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Autore: SweetNemy    15/01/2013    1 recensioni
Questa è la storia di una ragazza che ha sempre viaggiato in giro per il mondo. Per merito di sua madre riesce a rimanere per sempre nella città in cui è nata e lì è determinata a farsi nuovi amici. La sua prima amicizia sarà una ragazza di nome Serena, ma in seguito conoscerà anche un ragazzo un po’ particolare...
Genere: Drammatico, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ragazziii mi scuso per il grande ritardo ma la scuola ruba tempo :S ecco a voi il nuovo capitolo :) Buona lettura <3

Capitolo VIII
-SASP-

Il giorno dopo arrivò presto e andai a scuola insieme ad Anna, stavamo instaurando un bel rapporto e ciò mi piaceva molto.
Alla prima ora avevamo il prof di storia che di sorpresa interrogò non sugli argomenti, ma sulle date storiche e io non credevo di poterle ricordare.
Scrisse un fatto storico alla lavagna e poi chiese alla classe chi sapesse quella data. Io non la sapevo.. ma, chiudendo un attimo gli occhi, mi passò per la mente un numero. Credevo fosse solo un caso, un effetto psicologico della mia mente, dopo che si stava parlando di date, ma quel numero, quella data mi ossessionava.. quindi decisi di alzare la mano.
Non potevo crederci, la risposta era corretta.
Per tutti gli altri avvenimenti che il prof scriveva alla lavagna chiudevo gli occhi e trovavo un numero ed era giusto!
-Clay, le ricordi bene le date storiche, forse troppo bene. Ne ero sicuro, sai? – disse facendomi uno sguardo strano, quasi come se si sentisse risoluto.
-In che senso?
-Nel senso che ho capito che sei un bravo alunno, chissà se sei anche bravo in matematica.
Dopo ciò suonò la campanella e come se fosse stato predetto entrò il professore di matematica. Notai dalla vicinanza delle ombre, che si proiettavano sull’uscio della porta, e da un leggero chiacchierio di sottofondo che i due professori si stavano dicendo qualcosa e, non so perché, sentivo che stessero parlando di me.
Entro in classe con un velo di curiosità sul viso e, dopo aver fatto l’appello, mi interrogò alla lavagna.
-Come ti chiami, giovanotto? – mi chiese curioso.
-Clay.
-Sei italiano?
-Italo – australiano.
-Italo – australiano. Interessante! – disse come se già fosse a conoscenza della risposta. Fece un sorriso spontaneo e poi aprì il libro. Qui si metteva male! Non ricordavo molto di matematica! – Scrivi quest’equazione!
“Equazione? Ah bene, proprio la cosa che ricordo meglio. È chiaro che farò una figuraccia!
Ma bene, anche le frazioni! Di bene in meglio. Solo un miracolo può salvarmi!”
Scrissi l’equazione seguendo il professore e poi feci finta di pensare.
-Avanti ragazzo, non è poi così difficile!
-Sì. Un secondo!
Non sapevo che fare, da dove cominciare. Misi una mano sul viso chiudendo involontariamente gli occhi e mi apparve in un attimo la stessa lavagna con l’equazione svolta.
La copiai come la mia mente mi suggeriva, un po’ per volta, senza che se ne accorgessero.
-Ecco fatto! – dissi con voce tremante dalla confusione e dalla paura.
Il professore la controllò attentamente e dopo qualche minuto mi guardò in faccia.
-Ti ho dato l’equazione più difficile del libro di prima. Alcuni ragazzi di terza hanno difficoltà a risolverla e chi ci riesce ci impiega almeno un quarto d’ora. E tu l’hai fatta correttamente in otto minuti. Notevole! Te ne do una del secondo anno ora, vediamo come te la cavi.
-Non me la faccia tanto difficile! – dissi intimorito.
-Ti do la più complicata, ragazzo mio! Voglio vedere se ne sei capace. Se ci riesci ti metto otto!
Avevo capito che il professore volesse mettermi alla prova. Speravo che la mia mente mi avesse aiutato anche stavolta.
La scrissi e, chiudendo gli occhi, la svolsi un po’ per volta, forse troppo velocemente!
Sta di fatto che la finii in dieci minuti e non appena il professore si voltò verso la lavagna rimase perplesso. Credevo di aver sbagliato qualcosa.
-Cosa c’è? Non va bene?
-No. Il fatto è che hai svolto in dieci minuti un equazione che ne richiede almeno venti, senza calcolatrice e senza che ti fermassi a pensare per molto tempo. Continua così, vai benissimo.
Gli sorrisi e andai a posto.
Iniziai a chiedermi come fosse possibile che trovavo le risposte ad ogni quesito, ad ogni problema, non appena chiudevo gli occhi. Questa cosa mi metteva paura, paura di me stesso, di quello che mi stava succedendo.
“Riflettendoci bene, ho cominciato a sentirmi strano da quando ho incontrato per la prima volta il professore di storia. Che sia lui la causa di tutto?
Quell’uomo mi ricorda molto mio padre, e sembra sapere tutto di me, cose che nemmeno io conosco. Mi incuriosisce molto sapere che la mente umana può arrivare a tanto. Ho bisogno di sapere qualcosa su di lui, ma sono consapevole che non si lascerà mai avvicinare da me. Però potrei seguirlo! Tanto è per una buona causa.”
Mentre pensavo a come pedinare il professore di storia, Anna mi chiamava.
-Clay! Clay! La lezione è finita!
-Uhm... scusa, stavo pensando!
-Stai tranquillo. Andiamo?
-Stamattina il professore di storia mi ha chiesto se potessi rimanere a scuola per un progetto. Mi dispiace. Ma tranquilla, oggi mi farò perdonare. Ci vediamo alle cinque al porto.
-Non ce n’era bisogno. Comunque ci vediamo oggi. Non mancare.
-Non mancherò stai tranquilla. Tanto credo che per le tre dovrei finire. Io vado. Ciao!
-Ciao. Divertiti!
“Sì. Divertente proprio! Che la ricerca abbia inizio. Come sempre il prof dovrebbe essere in sala professori.”
Non appena arrivai in sala professori ne vidi tantissimi, tranne quello che stavo cercando, quindi decisi di chiedere alla professoressa di italiano, che mi disse che era andato nel laboratorio di scienze.
Feci una corsa e lo raggiunsi. Stava parlando a telefono, per fortuna aveva iniziato da poco. Riuscii a sentire solo qualcosa.
-...sai, credo di averlo trovato. Ha i miei stessi occhi e il mio stesso sguardo. – poi una pausa – no, è troppo rischioso. Potrebbe avere un forte spavento, è una cosa al di là dell’immaginabile per un essere umano. È meglio che se ne accorga pian piano. – ancora un attimo di silenzio – se n’è accorgerà, tranquillo. È molto intelligente come ragazzo e già ha mostrato alcune sue doti speciali. Arrivo tra un attimo. Ci vediamo alla SASP.
“La SASP? Che cos’è la SASP? C’era un solo modo per scoprirlo. Pedinarlo! Via all’azione!”
Mi nascosi dietro la porta finché non scese le scale e dopodiché lo seguii.
Una volta usciti dalla scuola lui si diresse verso la strada principale, e iniziò a correre fino ad arrivare all’inizio di una traversa che terminava con una montagna ricoperta d’erba.
Lui arrivò alla montagna e, dopo aver controllato che nessuno fosse nei paraggi, scoprì l’erba in un punto, rivelando una cavità nella roccia. Egli vi entrò e dopo un po’ lo seguii molto lentamente.
Decisi di entrare, e vidi Nick su un ascensore a forma di trivellatrice che saliva. Quella stanza era buia e non mi accorsi che il muretto sul quale giacevo era spesso meno di un metro e rischiavo di cadere. Qualche secondo dopo l’ascensore scese, quasi come se stesse scavando a terra. Arrivò a qualche metro sotto di me e si fermò. Per salirci avrei dovuto saltare e allora presi coraggio e saltai.
Sull’asta centrale vi era un pannello di controllo. C’erano cinque piani sottoterreni e sette in alto. Tutti erano colorati di rosso, tranne uno! Era il primo piano, dove vi era scritto home che in inglese significa “casa”.
Provai a premere un piano a caso, il terzo in alto, dove vi era scritto meetings che in inglese può significare “incontri” o “riunioni”.
Diceva di inserire la tessera e di premere “ok”.
Non avendo la tessera scelsi il piano home, cui diceva di mostrare il dorso della mano sinistra allo scanner verticale.
Avvicinai la mano allo scanner e dopo alcuni secondi uscì una scritta “Accesso Consentito!” e iniziai a salire.
Arrivai davanti a un grande atrio fatto di pietra grigia su cui vi era una grande insegna: “S.A.S.P. SECRET ASSOCIATION FOR SPECIAL PEOPLE”, che tradotto significa “Associazione segreta per persone speciali”
Sotto l’insegna vi era una grande porta rossa contornata da decorazioni dorate, su cui vi era una scritta incisa: “Se sei qui significa che sei una persona speciale, che sul dorso della tua mano vi è la cicatrice di Alin. Apri questa porta per entrare nel mondo speciale.”
Clay aprì la porta e alzò lo sguardo ammirando il paesaggio: gli sembrava di sognare.
A terra vi era un soffice prato verde, con l’erba molto bassa; e in alto un cielo luminoso pieno di nuvole in cui splendeva un sole incantevole. Tutt’attorno era limitato da un orizzonte continuo che s’interrompeva solo in due punti: la porta dalla quale sono entrato e la scrivania che avevo di fronte a cui era seduto un uomo abbastanza anziano. Lui mi notò e mi chiese informazioni.
-Giovanotto cosa ci fai qui? Non ti ho mai visto! Come sei entrato?
-Ho passato la mano sullo scanner e l’ascensore si è messo in funzione.
-Come ti chiami?
-Clay Crosi. – dissi, mentre lui inseriva il mio nome sul computer.
-Non fai parte dell’associazione, mi dispiace. Ma... hai detto che sei riuscito a passare con lo scanner, giusto?
-Sì, in realtà c’è una cicatrice sulla mia mano. Mio padre disse che me la sono procurata con l’acido, ma io... io ricordo di averla sempre avuta.
-Tuo padre hai detto? Come si chiama tuo padre?
-Nicholas Crosi.
-Ne sei sicuro? Nicholas Crosi è il fondatore di questo posto! Ora lo chiamo per chiedere chiarimenti.
L’uomo era nettamente confuso, ma chiamò Nick per chiedere spiegazioni. Pochi secondi e qualcuno entrò dalla porta, ma non mi girai.
-Che succede Sir?
Poche parole... pochi suoni... pochi istanti... mi bastarono per accorgermi che quella voce non era quella di Nick, ma di un ragazzo...
Quella voce, quanti ricordi! L’avrei riconosciuta tra mille. Mi voltai con le lacrime agli occhi: era proprio lui!
****
***
**
*

Chi sarà il ragazzo che ha parlato?? Lo scopriremo solo vivendo :P alla prossima!
SWEETNEMY <3

  
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