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Autore: Kodamy    09/08/2007    2 recensioni
[SPOILER PER L'ANIME, EPISODIO 50]
La Vita Eterna sussurra da tempo dolci parole all'orecchio dell'Uomo, tentandolo. "Vivrai in eterno in questo Giardino, Uomo. Hai l'immortalità davanti a te, ed il mondo ti appartiene. Cosa ti rende diverso da Dio, che dona la Vita?" sibila "Puoi diventare come lui, e crearla. Puoi creare la Vita."
"Perchè tu sei Dio."
E Invidia fu, quindi, il Peccato Originale dell'Uomo.
Act 1. Genesis. To wither away. [Era sempre stato un figlio terribile. Terribile.]
Act 2. Stillborn. Like God, arms thrown around the sky. [Quello stesso rantolio. Debole, fioco, spettrale e patetico.]
Act 3. Mother: can you hide your child from the waiting world? [Si lasciò cadere seduta contro la porta, stringendo le ginocchia al petto e ansimando. "...Caro?"]
Act 4. Name. Why wouldst thou be a breeder of sinners? [Vivere, morire e nascere per invidia. Senza dubbio una cosa molto, molto triste.]
Genere: Generale, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dante, Envy, Hohemheim Elric
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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“Science sans conscience n'est que ruine de l'âme

 

 

F r a m m e n t i

 

Act 4.
Name.

Why wouldst thou be a breeder of sinners?

 

 

La prima volta che lei l’aveva portato a casa, lui era rimasto in quella stanza che puzzava di sangue. Le braccia, quasi dritte, rimasero strette a stringere le ginocchia ancora troppo ossute al petto incavato. L’intera volto infossato contornato da una stopposa massa di capelli d’oro opaco.

 

Aveva dondolato su sé stesso, un po’, contro la porta. Gli occhi, finalmente provvisti di palpebre ma privi di ciglia, erano rimasti fissi sul buio del muro di fronte. Quella cosa non era ancora abituata a chiuderli, dopotutto.

 

Era rimasto lì, ad ascoltare, sibilando appena. Denti affilati appena scoperti da labbra presenti, ma tirate indietro come quelle di una belva che ringhia.

 

“Siete incantevole come sempre, Dante. Mi chiedo come possa, una giovane donna come voi, rassegnarsi ad essere vedova.”

“Di grazia, Thomas. Con queste vostre lusinghe, finirete per viziarmi.”

“Le mie labbra pronunciano solo la verità, dovreste saperlo ormai. Vostro marito non ve lo ripeteva, forse, strenuamente?”

“Non lo ripeteva da tempo, ormai.”

“Me ne rammarico. Siete stupenda, e la vostra casa vi si addice non poco: una villa davvero ben arredata. Ma non è scomodo, così lontano dal villaggio?”

“Non troppo, non troppo.”

“E’ arredato con buongusto.”

“Grazie.”

 

Chiacchiere frivole, chiacchiere frivole.

Poteva sentire, distrattamente i due cuori battere mentre quei passi si portavano vicino alla porta chiusa.

La sorpassarono.

Quella mano ossuta e pallida si posò distrattamente sul petto, artigliando la carne. Lì, però nessun cuore batteva.

Ancora un altro sibilo, questa volta più stizzito.

Dondolò, ancora un po’, battendo ripetutamente la testa contro il legno della porta. Aveva fame. Aveva fame.

 

La mamma ha preparato da mangiare.

 

Le dita si flessero appena, affondando unghie troppo simili ad artigli nella pelle malaticcia.

 

“Siete una donna molto forte, Dante. Prima vostro figlio, poi vostro marito. Eppure, trovate la presenza di spirito di sorridere.”

“Ah, ma solitamente gli uomini non amano avere donne forti al loro fianco. Si sentono minacciati, temo.”

“Eppure si dice che dietro ogni grande uomo si celi una grande donna, Dante.”

“Oh, su questo avete indubbiamente ragione. Thomas, vi andrebbe un po’ di te? Ho dei nuovi biscotti al burro.”

“Rifiutare sarebbe una maleducazione troppo grande, suppongo.”

“Supponete bene.”

“Tre zollette di zucchero, allora.”

 

Quelle unghie passarono a graffiare la porta. Accanitamente, quasi a volere aprirsi un varco nel legno ed andare via, via, via, via da quell’uomo che rubava ogni attenzione, via contro quell’uomo che lei, lei lei lei…

 

Un sibilo, un rantolo. Il battere di quelle ossa contro la porta. Tuttavia, non ricevette alcuna attenzione.

Avrebbe voluto parlare, ma non conosceva le parole. La sua lingua immatura non sapeva pronunciarle.

Cessò di muoversi, e rimase lì, contro la porta. Insieme di carne messo insieme alla meno peggio.

Imitazione mal riuscita di un essere umano.

Rimase lì, contro la porta, ed attese. Cercando di saziare la sua fame di vita con quel rancore che, da quando era nato – per la seconda volta, anche se non se ne rendeva conto – era l’unica cosa che era riuscito a provare.

 

Attese.

 

Thomas Rutherford era un uomo elegantemente impeccabile. Un eterno viveur alla soglia dei suoi ventotto anni, con alle spalle milioni di storie d’amore con donne più giovani di lui, e all’orizzonte alcuna prospettiva di matrimonio.

Non particolarmente benestante, ognuna delle donne con cui si era fatto vedere, era stata scelta per inequivocabile vocazione estetica e dopo una strenua ed estenuante ricerca sulle finanze della famiglia di lei.

 

Dante, vedova, era una donna che spesso si era vantata di essere attrice. Ed era anche la prima donna più anziana di lui che Thomas avesse mai provato a corteggiare. Girava voce, nel villaggio, che Dante fosse una strega. Lui, tuttavia, la ricordava sempre meravigliosamente radiosa, e meravigliosamente bella.

 

Giovanile.

 

Caratterialmente forte.

 

Ostinata.

 

Ricca.

 

E vedova.

 

Lei sembrava cosciente del suo costante riempirla di attenzioni, delle sue lusinghe non tanto velate e dei troppo arditi inviti che lui osava rivolgerle, giorno dopo giorno, notte dopo notte. Sembrava anche cosciente che la ricchezza aveva riscosso su di lui un particolare fascino, e Thomas se ne rese conto quando lei gli donò un meraviglioso stallone pezzato per il suo ventottesimo compleanno. Thomas le aveva promesso che l’avrebbe così accompagnata nelle passeggiate autunnali, e Dante aveva asserito che quella promessa era ringraziamento più che esauriente.

 

In pochi mesi, Thomas era riuscito a farsi strada nel letto della vedova.

L’aveva posseduta, e lei – prima di addormentarsi – aveva riso ancora come una ragazzina.

 

Tuttavia, la mattina dopo, Thomas non era riuscito a domandarle cosa fossero quei rumori costanti – quei rumori di spettri, di fantasmi - che l’avevano tenuto sveglio tutta la notte, fra le braccia nude di lei.

 

( Di notte, la cosa rimaneva sveglia perché non aveva affatto bisogno di dormire.

 

Ascoltava.

 

Ascoltava e si avventava contro la porta. La graffiava.

Con la voce che non gli era stata concessa, tentava di chiamare la donna.

Voleva uscire.


Che lo lasciasse uscire!

 

La stanza puzzava di sangue rappreso, quell’odore metallico ormai impregnato nei muri e nel pavimento.

 

Da tre giorni, quella donna non tornava più.

 

Non aveva forse trovato un nuovo giocattolo?

Aveva fame, fame, fame fame! Di vita!

 

[Fammi vivere! Fammi vivere. Fammi vivere, fammi vivere fammivivere!]

 

Non se n’era dimenticata. In fondo, nel profondo della sua non-coscienza, lo sapeva.

 

Eppure, sentendo quelle risate intime, non poteva fare a meno di provare invidia.

Smodata, misurata, innata, recondita, insita, bestiale invidia.

 

[Perché non ci sono IO al suo posto?
Io!
Io, io, ioioio!

Perché lui?
Cosa c’entra, lui?
 Cosa c’entra?
Non c’entra niente!
Nientenienteniente!]

 

[… papà… ]

 

Ma la sua non-coscienza non cercava neppure di capire quei pensieri, che attraversavano incomprensibili un cervello troppo semplice.

Alla fine, la cosa poteva solo provare rancore.

 

Che cosa tremendamente sbagliata.)

 

 

Non accadde solo la prima notte che passarono insieme.

Ma anche la seconda.

E la terza.

 

Ogni notte, i rumori erano più violenti della notte prima.
E la quinta mattina Thomas vide Dante sveglia, accanto a lui, intenta a fissare il vuoto del soffitto.
“I fantasmi di questa casa sono agitati.” spiegò lei, con il solito tono delle chiacchiere da tè. Quel tono tranquillo, vagamente innocente. “Non ti vogliono qui.”

Thomas rimase in silenzio, prima di chinarsi su di lei e rubarle un veloce bacio a fior di labbra. Lei si lasciò derubare, ma sembrava pensierosa. Pensierosa e distante.

E Thomas ricordò che, secondo il villaggio, Dante era una strega.

Che abita una casa infestata – completò mentalmente, lasciandosi sfuggire un sospiro nel vedere la schiena nuda e pallida di lei sollevarsi dal letto, sfuggire alle coperte candide. Bella. Bella, bella, bella.

Era malato di lei, probabilmente.

“Continuano a vivere in questa casa, i fantasmi?”

“A loro la morte non piace. Come biasimarli? Non vorresti vivere per sempre, tu?”

E Thomas aveva deglutito, senza riuscire a nascondere l’implicazione che quelle parole avevano avuto su di lui.

Dante la Strega cercava forse un compagno per la sua eterna giovinezza?

Voleva lui, fra tutti?

Avrebbe condiviso con lui l’eternità ed ogni ricchezza e conoscenza che suo marito le aveva lasciato in eredità?

Ogni stregoneria?

 

Non fece in tempo a rispondere. Sentiva il petto troppo pesante alla prospettiva, ed una piccola parte di lui tentava ancora di convincerlo che Dante non era affatto una strega.

Dante stava al gioco, e lo stava prendendo in giro.

 

Scoppiò discretamente a ridere.

 

“Colazione?” cinguettò lei, dedicandogli un sorriso. Lui, sornione, annuì.

E, mentre lei si vestiva – affatto frettolosa di nascondere il suo corpo – a Thomas parve di scorgere una macchia scura dietro l’incavo del ginocchio. Un livido?

Non riuscì ad indagare oltre, perché l’ampia gonna scese a coprire la visuale.

E Dante collegò quello sguardo imbronciato a tutt’altro tipo di delusione.
Lui, tranquillamente, glielo lasciò credere.

 

 

Quando Dante aprì la porta della Stanza, non si stupì affatto nel ritrovarsi gettata a terra dal peso della Cosa.

“Che c’è?” domandò, con un dolce sussurro. “Ti sono mancata?”

 

Due occhi dorati la fissarono dall’alto, adombrati dalla massa informe di capelli del medesimo colore.

 

La donna pensò che mai prima d’ora la cosa aveva rassomigliato in tal modo suo figlio. Il volto scarno e scheletrico deformato dalla smorfia di rabbia. Smodata. Incontrollata.

 

Le labbra tirate a scoprire i denti lievemente appuntiti. Il corpo nudo, ancora un po’ deforme, ma definitivamente umano. “La mamma è stata occupata.” Il sorriso di scusa era tanto falso quanto mellifluo.

 

Una piccola opera d’arte.

 

E la cosa rantolò.

 

Dante aveva voglia di vomitare, eppure una piccola parte di lei le ricordava che era sempre stata una donna forte.

 

“Lasciami andare.” Ordinò, semplicemente, con agognata disinvoltura.

 

Venne ignorata.

 

“Devi capire che non posso passare tutto il mio tempo con te. Ho una mia vita. E tu, in questa mia vita, non sei nessuno. Un fantasma. Sei un fantasma, di grazia, che tuo padre mi ha lasciato come testimone. Comportati da tale. Sii invisibile. Non esistere.”

 

La frustrazione crebbe e scemò sotto il peso di quegli occhi umani pieni di luce selvatica. Il viso scarno si era raddolcito nei lineamenti affilati, e non era più una maschera di rabbia. Era una maschera di infantile curiosità. Capiva le parole di lei, ma non capiva cosa stesse dicendo. Dante, calmatasi, non lo biasimò.

 

Non lo capiva neanche lei.

 

“Scendi.” Per farsi intendere, si limitò a porre entrambi le mani sulle spalle sottili della Cosa, spingendola appena all’indietro. Quasi spaventata, la Cosa saltò giù da lei, liberandola dalla presa.

Si rifugiò nell’angolino opposto della stanza, scoprendo i denti e ringhiando appena.

 

Dante la ignorò, dirigendosi verso quella che era stata la scrivania di lavoro di suo marito.
E che ormai era soltanto ricoperta da un cumulo di cocci di vetro.

 

Sospirò, lasciando passare il ringhio in secondo piano e sfogliando distrattamente le pagine del libro aperto sul ripiano. Alcune erano state violentemente strappate, probabilmente per opera della Cosa.

 

“Sei davvero arrabbiato?”

 

Anche Ed lo sarebbe stato, se Dante avesse iniziato a vedere un altro uomo.

Ed sarebbe stato furioso, e le avrebbe fatto passare l’Inferno. Perché Ed aveva sempre idolatrato suo padre.

Con o senza le sue attenzioni. Era stato fiero di essere suo figlio.

 

E triste, tremendamente triste, perché suo padre non era stato ugualmente fiero di lui.

 

Dante cacciò via questi pensieri, dirigendo ogni fibra della rabbia che aveva in corpo verso Hohemheim.

 

Perché, caro? Perché l’unica cosa che mi hai lasciato è lui?

Un errore?

E’ una cosa tremendamente crudele, caro.

Potrei anche odiarti.

 

Ma tutta quella rabbia non era abbastanza da soffocare la completa devozione e l’amore che provava per lui.

Che cosa terribile, essere una donna innamorata.

 

Trasalì quando due braccia storte la cinsero da dietro.

Nello stesso identico modo in cui Thomas l’aveva abbracciata, quattro giorni prima, davanti a quella porta.

Deglutì.

 

Sei invidioso di tutte le attenzioni che dedico a quell’uomo?
Eri invidioso da vivo delle attenzioni che lui dedicava agli altri.

E persino ora, tu… vorresti tutte le attenzioni per te? Le mie?

Le hai sempre avute. Ed, le hai…

 

Ma non era davvero Ed, per quanto gli assomigliasse.

 

L’invidia era un peccato capitale.
Lo sapeva. Lei era vissuta durante l’età del Dio della Croce.
Sua madre era stata una fervente devota, e lei stessa aveva passato tutte le Domeniche in chiesa.

 

“Hai così tanta invidia, tu. Non ti lascia in pace neanche dopo la morte. Penso sia una cosa molto triste.”

 

L’abbraccio si strinse, automaticamente, a quelle parole.
Dante sospirò, cercando di cacciar via la nausea e riprendendo a sfogliare gli appunti di suo marito.

Che era stato invidioso di Dio.

 

Povero Ed.

 

Aveva vissuto nell’invidia per gli studenti di suo padre.
Era morto per l’invidia di sua madre nei confronti dei libri, che ricevevano sempre più attenzioni di lei.
Ed era stato strappato dall’eterno riposo dall’invidia che suo padre provava verso Dio.

 

Erano stati una famiglia logorata dall’invidia, loro.

 

Senza dubbio una cosa molto triste.
Dal profondo del suo cuore immortale, Dante provò pena.

 

“Lasciami andare, Envy.”

 

Appropriato.

 

Tuttavia, mai obbediente, l’Invidia seppellì il volto contornato di dorato nella sua spalla.

 

 

 

Sulle scale, ormai sveglio, Thomas ascoltava diligentemente.

Con orecchio teso e cuore in tumulto.

 


A/N: Che ci si creda o meno, sono ancora viva. Di questo non riuscivo a scrivere la prima parte. Me sorry °_°” Thomas non è in alcun modo un OC. Cribbio. Coff. Ehm, Dante cristiana. Era appropriato, suppongo. Ha abbandonato la sua religione dopo che questa è caduta, per amore di Hohem-coso. Il prossimo capitolo sarà: Act 5. Greed. Everything you see you think you need. In cui, finalmente, il neo-nato Envy acquisisce una coscienza.

Non mi piace affrettare troppo le cose. Vedendo com’è cresciuta gradualmente Sloth, all’inizio era proprio… animalesca, ecco. Personalmente, amo Thomas.

L’intero capitolo è ispirato da Fma Reflections, parte 5: Sin. Guardatelo. E’ disponibile su youtube.

P.S. Why wouldst thou be a breeder of sinners? È una citazione dell’Amleto di Shakespear. Amleto parla ad Ophelia, consigliandole di farsi suora. Perché se avrà figli, saranno certamente peccatori. Perché ogni uomo lo è, in fondo.

 

 

 

 

 

  
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