pesantemente con Hewitt per
mantenere il
castello, la moglie e i figli allo stesso tenore di vita, pur di non
far sapere
nulla alla famiglia, convinto dallo stesso Hewitt che presto la
situazione si
sarebbe risolta.
La
carestia durò più del previsto e verso la
fine del 1847 la situazione per Lord David peggiorò al punto da
costringerlo a
contrarre debiti anche con altre persone; quando Milord si trovò con
l’acqua
alla gola poiché impossibilitato ad onorare i propri impegni, fu
proprio Cedric
Hewitt a dargli la possibilità di riscattarsi senza perdere l’onore.
Solo
successivamente Lady Sarah avrebbe
scoperto che Hewitt aveva spinto suo padre ad investimenti rischiosi
molto
probabilmente per averlo in pugno e costringerlo a cederla in
matrimonio. Invaghito
di Sarah fin da quando l’aveva conosciuta, non ancora sedicenne, aveva
quasi
certamente visto la possibilità di ottenere ciò che la sua condizione
di
“parvenu” gli avrebbe difficilmente concesso: sposare una vera nobile.
Pertanto
si propose come marito della ragazza, promettendo di considerare il
prestito
come dote per le nozze e onorando di persona gli altri debiti di Lord
Montagu.
Pur a malincuore, poiché non avrebbe voluto che la figlia prediletta
sposasse
proprio un “parvenu”, Lord David si vide costretto ad accettare, ben
conscio
che sarebbe stata l’unica possibilità che gli restava per salvare onore
e
proprietà.
Quando
il padre le comunicò la decisione, Sarah
si ribellò all’idea: Cedric Hewitt non le piaceva, lo trovava
sgradevole e volgare,
ma purtroppo non poté far altro che obbedire, pur sentendosi tradita
proprio
dal genitore che più adorava.
Non
capiva affatto la decisione paterna: era
consapevole che nel suo destino avrebbe dovuto esserci un matrimonio,
come si
conveniva ad ogni fanciulla della buona società, anche se lei, nel suo
intimo,
anelava ad altro. A lei sarebbe piaciuta una vita avventurosa, come
leggeva nei
suoi libri. Spesso aveva rimpianto di non essere nata maschio, di non
essere al
posto di suo fratello Edward, di tre anni più giovane di lei, solo
perché
avrebbe desiderato poter essere libera di vivere la propria esistenza
senza
essere costretta a dipendere da un uomo. Tuttavia sperava almeno di
poter fare
un matrimonio d’amore. Invece il padre, a soli diciassette anni,
l’aveva
promessa ad un uomo di quasi vent’anni più vecchio di lei, che non le
piaceva
neppure.
Nelle
settimane successive il fidanzamento
Cedric Hewitt cominciò a tormentarla senza un attimo di tregua: voleva
che
trascorresse ogni momento con lui; l’accompagnava a cavallo, alle
serate
danzanti, prendeva il tè con lei ogni giorno, persino quando era in
biblioteca
si ostinava a sedervisi accanto e la fissava con insistenza, tanto che
lei non
riusciva a leggere più di due pagine senza poi spazientirsi.
Sarah
parlò con il padre, implorandolo di
rompere il fidanzamento, ma Lord Montagu fu irremovibile, poiché aveva
dato la
sua parola d’onore.
Ad
un mese dalle nozze Hewitt insistette
affinché lei lo accompagnasse a vedere la sua tenuta; costretta dalle
circostanze lo aveva accontentato, pretendendo di essere riaccompagnata
a casa
per l’ora del tè. Non le piaceva come lui la osservava mentre erano
soli e non
voleva trovarsi troppo a lungo in sua compagnia. Sapeva che prima o poi
ciò
sarebbe dovuto accadere, ma voleva rimandare il più a lungo possibile
l’inevitabile. Durante la visita egli fu sgradevole ed insopportabile;
poco
prima che giungesse l’ora di riaccompagnarla la sua insolenza superò il
limite
quando cercò di possederla contro la sua volontà.
Umiliata
e furibonda Sarah si difese con forza,
nonostante il suo fidanzato continuasse a ripeterle che, poiché presto
avrebbe
dovuto concedergli comunque i privilegi che gli spettavano come marito,
tanto
valeva che lo facesse subito. Ma lei non amava quell’uomo; non lo
trovava
neppure gradevole e non aveva alcuna intenzione di anticipare
l’inevitabile.
Pertanto oppose strenua resistenza e lo schiaffeggiò davanti ad un
domestico
che era accorso richiamato dalle sue grida.
Il
giorno successivo Cedric Hewitt, insultato
da quel gesto davanti alla propria servitù, ruppe il fidanzamento, con
enorme
sollievo di Lady Sarah. Lord Montagu, tuttavia, non gioì come la
ragazza si era
aspettata: solamente una settimana più tardi si uccise con un colpo di
pistola
alla tempia.
Fu
proprio lei a trovare il cadavere del padre
e la lettera in cui lui spiegava tutto quanto alla moglie; leggendo
quelle
parole Sarah si rese conto del vero motivo per cui suo padre l’aveva
promessa
in sposa ad Hewitt e odiò quell’uomo ancora di più. Ma cominciò anche
ad odiare
se stessa, incolpandosi della rovina del genitore.
Ad
un mese dalla morte di Lord David, tutti i
beni della famiglia furono confiscati, lasciando gli eredi sul lastrico
e il
nome dei Montagu infangato dall’onta del suicidio. A quel punto Sarah
giurò a
se stessa che avrebbe dedicato la vita a vendicarsi di Hewitt.
La
confisca dei beni prevedeva anche il
Castello e il titolo nobiliare, ma Sarah nel frattempo era riuscita a
far
pervenire alla Regina Vittoria la lettera del padre; Sua Maestà
acconsentì ad
una proroga sul sequestro del castello e del titolo, per permettere a
Lady
Sarah di trovare le prove che avrebbero dimostrato che Hewitt aveva
imbrogliato
Lord Montagu e che le avrebbero permesso di riabilitare il nome del
padre e del
casato.
Da
quel momento in poi la vita di Lady Sarah
Jane Montagu cambiò radicalmente: grata a Sua Maestà per la
concessione, iniziò
a lavorare proprio per
Iniziò
a svolgere anche qualche indagine
personale, partendo dalle informazioni contenute nella lettera del
padre e
scoprì che Hewitt aveva un socio, tale John Taylor, col quale aveva
fatto altri
investimenti poco chiari e col quale aveva abbindolato altri
aristocratici,
aumentando poco alla volta le proprie ricchezze. Purtroppo si trattava
sempre e
solo di voci, senza alcuna prova. Cedric Hewitt era molto abile a non
lasciare
tracce.
La
sua nuova vita al servizio di aristocratici
e regnanti, oltre a fornirle il sostegno economico, le permetteva anche
di
ottenere più facilmente preziose informazioni di cui, altrimenti,
difficilmente
sarebbe entrata in possesso.
Normalmente
ci riusciva con l’ingegno, la
furbizia e la seduzione, ma in alcuni casi era stata costretta a
scendere a
compromessi con se stessa e a concedere in cambio la propria virtù.
Essere
a contatto con certi ambienti l’aveva
resa rapidamente più adulta e disincantata, facendole comprendere ben
presto di
essere in possesso di un corpo che la maggior parte degli uomini
desiderava; aveva
deciso quindi di servirsene, quando le fosse stato assolutamente
necessario.
Del
resto cosa avevano fatto gli uomini per
lei?
Nulla.
Anzi, a ben pensarci, non avevano fatto
altro che tradirla.
L’aveva
tradita l’uomo cui era stata promessa
in sposa, dapprima tentando di possederla prima delle nozze e contro la
sua
volontà e poi rifiutandola, ben consapevole che ciò l’avrebbe ridotta
sul
lastrico. L’aveva tradita il suo stesso padre, vendendola nel tentativo
di
salvare la famiglia dal disastro e poi quando l’aveva lasciata sola, ad
affrontare tutto quanto e facendola sentire anche responsabile del
proprio
suicidio.
La
prima volta che si era concessa ad un uomo
aveva pianto per ore. Ma l’informazione che aveva ottenuto l’aveva
ripagata di
tutto il ribrezzo sopportato: aveva saputo il nome del socio di Hewitt.
Successivamente
aveva utilizzato lo stesso
metodo solo poche altre volte, quando non aveva potuto farne a meno, ed
ogni
volta aveva provato lo stesso disgusto, benché in almeno due casi gli
uomini
che l’avevano posseduta, prima di farle capire cosa volevano in cambio
dell’aiuto che le fornivano, l’avevano anche affascinata. Fascino che
era presto
scomparso non appena si era resa conto che anche loro, come tutti, da
lei
volevano solo una cosa: possedere il suo corpo.
Purtroppo,
nonostante l’assidua caccia che
aveva dato ad Hewitt in quegli anni, fino a sei mesi prima non aveva
ottenuto
molto: mancavano sempre le prove.
Era
cambiato qualcosa solo durante la primavera
precedente, quando seppe che il socio di Hewitt, John Taylor, era
finito a sua
volta sul lastrico, probabilmente imbrogliato dallo stesso Cedric.
Quell’informazione
la spinse a scoprire dove si
trovava Taylor e a fare la mossa successiva: gli fece pervenire una
lettera in
cui prometteva denaro in cambio d’informazioni e di una testimonianza
sui suoi
trascorsi con Hewitt.
All’incirca
un mese dopo ricevette un messaggio
in cui Taylor la invitava a raggiungerlo a Bath. Partì immediatamente,
approfittando anche del fatto che aveva appena terminato un incarico
per conto
di Sua Maestà
Mentre
si trovava nella rinomata stazione
termale in attesa di notizie da parte della polizia locale, fu
contattata
dall’Imperatore Francesco Giuseppe per un incarico che le avrebbe
cambiato per
sempre la vita…
Quando
la lettera di Marie era giunta a
Beaulieu, si era riscossa ed era ripartita per
Aveva
ancora meno di due anni per dimostrare
che Hewitt aveva portato al suicidio suo padre e non poteva permettere
a
nessuno, neppure al ricordo dell’uomo di cui si era follemente
innamorata, di
interferire con i suoi piani. Aveva tacitato il proprio cuore che le
urlava che
André le sarebbe stato accanto nonostante tutto, anzi che l’avrebbe
aiutata,
con la stessa giustificazione che si era data per costringersi a
lasciarlo: non
voleva fargli correre dei rischi. Ma sapeva che in fondo, rinunciando
all’amore, si stava ancora punendo per ciò di cui si era sempre sentita
in
colpa in quegli anni, ossia il suicidio del padre.
Era
arrivata a Parigi proprio nello stesso
giorno in cui, un anno prima, aveva conosciuto André, solo per scoprire
che
Hewitt si era spostato di nuovo. Fortunatamente aveva saputo subito
dove si era
diretto, perché altrimenti sarebbe stata tentata di dirigersi verso
Lady
Montagu era deceduta soltanto da poche
settimane, il primo febbraio del
Asciugandosi
le lacrime si domandò ancora una
volta come aveva trovato la forza per portare avanti la sua decisione,
dopo
aver letto le pagine del diario di André.
E
tutto per cosa?
Era
passato oltre un anno, da quella notte, e
la sua vita era allo stesso punto di prima, se non peggio: suo fratello
era
ancora disperso dopo la guerra in Crimea; sua madre era morta e lei non
aveva
fatto alcun passo in avanti nel tentativo di riabilitare il nome della famiglia.
Si
sentiva terribilmente sola…
Neppure
l’idea di partecipare alla festa in
maschera era servita a farla stare meglio.
Era
bastato uno sconosciuto alto, dalla voce
profonda, che voleva ballare con lei, per ridurla in uno stato pietoso
e farle
desiderare di poter tornare indietro nel tempo e risvegliarsi ancora
tra le
braccia dell’unico uomo che avrebbe amato per sempre.