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Autore: Airborne    26/01/2013    3 recensioni
Settembre 1978. Claire Rashbaum, quattordici anni, è innamorata del sedicenne John Bongiovi, il cosiddetto “Casanova del New Jersey”, ed è decisa a farsi notare imparando a suonare le tastiere con l'aiuto del fratello David. Peccato che David sia assolutamente contrario all'idea che sua sorella esca con l'amico, e per impedirlo entra nella sua band in veste di tastierista. Se poi si mette in mezzo anche Dave Sabo, peggior nemico di Claire e braccio destro di John, come andrà avanti la faccenda?
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, nè offenderle in alcun modo.
[INTERROTTA]
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 6

Un quinto dell'insieme

Forgive me

 

 

Rimasi chiusa in casa per una settimana, e furono i giorni più deprimenti che avessi mai vissuto, con David che mi evitata come si evita la peste e con mia madre che non faceva che chiederci cosa fosse successo. Lo giuro, per la prima volta in vita mia non vedevo l'ora di tornare a scuola. Studiando avrei avuto qualcosa a cui pensare che non fossero le discussioni e la mia stupidità, e poi dovevo parlare con Sarah: anche se David non mi aveva perdonato, forse con lei sarebbe andato diversamente. Lo speravo con tutta me stessa.

Il mercoledì mi svegliai particolarmente determinata e ottimista. Avevo puntato la sveglia prima del solito: volevo vedere Sarah prima che arrivassero le oche, e lei usciva di casa molto presto alla mattina. Sarei andata a scuola in bicicletta e l'avrei intercettata all'entrata; inoltre, facendo così non avrei dovuto prendere l'autobus con David.

Le cose andarono proprio come avevo sperato: appena dopo aver messo il lucchetto alla bici vidi Sarah che camminava attraverso il piazzale semideserto. Le corsi incontro chiamandola ad alta voce.

Quando si voltò mi lanciò un'occhiataccia terribile, ma non mi persi d'animo. «Sarah, ti devo parlare».

«Ti parlerò quando sarai tornata in te stessa» rispose, fredda come il ghiaccio.

Ce la misi tutta per mantenere il controllo. «È proprio di questo che ti volevo parlare. Io sono me stessa, Sarah».

«Tu non sei te stessa».

«Io sono sempre stata me stessa, anche se mi sono innamorata di John. Sono sempre io, la tua migliore amica. Dobbiamo litigare perchè mi sono innamorata? È una cosa stupida, Sarah».

«Te l'ho già detto. Non sono arrabbiata perchè ti sei innamorata, ma per la persona di cui ti sei innamorata. John...»

«E io» la interruppi, «ti ho già detto che non si può decidere di chi innamorarsi. Succede e basta, e lo sai».

«Ma...»

«So dove vuoi arrivare. Mi spieghi perchè diamine dovrei essere come loro? Perchè non posso essere diversa?»

«Tutte...»

«No, non tutte» ribattei, con un sorriso benevolo sul volto. «Se tutte diventassero così dopo essersi innamorate di John, Sayreville sarebbe una città di puttane».

«Lo stesso non so se sia una buona cosa. Ci sono anche un casino di ragazze che sono diventate così...»

«E tu sul serio credi che diventerei come loro?»

Sarah spostò lo sguardo. Non pensava niente del genere, lo sapevo bene. Però si vergognava tantissimo che io credessi che lei potesse pensare una cosa del genere.

Parlò dopo qualche secondo di riflessione. «Non lo penso. Come potrei pensare una cosa del genere di te? Sono stata una stupida. Scusami, Claire».

Inclinai un po' la testa per incrociare il suo sguardo. «Quindi siamo di nuovo amiche?»

Alzò il viso, e vidi un gran sorriso stampato sulla sua faccia. «Presumo di sì».

La abbracciai.

«Pensandoci bene» continuò, stretta in una morsa di ferro, «litigare così perchè ti sei innamorata di un ragazzo che nemmeno ti guarda è una cosa abbastanza stupida».

«Taci, valà. È una settimana che me lo ripeto. Bè, mettiamola così: almeno non corro il rischio di diventare una puttana».

Ridemmo di gusto, come se non fosse mai successo niente. «Mi sei mancata, Claire».

«Sì, e poi non riuscivi più a sopportare le oche» sogghignai.

Gli occhi le si illuminarono d'immenso. «Claire, hai dannatamente ragione! Le oche! Non sai quante cose ho scoperto...» Eccola partita alla carica con i suoi monologhi esaltati, come aveva sempre fatto. Ebbi la netta sensazione che non avesse parlato molto, in quelle tre settimane, e quindi adesso sarebbe stata ancor più logorroica, dovendo recuperare il tempo perduto. Mi aspettavano molte ore di pettegolezzi.

Mi sentivo una meraviglia. Non avevo recuperato David, ma riuscirci con i consigli di Sarah sarebbe stato molto più facile: ero ancora più ottimista di quando mi ero svegliata quella mattina. Quando arrivarono le oche, una decina di minuti dopo, Sarah le mandò tutte a quel paese in una maniera che meritava un premio Nobel, e a pranzo si sedette al tavolo della compagnia di Fred insieme a me, ma parlammo tutto il tempo per conto nostro, spettegolando e facendo i raggi X a tutti gli altri studenti. Il liceo come l'avevo sempre immaginato era finalmente iniziato.

Ma non avevo fatto i conti con una cosa che in quella settimana di malattia mi ero completamente dimenticata, e che era destinata a rovinare tutto il mio buon umore.

«Rashbaum, hai finito di combinare casini con tutte le persone a cui vuoi bene?»

«Allora è un peccato che non ti voglia bene» ribattei.

«Ma che razza di risposta è?» Mi si affiancò. «Cosa c'è, tutti queste discussioni ti hanno fatto perdere il senso dell'umorismo?»

«Almeno io so cos'è, il senso dell'umorismo».

«Mi sei calata, Rashbaum...Andiamo, così non c'è soddisfazione a infastidirti! Ma suppongo che in questo periodo non ci riuscirei lo stesso, con tutti i sensi di colpa che avrai...»

«Un'altra parola, Sabo, e ti giuro...»

«Cosa mi vuoi fare, eh? Mi pesti?»

«In effetti potrei».

«Troppo facile, sei un'esperta. Ma se davvero vuoi farmela pagare, io ho un'idea migliore».

«E da quando in qua tu hai idee buone, col cervello che ti ritrovi?»

«Aspetta di sentirla, e poi giudica». Mi guardò negli occhi con un guizzo trionfale. «Vediamo chi suona meglio, se tu le tue tastiere o io la mia chitarra».

Era un'idea ragionevole. Avrei accettato subito, ma c'era un problema: David. Dove c'era Sabo c'era anche John, e se lo avessi incontrato mio fratello si sarebbe arrabbiato ancora di più. Ma non potevo assolutamente rifiutare, per una volta che avevo la possibilità di chiudere il becco a Sabo.

«A una condizione» risposi. «Ci saremo solo tu e io, senza la band».

«Cos'è, hai paura di fare brutta figura?»

«Ho i miei motivi, e di sicuro non li spiegherò a te. In ogni caso, o si fa così o niente». In quel modo, anche se Sabo non avesse accettato la condizione, avrei dimostrato di non temere un confronto con lui nel suo campo.

«Affare fatto». Ci stringemmo la mano, ovviamente cercando di stritolarcela a vicenda. «Verrò a casa tua oggi pomeriggio appena dopo la scuola. E già che ci sei fammi trovare pronta una coppa di gelato. E non tentare di farmi credere che non ce l'hai: quando veniamo a provare David ce la offre sempre, quindi è ovvio che hai la scorta».

Avevo scoperto chi finiva tutto il mio gelato. «Sai cosa ti dico? Vattelo a comprare, il gelato. E ricordati: nessuno a parte te».

Ci allontanammo in direzioni diverse senza salutarci.

Quello si stava davvero rivelando un giorno fantastico: con un po' di fortuna sarei riuscita a vincere la sfida. L'unico problema era che l'unica canzone che sapevo, Smoke On The Water, era estremamente semplice anche con la chitarra, e di solito tutti la sapevano suonare. Cosa sarebbe successo se ci fosse stato un pareggio?

 

Sabo fu puntualissimo. Scese dallo scuolabus, corse a casa sua a recuperare la chitarra e fu subito davanti alla mia porta a suonare il campanello. Con lui non c'era nessuno.

«Sei pronta a perdere?»

«E tu?»

Dopo questi convenevoli da film western andammo in garage, che era stato colonizzato dagli strumenti della band, cosa che aveva mandato in bestia mio papà, costretto a parcheggiare l'auto lungo il viale. Mi posizionai dietro le tastiere, mentre Sabo sistemava la sua chitarra elettrica rossa.

«Che canzone proponi per iniziare?»

Per iniziare? Si aspettava che ne conoscessi più di una?

«Smoke On The Water».

«Eh, ma allora non c'è gusto!»

«O questa o niente».

«Ma un corno! Vuoi sfidare me, che sono un asso, con una canzone che anche i neonati sanno suonare? Sai che c'è? Secondo me non sei per niente brava, e vuoi suonare la più semplice che esiste per mascherare la tua incapacità».

«Visto che è la canzone più semplice che ci sia perchè non la vuoi suonare? Si potrebbe pensare che non sei capace». Ho sempre creduto che avere la risposta pronta fosse una delle più grandi doti che si potessero possedere.

«Si può pensare che io non sia capace? Ma senti quest'insolente! Ti faccio vedere io...» Finalmente si decise a suonare, ma si fermò quasi subito.

«Cos'hai, non sai fare l'accordo?»

«Nel riff iniziale non ci sono accordi, genio!»

«E allora cosa c'è?»

«Non possiamo suonare senza nessuno che canta».

«Questa è solo una scusa bella e buona. io suono sempre senza nessuno che canta».

«Sì, ma tu hai le basi».

«Non è vero».

«Rashbaum, ricordati che sono sempre il tuo vicino di casa, purtroppo, e che, sempre purtroppo, i muri di queste case non sono per niente spessi».

Questa volta non seppi cosa ribattere, ma gli ricordai con una punta di saccenza che avevo detto nessuno all'infuori di noi due.

«E allora questa cosa non si fa».

«Cos'è che non si fa, Sabo?»

Impallidii. Era entrato mio fratello, che doveva aver sentito la voce di Sabo ma non la mia. Erano parecchi giorni che non ci trovavamo così vicini. L'espressione sorpresa lasciò spazio in un secondo a uno sguardo così accusatore che mi venne quasi da piangere.

Sabo si vide offerta una situazione d'oro sopra un piatto d'argento. «Io e tua sorella stiamo facendo una gara per decidere chi è più bravo a suonare» spiegò con il suo ghigno che esponeva solo prima di divertirsi un mondo a spese degli altri. «Pensavo che ti avesse avvertito».

Sperai che la mia ira potesse accoltellarlo a distanza.

«No, non mi ha avvertito» rispose David guardandomi malissimo.

«Ad ogni modo ci serve qualcuno che canti, altrimenti questa sfida non si può fare. Canti tu, David?»

Sabo, figlio di...Lo faceva apposta, quel verme imputridito! Forse un bel pugno dritto sul naso gli avrebbe insegnato a farsi gli affari suoi.

«Così da offrirti l'ennesima occasione per prendermi in giro perchè sono stonato? Non ci penso nemmeno» rispose mio fratello con mio grande sollievo. Sperai che se ne andasse.

Evidentemente, il giorno che quella mattina si era prospettato tanto felice e fortunato non era deciso a rimanere tale. «Certo che sei stonato, David, lo sappiamo tutti. Ma se vuoi farci un concertino non ti diciamo di no, a patto che poi tu vada a prendere qualche birra e quegli ottimi gelati che compra tua madre».

Se prima la mia ira avrebbe dovuto accoltellare Sabo, adesso lo voleva sottoporre alle torture più dolorose. Cosa ci faceva John nel mio garage, quando avevo espressamente vietato a Sabo di portare chicchessia?

«Ehi, John, non ti aspettavamo così presto» lo salutò, del tutto immune alle mie minacce oculari.

«Lo so, ma sono venuto a cercarti a casa tua, e tua madre mi ha detto che eri qui...Perchè, poi?»

«Ho sfidato la Rashbaum, per vedere chi è più bravo a suonare» spiattellò lui.

John, che non si era accorto di me, mi salutò appena David si spostò un poco e smise di nascondermi. «Ciao, sorella di David! Non sapevo che fossi guarita...Come stai?»

Questa volta, anche se sentii le guance avvampare, riuscii a pronunciare un timidissimo «Bene». Percepii l'irrigidirsi di mio fratello, ma non potevo rispondere a monosillabi dopo quello che era successo una settimana prima. «Grazie per avermi riportato a casa quella notte».

«Figurati. Stavo tornando a casa, ero stato a casa di un'amica, su a Ginsberg Place...» raccontò, facendo l'occhiolino a Sabo.

«Sì, dai, raccontaci ancora una volta delle tue sgualdrinelle...»

Erano il batterista e il bassista. Ma perchè diamine erano tutti lì a quell'ora? Anche loro due erano passati a casa di Sabo?

«E questa chi è?» domandò molto finemente il bassista, neanche fossi stata un animale dello zoo.

«È la sorella di David» spiegò John tutto contento. Ricordare la sua “amica” doveva averlo messo di buon umore. «Si chiama...Ehi, com'è che ti chiami?»

«Claire» mormorai flebilmente.

«Claire? Mmm...Una ragazza che ho conosciuto al mare due estati fa si chiama Claire. Ha due gambe che vi raccomando...»

«Grazie, John» tagliò mio fratello. «Bene, dal momento che siamo tutti qui direi di cominciare le prove...»

«E la nostra sfida?»

«Quale sfida?» chiese il batterista. Sabo si lanciò per l'ennesima volta nelle spiegazioni, e io desiderai con tutta me stessa di svanire nel nulla. Non era un problema suonare davanti a Sabo, ma tutta quella gente mi metteva in ansia. No, diciamoci la verità, per una volta: John e il suo possibile giudizio mi mettevano in ansia.

«Ma se vi serve qualcuno che canti» disse con mio supremo terrore, «ci sono io!»

David si girò dall'altra parte, senza intervenire, probabilmente perchè si ricordava della sfida che mi aveva lanciato la settimana prima. Gli altri non ebbero nulla da obiettare. Io ero morta e sepolta.

Anche il bassista e il batterista si sistemarono ai loro strumenti. Per fortuna, dalla sua postazione al microfono John mi dava le spalle.

«Su, Dave, fammi un bel riff!»

E Sabo cominciò.

Non dovevo fare altro che tranquillizzarmi e suonare quella canzone, cosa che sapevo fare benissimo. Chiusi gli occhi e con il pensiero tornai indietro nel tempo, a prima che io e David litigassimo. Ero nella sua camera illuminata dal sole che entrava dalla finestra, era solo un'altra lezione di tastiera e io stavo per suonare un brano che ormai mi veniva naturale come respirare. Quando arrivò il momento riaprii gli occhi e cominciai a premere i tasti.

Era tutto estremamente semplice. Era sul serio solo un'altra lezione di David, e non dovevo quasi pensare ai movimenti successivi, perchè mi venivano naturali.

All'improvviso mi resi conto che ero la tastierista di John, seppur per un brano solo, e che non era niente di speciale. Ero una tastierista e basta. La cosa che mi fece sentire magnificamente, invece, era suonare davvero, suonare con una band al completo, sentire la voce e la chitarra e il basso e la batteria, essere solo un quinto dell'insieme ma sapere che senza di me tutto quello non sarebbe stato possibile. Era la prima volta che provavo una sensazione del genere. A chi diavolo importava di Sabo? Cos'era una stupida sfida rispetto alla sensazione che le note arrivassero fino ai tasti percorrendo le dita, le mani, le braccia e partendo direttamente dal cuore?

La canzone finì troppo presto.

«Mannaggia la miseria, ma come diavolo hai fatto a insegnarle così tanto in così poco tempo?» domandò John a mio fratello, strabiliato, appena la canzone finì.

«Io sono stato bravo almeno quanto lei, se non di più» squittì Sabo risentito.

«Dave ha ragione» commentò il bassista, a cui evidentemente non stavo simpatica. «Dovrete fare un'altra canzone».

«È giusto» concluse John. «Avanti, proponetene un'altra».

«Sweet Home Alabama!»

«Ecco, mi pareva» sorrise John illuminando tutta la stanza. «Dave adora quella canzone. A te va bene?»

Mi vergognai tantissimo. «Non la so suonare».

«Allora ho vinto io!» esultò Sabo.

«Dave, non è per niente corretto». Almeno il batterista era dalla mia parte. «Facciamo scegliere a lei».

«Veramente io so suonare solo Smoke On The Water».

«Ecco perchè volevi suonare assolutamente quella! Povera sfigata...» Gli avrei tagliato la lingua. Mio fratello si irrigidì nuovamente.

«Perchè non le hai insegnato altro?» gli chiese John.

David esitò un po' prima di rispondere. Sembrava che stesse considerando un'infinità di cose, come quando uno deve decidere tra due appuntamenti a cui vorrebbe partecipare con tutto se stesso e non sa quale scegliere. Guardò John, poi guardò me, infine distolse lo sguardo e disse: «Avevamo fatto un patto: se mi avesse dimostrato che era brava le avrei insegnato altre canzoni. Direi che la dimostrazione me l'ha data».

John fischiò e gli altri due applaudirono. Feci uno dei miei sorrisi grandi e ridicolissimi: ero profondamente lusingata. Ma più che altro mi importava di quello che aveva detto David. Forse mi avrebbe perdonata!

Notai appena che Sabo era pieno d'astio. Aveva vinto la sfida, ma nessuno se ne curava, ed era una cosa che non aveva mai sopportato.

Li lasciai provare in pace e andai all'allenamento. Mi presi una bella lavata di capo da Redton, visto che non mi ero allenata per una settimana intera, ma il pensiero che forse ora David era disposto a perdonarmi mi sostenne per entrambe le due ore. Tornata a casa corsi subito in camera sua per parlargli.

«Grazie».

«Grazie di cosa?»

Brutto, bruttissimo segno.

«Di darmi di nuovo lezioni di tastiera».

«Sì, Claire, ti darò di nuovo lezioni di tastiera. Ma ricordati che questo non vuol dire che ti ho perdonata».

«David, ti ho già detto che non penso veramente quelle cose...Cosa devo fare perchè tu lo capisca?»

«Cosa stai facendo? Mi supplichi?»

«Andiamo, David! Sul serio sei convinto di essere uno sfi...»

«Smettila immediatamente». Gli tremava la voce.

Ci vidi rosso. Perchè continuava a comportarsi così? Va bene che ci era rimasto male, ma cosa pensava di fare continuando così? Gli avevo chiesto scusa (o meglio, ci avevo provato) in ventimila modi diversi, e lui si ostinava ancora a tenermi il broncio. Avrei voluto dirgli quattro parolacce, ma la parte razionale del mio cervello me lo impedì. Se si era arrabbiato a tal punto dopo che gli avevo detto che era uno sfigato, figurarsi cosa avrebbe fatto se gli avessi urlato qualche insulto. «Sai una cosa? Vado al club della scuola, a prendere lezioni di tastiera. Non ho intenzione di passare del tempo con qualcuno che fa del suo meglio per cancellarmi dalla sua vita».

Uscii dalla camera senza nemmeno osservare la sua reazione.

 


Note

Ave popolo :)

Questi ritardi minacciano di diventare un'abitudine!! Ma almeno non pubblico tardi come l'altra volta XD Spero che nel frattempo non vi siate dimenticati la storia...Se invece l'avete fatto correte a rileggerla :P

Giornata impegnativa per Claire! Ma almeno John le ha fatto un complimento :) E poi non so voi, ma io un David così imbronciato non lo sopporto. E dire che l'ho creato io!! Vedremo cosa si può fare. Almeno Sarah è tornata in se stessa :)

Per il momento non ho nient'altro da dire...Ma ho già ben i mente i prossimi 3-4 capitoli e sono sicura che non vi deluderanno...Anzi!! *cerca di non mostrarsi troppo sicura di sè*

Grazie a tutti quelli che continuano imperterriti a leggere la mia storiella *-* Siete troppo caaari *-*

Alla prossima!!

  
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