NEL
CAPITOLO PRECEDENTE:
Emily
scopre che la sua agenzia ha
stretto un accordo con il Ladies Night e si reca a pranzo, insieme a
Carla, per incontrare Maurizio, il proprietario del locale e
discutere di alcuni punti del contratto. Lì incontra anche
Pietro e,
dopo i primi momenti come al solito molto disastrosi, i due vanno a
passeggiare in spiaggia, riuscendo a parlare in modo tranquillo,
senza litigare; a quel punto si baciano in modo molto
passionale.
Quel
bacio manda in confusione Emily e, in macchina,
aggredisce Pietro accusandolo di cose assurde.
Da
adesso in poi i
due dovranno collaborare a stretto contatto ed Emily si sente
imbarazzata per quello che è successo anche se spera e crede
di
riuscire a mettere una pietra sopra a quello che è successo
a
Ostia.
The (he)art of the streap VIDEO.
Dodici.
-
Questo mettetelo qui. STATE ATTENTI.
Due settimane e stavo
sul serio rischiando di impazzire; non era facile mantenere la
facciata del “ti ignoro, sono superiore e non mi interessa
nulla di
quello che è successo al mare”, soprattutto
se trascorrevo
ore e ore con lui, quasi ogni giorno.
Al mattino, in
ufficio, controllavo i preparativi dei matrimoni; nel
pomeriggio
mi destreggiavo tra i vari sopralluoghi o appuntamenti con le
spose; la sera avevo le riunioni con lo staff del Ladies Night
oppure accompagnavo le spose degli addii al nubilato. Ero
così
stanca che avrei pagato oro per un giorno di riposo.
Stavo
preparando un matrimonio dell'ultimo momento: una coppia aveva deciso
di sposarsi perché lei era in dolce attesa e non aveva il
tempo o le
idee per organizzarlo, perciò mi ero trovata a chiamare
milioni di
chiese e ristoranti alla ricerca di quelli disponibili nel giorno
stabilito e convincere il prete a fare un corso
pre-matrimoniale molto accelerato. Sarei morta d'infarto alla fine
del ricevimento.
Non mettevo piede in casa da diciotto ore circa,
non avevo fatto la lavatrice e non pulivo da non sapevo neanche io
quanto tempo: avevo bisogno di una vacanza.
- Dove cavolo è il
tuo cellulare?
Ecco come la mia giornata, su una scala da uno a
infinito, era peggiorata infinito al quadrato.
- Che ci fai qui?
-
Ti stavo cercando e, visto che non mi rispondevi a telefono, sono
venuto a parlarti di persona.
Lo sorpassai, raggiungendo il
fioraio che era appena arrivato. - Sto lavorando e tu mi disturbi.
-
Sarò breve.
- Buongiorno signor Manfredi.
- Ciao Emily, è un
piacere vederti. - Il sorriso di quell'uomo mi rilassò per
qualche
istante: avevo sempre visto in lui una figura paterna, quasi
fosse il nonno che era venuto a mancare quand'ero piccola. - Dove
devo mettere questi vasi?
- I vasi grandi vanno vicino alle
colonne, quelli medi ai lati del tavolo degli sposi e una
composizione su ogni tavolo.
Gli operai del signor Manfredi
seguirono le istruzioni sotto il suo sguardo vigile, mentre io
mi occupavo della mia piaga personale; era appoggiato al muro, con la
gamba piegata e le braccia incrociate al petto.
- Sei brava. –
Disse, mentre mi avvicinai. - Hai quell'atteggiamento da
“fai
quello che ti dico perché sono migliore di te”
che, non so, ti fa
brillare gli occhi.
Mi trattenni dal sbattergli la cartelletta in
testa – Vorresti dire che ho la tendenza a comandare gli
altri?
-
L'hai detto tu. - Mi sorrise strafottente.
- Dimmi perché sei qui
e facciamo la finita, così te ne vai. - Si rimise in piedi
composto.
- E comunque io non penso di essere migliore degli altri.
Mi diede
una pacca sulla spalla – Certo. Maurizio mi ha detto di dirti
che
per questa settimana le riunioni sono annullate.
- Perché? È
successo qualcosa? - Non lo conoscevo da molto, ma ormai avevo
imparato alcune sue espressioni – Cosa mi stai nascondendo?
-
Niente. Abbiamo dei problemi interni e quindi dobbiamo rallentare.
-
Vuol dire che sono sospesi anche gli incontri con le spose? - Mi
prese il panico.
- No. O almeno credo.
Mi mancò il
respiro per qualche istante: come lo avrei detto a Carla? In
quelle settimane avevamo puntato tutto sulla novità degli
addii al
nubilato e in effetti gli affari erano migliorati tantissimo; cercai
di calmarmi per non perdere il controllo, ero pur sempre a lavoro e
la futura sposa sarebbe arrivata da un momento all'altro per
controllare che tutto fosse a posto.
- Emily rilassati,
andrà tutto bene.
- Risolvete questi problemi il più
presto possibile, perché se tu e i tuoi cari amici
mandate in
rovina la mia società, ti faccio pentire di avermi rivolto
parola,
quel giorno, al locale.
Minacciarlo mi metteva sempre di buon
umore.
Borbottò qualcosa, ma non lo capii visto che mi ero
allontanata per raggiungere il signor Manfredi e ringraziarlo per il
lavoro ben svolto; un urlo, proprio nel momento in cui guardavo il
risultato fino a quel momento raggiunto, mi fece sobbalzare. Era
arrivata la sposa e stava parlando con Gerem... Pietro.
Quell'idiota
avrebbe rovinato tutto.
Li vidi avvicinarsi a me in fretta e lei
aveva un sorriso strano stampato in viso.
- Grazie, grazie,
grazie.
Quando mi abbracciò, capii che era fuori di testa.
-
Di cosa? - Le risposi, allontanandola come se avesse il
tifo.
-
Per questa sorpresa, non sapevo fosse compreso nel pacchetto.
-
Non capisco. - GerPietro ricambiava il mio sguardo confuso e solo
allora mi accorsi che Lucia, la sposa, lo teneva per il polso.
-
Lui. Electric Fire è il mio regalo. Grazie.
- Oh. - Lei aveva
capito minchie per lanterne.* - No, guarda che...
- Non
dovevi scoprirlo così, doveva essere una sorpresa. -
L'idiota si
intromise, facendo credere a quella donna che in serata
avrebbe
avuto uno spettacolo molto privato con Mr. Electric Fire. - Adesso
dovresti lasciarmi, così vado a prepararmi.
Lucia urlò di nuovo
e, quando mi abbracciò, ringraziandomi
ancora, fulminai
con lo sguardo il cretino che mi aveva messo in quel casino: come
avrei fatto?
- Aspetta. – Gli corsi dietro. – Dimmi un
po', grande genio, come faccio adesso?
- A fare cosa?
- Quella
pensa che questa sera ti metterà le mani addosso. - Sputai
la frase
con rabbia, non lo sopportavo più.
- Lo so. Ti serve un passaggio
a casa?
- Non cambiare discorso.
Richiuse lo sportello con un
gesto deciso e si voltò a guardarmi un po' arrabbiato
– Devi
smetterla di farti prendere dal panico e di aggredirmi: questa sera
avrete il vostro spettacolo.
Lo bloccai prima che potesse salire
in macchina – Sì ma lei non lo ha chiesto, nessuno
lo ha pagato.
Come...
- Emily: rilassati, cazzo.
Questa volta l'istinto
riuscì a prevalere, lo spinsi così forte da
fargli sbattere la
schiena contro l'auto, ero fuori di me. - Non dirmi cosa devo o non
devo fare. Mi hai stufata con le tue battutine o sorrisini e non
permetterti più a rispondermi male.
Con un passo indietro mi
allontanai, ristabilendo la giusta distanza.
- Sei violenta
ultimamente, è successo qualcosa in particolare?
-
Vaffanculo.
Perché perdevo tempo con lui quando avevo ben altro a
cui pensare? Vidi Lucia vicina al tavolo degli sposi muoversi con
fare sospetto e accelerai il passo per avvicinarmi e chiederle cosa
avesse intenzione di fare; l'avrei raggiunta se solo
lamiapiaga,
perché sapevo fosse lui, non mi avesse
fermata, prendendomi per
il polso e facendomi girare bruscamente verso lui.
-
Violenta e maleducata.
- Non costringermi a farti la stessa solita
domanda. Ormai mi sembra di vivere in un film: la smetti di
assillarmi? Lasciami in pace, ti prego. Ho bisogno di vivere la mia
vita senza che tu mi stia intorno, puoi farmi questo favore?
Ero
patetica, lo ero stata più volte, ma lui non ne voleva
sapere e più
gli supplicavo di lasciarmi in pace più mi ronzava intorno
come una
mosca fastidiosa: avrei voluto avere un grosso insetticida.
-
No. - Scrollò le spalle – Più che altro
vorrei baciarti in questo
momento.
- Oh ma per favore... - Cercai di liberarmi dalla sua
stretta – Vorresti baciarmi per poi trattarmi di nuovo male?
Che
razza di cervello hai.
- Ti tratto male? Se non mi avessi
aggredito in quel modo sarebbe andato tutto bene.
- Bene in che
senso? - Litigare era diventato così normale per noi
– Nel senso
che mi avresti portata a letto e avresti tagliato il mio nome dalla
tua lista? Certo, ho scombinato il tuo piano... oh come mi
dispiace.
- Piano? Lista? Guardi troppi film Emily e stai sempre
sulla difensiva: non volevo dirti quelle cose in macchina, avrei
voluto accompagnarti a casa e baciarti ancora, fine della storia; ma
tu non me l'hai permesso.
La stretta sul mio polso si fece più
forte e una smorfia di dolore si dipinse sul mio viso; mi
lasciò
andare quando se ne accorse. Lo massaggiai per cercare di non
pensarci e per non guardare i suoi occhi di un azzurro troppo intenso
e arrabbiato per sostenerlo.
- Scusa. - Scrollai le spalle –
Perché mi hai detto quelle cose? Perché pensi che
io non possa
baciarti o essere gentile con te?
- Ho da fare Pietro, non è
tempo e luogo per parlarne.
Sembrava la quiete dopo la tempesta,
avevamo quasi urlato per circa cinque minuti, ci eravamo fatti del
male perché eravamo troppo stupidi per guardarci negli occhi
e dirci
la verità e adesso stavamo in silenzio a guardare per terra.
Quel
silenzio mi faceva paura.
- Se non ne parliamo adesso, non ne
parleremo mai più.
Ebbi il coraggio di guardarlo negli
occhi. – Vuol dire che non c'è nulla di
cui parlare.
-
D'accordo come vuoi. Ti faccio sapere per questa sera.
Sapevo
di aver fatto la più grossa cazzata di tutta la mia
vita, ma
non ero pronta per affrontare quel discorso,soprattutto
perché non
sapevo cosa avrei dovuto dire.
Avevo
raggiunto le mie amiche all'ora di pranzo, non appena finito di
lavorare.
- Io ho un'idea, ma
so già che me la boccerai. - Giulia posò il
menù sul tavolo e mi
guardò seria.
- Dimmi pure Giù. –
Le risposi, leggendo
ancora tra i piatti di pasta che offriva il ristorante.
- Dovresti
dargli una possibilità, dirgli che baciarlo ti è
piaciuto. Provare
a parlargli, dicendogli
che potete provare a stare insieme o avere una specie di storia.
La
guardai scettica dal menu. –
Se è uno scherzo, non
mi diverte.
- Non è una brutta idea. Magari lui ti sta così
addosso perché vuole essere il tuo amico speciale.
- Già, il tuo
amico di letto.
Odiavo il loro modo
di scherzare, quando
il soggetto delle loro risa ero io.
- Mettiamo in chiaro una
cosa: non. voglio. stare. con. lui.
- Ma perché? - Giulia
mi sembrò disperata – Che ti ha fatto questo
povero ragazzo per
meritarsi il tuo disprezzo?
- Lui... - Ci pensai e mi accorsi che
non lo sapevo – In realtà ho paura di molte cose.
Non voglio che
mi prenda in giro, che mi porti a letto e mi scarichi un'ora dopo o
che mi usi per qualche divertimento personale.
- Fallo tu. -
Mina si sbracciò per chiamare il cameriere –
Approfitta di lui e
del suo bel corpicino succulento.
- Ma non hai mai visto i film
romantici? Poi va a finire male: lui lo scopre e sono guai per la
lei.
- Sì ma poi, dopo aver litigato, si mettono insieme. Mal che
vada ti innamori.
Rabbrividii alle parole di Mina – Ma
anche
no. Ragazze siate serie, non ho tempo e voglia di stare dietro a un
ragazzo, soprattutto lui.
Giulia mi guardò maliziosa – Io dico
che una sana scopata ti farebbe bene. Solo una e se non ti piace non
ti fai più vedere.
- Giulia ha ragione, ne avete bisogno
entrambi:
vi mangiate
con lo sguardo!
Una
volta sola e, tolto lo sfizio, ognuno se ne va per la propria
strada.
Le guardavo allibite. - Io non le faccio queste cose, non
vado a letto con uno solo per togliermi lo sfizio o per
accontentarlo.
Fummo interrotte dall'arrivo delle nostre
ordinazioni: il cameriere era stato stranamente veloce o forse
eravamo noi a essere troppo prese dal discorso. Mina cercò
di
cacciarlo per continuare a parlare.
- Senti, qui non si tratta di
ciò che è giusto o sbagliato o quello che di
solito si fa ma: ne
hai bisogno Ems.
Giulia annuì, mentre
gustava la sua carne. –
Esatto. Non saresti una poco di buono, vai tranquilla.
Non era una
questione d'essere giudicata come una poco di buono, io non volevo
andare con lui per qualche blocco mentale-personale; se avessi
ceduto, gli avrei dato quello che voleva fin dal primo momento e poi
cosa mi sarebbe rimasto? Solo il ricordo di una notte e, per quanto
mi allettasse l'idea di divertirmi con lui, avevo sempre una
dignità
femminile che mi impediva di lasciarmi andare per paura d'essere
abbandonata ancora una volta.
- Potrei uscire con Mario.
- Chi
cavolo è Mario?! - Mina mi guardò male.
- L'avvocato del piano
di sotto. –
Le spiegò Giulia.
– È carino, ma
di un noioso da far arrivare il latte alle ginocchia.
Mina mi tirò
un pezzo di pane in faccia – Niente Mario. Scoperai con
GerPietro,
il caso è chiuso.
Amavo stare con loro e apprezzavo il loro dare
consigli, ma
a volte perdevano il senso della realtà; non
avrei fatto una cosa del genere, non mi sarei mai abbassata a quel
livello, avevo bisogno di altro, certezze e stabilità. Pietro
mi ispirava tutto tranne che fiducia, ma,
come aveva detto Giulia una volta, avrei potuto lasciarmi andare con
il tempo:forse
e se ne avessi avuto voglia e coraggio, l'avrei fatto.
Neanche un'ora e già mi dolevano i piedi: maledette scarpe.
Odiavo il mio lavoro soprattutto perché, durante le
cerimonie, mi toccava indossare abiti eleganti e di conseguenza tacchi,
accessori, orecchini e roba che non faceva per me; io
preferivo di gran lunga un paio di jeans o una tuta.
Da lontano osservavo il risultato del duro lavoro di quella settimana e
ne ero soddisfatta: era tutto perfetto, esattamente come avevo chiesto.
- È così che ti vesti quando
lavori?
Era, avevo pensato benissimo. Mi voltai e
lo vidi in tutto il suo splendore. Indossava uno smoking nero con
camicia bianca e tanto di papillon e mi chiesi se
fosse la sua divisa o se si fosse vestito in quel modo per il
matrimonio; feci, comunque, finta di nulla e lo ignorai, dandogli le
spalle e parlando con la mia collega attraverso l'auricolare.
- Melania, cosa sta succedendo lì? - Vidi qualcosa di strano
in lontananza, ma fui subito
tranquillizzata, perciò mi dedicai alla
mia palla al piede. - Dimmi tutto.
– Dovrei venire a trovarti più spesso. - La sua
radiografia mi indispose – Dove lo facciamo?
Lo guardai stralunata. – Ma di che parli?
- Dello spogliarello. È già arrivata la sposa? -
Mi passò avanti sorridendo malizioso. –
Stai sempre a pensare male, che ragazzaccia!
Idiota. – La sposa è
dentro, con le damigelle; la voce si è sparsa
subito.
Il suo sguardo felice ed eccitato mi fece innervosire ancora di
più: per quale assurdo motivo trovava divertente spogliarsi
e farsi toccare da estranee? Era contento di sapere che altre donne,
oltre a Lucia, lo attendessero in quella stanza affamate e vogliose di
spogliarlo con le loro stesse mani.
Dovevo smetterla di pensare o avrei ucciso tutti quel giorno.
- Non mi accompagni? - Me lo chiese prima di entrare nell'enorme hall
della villa e mi sorrise
complice, strizzandomi l'occhio. Non seppi resistere: sbuffai
e dopo qualche passo fui accanto a lui.
- Rimarrai durante lo spettacolo?
Negai. – Ho da lavorare.
Si fermò prima di abbassare la maniglia e lanciarsi in pasto
alle belve feroci. – Mi devi presentare e non puoi
lasciarmi da solo: ho bisogno che qualcuno le tenga calme.
- Dovrei farti da guardia del corpo?
Sorrise malefico e, prendendomi per il polso, aprì la
porta, coinvolgendomi in quella che sarebbe stata la fine
della mia vita o l'inizio della mia rovina.
Le ragazze erano sedute. Più o meno, perché si
muovevano irrequiete su loro stesse continuando a borbottare eccitate;
Pietro si sarebbe esibito di fronte e vicino a loro, su nessun palco,
facendosi toccare e infilare i soldi dovunque fosse stato possibile. Mi
prese in disparte, prima di entrare in scena, e in quel momento mi
accorsi del suo cambio d'abito: indossava una divisa da vigile del
fuoco. Cliché. Anche se, dovendo essere sincera, era molto
sexy e non riuscivo a togliergli gli occhi da dosso neanche quando
iniziò a parlare nervoso. Non capivo cosa lo innervosisse
così tanto al punto da torturarsi i capelli in quel modo o
volermi dentro con lui, non era mica il suo primo spettacolo.
- Hai capito quello che devi dire? - Lo guardai allarmata e
sbuffò – Ascolta bene: Per favore non...
- Non vi è permesso toccare più del dovuto. - Mi
sentivo una scema nel dire quelle cose ma Pietro era stato abbastanza
categorico. - Non potete saltargli addosso né spogliarlo con
le vostre mani o lo spettacolo verrà interrotto e sarete voi
stesse a risarcirlo. - Questa era stata una mia idea, dell'ultimo
momento. - Buon divertimento.
Urlarono felici e mi sedetti in un angolino, appiccicata al muro in
modo da non partecipare a quello scempio; le luci si spensero
e restarono accese solo le lampade da terra che
davano un'atmosfera più intima. Pietro
apparve dopo le prime note di una canzone da discoteca mai sentita fino
a quel momento.
Batteva il piede a tempo, muovendo i fianchi
ritmicamente e tenendo la testa bassa; solo quando
iniziarono le parole della canzone alzò il
viso, puntando i suoi occhi verso la piccola folla urlante e
sorridendo malizioso, giocando con la cerniera della divisa e con il
casco giallo, che tolse del tutto e mise in testa alla sposa.
Fece un balzo indietro giusto in tempo per non essere sequestrato dalle
mani abili della donna.
Continuò a muoversi sensuale per il resto della canzone,
togliendo lentamente la tuta, passando tra le sedie e strusciandosi su
quelle ragazze che stavano perdendo, a poco a poco, la loro
voce.
Rimase a petto nudo con addosso solo i pantaloni della
divisa; la canzone stava per finire perciò
velocizzò tutto,avvicinandosi alla sposa e mettendosi a
cavalcioni su di lei. Mi aveva detto che non ci sarebbero stati momenti
troppo ravvicinati, che loro non potevano toccarlo o
spogliarlo, eppure era lui stesso a cercarseli; un moto di
rabbia mi travolse e, per un attimo, ebbi l'istinto di accendere la
luce e interrompere tutto, ma quando le mani di Pietro tolsero
dal proprio sedere quelle di Lucia e tornò in piedi, ripresi
a respirare e mi calmai.
Non ero gelosa, mi attenevo alle regole.
Con un gesto secco tolse i pantaloni proprio nel momento in cui la
canzone terminò, restando con un misero paio di parigamba*
neri, troppo aderenti. Si inchinò come se fosse stato
chissà quale attore o ballerino e sparì,
lasciando la sposa, testimoni e amiche soddisfatte, urlanti e ancora
eccitate.
Andarono tutte via e non potei fare almeno di ascoltare i loro commenti
maliziosi su quello che avrebbero fatto a “l'uomo dagli
addominali invitanti e dal culo d'oro”. Roteai gli occhi
disperata perché quasi tutte erano fidanzate, sposate o
giù di lì ma avrebbero volentieri tradito le loro
metà con Pietro: ecco perché non aveva senso
sposarsi o stare insieme a qualcuno.
Sospirai: sarei rimasta sola per sempre.
Sobbalzai quando mi sentii sfiorare la spalla e mi voltai –
Ci hai messo un secolo, sei peggio di una femmina.
Assottigliò lo sguardo, abbassandosi alla mia
altezza – E tu sei come quei bambini che offendono per
difendersi. - Si rimise composto e mi regalò un sorriso
– Andiamo?
Dove saremmo dovuti andare, noi due, insieme? Io dovevo lavorare, lui,
per quanto mi riguardava, poteva andarsene a casa o a farsi
ammazzare.
Mi alzai e lo seguii senza aggiungere mezza parola perché
sapevo che se le avessi fatto avremmo litigato e dovevo impiegare
tempo, forze ed energie nelle ore successive a dirigere e tenere sotto
controllo la situazione.
Lucia stava finendo di prepararsi insieme alle amiche, mentre lo sposo
si trovava dall'altro lato della villa a bere e festeggiare con i
testimoni e non sapevo chi altro.
- Dove stiamo andando?
Dovetti rispondergli per forza visto che me lo chiese quasi una decina
di volte. - Faccio un giro per vedere se va tutto bene, tu puoi andare
dove vuoi.
- No. - Si bloccò, facendo fermare anche me. - Io
sono stato invitato e starò con te.
Era uno scherzo?
- Io devo lavorare.
- Ti aiuterò, te lo devo.
Non bastarono gli sguardi d'odio, le battute acide, il mio ignorarlo
per farlo andare via o smettere di seguirmi e starmi tra i piedi.
Continuava a parlare, sorridere alle mie colleghe perché, di
sicuro, voleva portarsele a letto, e cercare di aiutarmi nel
lavoro, non sapendo che in quel modo peggiorava la situazione;
se dicevo a Melania di far servire poco vino al tavolo dei testimoni,
lui portava dei bicchieri per brindare, dicendo che doveva risollevare
il morale a tutti e di conseguenza, la situazione.
Lo avrei strozzato con le mie stesse mani.
Al ballo padre-figlia mi rilassai, sedendomi sulla prima sedia libera e
cercando di muovere le dita all'interno di quelle maledette
scarpe; le indossavo da così
tanto tempo da temere che i piedi avessero
preso la loro forma.
- Ecco a te. - La sua mano con un bicchiere di champagne
spuntò dal nulla e io alzai lo sguardo,
trovando il suo divertito. - Potrebbe farti stare meglio.
- Sto lavorando, non posso bere.
Me lo avvicinò ancora di più – Solo un
sorso. Hai quasi finito.
Il più grande errore fu quello di guardarlo negli
occhi, perché mi lasciai convincere da quello
sguardo malizioso e sicuro di sé, da quell'azzurro
così intenso da far invidia al mare di inverno.
Presi il calice dalle sue mani e bevvi.
- Mi piace il tuo lavoro. - Si mise a cavalcioni su una sedia di fronte
a me, continuando a bere il contenuto del suo flûte.
- Perché ti piace?
Ero davvero curiosa dato che io stessa lo odiavo,
ogni tanto.
- Non so, è interessante. Guarda come sorridono tutti, sono
felici, non come quando vengono da me, qui lo sono davvero. Hanno una
luce diversa negli occhi; forse la speranza che questo possa durare per
sempre e che domani non sia un giorno come un altro
e… – Tornò a guardarmi,
facendomi rabbrividire. - E sei tu che realizzi tutto questo, senza
neanche rendertene conto.
Per un momento, solo quello, avrei voluto baciarlo: i miei occhi erano
incollati ai suoi che, come impazziti, si muovevano veloci prima a
destra e poi a sinistra; c'era qualcosa che mi attirava a lui, una
sorta di calamita che mi impediva di spostarmi o allontanarmi, come se
il mio posto fosse quello.
Una voce stridula nel mio orecchio mi distolse dalla trance,
sbattei le palpebre più volte per riprendermi e risposi a
Melania che urlava disperata.
- Sto arrivando, aspettami lì.
- Hai bisogno di...
Lo interruppi prima che continuasse – No, stai pure qui
è una sciocchezza. Non muoverti ok?
Non sapevo se quell'ordine derivasse dalla mia paura che lui potesse
combinare qualche guaio o dalla voglia di trovarlo lì seduto
ad aspettarmi e poter continuare quello che era stato interrotto ma,
quando mi sorrise e annuì, mi rilassai e raggiunsi la mia
collega.
- Grazie, è stato tutto perfetto.
Lucia, stretta a suo marito, mi guardava e ringraziava con gli occhi
lucidi di chi aveva trascorso il giorno più bello della sua
vita.
- Grazie a te per aver scelto noi e per avermi resa partecipe di tutto
questo.
Carla diceva che dovevo mettere più enfasi in quella frase
che ormai ripetevo da troppi anni, ma ormai la forza
dell'abitudine e la mia poca stima
nei confronti matrimoni mi facevano apparire
annoiata.
La guardai andare via ed esultai mentalmente: anche quella era fatta,
adesso potevo andare a casa, togliermi le scarpe e farmi una bella
dormita.
Pietro non era più dove lo avevo lasciato e, dopo un primo
momento di dispiacere, realizzai che fosse assolutamente normale: non
mi avrebbe mai aspettata, era nella sua natura, non sarebbe mai rimasto
lì seduto a riflettere sulle sue stesse parole o su quello
che sarebbe potuto succedere, perché era Pietro e
perché forse, era anche colpa mia, l'avevo trattato
così tanto male da meritarmi quel comportamento.
Ero più bipolare di lui: prima lo allontanavo, poi lo
cercavo, poi lo rifiutavo e poi lo desideravo ancora.
Che diavolo potevo aspettarmi?
Di certo non mi sarei mai immaginata di trovarmelo seduto sul divano
della sala interna della villa, con il mio cappotto e borsa in mano e
un sorriso da far sciogliere i ghiacciai stampato in volto.
- Che ci fai qui?
- Ho visto che avevi finito perciò sono venuto a prendere le
tue cose. Tieni.
Mi aiutò a indossare il cappotto e non riuscii a dire
nulla: tutto quello che facevo era guardarlo sconvolta. Chi
era quel tipo così gentile e che ne aveva fatto del rude
ragazzo che avevo conosciuto al Ladies?
- Ti serve un passaggio?
- Pietro. - Mi stupii di come suonasse strano chiamarlo con il suo vero
nome eppure non era la prima volta che lo chiamavo, forse. - Ho
seriamente paura di quello che potrebbe succedere.
- Non succederà niente che tu non voglia.
Con un cenno della testa indicò il posteggio e lo seguii.
- Il problema è questo: e se io lo volessi? Le cose si
complicherebbero ancora di più: io non ti conosco, non
facciamo altro che litigare e...
Lo vidi, vidi l'esatto momento in cui la sua pazienza
vacillò, vidi il momento in cui avrebbe voluto mandarmi a
quel paese e odiarmi per tutta la vita; tuttavia si trattene,
abbassandosi alla mia altezza e guardandomi negli occhi.
- Non farlo di nuovo: non rovinare qualcosa ancora prima che
accada.
E io la sentii, sentii la stessa sensazione di prima e la seguii: con
un passo mi avvicinai a lui e lo baciai. La mia mano si posò
sulla sua giacca nera e la strinse talmente forte che ebbi paura di
sgualcirla; non si aspettava quel mio gesto, lo capii dalla sua
reazione: aveva le braccia lungo il corpo e gli occhi spalancati, non
avrei dovuto farlo, rovinavo sempre tutto.
Nel momento in cui stavo per allontanarmi e scusarmi, la sua mano si
posò sulla mia schiena facendomi aderire al suo corpo
statuario e mi scappò, senza volerlo, un
mugolio di piacere per quel contatto così irruento e
inaspettato tanto che lui sorrise sulle mie stesse labbra; approfittai
di quel momento per stuzzicarlo e, come una vera maestra di seduzione,
tracciai il contorno del suo labbro inferiore con la mia
lingua, invitandolo ad approfondire il bacio, a risucchiarmi
l'anima e non lasciarla andare mai più.
La sua mano sinistra si insinuò tra i miei
capelli, stringendoli forte, come se avesse desiderato quel
momento da troppo tempo; le nostre lingue stavano combattendo una
guerra senza vincitori né vinti e le nostre labbra ballavano
una danza nuova, ma comunque conosciuta.
Quando ci staccammo, riaprii lentamente gli occhi, per paura che quel
breve momento di pace e paradiso diventasse un lungo calvario verso
l'inferno; il suo sguardo infuocato, azzurro, malizioso, troppo bello
per essere reale, era puntato su di me, come un faro nella notte che
aiuta le barche a tornare a casa.
Non disse niente, non ce ne fu bisogno, e io lo
seguii lo stesso perché avevo bisogno di trovare la mia via.
*******
EMILY
SET ABITI: QUI.
(Aprire in un'altra scheda)
* il parigamba è un tipo di slip.
*
Minchia per lanterne, significa: fischi per fiaschi.
Ciao,
sono Alessia e se siete arrivate fino a qui, se mi avete aspettata
allora VI MERITATE UN BACIO, UN ABBRACCIO EUN GERRI NUDO.
Come
avete trascorso le vacanze? Avete mangiato, bevuto, ballato e tutto
quello che c'era da fare? Oddio, io sì e adesso non so come
tornare
alla vita normale. PLEASE, SOMEONE HELP ME, PLEASE!
Ok, torno
seria.
Ricordavate ancora cosa era successo nel capitolo
precedente, spero di sì: per fortuna ho fatto un mini veloce
riassunto prima di questo, per rinfrescarvi la memoria.
Ecco qui
che i due, come al solito, dopo aver litigato... si avvicinano e...
ZANZANZAN si baciano. Per la verità è Emily che
bacia Pietro:
PERCHE'? Me lo chiedo anche io, visto che non era programmato!
La
ragazza è confusa ma si lascia influenzare, facilmente,
dagli occhi
azzurri del bel omaccione che si ritrova davanti, beh, lo farei anche
io...
Non so che altro dirvi, è un capitolo molto importante
questo perché si capiscono molte cose ed Emily, anche se non
le dice
apertamente, lascia dei segnali abbastanza chiari. Chi vuol capire,
capisca. ;)
La vera domanda è: dove stanno andando e cosa
succederà dopo?
Grazie infinite a tutte per avermi seguita fino
ad adesso, per aver inserito la storia tra le varie categorie, per
avermi recensita e sostenuta.
Grazie a Ellina
per lo splendido lavoro che fa con me, per la pazienza e per il suo
bullizzarmi.
Grazie a Buba perché mi su/opporta.
Grazie a voi,
ancora.
Vi ricordo, per chi volesse, l'esistenza del gruppo
facebook
e
del mio canale youtube.
E, per chi se la fosse persa:
LA ONE SHOT NATALIZIA.
UN
SOGNO DI NATALE.
One
Shot Natalizia tratta dalla long: The (he)art of the streap.
Pietro
ed Emily si trovano in una situazione del tutto nuova per loro, quasi
surreale e con loro c'è un nuovo, piccolo, personaggio.